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Autore: dilpa93    22/02/2015    11 recensioni
SPOILER *post 7X15*
"... era stato dolce cercando di confortarla, facendole capire quanto gli bastasse guardarla per scacciare tutti i demoni."
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Kate Beckett, Rick Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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"Da solo, tutto da solo, ma nessuno può farcela da solo"
Maya Angelou





 
Passeggia per il loft dondolando avanti e indietro le braccia. Arriccia le labbra, si guarda introno guardinga, quasi furtiva. Il salone non è mai stato così vuoto e silenzioso, non era mai stata da sola in quella casa che ora si sente di chiamare “sua”.
Tamburella distrattamente sul bancone della cucina, passa davanti alla finestra guardano giù dal palazzo; la città è in costante fermento, i marciapiedi sono gremiti di gente, le strade bloccate dal flusso continuo di macchine. Qualche ciclista fa lo slalom tra le vetture sperando di guadagnare un po’ di tempo. Sfiora impercettibilmente il vetro, le dita lo accarezzano appena lasciando una lieve impronta visibile solo in controluce.
Si avvicina al piano dove il copri tasti è rimasto sollevato dalla sera prima, vi si accosta intonando le prime note di una melodia, e poi con un sospiro si siede svogliata sullo sgabello. È la prima volta, da quando è tornata a casa, da quando si è tolta dal viso e dalle mani il sangue della Dottoressa Nieman, che ha davvero il tempo di pensare a quanto accaduto. Aveva sempre avuto la testa occupata, aveva sempre cercato di tenersi occupata. Ora le è inevitabile, nel silenzio pesante da cui si sente avvolta, come un’ombra oscura che non riesce a scrollarsi di dosso, non pensare agli avvenimenti dei giorni passati.
Non riesce a stare ferma, si alza dopo appena un minuto e, nel farlo, sente un’improvvisa fitta al ventre. Ripensandoci, deve averla solo immaginata. Vi passa la mano dolcemente, poi, cambiando repentinamente umore, stringe con rabbia la maglietta tra le dita. Va spedita verso il bagno, poggia le mani sul lavabo sostenendosi, come non riuscisse più a reggersi da sé, come se improvvisamente avesse perso qualsiasi forza. Alza lo sguardo verso il suo riflesso, gli occhi pieni di rammarico, tristezza e rabbia, prova così tante emozioni insieme che non riesce a capire quale tra quelle domini. Solleva il tessuto della maglia tenendola saldamente per i bordi, si pone di profilo, sfiorando con gli occhi la sua immagine, fino a che con coraggio non abbassa lo sguardo e carezza il ventre piatto.
 
Aveva voluto lanciare l’amo, iniziare a sondare il terreno, e il bacio in segno di saluto di Alexis di quella mattina era sembrato l’espediente adatto per tornare a parlare della possibilità di avere dei figli. Voleva sapere cosa lui ne pensasse a riguardo, voleva sentirsi più sicura quando gli avrebbe dato la notizia, benché più di una volta non avesse fatto mistero di quanto gli sarebbe piaciuto sentirsi chiamare di nuovo ‘papà’ per la prima volta. Quando lo aveva visto speranzoso chiederle se stesse effettivamente valutando l’ipotesi di allargare la famiglia, non aveva avuto più alcun dubbio. Eppure tutto si era complicato in fretta, e a causa del ritorno di Tyson il momento perfetto era stato rovinato. Aspettare un paio di giorni non era sembrata la fine del mondo, ma la fine era arrivata quando si era svegliata legata a quel lettino, senza capire dove si trovasse, seppur ben consapevole di cosa fosse accaduto, e quando Kelly l’aveva guardata spalancando gli occhi sconcertata, quella sensazione che l’aveva stretta alla bocca dello stomaco si era tramutata in realtà. Aveva sollevato la testa, quel poco che era riuscita a muoverla, aveva guardato davanti a sé, all’altezza del cavallo dei pantaloni e l’aria le era venuta a mancare. Il dolore emotivo era uscito fuori in un urlo strozzato, divincolandosi nel tentativo di liberarsi dai lacci. Aveva continuato a gridare disperata, mentre la fascia che aveva intorno alla bocca rendeva difficile capire cosa stesse gridando, ma per un medico, cosa che del resto la donna di ghiaccio che aveva dinanzi era, non era stato difficile collegare le parole “no” e bambino” in un pensiero sensato.
Ricorda vividamente il viso della Nieman, avvicinatasi dopo aver armeggiato con siringhe e boccette accanto a lei, rammenta la carezza che le aveva lasciato sul viso e il brivido che l’aveva percorsa a quel contatto. Concentrandosi riesce ancora a sentire il bruciore dell’ago che penetra di nuovo nella sua pelle e la sua voce calma quanto glaciale dire in un sussurro, “quando ti sveglierai, detective, starai meglio”. Quando si era svegliata non era stata meglio, quando si era svegliata aveva preso una decisione, convogliare la rabbia verso le soli parti del corpo che ancora poteva muovere, le mani, e sperare così di riuscire a liberarsi prima che fosse troppo tardi.
 
Prende un respiro profondo lavandosi le mani. I rari momenti in cui pensa, le capita ancora di sentire il sangue viscoso impastarle le dita. Era stato così facile colpirla, riuscire finalmente a liberarsi e andarle addosso con il bisturi teso verso di lei dopo averglielo strappato di mano.
Fu solo quando i suoi occhi si posarono sul suo corpo esamine steso a terra, quando quell’arma improvvisata le era scivolata di mano tintinnando sul pavimento e schizzandola con piccole gocce di sangue, che era sembrata rendersi conto di cosa avesse fatto.
 
“Hai mai ucciso qualcuno?”
 
Aveva sempre temuto quella domanda, ma non si era mai tirata indietro dal rispondere. Ogni volta che aveva sparato, ogni volta che un suo proiettile aveva messo fine ad una vita, sapeva che lo aveva fatto perché era la sola cosa da fare, l’unica scelta possibile. Anche quel giorno, mentre lasciava scivolare più volte la lama fredda dentro e fuori il corpo della sua aguzzina, sapeva che era l’unico modo per salvarsi, ma affrontare le conseguenze di aver ucciso qualcuno a mani nude non era stato così semplice come quando a separala dalla “vittima” c’erano la canna di una pistola e qualche metro.
 
Si sciacqua anche il viso, tampona delicatamente la pelle che si arrossa al minimo contatto con l’asciugamano. Lo piega rimettendolo al suo posto e, chiusa la porta alle sue spalle, si dirige verso la camera da letto. Afferra i pomelli del mobile tirando verso di sé; il legno stride mentre il primo cassetto si apre. Rovista tra la sua biancheria; a quella ordinaria si accostano capi più eleganti e sensuali, adatti alle occasioni speciali e, malamente coperta da un body nero, ecco apparire la scatola del test di gravidanza. Indietreggia fino a sentire il bordo del letto picchiarle leggermente contro i polpacci e si lascia cadere, certa che ci sarà il materasso morbido a sostenerla. Estrae il blister, fissa quel piccolo più che una settimana prima le aveva fatto provare una delle gioie più immense della sua vita e che ora invece la catapulta nell’incubo. Si porta una mano alla bocca domandandosi come abbia potuto smettere di pensare anche solo per un secondo a quella vita interrottasi troppo presto. Non è il non averci pensato che più la fa sentire in colpa, è l’essersi permessa di sorridere e sentirsi protetta e sicura subito dopo l’accaduto. Persino al distretto dopo averlo abbracciato, radiosa nel sapere che sarebbe tornato ad occupare quella sedia a lato della sua scrivania, si era subito rabbuiata, tornata seria nel giro di un secondo e nessuno parve farci caso. Ma quella sera, tornati a casa, Richard era riuscito ad alleviarla dal dolore; era stato dolce cercando di confortarla, facendole capire quanto gli bastasse guardarla per scacciare tutti i demoni. Le aveva sorriso sussurrandole la loro parola e aveva aperto le braccia aspettando che lei vi si rifugiasse per poi stendersi insieme e non pensare più a nulla. E così era stato, lei non aveva più pensato a niente, aveva sgomberato la mente e si era ritrovata a sorridere; solo la mattina dopo aveva realizzato che forse si era concessa troppo presto quell’attimo di felicità.
 
“Kate!”, la voce arriva forte dal salone; sente la porta d’ingresso chiudersi e le voci di Martha ed Alexis fare capolino intente a conversare tra loro. Può sentire la giovane sbuffare giocosamente, probabilmente in risposta ad un curioso commento della nonna.
Si passa le mani sotto gli occhi e poi più e più volte sulle guance. Mette velocemente via la confezione richiudendo con rapidità il cassetto e prendendo un ultimo respiro raggiunge la sua famiglia.
“Oh Darling”, esordisce Martha schioccandole un bacio sulla guancia. “Ci stavamo domandando dove fossi”. Ricambia, andando poi a salutare Alexis avvolgendola in un abbraccio. “Scusatemi, non vi ho sentito entrare”, guarda l’una e poi l’altra sorridendo fintamente, dettaglio che ad una donna di teatro come Martha non sfugge.
Riceve un bacio fuggevole da Rick, ancora carico dei bagagli che va a lasciare all’altezza delle scale. Non ha nessuna voglia di andare a portarle di sopra, in quel momento vuole solo godersi la compagnia delle sue donne, di tutte e tre.
La giovane Castle armeggia già in cucina, tirando fuori dalle buste la spesa che avevano fatto dopo che Rick era andato a prenderle all’aeroporto, quando si era improvvisamente ricordato che non c’era molto in casa e che avrebbero potuto fare come i vecchi tempi, una cena preparata interamente da loro, come quando Alexis era poco più che una bambina.
Né lei, né Martha domandano nulla a Kate su quanto successo nei giorni passati, non le chiedono se si senta bene, se abbia bisogno di qualcosa, se voglia stendersi e lasciar fare a loro e la cosa la rincuora. Sorride appena, sollevando solo l’angolo destro della bocca, verso Rick. Deve essere stato lui a premurarsi che non la riempissero di domande, consapevole che non siano sufficienti un paio di giorni per buttarsi l’accaduto alle spalle e con tutto quello che anche lui ha passato, sa bene che l’ultima cosa che si ha voglia di fare è parlarne.
Chiude la porta con una mandata in più rispetto al solito, si sente più sicura nel farlo. Si volta verso di loro e scuote la testa notando il bicchiere di martini già pronto sul bancone. Si avvicina lentamente, passando un paio di volte le mani sulle cosce e ringrazia che Rick sia troppo impegnato con le verdure per prestare attenzione a quel gesto nervoso, o capirebbe subito che qualcosa ancora la turba. “Allora, com’è l’Europa?”, e mentre le rosse fantasticano ricordando la breve sosta in Italia e i giri tra le città spagnole, Kate smette improvvisamente di ascoltarle. Le fissa, ma lo sguardo è vuoto e assente, tornata con la mente a ripensare a quel bambino, al loro bambino. “Ancora qualche giorno” è ciò che si ripete da una settimana. Glielo dirà, è certa che lo farà, o forse le piace solo pensare che sarà così, che sarà abbastanza forte da riuscire farlo.





Diletta's coroner:

Che dire? Nulla, solo che è stato bello evidenziare nuovamente la dicitura "angst".
Mi era mancato ;)
Scappo a cena
Buona serata a tutti!
Baci 
  
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