Hagworts. Lei andava ad Hagworts. LEI – ANDAVA – AD – H – A – G – W – O – R – T – S.
Queste
parole continuavano a girarle per la testa, a ritmi diversi, ma sempre uguali.
Era così felice, così stupefatta, così nervosa che non riusciva a pensare ad
altro. Si voltò per salutare un’ultima volta i suoi genitori babbani, e poi,
allegra più che mai per quella assurdità che stava per fare, corse più veloce
che poté per attraversare il muro che l’avrebbe condotta al binario nove e tre
quarti. Dico, binario nove e tre quarti! Ma ci potrebbe essere qualcosa di più
ridicolo?! In che mondo di burle stava entrando!
Davanti
a se ecco quel grande treno nero, ricco di grandi e grossi vagoni, che
l’avrebbe condotta alla scuola di stregoneria più famosa del mondo. Hagworts.
Quel nome pareva essersi incollato nella sua mente, mentre tremando per
l’emozione saliva sul vagone più vicino con tutti i suoi bagagli e si sedeva
nel primo compartimento vuoto trovato. Sospirò, i nervi il fibrillazione per la
felicità. Che bello! Andava ad Hagworts!
Guardò
i suoi bagagli. Le sembrava così strano che quegli oggetti appartenessero
proprio a lei. Sapevano di antico, di fantastico. Appartenevano ad un mondo
immerso nelle nebbie dell’irrealtà, un mondo finto.
No. Quel mondo esisteva davvero…esisteva davvero,
sebbene ben nascosto. Esisteva davvero, e lei ora ne faceva parte.
Il
treno era appena partito, quando improvvisamente si udì un botto tremendo, e
lei andò a sbattere sul sedile davanti. Ma cosa diamine stava succedendo?
Perché il treno si era bloccato? Pochi secondi dopo il grande serpente di ferro
riprese la sua corsa, senza che ci fossero spiegazioni. Che stranezze….
La
porta si aprì improvvisamente, mentre un ragazzino entrava nello scompartimento
e poggiava tutti i suoi bagagli nel posto al suo fianco, spostando i suoi.
Il
tizio in questione era un ragazzo strano, dai capelli e gli occhi scuri,
un’aria piuttosto presuntuosa oltre che altezzosa, e una strana nobile eleganza
in tutta la sua persona. Ora, tutti questi attributi le provocarono soggezione
per i primi tre decimi di secondo, ossia quando le aveva lanciato il primo
sguardo. Ma ora… non so… c’era qualcosa in lui che non le andava… forse la sua
maleducazione, o quella presunzione superbia che pareva avesse nel sangue, o
forse tutti questi attributi insieme, chi lo sa…
“Ti
dispiace portare dalla tua parte i tuoi bagagli?” Disse,
piuttosto scocciata. E’ inutile dire che lui non la degnò nemmeno di uno
sguardo. Si era coricato, e pareva ormai essere entrato in un mondo tutto suo,
senza alcun contatto con quello reale.
“Ma
dico, sei sordo?”
“Vuoi
spostarmi le tue borse?” Niente, nonostante i suoi tentativi, non otteneva
risposta. “Oh, capisco, forse non te ne importa niente della fine che
potrebbero fare. Vabbè, come vuoi.” Apparentemente calma, aprì il finestrino,
prese la grossa valigia del ragazzo e la gettò fuori. Poi si affacciò per
vedere se era caduta. Sì, tutto ok, la valigia era là in fondo, fra il binario
e la lussureggiante vegetazione della pianura inglese invernale. Bene, ora
doveva buttare solo il calderone e… come si voltò, si accorse che il ragazzino
non era più coricato nel lettino, ma era eretto in tutta la sua ‘magnificente
boria” davanti a lei.
“Come
ti sei permessa?” Per tutta risposta lei lo scansò e andò a sedersi al suo
posto. Prese il libro “Storia di Hagworts” che aveva comprato a Diagon Alley e
incominciò tranquillamente a leggerlo.
“Me
la pagherai per questo!” Disse il giovanotto. Impugnò la sua bacchetta contro
di lei, mentre il suo sguardo lampeggiava. La ragazza con calma appoggiò il
libro, e portò fuori la sua bacchetta. Era pure una babbana, ma si era allenata
con gli incantesimi, ed era piuttosto brava ad usare la bacchetta. Ma non aveva
intenzione di usarla ora. Lo avrebbe umiliato con mezzi molto più…babbani.
Ed
infatti, appena il ragazzo le lanciò un incantesimo petrificus totalis,
lei lo scansò con l’agilità di un felino, con uno sgambetto lo fece cadere per
terra, gli prese la bacchetta e con un sol colpo gliela ruppe. Poi
tranquillamente prese la sua e pronunciò tomàcina, e subito il brutto
presuntuoso si ritrovò legato come una salsiccia. Vedendo poi che continuava a
gettarle ogni sorta di imprecazione nonché maledizione, gli mise anche un tappo
in bocca. Poi lo condusse fuori fino al corridoio, dove lo appese al soffitto,
in modo che tutti potessero ridere di lui.
“Ah,
a proposito. Io sono Solaria Nimbus, lieta di fare la tua conoscenza…come ti
chiami?” Disse, prendendo una medaglietta che era scivolata al collo del
ragazzo. “Lieta di fare la tua conoscenza, Sirius Black!”
Dopo aver buttato fuori della cabina anche i pochi
bagagli rimasti, finalmente Solaria poté godersi il viaggio verso la scuola di
magia, Hagworts.
“Ecco,
è quella lì” Sentendosi citata in causa, Solaria si voltò, mentre quattro paia
di occhi la fissavano. Lo sbruffoncello era stato slegato dagli amici, che
purtroppo non si erano accorti del suo stato prima che tutto il vagone ridesse
di lui; e ora erano tutti là, che la fissavano con rabbia ma, anche, con
curiosità.
Uno
era un ragazzo alto, capelli scuri arruffati e grandi occhi nocciola succeduti
da grandi occhiali rotondi, pareva un tipo tranquillo. Un altro era basso,
molto basso, grasso e stranamente brutto, anzi, ispirava proprio ripugnanza.
L’ultimo era poco più basso del quattrocchi, con una pelle bianca come la neve
e un viso stranamente calmo. Sembrava un angioletto, e non si capiva perché uno
come lui fosse amico di quella faccia da schiaffi.
Ma,
poco gliene importava di loro. Ora, voleva solo raggiungere la sua scuola. Si
diresse così verso il grosso omone che guidava quelli del primo anno attraverso
il lago.
“Salve!”
Disse, essendo arrivata per prima.
“Salve
piccolina!”
“Lei
chi è?”
“Mi
chiamo Hagrid, piccolina! E tu?”
“Solaria
Nimbus, molto lieta! Cosa faremo appena arrivati alla scuola?”
“Ci
sarà lo smistamento e sarete riposti nelle varie case! Ma ve lo spiegherà
meglio la vostra professoressa, la McGranitt!”
“La
ringrazio, è stato davvero molto gentile!”
“Oh,
figurati! Bene…ora ci siamo tutti! Avanti ragazzi, Hagworts vi aspetta!”
La
McGranitt, un’anziana donnina dall’aria saggia e imperiosa, li accolse
all’entrata del grande castello, e li condusse immediatamente nella sala da
pranzo, anche sala dei ricevimenti, dove c’era raggruppato tutto il personale
docenti e gli alunni, per sottoporre i crimini allo smistamento. In alto
c’erano le quattro bandiere delle quattro case: grifondoro, corvonero,
tassorosso e serpeverde. Lei sarebbe andata a grifondoro, se lo sentiva.
Mentre
erano tutti raggruppati davanti al capello parlante, Sirius si avvicinò alla
McGranitt e le parlò a lungo, e alla fine la professoressa, quando salì sui
gradini vicino al cappello, aveva un’aria sconvolta.
“Scusate,
la cerimonia dovrà attendere qualche minuto. Infatti purtroppo sono venuta a conoscenza
di spiacevoli accadimenti, per cui uno dei nuovi arrivati potrebbe essere
espulso dalla scuola seduta stante.”
A
quelle parole, un sorrisetto malizioso apparve sul volto di Solaria. Non si
sarebbe lasciata espellere tanto facilmente.
Intanto,
la sala si era riempita di mugugni. Non era mai successo un fatto del genere.
“Dov’è
la signorina Solaria Nimbus?”
“Sono
qua, professoressa.” Disse, alzando la mano. Nella sala cadde il silenzio, e
tutti gli occhi dei presenti, professori e alunni, caddero su di lei.
“Venga
qui.” Disse acidamente la McGranitt. Solaria salì le scale lentamente e
tranquillamente, con un volto calmo e tranquillo.
“Un
suo compagno mi ha riferito che lei, senza alcun motivo, lo avrebbe
danneggiato.”
“In
che modo, professoressa?”Chiese, innocentemente.
“Lei
avrebbe buttato fuori dal vagone i suoi bagagli, gli avrebbe rotto la bacchetta
e lo avrebbe legato, appendendolo poi al soffitto del corridoio del vagone.”
Ora
la stanza si era arricchita di risate mal celate. Ma Solaria continuava
imperterrita la sua recita.
“Mi
dispiace, ma penso che abbiate sbagliato persona. Non ricordo di aver fatto
nulla del genere.”
“Siete
sicura, signorina Nimbus?”
“Ma
certo. Chi sarebbe la vittima?”
“Il
signorino Sirius Black. Venga anche lei qui, per favore.” Sirius si avvicinò.
Era furioso.
“Perché
mi guardi così?” Disse Solaria, col solito volto innocente.
“Lo
sai benissimo perché.”
“Mi
incolpi di qualcosa che non ho fatto.”
“Smettila
di fingere, tanto sarai espulsa!”
“Qua
viene punita la menzogna, non la verità. E poi, mi spieghi come avrei fatto io
a fare una cosa del genere? Guardati… e guarda me! Scusami ma…dovresti essere
un vero pappamolle se ti sei lasciato maltrattare da un nanuncolo come me!”
Ora
tutta la sala rideva di gusto, e Sirius Black era divenuto rosso per la
vergogna. Effettivamente la ragazza che aveva davanti… era…. Non era una
ragazza, era una bambina! Poteva essere alta si e no 1.60cm, ed era davvero
minuta anche di corporatura. E poi, ciliegina sulla torta, aveva un innocente visino
da angioletto.
“Mi
devo essere sbagliato…” Disse Sirius, a denti stretti. La Mc Granitt, scocciata
per aver perso tutto quel tempo per nulla, inviò i due ragazzi fra gli altri
crimini.
“Discuteremo
dopo di ciò che le è successo, signorino Sirius Black. Ora….Aaron Alfabis, al
cappello!”
E
così era iniziato lo smistamento. Solaria, mentre aspettava il suo turno, si
accorse che c’era qualcuno che, nella sala, continuava a fissarla. Qualcuno che
aveva uno sguardo così potente, così forte e così saggio da entrare nelle menti
degli altri…Albus Silente, il più incredibile legilimens mai esistito. Il
preside di Hogworts. Ma no, non avrebbe permesso che le leggesse la mente.
Nessuno poteva giocare così coi suoi pensieri. Gli avrebbe chiuso il suo
pensiero, lo avrebbe tagliato fuori dalla sua testa…
E
ci riuscì, tant’è vero che, quando si voltò a fissare il preside, si accorse
che la guardava con la fronte corrucciata. Lei gli rispose con uno sguardo che
era una sfida: odiava le persone che non si facevano i fatti propri.
“Nimbus
Solaria!”
Solaria
andò dal capello, che le fu poggiato sulla testa dall’insegnante.
“Apri
la mente perché io la legga, e possa quindi darti una casa.”
“Voglio
andare a Grifondoro.” Disse lei, aprendo la mente.
“Hai
cuore di grifone, lingua di serpe, mente di tasso, eleganza di corvo. Ma tasso
e corvo in te sono controllati dal grifone che abita nel tuo cuore, e che
continua a combattere con la serpe…mmmm, scelta difficile, molto difficile…ma
penso che Grifondoro sarà la tua casa ideale!” disse, e subito quelli di
Grifondoro si misero a gridare per la gioia.
Seduto
al tavolo di Grifondoro, Sirius Black aveva osservato tutta la scena. Poi,
visto l’accaduto, si era alzato di colpo, dicendo agli amici: “Se quella
stronza viene qua, allora io vado a serpeverde!”
“Smettila
Felpato!” Gridò James Potter, il ragazzo con gli occhiali. “Non fare idiozie.
Tanto gliela facciamo pagare…”
“Sì,
gliela facciamo pagare!” Fece l’eco quello stupido e grasso di Peter Minus.
“Ma,
io non capisco il perché. In fondo, conoscendoti, io direi che te la sei
cercata.” Commentò invece Remus Lupin, il ragazzo pallido.
“Da
che parte stai, e, lunastorta? Dillo subito, perché così incomincio a prenderti
a calci!” Gridò Sirius, furioso. Non gli andava giù ciò che la ragazza gli
aveva fatto.
“Felpato,
calmati! Lunastorta, ma che caspita ti metti a dire, eh? Ti vuoi dare una
calmata tu, cavolo?!” Gridò Potter, tirando con violenza l’amico e
costringendolo a sedersi.
“Sai
quanto sia prepotente, quando vuole. Ha solo trovato pane per i suoi denti!”
Disse Lupin. Sirius borbottò qualcos’altro, più incavolato che mai, e si alzò
di scatto per picchiare l’amico. Ma il calcio che stava per sferrargli colpì
l’aria, perché James, aiutato da un paio di Grifondoro del terzo anno, era
riuscito a tirarlo indietro.
“Ehi,
testa calda, calmati! E’ solo una ragazzina!” Dissero quei due, scoppiando a
ridere. Black, esasperato e più che mai irato, tornò a sedersi, mentre, dopo il
discorso del preside, la sala si riempiva di ogni tipo di leccornia.
“Mangia
dai, avanti. Tanto prima o poi ci vendicheremo.” Disse
James.
“Sì…” Rispose Sirius, prendendo in mano un cosciotto di
pollo. Ma, alzando la testa, incrociò per puro caso lo sguardo con quello di
una piccola ragazzetta, graziosa, dalla pelle dorata e i capelli biondi, e
begli occhi color miele. Subito lo sguardo di lei si fece malizioso, e poi alzò
una manina per salutarlo movendo graziosamente le dita. Odiosa. Sbuffò ancora,
e poi azzannò il suo pollo, immaginando di azzannare il collo di quella
stronza. Stronza stronza stronza. Ecco cos’era, una grande, grandissima
stronza.
Ma
guarda un po’ quanto il destino poteva essere crudele: aveva tutte le lezioni
in comune con Solaria Nimbus. Fatto ancora peggiore, quella stronza era un vero
genio a scuola, e si era ben presto rivelata la più brava in ogni corso. E
Sirius, preso l’impegno di dimostrarsi migliore di lei, una volta tornato nella
sua stanza non faceva altro che studiare come un matto. Così ben presto le
lezioni si erano trasformate in una vera e proprio gara fra i due. Ma,
purtroppo per Sirius, l’aveva sempre vinta Solaria.
Quel
giorno avevano la prima lezione di volo. Inutile dirlo, nonostante il professor
Knight tentasse in tutti i moti di spiegare agli alunni come sollevare la
scopa, ancora nessuno ci riusciva.
Nessuno,
tranne James Potter. In un lampo era riuscito ad elevare la scopa dal suolo e a
salirci sopra, meritandosi i complimenti dell’esausto professore, nonché dei
suoi amici.
“Bravo
Ramoso, complimenti!” Gli disse felpato. “Sei l’unico ad esserci riuscito!”
“Non
proprio…guarda là!” Disse James. E guardando nella direzione indicatagli
dall’amico, Sirius con orrore vide un essere biondino volteggiare
leggiadramente davanti a sé.
“Scopa…su!”
Ordinò immediatamente alla sua scopa. E quella, forse capendo che se non
ubbidiva nessuno l’avrebbe salvata dalla pattumiera, si alzò. Sirius sedette
sopra, e andò immediatamente verso Solaria.
“Oh,
ce l’hai fatta! Allora non sei così tonto come sembri!” Disse quella. Sirius per
tutta risposta allungò una mano e con un forte strattone tolse la scopa da
sotto a Solaria, la quale cadde a terra sotto le risa di tutti gli altri. E in
più poi la povera scopa le cadde sulla testa.
“Ahio!”
“Signorino
Black!” Gridò Knight, arrabbiato.
“Sì
professore?”
“Ritorni
al suo posto!”
“Subito
professore!” Disse, ma appena diede le spalle a Solaria, quella, che aveva
ripreso possesso della sua scopa, gli volò sopra e in un attimo gli fu davanti.
“Questa
me la paghi!” Gli disse, col suo solito sguardo penetrante e il suo sorriso
malizioso. E immediatamente gli sferrò un pugno nello stomaco. Poi si alzò in
volo, allontanandosi velocemente dal campo, inseguita da felpato. Si rincorsero
per tutto il perimetro del castello, gettandosi addosso ogni tipo di
incantesimi, ma nessuno andava mai a segno. Ogni tanto, quando erano
particolarmente vicini, si prendevano a calci, oppure Sirius le tirava i
cappelli, e lei lo graffiava.
Ad
un certo punto, mentre erano praticamente attorcigliati, e si stravano strappando
capelli, pelle, tirandosi pugni, schiaffi, calci e morsi, finirono all’interno
di un appartamento. E non smisero di lottare nemmeno quando caddero sul
pavimento coperto da un rosso tappeto. Poi, improvvisamente, qualcosa li scostò
e li fece cadere da parti opposte.
“Ma
dove…”Disse Sirius, non capendo dove fossero finiti.
“Esattamente,
nell’ufficio del preside, signor Black.” Disse una voce calda e avvolgente. I
due spaventati si voltarono, e videro la sola cosa che li potesse fare
sussultare. Albus Silente. Il vecchio mago li guardava attraverso i suoi
occhiali a mezzaluna, serio, eppure ironico.
“Non
ho mai assistito ad un incontro di…box? così avvincente. E addirittura aereo. Signorini
miei, penso che il professor Knight non sarà molto felice di ciò che avete
fatto!”
“Ha
incominciato lui!” Gridò Solaria, che presentava un morso sulla guancia destra,
da cui fluiva abbondante il sangue.
“Tu
hai incominciato!” Gridò Sirius, massaggiandosi la testa dove lei gli aveva
tirato un bel mazzo di cappelli.
“Perché,
invece di continuare litigare su chi ha incominciato o meno, non decidete di
finire insieme?” Propose il saggio preside.
“Non
farò mai la pace con quel gallo presuntuoso!”
“Prima
o poi ti taglierò la lingua, ricordatelo, serpe!”
“Ma
prima ti morderò e ti ucciderò col mio veleno!”
“Oh,
è sempre bello vedere due ragazzi che si vogliono bene…” Commentò una delle
figure sui quadri, e tutti gli altri ritratti si misero a ridere.
“Chi
ha parlato?” Chiese Solaria.
“Io!”
Disse un uomo vestito con una corazza, che mostrava nel petto rigonfio e nelle
palpebre calate tutta la boria che aveva.
“Ma
guarda un po’ che altro gallo. E tu chi saresti, eh? Certamente sei un parente
di questo obbrobrio! Prova a farti i fatti tuoi, se non vuoi finire nella
pattumiera!” Gridò Solaria.
“Effettivamente
quello è un antico parente del signorino Black, un ex preside di questo
istituto…e dovrebbe rivolgerglisi con più rispetto.”
“Già,
soprattutto perché è un mio parente, e questo significa che è nella cima della
piramide come me, e tu invece…sei solo alla base!”Disse Sirius.
“Pfiu!”
“Bene…poiché
vedo che non avete alcuna intenzione di andare d’accordo, sarò costretto a
darvi una punizione.
Al
terzo piano c’è una stanza. E’ una stanza diversa da tutte le altre, si chiama
stanza dei desideri. Tu desideri qualcosa, e quella si avvera al suo interno.
Si entra facendo tre passi avanti e uno indietro, ed esprimendo il proprio
desiderio. Ora, voi due fino a gennaio, ossia fino allo scadere del primo
quadrimestre, dormirete in quella stanza. Nessuno di voi avrà accesso al
dormitorio della sua casa. E, qualora voi due litighiate di nuovo, saranno
tolti dieci punti a testa alla propria casa, ossia a Grifondoro. Ora ragazzi
potete andare. Dite al professor Knight di venire da me, così lo avvertirò che
vi ho già puniti io. Ah… poi pensò che la McGranitt vi voglia nel suo ufficio.
Quindi…buona fortuna!”
Mentre
se ne andavano, con la coda fra le gambe e la scopa in mano, i due si
riempirono di insulti.
”Venti
punti in meno per Grifondoro!” Disse la voce del preside, ed immediatamente i
due tacquero.
“Ve
ne rendete conto? Quasi cinque mesi in stanza con quella stronza! Io giuro che
l’ammazzo!”
“Se
l’ammazzi Grifondoro perderà tutti i punti, e poi i grifoni uccideranno te!”
Disse Lupin. Erano tutti e quattro riuniti nella stanza, e tutti guardavano
Sirius Black, che, incavolato più che mai, preparava la valigia.
“Te
l’ho detto io di lasciarla perdere, felpato. Se mi avessi dato ascolto ora non
saresti così incasinato.” Disse Remus Lupin.
« Lunastorta,
dimmi un’altra cosa del genere e te la raddrizzo io la luna.”
“Finiscila
Sirius, lunastorta ha ragione. Ti sei messo nei casini per niente, per colpa di
quel sorcio di ragazza.” Disse James Potter.
« Che
hai contro i sorci ?! » Si difese subito Peter Minus. Ma nessuno,
ovviamente, lo ascoltò.
“Va,
e comportati bene. Magari ti fanno uscire per buona condotta!” Disse ramoso,
ridendo.
“Ah,
non ve l’ho detto, non posso accedere alla sala comune fino alla fine del
quadrimestre…io quella l’ammazzo…”
“Ciao
felpato!”Dissero tutti, mentre il povero disgraziato se ne usciva dalla stanza
più incavolato che mai, con le nuove valigie che gli erano state inviate da
casa.
Nonostante
fossero tutti dalla parte dell’amico, sapevano che Sirius finalmente aveva
trovato il pane per i suoi denti.
Quando
entrò nella stanza dei desideri, i bagagli gli caddero dalle mani per lo
stupore. Era una stanza dalle pareti dorate, con un bel letto a baldacchino, e
una gigantesca vetrata da cui si vedeva uno strabiliante giardino fiorito.
Tutto il contrario dell’oscurità, il sudiciume e l’inospitalità che ispiravano
la casa dove era cresciuto. Vabbè, si sarebbe abituato.
Si
avvicinò ad un armadio per metterci la roba. No, quello era già occupato dagli
abiti della stronzetta. Allora si avvicinò all’altro. No, anche quello era già
occupato dai suoi abiti. Dove cavolo li doveva mettere i suoi, allora? Stava
per buttare giù tutta la roba di lei dall’armadio, quando il pensiero dei punti
che avrebbe potuto perdere con quell’atto lo frenò. In fondo, poteva
semplicemente desiderare un altro armadio… e difatti quello apparve, dall’altra
parte del muro, grande, nero, e pieno di mostri disegnati, che stonava in maniera
tremenda col resto dell’ambiente.
“Bellissimo!”
Pensò, e incominciò a disporre dentro tutti i suoi abiti.
Si
sentì un catenaccio tirare, e la porta vicino alla vetrata si aprì, e en uscì
fuori una bimba coperta da una grande vestaglia dorata.
“Cos’è
quell’orrore?!” Gridò, vedendo l’armadio nero.
“Il
mio armadio. Gli altri due li hai già occupati con le tue cianfrusaglie.”
“Ma
che razza di gusti hai? Quello non è un armadio…è …è…è uno schifo!” Subito
l’armadio nero prese una forma uguale a quella degli altri due.
“Questo
è mio. Capito? MIO. I tuoi sono quei due. Dunque, fatti gli affari tuoi, VA
BENE?!” Disse Sirius, tentando in ogni modo di non saltarle addosso e litigare.
“No.
A me quell’armadio non piace, e siccome in questa stanza ci dormo io, decido
io!”
“Ci
dormo anch’io in questa stanza!”
“Sì,
purtroppo ci dormi anche tu! Siamo finiti qua per colpa tua!”
“No,
è tutta colpa tua!”
“Ahhh!”
Gridò Solaria, gettandoglisi sopra, ed immediatamente incominciarono a
picchiarsi, come avevano fatto poche ore prima. Schiaffi, calci, morsi, pugni,
si alternavano a strappate di capelli, urla di rabbia, ossa che scricchiolavano
pericolosamente. Alla fine, esausti, rimasero distesi sul letto, uno al fianco
dell’altro.
“Quanti
punti credi che ci abbiano tolto?” Chiese Sirius, ansimando.
“Almeno
un centinaio…”rispose lei, ansimando ugualmente.
“Per
fortuna che la McGranitt mi ha messo come portiere a quidditch…anche se con te
attaccante avrò un bel da fare alla porta.”
“Stai
attento alla bluffa…perché penso che te ne arriverà qualcuna in testa.”
Con
grande fatica Sirius alzò un braccio e lo lasciò cadere sulla faccia di
Solaria, che ebbe la forza solo di dire:”Ouch!” E, per vendicarsi, prese la
scopa che aveva vicino e ne diede un colpo forte a Sirius, in un punto per lui
particolarmente doloroso. E difatti, vincendo la stanchezza, il ragazzo
incominciò a contorcerci nel letto.
“Stronza…stronzissima!”
“Vaffanculo!”
“Stanotte
ti soffoco!”
“Vaffanculo!”
Disse lei alzandosi, togliendosi la vestaglia e uscendo dalla stanza.
“Stronza!”
“Vaffanculo!”