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Autore: Alfred il sanguinario    22/02/2015    4 recensioni
Tel Aviv, 2015.
Maggie Cohen è una ragazza semplice, schiva, timida, giovane e non sposata.
Il nonno paterno, Avner, con il quale non ha mai intrattenuto buoni rapporti, è ora malato terminale di cancro. Prima di morire, chiede di vedere la nipote, nonostante le numerose diatribe del passato. E le chiede un ultimo favore: scoprire chi uccise Aidha, un'orfana afghana che l'uomo conobbe mentre era in servizio militare a Kabul, nota come 'La dama'.
Maggie si getterà a capofitto, con non poche difficoltà, alla ricerca della famiglia di Aidha, e del suo assassino. Ma le cose si riveleranno presto molto più difficili di quanto non sembrino...
Genere: Guerra, Storico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quella mattina diluviava a Tel Aviv.
Maggie Cohen si guardò allo specchio, per darsi un’ultima occhiata sommaria prima di uscire di casa. Tutto a posto. Anche se ci fosse stata qualche imperfezione, non aveva il tempo né la voglia di correggerla.
Infilò i suoi lunghi capelli castano ramati in un berretto di lana. Faceva molto freddo, e a Tel Aviv il freddo equivale al vento, un vento gelido e fastidioso, che fa sempre percepire le temperature ben più basse di quanto in realtà non siano.
Maggie uscì di casa, chiudendosi la porta alle spalle, senza voltarsi. Era certa di aver preso la borsa, e tutto quello che le serviva era lì.
Aprì l’ombrello, regalo della defunta nonna, e cominciò a camminare verso l’automobile. Udiva il musicale ticchettio delle gocce di pioggia che s’infrangevano sull’ombrello, come spiriti che tentavano invano di colpirla. Sin da piccola amava quel suono, quella sensazione di protezione.
Maggie Cohen era quella che si potrebbe definire una ‘ragazza della porta accanto’: nata e cresciuta nella stessa città in cui viveva, legata ancora alla famiglia e con un lavoro stabile. Poteva anche essere definita ‘una che se ne sta per le sue’: in effetti era molto riservata, il suo vocabolario con le persone con cui non aveva tanta confidenza si limitava in ‘buongiorno’ e ‘buonasera’. Niente di più.
Era una persona comune.
Quel sabato mattina si affrettava a far visita al nonno paterno, Avner. Non era mai andata molto d’accordo con lui. Non si sentiva a proprio agio con quell’anziano ebreo ortodosso, che sbraitava inveendo contro tutto e tutti. Del resto non era un segreto che il nonno avrebbe preferito un nipote maschio, uno che facesse il rabbino o sposasse un’israeliana con la gonna fino alle caviglie, e desse luce ad un esercito di figli.
Invece gli era capitata lei.
Maggie salì sull’auto, riponendo l’ombrello ancora gocciolante sul sedile accanto a lei. Dopo aver tirato un sospiro che trasudava stanchezza e riluttanza, rimase per qualche secondo ferma, a fissare il vuoto con i suoi intensi occhi corvini.
Stancamente, infilò le chiavi della macchina nella toppa. Si allacciò meccanicamente la cintura e portò le mani al volante.
Ci volle meno di mezz’ora per giungere all’ospedale dove era ricoverato suo nonno, dall’altra parte della città. La pioggia si attenuava un po’, ma il vento gelido persisteva. Maggie scese dall’auto, sbattendosi la portiera alle spalle.
“Chi me l’ha fatto fare?” borbottò, mentre saliva un’impervia scalinata che dal parcheggio portava al padiglione 8 dell’ospedale, quello del reparto oncologico.
Ormai era lì, comunque. E non poteva tirarsi indietro all’ultimo minuto. E poi aveva il dovere di dimenticare le vecchie diatribe e dare un addio come si deve a quello che, volente o dolente, era suo nonno, quello senza il quale lei non sarebbe mai nata.
Entrò nell’edificio. La avvolse un acre odore di disinfettante per le mani e detersivo per i panni.
“Posso aiutarla?” cinguettò un’infermiera. Era giovane, probabilmente un’apprendista, aveva dei lunghi capelli castani raccolti in una coda di cavallo.
“Sto cercando Avner Cohen.” rispose Maggie.
“Credo che sia nella stanza sette. Lungo quel corridoio” disse indicando un punto imprecisato degli immensi vani del padiglione.
“Grazie.” Disse Maggie, abbozzando un sorriso.
S’incamminò lungo il corridoio. Era deserto, non c’era un dottore, un paziente, un parente… non c’era nessuno. Le fredde luci metalliche del neon donavano al luogo un’atmosfera quasi surreale.
Quasi inavvertitamente, si trovò davanti alla stanza numero sette. Senza esitazioni, spalancò la porta.
“Sei sempre la stessa, vedo.”
Per un attimo Maggie non riconobbe la voce del nonno. Era rauca, spenta, anche se conservava una certa vena sarcastica, che l’aveva sempre innervosita.
“Non vedo perché dovrei cambiare.” rispose lei, chiudendosi la porta alle spalle.
Stentava a riconoscere quell’uomo rugoso, magro, steso su un letto che respirava lentamente. Di lui aveva un ricordo tutto diverso: un uomo che appariva molto più giovane della sua età, con una voce fin troppo squillante e delle movenze piuttosto aggressive.
“Sai perché ti ho voluta qui?” chiese lui.
Maggie restò per un secondo in silenzio. Si accomodò su una sedia accanto ad Avner, e poi, con aria di sufficienza, rispose: “Forse perché stai per andare all’altro mondo?”
L’anziano rise. Delle risate grasse e coinvolgenti, che non toccarono però minimamente l’umore della nipote, che restò impassibile.
“Beh” proseguì lui, dopo essersi dato di nuovo un certo tono “devo chiederti un ultimo favore.”
Maggie scosse la testa. “Scordatelo.” sibilò.
Il vecchio assunse una smorfia di disapprovazione. “Sei tale e quale a tua nonna. Disposta a tutto pur di contraddirmi.”
Maggie sorrise. “E in cosa consisterebbe questo favore?” chiese.
Avner sospirò. “Sei in gamba, lo sai?”
“Non ci casco” replicò lei. “non sono più una bambina.”
Il nonno si ammutolì. Nella stanza piombò il silenzio, un silenzio imbarazzante ed assordante. Maggie era riuscita ad avere l’ultima parola, dopo tanto tempo, a non essere più lei a rimanere zitta in preda alla vergogna e allo sconforto.
“E’ la verità” tuonò ad un tratto Avner, rompendo il silenzio. “sei più in gamba di tuo padre, anche di tua madre. Sei come tua nonna: complicata e intelligente.”
Era la prima volta che Maggie sentiva suo nonno associare la memoria della nonna a cui era tanto legata ad una qualità positiva. Ne restò colpita.
“Sei un astuto manipolatore. Ma non c’è bisogno che ti affanni. Dimmi solo quello che vuoi” rispose glaciale la donna. “e poi se vorrò ti farò questo favore.” concluse con un sorriso beffardo.
Avner guardò fisso la nipote. Era difficile decifrare la sua vera espressione, celata dietro quegli occhi grigi.
“Tanto tempo fa” cominciò “andai in guerra in Afghanistan. Laggiù conobbi la sofferenza, la violenza vera, non quella che si vedeva impressa sulla carta dei giornali. Conobbi anche Aidha. Era una creatura meravigliosa, vittima della guerra, orfana, aveva più o meno la tua età.”
Maggie annuì. Sentì il cuore che le bruciava, ma non le bruciava di tristezza o di amore. Le bruciava di odio. Sentiva l’odio scorrerle nelle vene, passarle per il collo.  Non si sentiva tradita, no, non la toccava minimamente. Si sentiva in pena per sua nonna. La considerava come una madre, un’amica, una sorella. E l’idea che fosse stata tradita dal marito la adirava.
“Così mentre la nonna si faceva in quattro per mantenere la famiglia, tu ti sbattevi una venticinquenne?” sibilò a denti stretti Maggie. Non riuscì a trattenersi. Si stupì di sé stessa. Non diceva quasi mai quel che pensava veramente.
“Ma cosa ti viene in mente? Non avrei mai tradito mia moglie!” gridò lui. Fu colto da un attacco di tosse subito dopo aver parlato, e Maggie non poté non compatirlo. Gli porse un bicchiere d’acqua che stava sul comodino, che lui bevve avidamente.
“Fu uccisa.” disse, non appena ripresosi. “ma non si sa chi fu il suo assassino. Ti chiedo di scoprirlo.”
Calò nuovamente il silenzio. “Perché io?” domandò lei, stupita.
“Perché sei intelligente. E ora, scusa, ma devo riposare.”
Non era cambiato molto. Per un momento, però, le era sembrato ferito, indifeso.
Più tardi, a casa sua, Maggie ripensò al favore che le aveva chiesto suo nonno. Pensò a come doveva essere Aidha, quella ragazza della sua età che viveva in un paese martoriato dalla guerra, per cui non era stata fatta giustizia. 

Angolo autore: spero vi piaccia questa storia... non c'è molto da dire, fatemi sapere quel che ne pensate. 

 
  
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