Libri > Fiabe
Ricorda la storia  |      
Autore: JSTR4    22/02/2015    0 recensioni
Ho scritto questa storia qualche anno fa, poi l'ho riletta e mi sono reso conto che non era abbastanza idiota. Ci sono rimasto tanto male!!!! Allora l'ho aggiustata, e ora è un racconto pieno di significante significato che fa riflettere! E' una storia ispirata da Biancaneve e i sette Nani, ma a parte questo non c'entra niente con la fiaba classica. E' una roba demenziale, che fa tanto tanto demenzialità. La trama è quella solita: c'è una regina cattiva che vuole essere la più bella e allora vuole che sia ucciso a quel brutto principe che è il protagonista ed è brutto e protagonista (principe). Che bella storia!!!! Tuffatevi in essa, così anche voi potrete dire: «Che cacchio ho letto, non lo so, ma mi piace!»
Genere: Avventura, Demenziale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

                                                                                       Sandro Lunghini
                                                                                     
                                                                             The Fabulous Tale

C’era una volta, tanto tempo fa, in un reame lontano lontano, un giovine principe di nome Sataneve. Viveva in un bellissimo castello col papà e la mamma. Un giorno la sua mamma si ammalò di malattia e morì. Sataneve pianse e si chiuse in cameretta sua a piangere, inzuppando il suo cuscino dei One Direction. Il Re suo padre pianse e si chiuse in cameretta sua a piangere, inzuppando il cuscino di Twilight, regalo di suo figlio. Ma alla porta della stanza del Re si sentì bussare. “Chi è?” chiese il Re. 
“Sono la Regina Himika” risposero dall’altro lato della porta.
Il Re sobbalzò: “Oh, la Regina dei Cattivi in Candy Candy?”
“Esatto” rispose lei.
Il Re corse ad aprire la porta, ma quando la spalancò urlò di terrore, rendendosi conto dello sbaglio che aveva fatto: “AAAAHH! Sto urlando di terrore, rendendomi conto dello sbaglio che ho fatto! Tu sei la Regina dei Cattivi in Jeeg Robot d’Acciaio, non in Candy Candy”.
“Già, sbagliasti!” esclamò lei: “Io sono Himika, e non mi frega mica di schiacciare una formica che mi è nemica!”
“Sposami!” la implorò il Re, conquistato da quei versi poetici.
“Noi ci siamo già sposati” disse lei.
“Quando?”
“Ieri.”
“Ma se ci siamo conosciuti oggi.”
“SILENZIO!” tuonò lei. “E manda a chiamare tuo figlio.”
“Chi?”
“Tuo figlio, il principe.”
“Chi?”
“Tuo figlio, il tuo pargolo, la tua prole!”
“Chi?”
“Dannazione! Il tuo erede, sangue del tuo sangue, carne della tua carne!!!!”
“Chi?”
“MA VAFFANCULO!!!!”
“Ah, mio figlio? No, non puoi chiedermi di chiamare il mio unico figliuol! Sataneeeeveeee!”
“Si, padre mio?” chiese Sataneve.
“Come hai fatto a giungere qui in così breve tempo?” si stupì il Re. “La tua stanza è distante parecchie miglia!”
“Tu mi sottovaluti sempre!” sbottò il principe, con le lacrime agli occhi. “Mi credi un incapace, ma io sono un fan di Winnie Pooh!!!!”
“Scusa, figlio mio, questa è la tua nuova madre.”
“Piacere, io sono un fan di Justin Bieber.”
“Come osi? Piccolo impertinente, io sono la Regina Himika!”
“Himika, porta una tua amica in Costa Rica” disse Sataneve.
“Sposami!” lo implorò il Re, conquistato da quei versi poetici.
Sataneve arrossì: “Ma no, Re, voi mi confondete, e poi io sono un fan dei Tokio Hotel.”
A queste parole si scatenò l’ilarità di suo padre e la sua, cosicché padre e figlio risero insieme, come non avevano più potuto fare da lungo tempo, da tanto tanto tempo ormai, da quando cioè la vera madre di Sataneve era ancora viva.
“Voi due mi prendete in giro!” esclamò Himika, infuriata. “Ebbene, Sataneve, ti avevo mandato a chiamare per regalarti i biglietti del concerto dei One Direction, ma ora mi hai fatto arrabbiare e ti punirò severamente!”
“NOOOO!” implorò il Re. “Non punirlo severamente, ti prego!”
“E allora” sentenziò Himika: “sarai tu a punire severamente tuo figlio!”
“Chi?”
“Tuo figlio, il principe.”
“Chi?”
“Tuo figlio, il tuo pargolo, la tua prole!”
“Chi?”
“Dannazione! Il tuo erede, sangue del tuo sangue, carne della tua carne!!!!”
“Chi?”
“MA VAFFANCULO!!!!”
“Ah, mio figlio? No, non puoi chiedermi di punire severamente il mio unico figliuol!”
“Nooo, non voglio essere punitooooo!” gridò Sataneve, e si chiuse in cameretta sua. Poi riaprì la porta e si affacciò, gridando: “Severamenteeeee!” e si richiuse nella sua stanza e pianse tanto, inzuppando di lacrime la sua trapunta di Hanna Montana. Tutti provarono a farsi aprire ma non ci fu nulla da fare.
La sua governante, imitando il verso di Facebook, riuscì a farsi aprire; entrò e cercò di consolarlo.
“Almeno Hanna Montana è una femmina, Cristo Santo” disse la governante.
Ma ecco, irruppe il Re nella stanza ed esclamò: “RISPOSAIMMI!”
“RISPOSASTITTI?”
“RISPOSASTEVVI?”.
Risposòssi.
La Regina Himika, bellissima e cattivissima, aveva uno specchio magico, fragile e mitologico, simbolo di bellezza e di vanità. Un giorno decise di andare dal suo specchio magico, che si trovava sulla cima più estrema della torre più alta del castello; sulle porte dell’ascensore era scritto guasto, così iniziò a farsela a piedi, ma quando sette ore dopo terminò la scalata dei 4444 gradini della torre, mentre strisciava, ormai preda di crampi anche sulle sopracciglia, verso la porta della stanza in cui era lo specchio, Sataneve spuntò da un angolo e disse: “Ah aha, vi ho organizzato una burletta, mia Regina, ho fatto spostare il vostro specchio nella segreta più profonda del sotterraneo più profondo del castello!” e scoppiò a ridere.
La Regina lo guardò impietrita, mentre il principe le si avvicinava sorridente e le diceva: “Oh oh oh, mia Regina, vero che son un simpatico monello?” e gaudioso se ne andava.
La regina si apprestò dunque a scendere la scalinata. Dopo quattro gradini scivolò su un CD di Fabri Fibra e precipitò lungo la ripidissima scala per centinaia di metri virgola sei, finendo a schiantarsi sulla porta d’ingresso della scala che conduceva ai sotterranei del castello. Cercò di prendere l’ascensore, ma era scritto guasto anche su questo e iniziò a farsela a piedi. Dopo quattro gradini scivolò su un poster del Pulcino Pio e precipitò per migliaia di metri lungo la ripidissima scala, fermandosi solo quando si schiantò contro la porta dietro la quale si trovava il suo specchio. Mentre cercava di capire dove si trovassero le sue mani nel miscuglio d’ossa fracassate che era diventata, Sataneve spuntò da un angolo e disse: “Ah aha, vi ho imbastito un giuocoso scherzetto, mia Regina, ho fatto spostare il vostro specchio nell’angolo più remoto delle nostre terre, proprio ai confini del regno!” e scoppiò a ridere. La Regina lo guardò impietrita, mentre il principe le si avvicinava sorridente e le diceva: “Oh oh oh, mia Regina, vero che son un tenero birbantello?” e garrulo se ne andava.
La Regina si trascinò allora sulla cima della scala, e quando vi arrivò, una delle porte degli ascensori si aprì, e ne uscì Sataneve; la Regina lo guardò impietrita mentre il principe toglieva i cartelli "guasto" e le diceva: “Oho oh, gli ascensori funzionano in verità, mia regina” e iniziava a correre felice sul prato nel suo bel mondo che pare fatato.
La Regina strisciò dunque all’esterno del castello, e raggiunse la fermata delle carrozze per andare verso i confini del regno. Tentò di consultare la tabella degli orari, ma purtroppo alcuni vandali ci avevano scritto sopra W Maria De Filippi con l’Uni Posca, rendendola illeggibile. Sbuffando, si predispose quindi all’attesa, e ingannò il tempo giocando a Sudoqquo…. Sudocciu…. Su…. Sudozzi…. Sudo…. a briscola. Dopo nove ore, però, si era stufata, e quando vide passare un signore in bicicletta, gli chiese: “Scusi, buon uomo, ma quando passa la prossima carrozza?”
“La carrozza oggi?” rispose questi: “Non lo sapete che c’è lo sciopero degli equini?”
Offendendo pesantemente tutti i sindacalisti della Civiltà Umana, la regina si avviò a piedi verso la sua meta. Viaggiando a tappe forzate, ed evitando le piste principali per non subire gli attacchi degli Indiani, che si diceva fossero sul piede di guerra, raggiunse il punto più lontano della tenuta del castello in circa undici giorni. Ma quando vi arrivò, ormai ridotta uno straccio, da dietro un angolo spuntò Sataneve che disse: “Ah aha, vi ho architettato una gioiosa fòla, mia Regina, ho fatto spostare lo specchio nella vostra camera da letto, così che lo abbiate sempre sotto mano” e scoppiò a ridere. La regina lo guardò impietrita, mentre il principe le si avvicinava e le diceva: “Oh oh oh, mia Regina, vero che son un adorabile guascone?” e giulivo se ne andava.
La Regina decise di fare l’autostop per tornare indietro, ma passava solo gente su mezzi di fortuna, come tricicli senza ruote, carrelli della Coop senza targa e Ciao smarmittati in riserva fissa. Fermò dunque un commercialista che transitava sulle spalle di sua nonna zoppa, chiedendogli: “Mi scusi, ma come mai non passano veicoli?”
“C’è la crisi del carburante, signora. Tutto fermo.”
Ingiuriando tutti i benzinai e i petroldollari della Società Industrializzata, la Regina si apprestò a tornare indietro a piedi. Nell’istante stesso in cui compì il primo passo, fu aggredita dalle cavallette, cominciarono quattro temporali, la terra fu attaccata dai mostri di Vega e le si incarnì un’ unghia. Un mese dopo, quando giunse al castello, non era più né donna, né santa, era forse una pazza idea, forse un tremebondo piccione trottolino amoroso dudu dadada.
Si recò dunque dallo specchio e gli chiese: “Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?”
“Sataneve” rispose lo specchio.
 “Ma no….” disse la regina in un dolce sussurro, arrotando la motosega: “Quel caro monello? Andiamo specchio, pensaci un po’ su!”
“Ah, ci devo pensare?” chiese lo specchio.
“Esatto” rispose la regina.
“Va bene, allora ci penserò su” disse lo specchio.
“Ecco, bravo. Vedi che....”
“Sataneve” rispose lo specchio.
“E che è?” sbottò la regina: “A parte che Sataneve è un maschio, ma come puoi essere così categorico?”
“Sono lo specchio magico, IO.”
“Ma andiamo, Sataneve non è neanche tutta sta gran bellezza: con quelle corna, quella coda, quei piedi caprini, quel colorito rosso acceso. Sei sicuro della tua risposta?”
“Ovvio.”
“Sicuro sicuro?”
“Siii-iii.”
“L’accendiamo?”
“Certo che l’accendiamo.” 
Di fronte a tanta sicurezza, la Regina Himika decise di uccidere Sataneve. Andò dal padre di quest’ultimo e gli chiese: “Mi aiuti ad uccidere tuo figlio?”
“No” rispose il Re, che stava leggendo i giornalini zozzi.
“Guarda che è brutto come un facocero dopo un incontro di boxe; sul serio, come hai potuto mettere al mondo un simile aborto? Quello non merita di esistere” gli disse la Regina per ferire il suo orgoglio paterno.
“Non m’interessa” rispose il Re che stava guardando le donne nude su Internet.
“Guarda che è ricchione.”
“Non m’interessa” rispose il Re che aveva trovato le foto porche di Jessica Alba.
“Guarda che si droga.”
“Non m’interessa” rispose il Re, che stava sempre guardando le foto porche di Jessica Alba (e vorrei vedere! Jessica Alba, dico! mica Mara Maionchi). La Regina Himika ebbe allora un colpo di genio: “GUARDA CHE E’ UN FAN DEI ONE DIRECTION!!!!”
“Aaaahhhh!” gridò il Re sconvolto. “Mio figlio un fan dei One Direction? Sangue del mio sangue, carne della mia carne.... come può essere?”
“Eh, già, uno non se le aspetta certe cose, ora su, uccidi tuo figlio.”
“Chi?”
“Tuo figlio, il principe.”
“Chi?”
“……………”
“Chi?”
“……………”
“Chi?”
“Non c’è problema, voglio vedere quanto vai avanti” disse Himika.
“Chi?”
“Io ho tutto il giorno, razza di scimpanzé con la meningite. Prosegui, prosegui pure nel tuo giochino.”
“Chi?”
La regina si accomodò sul divano con una tazza di tisana alle cozze e un libro di uomini depilati, borbottando: “Figuriamoci, ho una dignità da difendere, io. Ho condotto l’impero Yamatai alla riconquista della Terra, che diamine. Certo, quella carogna di Jeeg Robot mi ha fatto sudare sangue, lui e quella gattamorta della sua amica…. Miwa, lanciami i componenti…. certo, in fronte, ti lancio i componenti, con la fionda….”
“Chi? Ah, mio figlio? No, non puoi chiedermi di uccidere il mio unico figliuol”.
Il Re chiamò i suoi bravi: il Griso e il Nibbio. Arrivarono Sofia, Lollo e Don Felipe, detto l’astuto, per via della sua estrema perspicacia.
“E voi chi siete? Dove sono il Griso e il Nibbio?” chiese il re.
“Boh” rispose l’astuto Don Felipe.
“Sono soddisfatto, e voi chi siete?”
“Io sono l’astuto Don Felipe. Lollo e Sofia sono quelli nuovi, e io il loro team manager.”
“Quali sono le vostre caratteristiche?” chiese la Regina Himika, sempre attenta al dettaglio tecnico. Lollo rispose: “Io sono una spia eccezionale, poiché ho capacità mimetiche e di travestimento uniche; mentre Sofia è in grado di trovare in pochi istanti parole che facciano rima con basilico.”
“Ah, si? Proviamo” disse la regina incredula, rivolgendosi a Sofia. “Ragazzo, dimmi subito una parola che faccia rima con basilico.”
“Peppino!” rispose Sofia, pronto.
Un coro di ammirato stupore si levò dai presenti. Il re lo abbracciò, la regina guardò ammaliata il bel Sofia con le mani giunte sul petto, ormai innamorata, mentre Lollo annuiva compiaciuto.
“Ma ora veniamo a noi” riprese il Re: “ Il principe Sataneve potrebbe essere un fan dei Backstreet Boys e…”
“Chi?” disse l’astuto Don Felipe, perplesso.
“Mio figlio” rispose il re, seccato, “mio figlio potrebbe essere un fan dei Tokio Hotel.”
“Santo cielo!” esclamò Sofia, scoppiando a piangere, e iniziando a correre verso il tramonto, con ombrosa riluttanza e fragile fragilità.
“Sofia è molto emotivo” sussurrò Lollo all’orecchio del re.
“Oooh, capisco” disse il re. “Beh, andate ad indagare.”
“Senz’altro” disse l’astuto Don Felipe scattando sull’attenti, poi prese Sofia e Lollo per un orecchio e li trascinò con sé. Rimasti soli, l’astuto Don Felipe si rivolse ai suoi uomini e disse: “Bene, dividetevi. Avrete più possibilità di scoprire come stanno le cose. Quando ci saranno novità, venite a riferirmele” e se ne andò.
“Ok, dividiamoci” disse Lollo, andando via a sua volta.
“Dividerci?” disse Sofia, tra sé e sé. “Dividerci? Oh che sciagura, noooo!” e scoppiò a piangere, iniziando a correre verso il tramonto, con rime baciate sulle labbra e tormenti indicibili nell’anima. Nel frattempo Lollo, in cerca di informazioni, travestito da tifoso laziale, si introdusse furtivamente nel club di ultrà romanisti I Feroci, proprio il giorno successivo alla sconfitta della Roma nel derby per quattro a zero. Egli ne ebbe a soffrire.
Il Re si recò di persona a bussare alla porta di suo figlio. “Sataneve!” esclamò. 
Ma Sataneve, che stava ascoltando Paola e Chiara nell’ ipod, non sentì.
“Mio figlio è perduto!”esclamò il Re, disperato. “Non dà più ascolto neanche a suo padre.”
Spuntando da sotto un tavolo, Sofia gemette: “Oh, quanto dolore in questa magione” e scoppiò a piangere, prima di gettarsi dal balcone verso il tramonto, con tragica fatalità e invereconda conturbanza.
“Esiliamolo.” suggerì la Regina Himika, maligna.
“No” disse il Re “è sempre mio figlio.”
“Ripudiamolo.” suggerì la Regina Himika, diabolica.
“No, è sempre mio figlio.”
“Uccidiamolo.” suggerì la Regina Himika, mefistofelica.
“Si, va beh, fate un po’ come vi pare” disse il Re che s’era scocciato e andò a guardare Uomini e Donne su Canale 5.
La Regina, avuto campo libero, chiamò dunque l’astuto Don Felipe, e gli disse: “Porta Sataneve nel bosco e uccidilo!”
“Chi?” domandò l’astuto Don Felipe.
“Il figlio del Re, Sataneve.”
“Chi?”
“Il principe, il figlio di sua Maestà, Sataneve!”
“Chi?”
“Ehm…. Sbiriguda supercazzola prematurata con scappellamento a destra?”
“Ah, il principe, perché non l’ha detto subito?”. L’astuto Don Felipe sfondò la porta di Sataneve a calci rotanti, gli tolse l’ipod e lo trascinò via con sé. Sataneve, piangendo, strillò: “Nooo! Stava per cominciare Dawson’s Creek!”. Mentre il povero principe urlava disperato, dal castello si udì la crudele risata della regina Himika.
Nel frattempo Lollo, in cerca di informazioni, travestito da filetto di manzo, si introdusse furtivamente nella vasca dei piranha dell’Acquario di Genova, proprio il giorno in cui era finito il loro periodo di digiuno religioso. Egli ne ebbe a soffrire.
Giunti nel bosco, Don Felipe uccise Sataneve e se ne tornò al castello. Quando ci arrivò, la regina Himika gli chiese: “Tutto bene?” ma l’astuto Don Felipe era già salito sul suo pick-up ed era scomparso all’orizzonte.
Intanto, nel bosco, Sataneve, svegliatosi di colpo, si chiese dove si trovasse. Resosi conto di essere solo, si inoltrò nella macchia. Sofia, spuntando da sotto una ghianda, esclamò: “Povero giovane sfortunato!” e scoppiò a piangere. Vedendolo, Sataneve gli chiese aiuto: “Mi soccorra, signore. La prego.”
Ma Sofia era già saltato in sella al suo cavallo bianco ed era partito al galoppo verso il
tramonto, con lucida tristezza e oscura oscuranza.
Dopo molte ore di vagabondaggio,  Sataneve trovò una casetta con una porticina e delle finestrine e ci entrò. Si accomodò e iniziò a guardare la TV, e, poiché era beneducato, si lavò i piedi con lo spazzolino da denti dei padroni di casa. La sera arrivarono i padroni di casa, che trovarono Sataneve intento a dormire sul letto di uno di essi. I proprietari della catapecchia erano sette, come i sette comandamenti, ma di meno. Sataneve si svegliò in quel momento e chiese: “Chi siete voi?”
“TU chi sei, piuttosto, questa è casa nostra!” risposero quelli.
“Sono il principe Sataneve. E voi come vi chiamate?” domandò ancora.
“Siamo i Nanazzi” risposero loro in coro.
“Che siete nanazzi lo vedo. Sarete alti mezzo metro.”
“No no, ci chiamiamo proprio Nanazzi. Siamo i fratelli Nanazzi.”
“Oh, scusate, non avevo capito. Perché non facciamo un pigiama party? Ho anche il cd di High School Musical.”
“Ma certo, principe” risposero in coro i Nanazzi, poi lo legarono al palo della tortura, in mezzo alla cucina, e iniziarono a torturarlo.
Nel frattempo Lollo, in cerca di informazioni, travestito da strega eretica e transessuale, si introdusse furtivamente nella sede della Santa Inquisizione della Chiesa Spagnola nel quindicesimo secolo, proprio nel giorno del decimo anniversario dell’istituzione. Egli ne ebbe a soffrire.
Nello stesso momento il re, che aveva appena finito di sfogliare Cioè, piangeva disperato: “Oooh, come ho potuto lasciare mio figlio in balìa degli eventi? Sataneve, Sataneve, dove sei? Chiamerò l’astuto Don Felipe, perché mi aiuti a ritrovarlo” prese il cellulare dalla tasca e fece il numero dell’astuto Don Felipe. Quest’ultimo, che a bordo del suo pick-up stava ascoltando “Tutto Esaurito” alla radio col volume a palla, non sentì il telefono squillare. Ma, ad un certo punto, fu fermato dai carabinieri. Accostò, e quando uno dei tutori dell’ordine si avvicinò al suo finestrino, gli disse: “Qualche problema, marescià?”. Ma da sotto le unghie del carabiniere spuntò Sofia che, versando amare lacrime, disse all’astuto Don Felipe: “Oh, povero giovin principe sperduto e solo.”
“Chi?” chiese l’astuto Don Felipe. Ma Sofia si era già gettato nelle acque del torrente ed era scomparso tra le anse del gasolio verso il tramonto, con garrula voluttà e penosa tagliaunghie.
L’astuto Don Felipe, che non aveva capito una sega, ripartì, ma sbagliò strada e si ritrovò davanti all’ingresso del castello. Il re lo prese al volo e lo spedì a cercare il principe.
Intanto, legato al palo nella cucina dei Nanazzi, Sataneve stava provando le pene dell’inferno.
“Per te è finita” disse uno dei torturatori: “Ora morirai” e lo uccise decapitandolo con una mannaia arrugginita. Sataneve morì, e quando si riprese singhiozzò: “Oh, ma che sciagura: son già morto due volte oggi!”
“Uhmm..” mormorò un Nanazzo, perplesso: “Qui c’è qualcosa che non va”.
Dopodiché, ci diede grossi colpi con il mattarello per i fusilli a Sataneve, che spirò. Ma quando si risvegliò, il povero Sataneve esclamò: “Oh, povero me! Son mort…” ma non fece in tempo a concludere perché un altro Nanazzo lo uccise mettendolo in forno con le patate.
Sataneve decedette, e quando tornò in sé, balbettò: “Che… che c… crudel..” ma non riuscì a proseguire perché un altro Nanazzo lo divise con perizia in molti sensi latitudinali e longitudinali con la motosega.
Sataneve dipartì, ma si riprese poco dopo. La situazione si ripeté  per un po’, ma alla fine i Nanazzi si stancarono. Avevano ucciso Sataneve in mille modi: l’avevano fucilato, soffocato, fulminato, e gli avevano anche strappato la maglietta dei Puffi. Ma, immancabilmente, il principe tornava in vita.
“Ohh, me misero, me tapino” pianse Sataneve: “Oggi son morto ottantaset… no, ottantot… no, no, che dico mi sa almeno novantaquat… si, va beh, oggi son morto!”
Uno dei Nanazzi lo apostrofò: “Guardi, dottor principe, che lei non è mica tanto sano, sa?”
“Lo dico anch’io” concordò un altro Nanazzo: “Se uno muore, muore, non è che poi non muore. Lei ci ha le malattie, principe!”
“No, no, non dite così” si disperò Sataneve: “Mia madre si ammalò di malattia!”
I visi dei Nanazzi si illuminarono, e i commenti fioccarono: “Ecco, vedi…”
“Eh, si, lo dicevo io…”
“Dev’essere una cosa di famiglia.”
“Secondo me è pure contagioso.”
Alla fine, per non saper né leggere né scrivere, i Nanazzi ripresero a torturare Sataneve con selvaggia ferozia. Lui però soffriva più per i suoi tormenti interiori, anche perché i Nanazzi erano troppo bassi per essere dei torturatori spietati.
Nel frattempo Lollo, in cerca di informazioni, travestito da uomo nudo, si introdusse furtivamente nella camera da letto della tredicenne palermitana Rosaria Concetta Corleone, proprio nel giorno in cui il padre macellaio e i sedici fratelli muratori della  ragazza si dedicavano alla pulizia delle lupare. Egli ne ebbe a soffrire.
Il povero principe Sataneve, intanto, sfinito dai tentativi dei suoi aguzzini, sospirò: “Perché, perché mi fate questo? Cosa vi ho fatto? Come avete potuto bruciare il mio diario di Hello Kitty?”
“Vuoi saperlo?” disse uno dei Nanazzi: “Mia moglie è morta per colpa tua, dannato!”
“NOOO!” gridò Sataneve.
“Anche mia moglie è morta per colpa tua, maledetto!” accusò un altro Nanazzo.
“NOOO!” gridò Sataneve.
“Anche mia moglie è morta per colpa tua, infame!” rincarò un altro Nanazzo. 
Sataneve allora li interruppe: “Scusate, signori, non vorrei sembrare insensibile, ma così non la finiamo più; quindi, facciamo una cosa: quelli di voi a cui è schiattata la moglie per colpa mia alzino la mano”. Tutti i Nanazzi alzarono la mano, tranne uno.
Sofia, spuntando da sotto lo scolapasta, scoppiò in lacrime, e gridò: “Oh, che disgrazia! Quante mogli dipartite, quanto straziante tormento in codesti accadimenti!”. Vedendolo, il Nanazzo che aveva tenuto la mano abbassata, l’unico la cui moglie non era morta, indicò Sofia sgranando gli occhi: “Ma, un momento” esclamò: “Tu sei mia moglie!”.
Ma Sofia si era già immerso nei meandri della besciamella, scomparendo tra le melanzane e il Nelsen Piatti verso il tramonto, con mistica promiscuità e tremula sublimanza.
Grande fu l’indignazione che suscitarono quelle parole nell’astuto Don Felipe, giunto proprio in quell’istante nella casa dei Nanazzi, assieme al Re, alla Regina Himika e a Lollo.
“Come osate” gridò l’astuto Don Felipe: “dire che Sofia è vostra moglie? Egli è uno dei miei uomini più fidati.”
“E’ vero” confermò Lollo, “io e Sofia abbiamo iniziato a lavorare insieme per l’astuto Don Felipe, lo conosco benissimo e so che non è sposato.”
“Veramente quella è mia moglie” disse il Nanazzo, insistente: “e ora ve lo dimostrerò”.
Così dicendo, accese la tivù e sintonizzò su Un posto al sole. Sullo schermo, Ridge e Thorne, passeggiando sulla spiaggia,  si sfiorarono teneramente le mani e lui disse: “Abbiam trovato un posto al sole: peccato che oggi è nuvolo” “Francamente, me ne infischio” rispose lui, ma lui confessò aspramente: “T’amo, o pio pio.” “NON OSERESTI!” si frappose lui, con drammatica drammevolenza, quand’ ecco spuntare Sofia da sotto una vongola, che con pianto dirotto esclamò: “Oh, che puntata d’ampio dolor costellata” e fece per gettarsi tra i paguri Bernardi e le triglie di scoglio verso il tramonto, ma le braccia del Nanazzo di lui marito lo afferrarono per i metatarsi, costringendolo in una morsa di acciaio.
“E or che vi trovate costretta nella mia morsa di acciaio, o indegna consorte, svelate a tutti color riuniti qui la verità.”
“Di qual verità andate cianciando, o piccolo uomo la cui morsa di acciaio mi costringe in una ben incomoda posizione?” domandò Sofia, agonizzante causa la morsa di acciaio del Nanazzo che lo costringeva in una ben incomoda posizione, che a sua volta esclamò: “Ebbene, che voi non siete altro che la mia scomparsa moglie, o damigella la cui morsa di acciaio della qual son padrone costringe in una ben incomoda posizione!”. E fu allor che il Re, non resistendo più di fronte a cotanta tensione emotiva causata da sì straziante spettacolo, s’alzò d’imperioso scatto e, lo spirto sconvolto e la voce roca pel desìo di conoscer la celata, terrifica verità, fatal quesito pose: “MA COME CAZZO PARLATE?!?!”.
“E comunque la smetta, signor Nanazzo” intervenne l’astuto Don Felipe: “Sofia è un uomo: è al mio servizio da molto tempo, ormai, e sulla sua domanda di assunzione, alla voce sesso è scritto chiaramente maschio. Lui è zucchero filato e curiosità, è un mondo di pensieri in libertà, è un fiore delicato e felicità che a spasso col suo gatto se ne va.”
“Mio Dio” disse il Nanazzo lasciando andare Sofia, e cadendo in ginocchio: “come ho potuto sbagliarmi così?”
“Sposami!” lo implorò il Re, conquistato da quei versi poetici.
“Beh, comunque l’importante è che tutto sia chiarito, no?” disse Lollo, poi mise amichevolmente un braccio attorno alle spalle di Sofia, e gli disse: “Che sorrisi grandi che fai, che sapore dolce che occhi puliti che hai. Mio caro Sofia, perché non ci andiamo a guardare Holly e Benji?”
“Ma no, non mi piace” rispose Sofia: “Io preferisco Piccoli problemi di cuore”.
Tutti i presenti inorridirono, e gridarono in coro: “Nessun uomo può preferire Piccoli problemi di cuore a Holly e Benji!” 
“Allora tu sei mia moglie!” esclamò il Nanazzo.
“Ma abbiamo detto finora che Sofia è un uomo, no?” commentarono i presenti, che non riuscivano a spiegarsi l’accaduto. Ma l’astuto Don Felipe aveva iniziato ad elucubrare, e sembrò dopo alcuni istanti aver capito qualcosa di sconvolgente.  “Che accade?” gli chiese il Re, vedendolo così assorto. L’ astuto Don Felipe alzò l’indice tremante, puntandolo su Sofia, e disse: “Sofia, ma tu…. tu….”.  Sofia, non riuscendo più a negare, annuì, e cadde in ginocchio in lacrime.
Lollo balbettò: “Non… posso crederci, non può essere.”
La Regina Himika si sentì mancare. 
“MIO DIO!” gridò l’astuto Don Felipe, indicando Sofia: “Ecco perché hai un nome da donna, la voce da donna, il corpo da donna, ti vesti da donna e l’anno scorso hai partorito due gemelli: tu sei UNA DONNA!”
“Ebbene si, sono una donna!” rivelò Sofia, finalmente. Tutti guardarono l’astuto Don Felipe estremamente ammirati dalla sua incredibile acutezza.
“Non a caso” esclamò il Re: “vi chiamano l’astuto Don Felipe!!!!”.
Sataneve, che ormai era appassionato alla vicenda più che alle puntate di O.C., chiese, rivolto a Sofia: “Ma perché avete imbrogliato tutti quanti?”
“Perché avevo bisogno di lavorare e nessuno avrebbe assunto una donna! Mi servivano soldi! I giochi della Playstation costano un botto!”
“E’ vero” concordò Sataneve, poi decise di sposare Sofia e andarono in Luna di Miele al concerto dei Tokio Hotel, poi andarono a vivere nel castello col Re e la Regina, e con Lollo e l’astuto Don Felipe, ma i Nanazzi restarono chiusi fuori dal portone perché erano una manica di stronzi.
 
                                                                                         FINE
 
                                                                    TRATTO DA UNA STORIA VERA 
                    
TITOLI DI CODA con CANZONI qua è là e tutte le SCRITTE che scorrono e dopo mezz’ora di titoli di coda che non resta quasi nessuno ecco il colpo di scena finale:

Sataneve:                 “Babbo Re, babbo Re, ma perché io non muoio nemmeno se mi 
                                 ammazzano?"
Re:                           “Ma…. non te l’ho mai detto, Sataneve?”
Sataneve:                 “Detto cosa?”
Re:                           “Che io non sono il tuo vero babbo, Sataneve”
Sataneve:                 “Ah, no? E chi è?”
Re:                           “Il Demonio”
Astuto Don Felipe:     “Chi?”
Sofia pianse.
 
Giobbe Covatta:  “Sono Giobbe Covatta!! Vi denuncio tutti per plagio!!!!”
Autore:                “Non esageriamo…. si è citato. Omaggiato, al massimo.”
Giobbe Covatta:  “Omaggiato una sega, mi hai copiato!”
Autore:                “Uuuh, guarda, ci sono alcuni teneri africanucci che soffrono per 
                            mancanza di equatore!"
Giobbe Covatta:  “No! Mio Dio! Africanucciiii! Arrivo a salvarvi!!”
Autore:                “Ecco, bravo, vai vai.”
 
                                                                                                                
                                                                                                                            Sandro Lunghini   
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Fiabe / Vai alla pagina dell'autore: JSTR4