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Autore: mattmary15    22/02/2015    3 recensioni
La generazione dei miracoli si è sciolta e i suoi membri hanno preso direzioni diverse. Le loro strade sono però destinate ad incrociarsi di nuovo e questa volta dovranno confrontarsi con il potere più grande di tutti. Quello dell'amore.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Daiki Aomine, Ryouta Kise, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Lime, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Perchè proprio io non l'ho capito?


Ricevere una telefonata di Midorima non era una cosa frequente per Aomine.
“Pronto?”
“Non sono certo di fare la cosa giusta a chiamarti, Aomine, ma dato che è fatta, lasciami parlare. Ti manderò un messaggio con un indirizzo non appena chiuderò la telefonata. Se tieni ancora un minimo al rapporto con Kuroko e Kise, ti consiglio di venire subito.”
“Venire? Tu sei lì con loro?” chiese Aomine sempre più confuso.
“Per l’appunto, e non mi piace quello che sta succedendo qui. Ho l’impressione che se tutti si stanno adoperando per tenerti lontano da Kise, forse tu e lui avete ancora qualcosa da dirvi.”
Aomine ingoiò a vuoto. Che voleva dire che tutti si stavano adoperando per tenerlo lontano da Kise?
“Parto appena attacchi”, disse con il tono più grave che gli uscì.
“Aomine.”
“Sì?”
“Non farmi pentire di averti chiamato. Anche se non condivido il loro modo di fare, anche se li ritengo sciocchi sentimentali, nessuno ha il diritto di calpestare le loro emozioni” fece Midorima mentre guardava Takao giocare con Izuki. Era stato proprio quel buffo ragazzo con le sue sciocche emozioni ad aver scalfito la corazza d’indifferenza che aveva indossato dopo le scuole medie. Era stato Takao una volta a dirgli ‘Shinchan, non importa quanto tu mi tenga a distanza, io rimarrò sempre al tuo fianco. A me va bene così. Mi basta che non ti dia fastidio, per il resto puoi trattarmi come ti pare. In fondo stare al tuo fianco mi rende felice anche se mi tratti nel modo peggiore che ti riesce e mi fai sempre pedalare la mattina!’
Kuroko era come Takao. Non chiedeva nient’altro che stringere forte le loro mani. Mantenere un legame.
Kise era come Takao. Credeva nella forza dell’amicizia.
“Midorima”, disse Aomine “stai ancora parlando di me? Non rispondere, non importa. Io non ho capito un cazzo di quello che sta succedendo ma non mi piace essere accusato senza sapere per cosa.”
Midorima mise giù e dopo qualche minuto Aomine ricevette via sms l’indirizzo. Non passò neppure da casa. Raggiunse la stazione e prese il biglietto. L’istinto lo aveva sempre guidato. Non lo avrebbe tradito stavolta.

Kagami non era una cima nell’arte di capire le situazioni al volo. In effetti bisognava fargli il disegnino di alcune cose affinché le capisse. Quando Kuroko si alzò e corse a tuffarsi in acqua, lui che aveva bisogno dei sottotitoli, non capì la faccia che fecero i suoi compagni. In effetti sapeva che Kuroko non amava il sole e che non era un campione di nuoto. Tutte le volte che Riko li costringeva ad estenuanti sedute di allenamento in piscina, Kuroko finiva sempre con l’essere soccorso. Aveva la strabiliante capacità di affogare in un metro d’acqua.
Lui, ancora vicino a Kise che rifiutava di mangiare persino l’anguria con il pretesto che fosse piena di sabbia, fu raggiunto da una gomitata di Midorima. Kise abbassò gli occhi e parlò.
“Non insistere Kagamicchi, piuttosto perché non raggiungi Kurokocchi?”
“Sta facendo il bagno,” rispose il rosso “tu piuttosto, non vorresti provare a nuotare?”
“Io no, davvero. Ti ringrazio molto ma credo che sia meglio che raggiungi Kurokocchi. Va da lui. Non era la vostra vacanza questa?”
A quelle parole, Kagami si scosse. Improvvisamente il viaggio in America, il fatto che fosse già passato un giorno di quella vacanza senza che lui e Kuroko potessero passare un po’ di tempo da soli, il comportamento scostante di Tetsuya, gli caddero addosso in modo inquietante.
Si alzò e raggiunse l’acqua.
“Midorimacchi” fece allora Kise “mi accompagneresti fino alla sedia a rotelle?” Midorima si sistemò gli occhiali sul naso e tossì per schiarirsi la voce.
“Dovresti camminare.”
“Per favore!” si lagnò Kise.
“Dovrei dirti di no.”
“Non costringermi a chiederlo di nuovo a Kagamicchi.”
“Per l’amor del cielo! Va bene. Aggrappati alle mie spalle.”
“Midorimacchi.”
“Sì?”
“Credi che Kurokocchi sia arrabbiato con me?”
“Dovrebbe.”
“Ma io non ho fatto niente!”
“Stai usando il suo ragazzo.”
“Non lo sto usando!” si difese inizialmente Kise poi si fermò a riflettere avvicinandosi con il volto all’orecchio di Midorima “Vuoi dirmi che quei due si sono messi insieme ufficialmente?”
“Se per ‘ufficialmente’ intendi che l’hanno sbandierato ai quattro venti, allora no. Però si vede che il loro rapporto è cambiato.”
“Lo hai notato anche tu, vero?”
“Io sì, tu invece hai finto di non saperne niente!”
“Non è vero! Sono stato io a dire a Kagamicchi che doveva avere fiducia nel suo rapporto con Kurokocchi!”
“Non urlarmi nell’orecchio e smettila di usare quel suffisso fastidioso. E lascia in pace Kagami. Intesi?” disse Midorima adagiando Kise sulla sedia a rotelle. Kise si guardò le ginocchia.
“Capito.”
“Bene. Ti chiamo Kasamatsu così ti accompagna a casa”, disse l’asso dello Shutoku.
“No!” esclamò Kise sollevando di scatto lo sguardo sull’amico “Per favore, no. Ho bisogno di stare un po’ solo. Da qui a casa di Aidacchi la strada è breve. Ci metterò pochi minuti, ok?”
“Ok, ok.”
“Grazie Midorimacchi e, se vuoi il mio consiglio, dovresti dimostrarti più affettuoso con Takaocchi. Lui lo è con te!”
“Non lo voglio il tuo consiglio. Tu predichi bene e razzoli malissimo. Rifletti su questo”, disse Midorima allontanandosi.
Kise fece scivolare la sedia a rotelle lungo la banchina. Notò che Kagami aveva raggiunto Kuroko. Parlavano. Era certo che, qualunque cosa si fosse frapposto tra quei due, nulla li avrebbe divisi. Sorrise davvero felice per Taiga e Tetsuya. Erano davvero perfetti insieme, complementari. Luce ed ombra. Quel pensiero lo rattristò.
Invece di tornare a casa di Riko, si allontanò e raggiunse il porticciolo. Le barche bianche e blu luccicavano sull’acqua che le agitava appena. I gabbiani riempivano il bagnasciuga e facevano confusione.
A Kise tornò in mente una gita del suo secondo anno alla Teiko. Aveva conosciuto da poco i suoi compagni di squadra e la scuola aveva organizzato una gita al mare. Quella volta aveva disobbedito ai professori e persino ad Akashicci. Era scappato alla spiaggia con Aomine.
Si rese conto di non riuscire più ad usare il suo solito vezzeggiativo quando si trattava di nominare lui. Era come se la sua mente volesse continuare a mettere distanza tra loro. Kise sapeva che per quanto il suo cervello galoppasse, non sarebbe mai riuscito a fuggire da Aomine. Si concesse perciò di rievocare quel ricordo. L’odore del mare, delle reti delle barche da pesca piene di pesce, il colore della linea dell’orizzonte, quello degli occhi di Aomine. Il suono del verso dei gabbiani e quello della risata di Daiki.
Il suo modo di lanciare le pietre facendole rimbalzare sul pelo dell’acqua. Come faceva a non ricordare cosa aveva mangiato al mattino e a riportare a galla certe immagini?
Improvvisamente davanti ai suoi occhi passò la scia veloce di un sasso che rimbalzò una, due, tre, quattro volte sulle onde. Un tiro da maestro. Si voltò e il cuore gli si fermò in gola.
Aomine se ne stava in piedi qualche metro dietro di lui lanciando e riafferrando un sasso. Ai suoi piedi un borsone da allenamento. Come poteva essere lì? Si era materializzato da uno dei suoi sogni ad occhi aperti? Soprattutto cosa avrebbe fatto ora? Aveva fatto di tutto perché non sapesse in che stato era ridotto e invece ora era di nuovo ai suoi piedi, schiacciato dentro quella sedia a rotelle.
Aomine camminò fino al suo fianco ma non lo guardò. Lanciò il sasso che teneva in mano. Anche questo fece quattro salti sulla superficie liquida e poi sprofondò al di sotto di essa.
“Che ci fai qui?” chiese Kise che, nonostante l’imbarazzo, non riusciva ad accettare il silenzio.
“E tu? Che ci fai qui, tu?” Kise rimase spiazzato ma non intendeva dare spiegazioni delle sue condizioni.
“Io sono in vacanza!”
“Non mi sembra che tu abbia la faccia di uno che sta in vacanza.”
“Certo! E’ perché sono in convalescenza.”
“Convalescenza da cosa?”
“Non sono affari tuoi!” A quelle parole, Daiki lo fissò dritto negli occhi.
“Sono affari di Kuroko, invece?”
“Lascia fuori Kurokocchi da questa storia!”
“Oi, Kise! Se hai qualcosa da dire, dimmela in faccia!”
“Io non ho proprio niente da dirti, Aomine!” urlò Kise stringendo le ruote della sedia di metallo. Aomine s’irrigidì.
“Ho fatto il viaggio senza neanche passare da casa a cambiarmi. Satsuki mi ha mentito. Tetsu mi ha chiuso il telefono in faccia. Shintaro mi ha fatto la predica. Si può sapere che diavolo ti è successo? Perché sei seduto su quella cosa?” Kise rise masticando amaro. Davvero toccava a lui dare una spiegazione? Dopo quello che era successo all’Inter-high?
“Nessuno ti ha chiesto di venire”, disse Kise voltandosi a guardare il mare “e dopotutto, un perdente cosa avrebbe da dire ad un vincitore?”
Le parole di Kise furono come una doccia fredda sulla testa di Aomine. La cattiveria prese piede in lui.
“Figurati! Non che mi aspettassi qualcosa di diverso da te! Ma c’è qualcosa per cui hai davvero lottato nella tua vita, Kise?”
“Non sono affari tuoi.”
“C’è qualcosa che t’interessi davvero?”
“Non sono affari tuoi.”
“Smettila di dire sempre la stessa frase. E alzati da lì!” gridò Aomine afferrando per le braccia Kise e tirandolo verso di sé.
“Lasciami!”
“Alzati da lì!”
“Ti ho detto di lasciarmi!” fece Kise che non riuscì più a trattenere le lacrime “Mi fai male, Aomine!”
Daiki lo lasciò andare posandolo sulla sedia a rotelle. Si girò e raggiunse il borsone. Il cielo si era fatto di fuoco e il sole stava sprofondando nel mare all’orizzonte. Aomine si caricò in spalla la borsa e si guardò i piedi. Prese il telefono e chiamò Midorima.
“Kise è al porto. Vieni a prenderlo. No, non lo accompagno io. Torno a casa. Sbrigati”, concluse riattaccando “Shintaro sta arrivando. Io me ne vado.”
Kise non disse nulla e Aomine lo prese come il segno che Midorima si era sbagliato. Lui e Kise non avevano più nulla da dirsi. Mentre risaliva i gradini del porticciolo però si fermò. Kise  non aveva nulla da dirgli ma lui una cosa l’aveva proprio sulle labbra. Gliele incollava impastandogli la bocca. Quasi gli impediva di respirare. Si voltò e cacciò tutto fuori come si fa quando si è trattenuto troppo il fiato.
“Se alla fine di quella partita ti avessi detto che non aveva importanza il fatto che avessi perso perché avevi fatto comunque del tuo meglio, ti sarebbe stato bene? Rispondi sinceramente!”
Kise fu colto in contropiede. Stava già concentrando tutte le sue forze nell’impedirsi di crollare. Non riuscì a dire la verità ma neppure a mentire.
“Probabilmente no.”
“Appunto. Non c’è nulla che un vincitore possa dire ad un perdente per consolarlo.”
Aomine si voltò e si allontanò lasciando Kise con gli occhi sgranati a fissare il punto in cui fino ad un attimo prima era lui. Passò del tempo, Kise non avrebbe saputo dire quanto. Quando i lampioni della marina si accesero, Midorima spuntò da dietro i cespugli che nascondevano il viottolo sterrato che portava alla strada. Vedendo Kise, si allarmò e corse da lui.
“Kise, che è successo?”
Il ragazzo se ne stava immobile con i pugni stretti contro la stoffa dei pantaloncini del costume a bagno, il viso rigato di calde lacrime, l’espressione totalmente assente.
“Ha detto che non c’è nulla che un vincitore possa dire ad un perdente per consolarlo. Per consolarlo, capisci Midorimacchi? Per tutto questo tempo io mi sono odiato per non essere stato alla sua altezza e per essere stato disprezzato e lui invece viene fino a qui, non so come mi trova, e mi dice che non pensava potesse consolarmi, non credeva che avrebbe potuto farlo. Capisci?”
Midorima si sentì in colpa per avere esposto Kise a quel semplice modo di ragionare di Aomine. Lui aveva capito sin dall’inizio che Daiki non aveva inteso respingere Kise, né pensava che non gli importasse più della loro amicizia. Lo aveva chiamato apposta. Tuttavia aveva sottovalutato l’effetto che la verità avrebbe fatto su Kise.
“Se uno di noi ti avesse detto che Aomine non voleva offenderti ma che semplicemente non è capace di manifestare i suoi sentimenti, ci avresti creduto?” Kise scosse il capo.
“In quel momento l’ho detestato. Credevo avesse voluto umiliarmi davanti alla mia squadra.”
“Non voleva che pensassi che aveva compassione di te.”
“E perché proprio io non l’ho capito?” piagnucolò Kise.
“Perché tu avresti voluto solo che ti raccogliesse da terra. Che ti tendesse la mano. Non sempre le persone come Aomine fanno ciò che vorrebbero. Non ero convinto che venisse, oggi. Ero quasi certo che mi riattaccasse il telefono in faccia.”
“Allora sei stato tu a dirgli che ero qui.” Midorima annuì.
“Invece ha corso. Dov’è andato piuttosto?”
“A casa, credo. Ha detto così.”
“Non credo che potrà farlo. L’ultimo treno è partito da un pezzo.”
“Midorimacchi, tu torna a casa e avvisa Kasamatsu senpai che sto bene. Sono certo che sia preoccupato. Io devo andare in un posto. Vuoi?”
“Ok. Fa attenzione però.” Kise si asciugò le lacrime con la stoffa della maglietta e accennò un sorriso.
“So che non vuoi i miei consigli per questo userò uno dei tuoi. Tu predichi bene e razzoli male. Rifletti su questo.”
Kise si allontanò e Midorima pensò che forse il talento di quel ragazzo non si limitava solo a copiare certe azioni ma anche le emozioni altrui. Decise che quella sera stessa avrebbe parlato a Takao.

Perché non riusciva proprio a tenergli il muso?
Kuroko fingeva di prestare molta attenzione al libro che aveva davanti al viso ma, in realtà, continuava a fissare Kagami che mangiava delle patatine ascoltando musica con delle cuffie enormi. Takao giocava con la psp mentre Riko e Satsuki si stavano sfidando a mahjong.
Kasamatsu faceva avanti ed indietro nervosamente. Teppei, che stava lavando i costumi da bagno con Hyuuga, lo rimproverò.
“Non devi essere così nervoso. Midorima è andato a prenderlo alla spiaggia. Avrà perso la strada.”
“Quando torna sì che gliele suono!” rispose Kasamatsu.
Kuroko si chiese che fine potesse aver fatto Kise. Guardò di nuovo si sottecchi Kagami e si soffermò sulle sue labbra. Arrossì e si coprì ancor più il volto con il libro. In quel momento la porta si aprì.
“Bentornato Shin-chan!” urlò Takao lanciando la psp sul divano e correndo da lui.
“E Kise?” chiese Kasamatsu ancor più irritato di prima.
“Mi ha chiesto di tranquillizzarti. Doveva andare in un posto prima di rientrare.”
“E tu non potevi andare con lui? Non sta bene e si è fatto buio! Non sa ancora usare bene la carrozzella, potrebbe farsi male!”
“Non ha voluto che lo accompagnassi e vorrei ricordarti che Kise non è ferito. Può benissimo camminare se lo desidera”, rispose seccato Midorima.
“No che non può camminare! Tu non eri con lui quando è stato ricoverato in ospedale! Non ha neppure la forza di stare in piedi!”
In quel momento Kagami sbuffò. Si sfilò le cuffie e le lasciò ricadere sulla sedia. Si alzò e si mise entrambe le mani sui fianchi.
“Mi sembra che state tutti esagerando. Kise forse ha bisogno di aiuto in questo momento ma non è uno sprovveduto. Dov’è andato?” chiese rivolgendosi a Midorima.
“Non lo so.”
“Ma è assurdo? Davvero non hai idea di dove sia andato?” fece Kasamatsu ringhiando contro Midorima.
“Ehi! Calmati tu!” s’intromise Takao “Shin-chan non ha fatto niente di male!”
“Non credevo di arrivare un giorno a dire una cosa del genere ma ha ragione Kagami. Kise non è un bambino e non è così tardi. Se la caverà”, disse Hyuuga.
“Io ho un’idea” fece Kuroko ma nessuno, come al solito, si accorse di lui.
“Ki-chan potrebbe essere andato al konbini a comprare un gelato, ne va pazzo!” esclamò Momoi.
“Io ho un’idea” provò ad insistere Kuroko ma neppure Riko, che suggerì di chiamarlo sul cellulare, notò la voce del ragazzo ombra.
“Volete. Stare. Zitti. Tutti?!” gridò Kagami “Kuroko ha un’idea.” Tutti si voltarono a cercare il numero undici del Seirin.
Kuroko sentì una sorta di piccola felicità montargli dentro. Kagami lo vedeva. Non era come ai tempi della Teiko quando, se partiva una litigata, nessuno più si rendeva conto della sua presenza. Parlò con tranquillità.
“Penso che qualcuno di noi potrebbe uscire a cercarlo. Tanto per far stare tranquillo Kasamatsu senpai.”
“Io vado a cercarlo!” disse Kasamatsu.
“Non credo che sia il caso” fece subito Midorima attirando l’attenzione di Takao a cui non sfuggivano mai alcuni piccoli segnali nel comportamento del suo senpai che rivelavano disagio.
“E perché?” replicò Kasamatsu.
“Perché sei troppo agitato,” intervenne Takao “spaventeresti Kise!”
Kasamatsu si ammutolì e Midorima ringraziò mentalmente il compagno che gli prestava preziosi assist anche fuori dal campo. Si appuntò mentalmente un altro motivo per cui doveva assolutamente parlargli.
“Andremo io e Kagami. Puo andar bene, Kasamatsu-senpai?” Il capitano del Kaijo annuì.
Kagami accompagnò velocemente in strada Kuroko.
“Grazie al cielo, Kuroko! Non avrei resistito un minuto di più in quella stanza.”
“Lo immaginavo, Kagami-kun. Ora però ci tocca davvero cercarlo, Kise-kun.”
“Nessuno dice che non possiamo farlo passeggiando con calma”, rispose Kagami indicando la via che da casa Aida, scendeva verso il mare.
Le stelle ormai brillavano nel cielo come lucciole sopra uno specchio d’acqua. Lo sciabordio del mare dettava il rimo dei loro passi. Kagami, come gli capitava spesso in queste situazioni, cominciò a provare una punta d’imbarazzo e rimase silenzioso. Osò però afferrare la mano di Kuroko ed intrecciare le proprie dita alle sue. La stretta di Kuroko lo aiutò a sentirsi meno a disagio.
“Stamattina ti sei arrabbiato perché ti ho trascurato, vero? Mi dispiace. Non credevo che ti avrebbe dato fastidio vedermi aiutare Kise. In fondo l’ho fatto perché sei tu che me l’hai reso simpatico. Forse però non ti è così simpatico come sembra. Voglio dire, alla Teiko ti ha creato problemi, cioè forse è stato Aomine, cioè magari non so che cosa sto dicendo. E’ che Midorima mi ha fatto pensare che forse all’inizio non andavate d’accordo. Uffa! Perché m’incasino sempre?” Kagami abbassò lo sguardo a cercare il volto di Kuroko e rimase spiazzato dal trovarci dipinto un dolce sorriso.
“Sai, ho sempre pensato che, se ti avessi spiegato, avresti capito. La verità è che anche se a casa tua ti ho chiesto se eri geloso, sono io a esserlo. Non volevo metterti alcuna pressione dopo il rientro dal ritiro, così ho detto che non mi dispiaceva che partissi. Non ti ho detto neppure che mi dava fastidio l’idea di portare qui gli altri e ti ho nascosto anche il fastidio che ho provato vedendoti portare in braccio Kise. Probabilmente perché penso che uno come te non possa trovare molto in uno come me. Forse Kise è più adatto a stare vicino ad una persona espansiva come Kagami-kun. Mi dispiace che debba essere stato Midorima-kun a dirti del periodo alla Teiko ma, credimi, io non lo ritenevo più importante anche se vedere la confidenza che si è creata tra te e Kise-kun mi ha riportato alla mente il modo in cui lui è arrivato in squadra e ha conquistato tutti.” Kuroko prese un respiro e guardò negli occhi Kagami.
“A volte penso a cosa uno come te trovi in uno come me. Poi capisco che non devo riflettere su questo. I sentimenti sono irrazionali. L’ho imparato tanto tempo fa quando desideravo solo fare amicizia e tutto ciò che mi riusciva era allontanare l’unica persona che provava a darmi una mano. Ora so che se penso troppo finisco per sbagliare. Tu, in qualche modo, mi completi. Al tuo fianco, mi sento felice.”
Kuroko saltò su un paio di gradini della scala che portava alla piazza del paese e tirò la maglia di Kagami per avvicinarlo a sé.
“Sei la mia luce, Kagami-kun”, disse Kuroko posando timidamente le labbra su quelle del rosso. Kagami, stavolta non si fece bloccare dall’imbarazzo. Strinse Tetsuya tra le braccia e approfondì il bacio. Quando si staccò da lui, sorrise.
“E tu sei la mia, Kuroko”, fece Kagami stringendolo forte. In quel momento il cellulare suonò.
“E’ il mio,” disse Kuroko “pronto?”
“Sono Midorima.”
“Midorima-kun? Che succede? Kise-kun è tornato a casa?”
“No. Però volevo avvisarti di una cosa. Aomine è venuto a trovare Kise.”
“Aomine-kun?” disse Kuroko attirando l’attenzione di Kagami che stava riallacciandosi una scarpa “Come ha fatto a sapere che eravamo qui?”
“L’ho chiamato io.”
“Quindi Kise-kun è con lui?”
“No, hanno discusso e lui se n’è andato. Credo però che Kise sappia dove possa essere andato considerando che era già troppo tardi per l’ultimo treno.”
“Grazie per avermi avvertito, Midorima-kun.”
Kuroko ripose il telefono in tasca e si ritrovò lo sguardo severo di Kagami addosso.
“Ahomine sarebbe qui?”
“L’ha chiamato Midorima-kun”, disse Kuroko facendosi pensieroso.
“Credo di sapere perché l’ha fatto. Forse però ha sbagliato. Doveva chiamarlo Kise una volta pronto a confrontarsi con lui.”
“Sai, Kagami-kun, che a volte dici cose molto saggie?” Kagami arrossì “Ti sentiresti meglio se ci mettessimo seriamente a cercare Kise-kun?”
“Solo se fa piacere anche a te.” Kuroko gli prese la mano e annuì.
“Vieni, credo di sapere dove siano.” Kagami ricambiò la stretta e lo seguì.

La stazione era deserta. Kise riuscì con fatica a raggiungere il binario. La luce dei lampioni illuminava la banchina. Fu la sacca la prima cosa che diede a Kise la certezza che aveva fatto centro. Conosceva talmente bene Aomine da sapere che sarebbe tornato immediatamente in stazione e che, pur scoprendo che non c’erano più treni, non si sarebbe scomodato a cercare una sistemazione per la notte.
Aomine se ne stava seduto ad una panchina con le mani infilate nella felpa della tuta e il cappuccio tirato sulla testa. La sacca era stata gettata ai suoi piedi. Kise fece muovere la sedia a rotelle fino al fianco della panca.
“Aomine,” sussurrò attirando la sua attenzione. Il moro gli gettò appena uno sguardo senza muoversi “non ci sono più treni.”
“Lo so. Prenderò il primo che parte domattina”, mugugnò Aomine.
“Non puoi dormire all’aperto.”
“E a te che importa? Sei stato abbastanza chiaro sul fatto che non abbiamo più niente da dirci. Quell’incapace di Midorima non doveva portarti a casa?”
“Non volevo andare a casa con Midorimacchi.”
“E smettila di storpiare i nomi. Mi da fastidio.”
“Sì, lo so. So essere molto fastidioso”, fece Kise tamburellando con le dita sulle ruote della carrozzella “e anche ottuso, soprattutto se si tratta dei miei sentimenti.”
A quelle parole Aomine piegò le gambe e poggiò i gomiti sulle ginocchia allungando il viso verso Kise. Questi lo prese come la conferma che ora aveva tutta l’attenzione di Aomine e continuò.
“Alla fine della partita ero frastornato. Ci avevo messo tutte le forze che avevo, dato fondo a tutte le mie risorse. Senza riuscire. So che non è una sensazione familiare per te. Riesci sempre in tutto ciò che fai. Io però l’ho sperimentata spesso. Sentirti dire che non avevi nulla da dire ad un perdente, mi ha ferito. Lo so che sono stato immaturo, che avrei dovuto reagire e magari affrontarti ma non ho potuto.” Aomine lo interruppe.
“Perché? Scusa se te lo faccio notare ma ti ho battuto un mucchio di volte. Perché prendertela tanto adesso? Perché metterla così sul personale?” Kise si torturò il labbro inferiore con i denti.
“Akashicci ha detto che ero pronto. Che dovevo fare un sacrificio e provarci seriamente. A batterti, intendo.” Aomine sgranò gli occhi.
“Intendi dire che prima di quella partita non avevi mai fatto sul serio?” Ora gli occhi di Aomine erano due fessure e il suo viso era ad un palmo da quello di Kise. Il biondo si tirò un po’ indietro per prendere un respiro. Aomine scattò in piedi e gli puntò un dito dritto in faccia. “E dì un po’, è questo il sacrificio che dovevi fare per battermi? Finire in ospedale e uscirci su di una fottuta sedia a rotelle? Cazzo Kise, non sapevo niente di tutto questo. Neppure Satsuki mi ha voluto dire niente! Quanto pesi adesso? Cinque anzi no, sette chili in meno?” Stavolta fu Kise a sussultare. Aomine aveva indovinato. Pesava esattamente sette chili meno del suo peso forma. Strinse la stoffa della maglietta.
“Non volevo che lo sapessi. Non volevo neppure che mi vedessi in queste condizioni. Non volevo che ridessi di me, della mia debolezza.”
“Ti pare che stia ridendo?” Kise sollevò lo sguardo e vide la rabbia sul viso di Aomine, gli occhi lucidi “Ti pare che possa ridere del fatto che ti ho ridotto in questo stato o magari che hai deciso di cancellarmi dalla tua vita? Del resto tu hai quel tizio che pare non aspetti altro che aiutarti in questo o quello!” Kise comprese che si riferiva a Kasamatsu. Poteva accettare tutto ma non che offendesse Kasamatsu.
“Avresti potuto tendermi tu una mano piuttosto che definirmi perdente!” urlò allora Kise stringendo i pugni e allontanando la mano di Aomine “Invece dovevi fare la tua solita uscita da primadonna!”
“Io non ti ho definito perdente!” gridò allora Aomine “Tu però ti comporti da perdente rimanendo seduto su quella cosa! Alzati!”
“Non posso.”
“Bugiardo. Alzati!”
“Ti ho detto che non posso. Ti prego, Aominecchi.” A sentirsi chiamare di nuovo col suo nomignolo, Aomine si sentì come se gli avessero tolto una zavorra di dosso.
“Kise, per favore, prova ad alzarti. Devo fare una cosa per cui mi serve che tu stia in piedi.” Il tono della voce di Aomine era profondo e calmo. Kise lo trovò irresistibile. Fece forza sulle ginocchia e le mani e, lentamente, riuscì a trovare la forza per sollevarsi.
“Appoggiati a me”, continuò Aomine e Kise posò le mani sulle sue spalle. Essere occhi negli occhi, respirare la stessa aria di Aomine diede a Kise un senso di vertigine. Non cadde. Le braccia di Aomine lo strinsero a lui in modo forte, quasi prepotente.
“Io non ci so fare con queste cose. Mi hai sfidato e hai perso perché hai scelto di passare la palla a quell’idiota. Se fossi venuto al contrasto, non so come sarebbe andata. Non sapevo di averti fatto del male. Non te ne ho fatto di proposito. Non te ne farei mai di proposito. Sentirti dire che non mi avresti più considerato la persona più importante mi ha dato sui nervi. Tu hai ferito me almeno quanto io ho ferito te.”
“Era quello il sacrificio che dovevo fare. Provare a batterti senza pensare che se vinci tu, in fondo, a me va bene lo stesso.”
“Se mi avessi battuto, a me sarebbe andato bene lo stesso.”
Kise si sciolse dall’abbraccio e fece una di quelle espressioni per cui Aomine rischiava sempre di scoppiare a ridergli in faccia. Piegò la testa di lato e mise una specie di broncio.
“Davvero?”
“No. Non ti avrei parlato per un mese!”
“Aominecchi!” esclamò Kise divincolandosi con l’aria offesa di chi se la sta prendendo molto. Perse l’equilibrio e ricadde all’indietro.
“Stupido, ti farai di nuovo male!”
“Lasciami. Subito.”
“Niente da fare.”
“Ho detto di lasciarmi!” urlò di nuovo Kise.
“Ti ha detto di lasciarlo!” urlò un’altra voce e Aomine si ritrovò addosso Kagami che lo scaraventò a terra finendo poi addosso a lui.
“Bakagami, che cazzo fai!”
“Non ti basta il male che hai già fatto a Kise?” gridò il rosso stringendo il bavero della maglia del moro.
“E tu che c’entri in questa storia? Fatti gli affari tuoi!”
“Basta Kagami-kun! Lascia andare Aomine-kun!” gridò Kuroko che ansimava. Non appena infatti Kagami aveva sentito Kise urlare, si era messo a correre e Kuroko aveva fatto fatica a stargli dietro.
“Kurokocchi, ci sei anche tu!” esclamò Kise.
“Testu, richiama il gorilla, per favore.”
“Proprio tu mi dai del gorilla?” ribatté Kagami “Mister ‘grazia da elefante calpesta sentimenti?”
“Kagami-kun, ora basta!”
“Kagamicchi non ha mica tutti i torti, Kurokocchi!”
“Ma tu da che parte stai?” chiese Aomine a Kise.
“Kagamicchi è stato molto gentile con me.”
“Fin troppo!” disse Aomine togliendoselo di dosso “Fa come ti pare”, concluse risistemandosi la maglia e allontanandosi.
“Aomine-kun, non andartene, aspetta!” fece Kuroko seguendolo.
“Ecco, lo sapevo che finiva così!” sbuffò Kagami “Sta sempre dalla parte di quel maledetto!” riferendosi a Kuroko.
“E’ colpa mia,” disse Kise intristendosi “ ci stavamo chiarendo, però lui la vuole sempre vinta e io mi sono innervosito. Mi spiace.”
“Non è colpa tua. Forse Kuroko, in fondo in fondo, preferisce Aomine.”
“Kagamicchi!” esclamò Kise “Non dire sciocchezze e vai da lui. Sono certa che ha seguito Aomine perché gli ha dato fastidio che hai preso le mie difese. Devi combattere per la persona che ami, sai? Gli equivoci sono sempre dietro l’angolo.”
“Ti dispiace se ti lascio da solo?” Kise scosse il capo e Kagami corse dentro la stazione deciso a riprendersi Kuroko.

Aomine sferrò un pugno contro la macchinetta delle bibite che se ne stava pacifica per conto proprio nella sala d'attesa della stazione.
“Aomine-kun.” La voce di Kuroko gli arrivò timidamente alle spalle.
“Il tuo ragazzo è un idiota!”
“A volte.” Aomine rise.
“Non ti merita.”
“Semmai è vero il contrario. Non sa nascondere la gentilezza. Al contrario di te. Stavolta però dovresti fare uno sforzo. C’è qualcun altro che ha già mostrato a Kise cosa significa poter contare su un’altra persona. Se non ci metti un po’ di buona volontà, lo perderai per davvero”, disse Kuroko con calma.
“Sai cosa me ne importa?!”
“Davvero? Se penso che adesso Kagami-kun sta consolando Kise-kun, non mi sento affatto bene.” Aomine si voltò di scatto.
“Non sono portato per queste cose.”
“Sono certo che a Kise-kun non serve molto per capire che tieni a lui. In fondo è venuto a cercarti da solo, su una sedia a rotelle fino a qui.” Aomine prese un respiro profondo poi si avvicinò a Kuroko e, passandogli accanto, gli posò una mano sulla testa.
“Grazie, Tetsu.” Kuroko sorrise mentre Aomine tornava sul binario.
Nello stesso istante in cui Aomine svoltava per tornare sulla banchina dei treni, Kagami correva nella direzione opposta. Lo scontro fu inveitabile.
“Bakagami, sei una maledizione!”
“Posso dire lo stesso, Ahomine!”
“Se fai soffrire Kuroko, ti ammazzo!” disse Aomine rimettendosi in piedi.
“Pensa per te, idiota, non te lo meriti il bene che Kise ti vuole!” replicò l’altro.
Rimasero a guardarsi negli occhi per un lungo momento poi Aomine sorrise malignamente.
“Se ti vedo di nuovo intorno a Kise, non solo ti ammazzo, ma ti faccio a pezzi e li do in pasto a Nigou.”
“Conserva la sedia a rotelle di Kise perché ti servirà se non lasci in pace Kuroko.”
“Vado”, rispose solo Aomine.
“Anche io” disse Kagami correndo nella sala d’attesa della stazione. Kuroko era ancora in piedi dove l’aveva lasciato Aomine. Kagami gli poggiò una mano sulla testa e gli scompigliò un po’ i capelli.
“Ho fatto di nuovo una cazzata, vero Tetsuya?” disse abbracciandolo e facendo aderire il suo petto alle spalle del più basso.
“Non dire parolacce, Kagami-kun.”
“Mi perdoni?”
“Per la parolaccia?”
“No, per la cazzata.”
“Taiga!” esclamò Kuroko voltandosi. Kagami sorrideva.
“Li aspettiamo o ce ne andiamo?” chiese “Scegli tu.”
“Diamogli un minuto.”
“Ok, nel frattempo resta fra le mie braccia!”
Kuroko non si mosse.

Nel frattempo Kise si strinse nelle spalle. Faceva freddo. Lui non era più rincasato ed era rimasto con solo il costume e una maglietta a maniche corte addosso.
Improvvisamente sentì qualcosa di caldo e morbido finirgli sulla testa. Aveva un odore familiare. L’afferrò e non appena i suoi occhi la riconobbero, questi si riempirono di lacrime. Era la felpa della Nike che aveva dato ad Aomine prima del diploma. In realtà, Aomine gliel’aveva rubata.
Poco prima che finisse la scuola era uscita la pubblicità di una nuova felpa sportiva che usavano i giocatori dell’NBA. Kise aveva blaterato per giorni su quanto la desiderasse e costretto Akashi a dargli il pomeriggio libero del giorno in cui era uscita. Ovviamente aveva obbligato Aomine, l’unico nel loro gruppo cui potesse interessare una cosa simile, a seguirlo. Purtroppo, alla fine del giro dei negozi specializzati, ne avevano trovata solo una. Kise l’aveva indossata con orgoglio per quasi un mese. Poco prima del diploma e dello scioglimento della squadra della Teiko, Aomine aveva preteso che quella felpa fosse la posta in gioco per un one-on-one. Ovviamente aveva vinto. Kise aveva pianto a dirotto ma Aomine era stato inflessibile.
“Ce l’hai ancora?”
“A quanto pare.”
“Mi avevi detto che l’avevi persa, quando hai lasciato la Teiko e te l’ho chiesta indietro.”
“Non volevo ridartela.”
“E l’hai conservata fino ad ora?”
“Se ce l’hai in mano.”
“Grazie.”
“Ti riaccompagno a casa.”
“La sedia si è rotta quando Kagami ci è saltato addosso.”
“Bakagami. Vieni ti porto in spalla.” A Kise s’illuminarono gli occhi. Aomine si sistemò la borsa a tracolla, poggiò la sedia contro il muro e si tirò Kise sulle spalle. Ci misero un attimo a tornare nella sala d'attesa della stazione.
“Guarda chi c’è!” esclamò Kagami.
“Tu, sta zitto. Hai rotto la sedia di Kise.”
“Ma è possibile che è sempre colpa mia?” sbuffò Kagami.
“Andiamo a casa, è già molto tardi” fece Kuroko per smorzare sul nascere un’altra discussione.
“Io sono stufo di stare al freddo e non ho alcuna intenzione di trascinarmi la signorina fino al mare. Perché non ci fermiamo nel ryokan* qui vicino? Ci sono le terme.”
“Sì! Che bello, dai!” esclamò Kise.
“Per me va bene, che ne dici Kuroko?”
“In effetti sono stanco anche io.”
“Allora è deciso!” canticchiò Kise mentre Aomine s’incamminò.
Lungo la strada, Kuroko si fece pensieroso guardando Kise che si stringeva alle spalle dell’asso della Touou.
“Cosa c’è, Tetsuya?” chiese sottovoce Kagami.
“Pensavo.”
“Questo l’ho capito da me. A cosa?”
“A Kise. Sembra felice ora. Mi sento stupido ad essere stato geloso delle tue attenzioni nei suoi confronti.”
“Io sono contento che tu sia geloso.” Kuroko sorrise dolcemente.
“Allora è tutto a posto.”
“Però non mi hai detto cosa c’è!”
“Niente. E’ solo che deve essere molto bello stringersi a quel modo alla persona che si ama”, disse Kuroko.
Kagami si fermò di colpo. Si inginocchiò proprio davanti a Kuroko e gli sorrise. Uno dei sorrisi grandi di Taiga che facevano tanta luce e illuminavano l’anima del numero undici della Serin.
“Salta su!” disse Kagami dando le spalle a Tetsuya.
“Ma io posso camminare.”
“Avanti Kuroko o devo pensare che non mi ami?” chiese Kagami senza rendersi conto di quanto le sue parole avessero fatto avvampare il più piccolo. Kuroko saltò in spalla e strinse le braccia al collo di Kagami.
“Grazie, Taiga.”
“Tieniti forte”, gli rispose l’altro raggiungendo Aomine e Kise.
“Ehi! Che fate voi due?” chiese Kise.
“Kuroko era stanco”, rispose Kagami sorridendo.
“Davvero?” disse Aomine guardandolo con perplessità.
“No, volevo provare che sensazione si prova a stare così stretti alla persona a cui si vuole più bene.”
Kise si strinse ancora di più ad Aomine e gli sussurrò all’orecchio.
“Si prova una gioia infinita.”
Aomine non rispose ma il calore che gli scoppiò nel cuore gli fece imporporare le guance.

Note dell'autrice:
Il ryokan è il tipico albergo giapponese prevalentemente a conduzione familiare. In alcuni sono presenti gli onsen, appunto le terme di cui parla Aomine.
Mi scuso per la lunghezza infinita del capitolo ma volevo portare a compimento questa specie di chiarimento tra le mie due coppie preferite.
Ci rivediamo per scoprire che combineranno nel ryokan? A proposito... Midorima deve ancora parlare a Takao!
Alla prossima!

  
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