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Autore: ila_D    22/02/2015    2 recensioni
Dal testo:
"Non li aveva mai visti così luminosi, i suoi occhi. Non resistette, si arrese all’impulso di sfiorargli una guancia. Lui sorrise. Così bello, così semplice.
Le aggiustò il velo. Le sfiorò lo zigomo, senza realmente toccarla, come se ad un tocco più deciso potesse rompersi. Così bella, così semplice."

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Un piccolo omaggio ai novelli sposi, con tutti i miei migliori auguri per una meravigliosa vita insieme.
Congratulazioni Mr&Mrs Cumberbatch :')
ila_D
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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My funny Valentine
 
 
 
 
 
 
 
Grossi nuvoloni in cielo minacciavano pioggia; poco oltre, inaspettatamente, una volta azzurra quasi pastello. Un lieve vento pungente spezzava l’assoluta calma del luogo: la vegetazione frusciava e danzava in onde di verde e giallo paglia, l’erbetta egli esili steli dei fiori di campo assecondavano, piegandosi dolcemente, il moto continuo della brezza. Quasi nascosta dal verde, piccola e anonima, si ergeva una chiesa in pietra, silente testimone del volgersi del tempo in quello spazio immobile.
Pittoresco.
Era quello il primo aggettivo che si affacciava tra i pensieri. Pittoresco. Sembrava infatti un quadretto così tranquillo, piacevole e naturale, incontaminato, che sembrava tagliato fuori dal mondo. Un’immensa quiete indisturbata; dominava la natura. Ma la chiesetta, unica e antica mano dell’uomo su quel paesaggio, non stonava affatto, anzi, trovava la sua perfetta armonia con ciò che la circondava. Rendendo il tutto davvero pittoresco. L’aggettivo perfetto.
Ma quel giorno vi era qualcosa di diverso: non più quiete assoluta. Si potevano infatti udire delle voci in lontananza. Sussurri concitati, esclamazioni e risate, che il lieve vento non disperdeva del tutto, riportavano l’attenzione sulla chiesa. Davanti all’ingresso, sotto l’arco di pietra scura, si potevano scorgere uomini e donne; ciò che colpiva di loro non erano tanto le vistose limousine che costeggiavano i lati della strada o i loro abiti eleganti, quanto piuttosto i loro occhi, le loro espressioni che trasmettevano a chiunque li osservasse un’emozione. Guardandosi intorno, si accodarono per entrare all’interno dell’edificio.
Di nuovo, come tante volte o forse per la prima, quelle antiche pareti stavano per assistere ad un lieto evento.
 Intanto, una lieve pioggia, leggera e mite, si depositava sul verde dei campi e sul grigio dell’asfalto, illuminandolo come rugiada mattutina assieme ad alcuni tenui raggi di sole. In quel momento, un ronzio sordo, il rumore di un motore poi sempre più forte, spezzo quei minuti silenziosi.
All’interno di St. Peter & Paul, tutti avevano preso posto. Un lungo tappeto al centro della navata ricopriva la pavimentazione; portava all’altare, coperto anch’esso, ma di bianco. Le finestre, dai vetri istoriati, erano decorate con nastri delicati e fiori, così come le candele agli angoli della stanza, i posti a sedere, fino ai piedi del modesto altare. Semplice, non eccessivo, elegante.
Ai piedi dell’altare due uomini. Il primo portava un abito blu scuro e bianco, fissava colui che gli stava vicino, tenendogli una mano sulla spalla, dandogli delle pacche, ridendo brevemente ad una battuta. L’altro rise, forse un po’ nervosamente, mentre restava composto, ritto alla sinistra dell’altare, gli occhi- di quell’azzurro del cielo e del mare- che fissavano l’ingresso aperto.
E poi, contro la luce, oscurando quei pallidi raggi e creando un contorno fioco e luminoso, apparve una figura longilinea. L’uomo all’altare sbatte una volta le palpebre e sembrò trattenere il respiro per un secondo.
Non appena ella  varcò l’ingresso, un inno si riversò nell’aria. Dapprima piano, fioco, quasi sussurrato, dopo intonate e melodiose voci di contralti e soprani accompagnarono gli strumenti. L’uomo davanti all’altare si voltò verso i musicisti, a lato, anonimi in una cappella, poi verso le persone davanti a lui, ormai in piedi e voltate verso la navata centrale; gli occhi sgranati, come meravigliato. Ma fu solo un attimo. Un battito di ciglia, e un sorriso si disegnò sul suo volto. La figura iniziò ad avanzare, rivelando un abito bianco che fasciava il suo corpo come seta, e un lungo velo, che dal capo con un’acconciatura di ciocche scure, si riversava dietro, una scia bianca e sinuosa.
 Il tempo sembrò fermarsi: il formarsi di quel luogo, quel particolare scorcio con quell’edificio eretto sin dal XII secolo, tutti i secoli, tutto il tempo e lo spazio sembrava fossero esistiti per trascinarsi fino a quel giorno, per concentrarsi in quel punto, per arrivare a quel particolare momento.
Se pittoresco era l’aggettivo perfetto per descrivere il paesaggio esterno, esso non rendeva giustizia per l’atmosfera venutasi  a creare all’interno di quelle mura. Quel particolare momento, che sembrava un punto fermo nello spazio e nel tempo, si dispiegava in possenti mura antichissime di pietra che mostravano delicati intrecci di nastri e fiori; una navata quasi oscura se non fosse per il tenue bagliore delle candele, disposte ovunque, che rischiaravano l’ambiente fornendo una luce calda; una melodia che riempiva le menti, lenta, prima bassa e poi forte: un coro, voci all’unisono. No, non vi era un unico aggettivo adatto a descrivere tutto quello. Era qualcosa d’importante quello che accadeva dentro, era in qualche modo sacro, ma non solo questo; era forse celestiale? No, non esattamente, non del tutto, no.
Era un’emozione che si riverberava in quegli occhi azzurri;  egli riusciva a sentire, in quell’attimo in cui tutto si sommava e sembrava fermo, l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, un paradosso che muoveva l’animo e portava alla commozione. Ecco, forse la parola perfetta era … sublime.
Era forse il Sublime, il sentimento che si agitava furioso nel suo cuore? Tutto ciò era sublime, e tutto questo balenava nella mente e nell’animo dell’uomo all’altare. Nel momento in cui si radicava in lui la convinzione profonda che tutto quello che aveva fatto ed era stato aveva portato a quello.
 Era lo sposo. Lui era il suo sposo.
Il padre di lei aveva posato la sua mano destra in quella di lui, dopo aver percorso insieme la navata.
Eccoli, l’uno davanti all’altro, che si guardavano. E, oh, cosa riuscivano a scorgere l’uno negli occhi dell’altra, dimentichi di tutti gli altri occhi fissi su di loro. Lei udì a malapena le parole della prima lettura, interpretata dai suoi fratelli, parole che si sovrapponevano l’una all’altra, si mescolavano tra i suoi pensieri, si fondevano con quello che leggeva nei suoi occhi.

“… L’Amore è paziente, è benigno;
l’Amore non arde di gelosia, […]
Tutto ammette, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta.
L’Amore non avrà mai fine.”

Non li aveva mai visti così luminosi, i suoi occhi. Non resistette, si arrese all’impulso di sfiorargli una guancia. Lui sorrise. Così bello, così semplice.
Le aggiustò il velo. Le sfiorò lo zigomo, senza realmente toccarla, come se ad un tocco più deciso potesse rompersi. Così bella, così semplice.
Suo padre dovette riprendere fiato per alcuni secondi, mentre leggeva il secondo brano prescelto. Era commosso, emozionato: un padre orgoglioso, orgoglioso del realizzarsi del proprio figlio. Ma ancora, le parole svanivano in quella luce calda. Frasi che si posavano in lui, perfette nella loro bellezza.

“Sì, è il tuo, amore mio, il giusto volto umano.
Nella mia mente da tempo lo avevo atteso
Vedendo il falso e ricercando il vero, […]
Ma te, come dovrei
Chiamarti? Sorgente in un deserto[…]
oppure una qualsiasi
Cosa che sia onesta e buona, occhio che rende
Splendido il mondo intero.”

Poi si alzarono; lui le pose una mano aperta nella schiena, delicato e deciso, protettivo. Al centro, ancora l’uno di fronte all’altro, davanti al pastore, solo pochi centimetri a separarli. Era questo, in realtà, il momento atteso da tutti, dagli amici più stretti alla loro famiglia; ma a questo punto lui sentiva soltanto di espletare un’ultima formalità, in quanto sapeva di essere già unito inevitabilmente a lei, per la vita, dall’attimo in cui si era mostrata sulla soglia, così luminosa come una visione; il suo –il loro- momento sublime in cui tutto si era fermato. O forse, quella certezza era sorta in lui lentamente, piano piano, fin dall’inizio, dal primo incontro. Lentamente e profondamente. Dalla superficie più esterna del suo essere, si era fatta strada in lui, insinuata sino in fondo all’animo, e lì aveva messo radici. Erano già legati per la vita , e lo sapevano entrambi. E lei, che sembrava averlo già capito, pose la mano destra sul rigonfiamento del suo ventre; lui pose la destra sulla sua. Tutto il loro mondo in un battito leggero, un sobbalzo che quasi li fece scoppiare a ridere, o scoppiare in lacrime dalla gioia.
Le fedi, la formalità.
Silenzio.

“… prendo te, Sophie, come mia legittima sposa …”

“… prendo te, Benedict, come mio legittimo sposo …”

Nessun tremore nelle loro voci. Sicurezza.

“… per sostenere e curare da questo giorno in avanti …”

I volti uno lo specchio dell’altro. Occhi lucidi.

“… nel bene e nel male …”

“… in ricchezza e povertà …”

“… in salute e in malattia …”

Mirabile purezza delle intenzioni.
Lieve risata e sottile imbarazzo quando lui impugna il proprio anello e non quello di lei, leggermente più fine.

“… per amare e curare …”

Radioso sorriso.

“… finché morte non ci separi.”

“… vi dichiaro marito e moglie. L’uomo non osi separare ciò che Dio ha unito.”

Ed erano uniti. Formalmente adesso.
 Il capo chinato verso lei, le sue braccia intorno al collo, lo sfiorarsi delle loro labbra …  uniti.
L’aria si riempì allora di applausi, grida e fischi; il rimbombo all’esterno di un gioioso “Un hip hip hooray per gli sposi!”
In uno slancio la prese per mano e corse lungo il tappeto, giungendo con lei, mani intrecciate, alla fine della navata. Si guardarono ancora. Un sussurro al suo orecchio e lei rise. Si abbandonò tra le sue braccia, e l’incantevole bacio con casquè  destò altri applausi.

My funny Valentine
Sweet comic Valentine
You make me smile with my heart

Ancora per mano, uniti, si affrettarono fuori, lasciando due uomini con degli ombrelli a star loro dietro. Ridevano come ragazzini, ma non importava ora, solo non potevano smettere.
Tendoni bianchi nell’ampio giardino, tavoli e fiori; Mottistone Manor addobbato a festa. Strette di mano, baci, abbracci, lacrime, risa. Si respirava allegria.
 
Your looks are laughable
Unphotographable
Yet you’re my favourite work of art

Una traccia di sorbetto al limone sul suo zigomo, un’occhiata, una battuta, una risata. Bacio che sapeva di sorbetto al limone. E una foto che catturava quell’attimo.
Discorsi, risa, lacrime, brindisi. Emozioni.
Ballo al crepuscolo. Il capo di lei sulla sua spalla. Le braccia intorno alla sua vita. Occhi azzurri che miravano al cielo. Pace e perfezione.
But don’t change one hair for me
Not if you care for me
Stay little Valentine stay
 
Il cielo scuro venne improvvisamente illuminato con uno scoppio: sembrò che polvere di stelle si versasse sulla terra;  luce e colori su una tela scura sembravano voler benedire la loro unione.
Totalità e pienezza.
Poteva tutto il suo mondo racchiudersi in lei, per lei, con lei?
.
 Insieme a guardare l’incanto di luce nella notte; un altro momento sublime.
O forse, solo il primo di molti altri.
Each day is Valentine’s day
 
 


Note:
 
Ecco alcune precisazioni riguardo la cerimonia:
 
- tutte le informazioni (luogo, nomi, letture riportate, canzone etc.) sono veritiere, pubblicate oltre che sul web, anche da vari giornali, che riportano le varie dichiarazioni dei presenti e degli agenti di Cumberbatch.
-il primo brano letto: si tratta della prima lettera di Paolo ai Corinzi, 13, il cosiddetto “Inno alla carità”: il termine originale è in realtà ἀγάπη, dal greco che significa propriamente “carità”, nel senso di amore disinteressato, smisurato, l’andare oltre se stessi per l’altro (mentre l’altro termine greco, eros, indica l’amore nel senso di desiderio di possesso). Ho messo quindi il termine “amore” anziché “carità”, come si trova tradotto normalmente anche nella Bibbia, perché in questo contesto matrimoniale è ovviamente più adatto.
 
-la formula per lo scambio dei voti nuziali: essendo quella cattolica leggermente diversa da quella tradizionale anglicana, ho optato per una traduzione quasi letterale del testo inglese, che vi riporto qua, così come trovata sul sito ufficiale della chiesa inglese:
 
I, N , take you, N ,
to be my wife,
to have and to hold
from this day forward;
for better, for worse,
for richer, for poorer,
in sickness and in health,
to love and to cherish,
till death us do part;
according to God's holy law.
In the presence of God I make this vow.
 
-la narrazione, all'inizio con una focalizzazione esterna e impersonale, poi invece personale dal punto di vista di Ben,è voluta. Diciamo che è stato un mio piccolo esperimento :)
 
Bene, se siete arrivati fin qui, grazie di cuore per la lettura di questa... "cosa" che ha partorito la mia mente poco sana. La considererò come un regalo di nozze per i novelli sposi, congratulazioni amori!
 
A presto,
 
ila_D
  
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