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Autore: BlueJasmine    23/02/2015    0 recensioni
È una calda giornata di Luglio quando Olimpia Stevens e la sua migliore amica Katlyn Bloom si dirigono a casa Stevens dopo aver appena terminato gli ultimi esami prima del diploma. Olimpia è una giovane ragazza, appassionata di matematica e di economia, la migliore studentessa del suo anno. Proprio a lei è stato chiesto di introdurre con un discorso di presentazione la consegna dei diplomi di quell'anno. La ragazza non si immagina che tra il pubblico ad ascoltarla ci sarà proprio Nathaniel Masen, un ricco imprenditore, ricercatore universitario, sugli studi del quale la ragazza aveva fatto la tesina finale. Poco prima dell'evento i due si incontrano accidentalmente, mettendo la ragazza in un profondo stato di agitazione. Nathaniel Masen non è solo un uomo incredibilmente intelligente, ma è anche bellissimo, austero, affascinante. La situazione si farà più complicata quando scoprirà nuovi, inaspettati, spesso non troppo felici lati del suo carattere, e quando lui stesso le confesserà che per quell'anno sarebbe stato il suo professore. Tra i due si crea immediatamente uno strano, elettrizzante legame e Olimpia si ritroverà ad avere a che fare con una persona ben diversa da come se l'era immaginata
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Universitario
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~~          Stupide Scommesse


Era un'insolita e meravigliosa giornata di sole in quel venerdì di luglio. Insolita per gli standard di Tacoma, ovviamente. Tra Seattle e i meravigliosi parchi naturali del Nord America, questa piccola città contava appena duecento mila abitanti e un clima perennemente instabile. Come se non bastasse, Olimpia abitava sulla Tacoma Ave, vicino al mare, proprio nel punto in cui il vento era solito tirare più forte. Ma non quel giorno. Perché era un bellissimo pomeriggio d'estate, costellato da luminosi e caldi raggi solari. E sotto quei raggi, tra la sesta e l'ottava, Olimpia e Katlyn camminavano spensierate lungo un marciapiede punteggiato da coloratissimi vasi fioriti. Ogni piccola cosa, dal cielo terso alle soffici nuvole bianche, dalla tenera e calda aria alla vivacità di una primavera che esplodeva in ritardo, ogni cosa rifletteva quell'impercettibile istante di libertà, la loro.
“Ma ci pensi, Ol? Finalmente abbiamo finito il liceo!”, esclamò Kat a braccia aperte. Sembrava quasi cercasse di afferrare più raggi possibili “niente più esami, niente più compiti, niente di niente!!!”.
“Se fossi in te non mi gaserei troppo: tra meno di due mesi dovremo riprendere con il solito tram-tram”. Il trasloco era molto più vicino di quello che sembrava e c'erano tantissime cose che dovevano ancora essere fatte.
“Olimpia, che palle! Sei sempre la solita guasta feste! Goditi quello che c'è: vivi il momento!!!”. Carpe diem: questa era la filosofia di vita di Katlyn. Sospettava che fosse anche l'unica che conoscesse. Ma per lei era diverso e ovviamente non passava giorno che non glielo facesse pesare. A volte sei così noiosa...sembrava le dicesse. 
“Okay, Kat: ammetto che molto probabilmente tu sei più brava di me quando si tratta di godersela".
Si mise a ridere.
“Sai che novità!”. Non è che lei non facesse altrettanto: semplicemente amava fare cose diverse da lei.
“Devi ammetterlo, però, che ci sono tante cose da fare ancora: l'inventario dei vestiti, degli oggetti che dovremo portarci dietro, nonché comprare tutto l'indispensabile per studiare e...".
Alzò gli occhi al cielo. Falla smettere ti prego.
“Non mi stai ascoltando”, sbuffò.
“Certo che non lo sto facendo,rompiscatole! Abbiamo appena finito gli esami e forse è il caso che tu rilassi un po', non trovi?”. In effetti, era stanca morta: nelle ultime settimane non era ancora riuscita a farsi una sana dormita. Solo che era più forte di lei non proiettare tutta la sua attenzione al futuro.
Erano arrivate a casa finalmente. Kat corse attraverso il cancello, senza curarsi del fatto che fosse rimasta indietro. Le faceva una strana impressione pensare che avesse finito il liceo. Si trovava in quel confuso stato emotivo in cui solitamente ci si imbatte quando per un lungo periodo si ha lavorato tanto e pensato troppo poco. Non si era ancora concessa abbastanza tempo per metabolizzare il fatto che da lì a due mesi non avrebbe più vissuto lì. Che da lì a due mesi la sua vita sarebbe cambiata completamente. L'idea le faceva davvero troppa impressione ora che ci pensava. Immobile di fronte a casa, con il dolce, caldo vento estivo che l'accarezzava completamente, sentì uno strano brivido percorrerle lungo la schiena. Si sentiva stanca, quasi vuota: in fin dei conti quasi non vedeva l'ora di imbarcarsi in una nuova avventura. 
“Arrivo mamma!”. Sua madre era sul ciglio della porta che gesticolava entusiasta.
“Finalmente siete arrivate! Dobbiamo assolutamente festeggiare!”. Trovava davvero tenero il modo in cui si entusiasmava per tutto, sopratutto per quello che la riguardava. La luce del sole giocava allegramente con i suoi capelli rosso fuoco, i suoi occhi brillavano come diamanti. Sua madre sarebbe stata la persona di cui avrebbe sentito di più la mancanza andandosene di casa. Le doveva così tanto.
“Dov'è Katlyn?”, le chiese. Spalancò gli occhi.
“Pensavo fosse già dentro: mi ha superato già da diversi minuti”. Sentirono uno strano rumore provenire dal giardino posteriore. “Fammi indovinare...hai aperto la piscina?”.
“Non potevo non farlo: hai visto che bella giornata c'è oggi”. Ecco dove si era cacciata Kat.
“Non potevi proprio aspettare, eh?”.
“No! È bellissimo qua!!!”. E ridendo si immerse completamente.
“Perché non vai anche te con lei?”, le chiese.
“Perché non fa ancora abbastanza caldo per fare il bagno e poi non sono nelle condizioni fisiche per mettermi in costume: non immaginavo che l'estate arrivasse così, all'improvviso”. Alzò gli occhi al cielo.
“Io credo proprio che ti manchi il gene del divertimento, sai piccola?”. Sorrise scuotendo la testa.
“L'unica cosa che non ho ereditato da te, a quanto pare”, disse salendo le scale “ad ogni modo è possibile che tu e Kat abbiate ragione e che dovrei rilassarmi un po' visto che non ho avuto ancora un attimo di pace negli ultimi mesi. Ora vado a farmi la doccia e poi giuro che farò qualsiasi cosa mi diciate”. Si mise a ridere.
“Attenta! Mi sembra un impegno notevole visto l'amica che ti ritrovi”. La migliore che potesse desiderare. Come sua madre. Sorridendo, entrò in camera. Certo, doveva molto a tutte e due. A sua madre, in particolare, una singolare, pungente intelligenza, un inguaribile umorismo e quella strana tonalità di capelli che era un incrocio tra rosso ramato e biondo.
La camera era ancora tutta sottosopra: in quelle settimane non aveva avuto occasione di starci molto dietro. C'erano libri sparsi qua e la, il letto disfatto, alcuni elaborati appoggiati casualmente sulla scrivania vicino a quella che sarebbe dovuta essere la bozza del suo discorso di presentazione per la consegna dei diplomi. Per un attimo se ne era quasi dimenticata. Sebbene l'avesse riscritta più volte, le sembrava sempre che mancasse qualcosa e ormai mancavano pochi giorni all'infausto evento. Perché non avrebbe potuto godersi la consegna dei diplomi come una qualsiasi studentessa? Perché aveva accettato? Lei e la sua stupidissima ambizione!
Si appoggiò sul letto in fase contemplativa. Era troppo stanca per fino per farsi la doccia. Le sarebbe mancato ogni angolo della sua adorata camera. Lì aveva passato la maggior parte della sua vita. Era un cimelio, un luogo pieno zeppo di ricordi. La luce bianca del sole si era infiltrata tra le pieghe delle tende in tulle e accarezzava le foto sue, di Kat e di tutti i loro amici. C'era la foto della sua prima recita a scuola, all'età di sei anni, scattata con la polaroid. Quella del suo primo saggio di danza. Del suo primo giorno di scuola. Della sua prima fuga da scuola per seguire i progetti improbabili di Katlyn. Ricordava che si era sentita talmente in colpa di aver marinato la scuola che lo era andato a dire a sua madre. A volte pensava di essere un po' troppo ingenua, anzi lo sapeva per certo.
Forse sarebbe stato meglio se avesse dato anche una pulita generale alla stanza che straripava di polvere. Non ora, però.
“Ehi! Ol!”.
Si girò di scatto. Per fortuna che non si era ancora svestita per farsi la doccia.
“Oh, ti prego! Jo!”, disse lanciandogli addosso un cuscino “ti sembra questo il modo? Vorrei sapere perché ti ostini ancora a passare per la finestra! Volevo farmi una doccia, potrei essere nuda ora!”.
“E che problema c'è?”. Sorrise, scavalcando l'infisso. Certo che era proprio un idiota!
“Allora? Come sono andati questi esami?”.
Jo era uno dei suoi amici più cari, nonché suo vicino di casa. Erano cresciuti praticamente insieme e l'unica cosa che li divideva era una sottile parete di cartongesso con terrazzo comunicante.
“Da dove vieni scapestrato?”, gli chiese ridendo. 
“Da camera mia, ovviamente”. Gli lanciò un pugno sul braccio e poi lo abbracciò. Era gigantescamente forzuto per avere soltanto diciotto anni.
“Ma che cosa ti danno da mangiare a casa?”, gli chiese dandogli un pizzicotto.
“Bambina cattiva”. Si misero a ridere.
“Sono talmente felice di essere in vacanza finalmente!”, trillò spensierata.
“A chi lo dici! Gli esami non sembravano finire più”. Si lanciò sul letto.
“Sai Jo...mi sento un po' strana”, disse appoggiandosi al cuscino. Si stese al suo fianco.
“In che senso?”. Si sentiva sempre così al sicuro e protetta con lui vicino. Era davvero felice che avrebbero frequentato la stessa università.
“Mi sento un po' vuota, un po' a disagio...confusa e anche un po' intimorita per tutti i cambiamenti che ci saranno. Non so...non so bene che mi prenda”.
“Sai”, disse puntellandosi sui gomiti “credo sia normale visto tutte le cose nuove che stanno per accadere. Anche io mi sento così”. Gli sorrise: era bello sapere di non essere sola. “E' bello sapere che io, te e Kat resteremo insieme ancora: non so proprio che avrei fatto se mi fossi dovuta dividere anche da voi”. Aveva già sopportato sufficienti separazioni. “E' quasi come se mi trovassi in un bivio: da una parte ho una gran voglia di cominciare una nuova avventura d'altra parte però mi spaventa pensare che molte cose non saranno più come sono adesso, che dovremmo dire addio alla nostra vita qui, che molte cose cambieranno ancora...”.
“Sai...non credo che cambiare voglia dire per forza dire addio...anche quando ci saremo trasferiti i nostri amici ci saranno comunque, così come le nostra famiglie”.
Più o meno. Stesa supina, il suo sguardo venne catturato dal soffitto. Si ricordava ancora del giorno in cui suo padre l'aveva aiutata a mettere le stelline che si illuminavano al buio. Aveva provato a toglierle con scarsi successi. Jo aveva anche pensato di usare qualcosa che assomigliava terribilmente a un lancia fiamme con l'unico risultato che alcune stelle non si erano staccate ma semplicemente sciolte. Ora sembravano chiazze luminose indistinte. Cosa che la faceva stare anche peggio. Probabilmente aveva capito che cosa la stava realmente tormentando. Nemmeno lei ci aveva pensato tanto ancora. Dopotutto non aveva voluto farsi troppe illusioni.
“Sai”, gli disse “sarò sincera ma in questi tempi non ci ho pensato molto: ora che non ho più molto da fare, ora che non ho niente che mi tenga occupata, il suo pensiero mi ritorna prepotentemente in mente”. Forse se ne sarebbe dovuta fare una ragione e basta, d'altra parte erano passati otto anni.
“Vorrei solamente sapere perché non riesco ad andare avanti?”, chiese più a se stessa che a lui “non è normale”. Sapeva bene che molta della paura che provava all'idea di andarsene di casa era dovuta al fatto che i distacchi la facevano soffrire molto e che questo era sopratutto dovuto all'abbandono del padre. 
“Olimpia...”. La strinse a sé mentre scoppiava in lacrime. Si vergognava così tanto per quel suo dolore. “Io ti capisco, Ol. Hai sofferto tanto e sinceramente non credo dovresti nemmeno fartene una ragione...sinceramente credo non sia possibile farsela”. Lo strinse più a sé.
“Ma tu ce l'hai fatta...”, disse lei a mezza voce.
“Questo non è vero”, disse lui “sai, soffro ancora molto per la morte della mamma...ma credo sia diverso per te”. Già, forse sarebbe stato meglio se fosse morto, probabilmente avrebbe sofferto di meno. Ma sapeva bene che questo non era assolutamente vero, perché anche ora avrebbe sofferto molto nel caso fosse successo figurarsi allora. 
Da quando se ne era andato di casa, che aveva dieci anni, l'ultima volta che l'aveva visto era stata due anni prima. Avevano passato un paio di settimane insieme. Poi più niente. Nonostante glielo avesse promesso, che si sarebbero visti, tutto sembrava più importante di lei. Sarebbe dovuta venire alla consegna dei diplomi, ma non ci sperava più. E sentiva che con il suo abbandono un pezzo della sua stessa vita se ne era andata. “Pensi che non mi voglia bene?”. Sebbene ormai fosse chiaro, una parte di lei ci sperava ancora. 
“Penso che un pazzo non te ne vorrebbe”.
Sentirono bussare alla porta, si alzarono di scatto dal letto.
“Ehi bambola! Tua madre mi ha confessato che mi hai lasciato carta bianca!”. Sì, ti piacerebbe...si avvicino allo specchio, nella speranza che gli occhi non fossero più rossi. “Ciao, Jo! Come ti sono andati gli esami?”. Non voleva che anche Kat si preoccupasse per lei: forse era davvero meglio fare buon gioco a?
“Credo tu abbia travisato completamente le parole di mia madre, Kat”. Piegò la testa ridendo.
“Col cavolo! Sei mia stasera e faremo quello che dico io...ho anche un'idea”. Si lanciò uno sguardo loquace con Jo. “Perché quelle facce?”. Kat era famosa per avere idee che definire allucinanti era un eufemismo.  
“Kat”, disse lei “ti ricordo soltanto che l'ultima volta che hai avuto una delle tue idee, mi sono ritrovata non so dove a due chilometri da Tacoma, mentre mia madre aveva già mobilitato l'intero corpo militare dello Stato".
Scoppiarono a ridere all'unisono. Che esperienza edificante era stata quella! 
"Allora? Questa idea?". Anche Jo era impaziente di consumare al più presto la sua libertà ritrovata. "Oppure”, propose lui “potremmo prenderci una bella sbronza...eh?".
Era finita in mezzo a un branco di imbecilli patentati.
"Certo! E magari già che ci siamo potremmo farci beccare così addio università. La frequenza più fulminea della storia: espulsi ancora prima di iniziare".
"Noto una leggera punta di sarcasmo". Ma dai...
"Certo, Katlyn. Non ho nessuna intenzione di farmi cacciare a pedate nel sedere dal college: lì ci sono i corsi di scienze applicate migliori di tutto il paese".
"E i professori più sexy!", aggiunse Kat con aria maliziosa.
“Non pensavo che l'essere sexy potesse essere una ragione di discrimine nella scelta del college, ma da te Kat ci si può aspettare di tutto”, disse Jo. Lei di rimando gli tirò un cuscino in faccia. 
"Il tipo su cui hai fatto la tesi”, disse lei “Nate, o come cavolo si chiama, non è uno dei tuoi futuri professori? Lui sì che è figo stratosferico".
"Si chiama Nathaniel Masen e alla Portland è soltanto un ricercatore per cui no, non mi insegnerà un fico secco e ora come ora abbiamo altri problemi...Jo, potresti proporre qualcosa che non metta a rischio il nostro futuro accademico?", chiese esasperata.
"Potremmo andare al Docky Pub:ho sentito che un po' di gente si ritrova là per festeggiare la fine degli esami. Noi potremo sbronzarci a volontà e tu, invece,  potrai fare l'ameba quanto vuoi soltanto non da sola".
Si poteva fare.

La serata andò per il meglio: Kat si prese la sua tanto agognata sbronza e lei passò la maggior parte del tempo a giocare a biliardo, mentre Jo flirtava con un paio di ragazze.
“Jo Beck”, gridò lei dall'altra parte della stanza “smettila di fare il casca-morto e vieni qua al tavolo da biliardo: Alec non crede che possa stracciarti”.
“Ai tuoi ordini”, gridò di rimando, facendo il gesto con la mano “e Alec ha ragione”.
Ovviamente lo stracciò.
"A mia discolpa, oggi non ero in forma", disse quando tornarono a casa.
Sì, sì...tutte scuse.
"Ti sei divertita stasera?".
"Sì, davvero tanto". Ed era vero: era riuscita a staccare finalmente.
"Mi fa piacere...". Oh no...quello sguardo no...
"Dovremmo fare un patto". Ecco lo sapeva!
"Vedi, Jo: lo capisco subito quando ti frulla in testa un'idea strana".
Continuò a fissarla imperterrito con quel suo sorrisetto furbo.
"Che genere di patto?".
"Fino a martedì, non si parla di faccende da sbrigare, di robe da fare, di lavori e cose varie".
"Ma Jo, come faccio? Devo finire il mio discorso di presentazione per la consegna dei diplomi di quest'anno! Io devo...".
Le mise un dito sulla bocca.
"Niente di niente: tu farai quello che ti ho detto. Anche perché quel benedetto discorso l'avrai riscritto tipo un centinaio di volte". Scoppiò a ridere.
"Non è vero. E il Jo autoritario non ti si addice proprio".
Fece un sospiro lungo due metri.
"Dimmi perché e farò tutto quello che vuoi". Gli si illuminarono gli occhi.
"Tutto quello che voglio?", chiese pieno di speranza.
Corrugò la fronte.
"Basta che non sia qualcosa di illegale, ovviamente".
Si mise a ridere.
"Vuoi sapere perché vorrei che tu facessi quello che voglio?".
"Sì".
"Perché tu sei un'inguaribile masochista e io ci tengo a te e quindi devo pensare alla tua salute fisica. Il che significa che devi rilassarti, il che significa che farai quello che ti dico di fare. Ti sembra un ragionamento sensato?". Inguaribile masochista? Non aveva tutti i torti.
"Niente di illegale, però", lo minacciò lei.
"E basta con sto pallino dell'illegalità! Non ho mica intenzione di legarti mani e polsi, imbavagliarti, e portarti a lavorare in un traffico di prostitute che spacciano droga". Si cacciarono a ridere.
"Devono essere delle prostitute molto ricche", disse lei.
E lui rise ancora di più.
"Mi fai morire Olimpia Stevens".
"Dillo a me: mi sono appena messa nelle mani di un possibile sociopatico dopo avergli dato il permesso di fare tutto ciò che vuole di me".
"Ma dai Olimpia", disse lui dandogli una pacca sulla spalla "si tratta solo di fare una festa a casa tua o qualcosa del genere...niente di più".
"Niente di più, eh?", chiese sarcastica "come se una festa a casa mia non fosse già abbastanza...e non posso nemmeno dire niente...". Infilò le chiavi nella serratura.
"Buonanotte Stevens", disse sorridendo "Chissà se a Portland avremo le camere vicine...ormai mi ci sono abituato".
"Chissà", sospirò lei "sarebbe divertente, 'notte Beck".

La festa fu un successo. Sua madre, tra l'altro, non ci poteva credere.
“Finalmente dai una festa! La tua prima festa!”. L'aveva sempre incoraggiata a fare una vita sociale più intensa. Ma la sua vita le andava bene così com'era. Non era mica asociale come poteva credere, semplicemente era meno movimentata di quella che lei aveva alla sua età.
“E' un peccato che tu non l'abbia sfruttata a dovere”, ammise Kat, scuotendo la testa.
“Certo che l'ho sfruttata...con voi”.
La festa fu un evento e tutti sembravano aver gradito l'invito. Ognuno aveva qualcosa da festeggiare: chi gli esami finiti, chi l'inizio dell'estate, chi le prime vere giornate di sole.
"A noi!", disse toccando il bicchiere di plastica di Jo con il suo. Portava un bikini verde smeraldo che faceva pan-dan con il colore dei suoi occhi.
"Oddio! Stevens stai bevendo?!?", chiese Jo in modo volutamente esagerato. Gli diede un pugno.
"E smettila di fare lo scemo! Me l'hai detto te che dovevo. Ricordi? Obbligo N° 5: bevi". Scoppiò a ridere.
"Te li ricordi a memoria?!?", chiese allibito.
"Certo! Me li sono letti e riletti mille volte, così non ne sbaglio una. E un giorno questo momentaneo asservitismo a te mi tornerà utile, fidati".
"Suona come una minaccia".
"E infatti lo è".
"E comunque, sebbene non voglia rovinare il tuo buon umore, devo dirti che  hai infranto una regola, la prima: niente studio. Hai detto che hai riletto le regole ancora ed ancora". La fissò con malizia.
"Lo sai che cosa ti aspetta, vero?". Olimpia si alzò di scatto.
"No, Jo, no...non è valido". La prese in braccio mentre si dimenava.
"Sappi che se provi a buttarmi in piscina è tutto finito: niente più lista, niente più regole".
"Non ti sento...", diceva ad alta voce.
"Jo! Lo sai che se non rispetto le regole e poi tu mi punisci, il gioco finisce e allora addio beato riposo e benvenuto solito tram-tram...".
La lasciò andare immediatamente.
Per fortuna la musica era alta e gli altri non facevano caso a loro due.
"Hai ragione", disse incrociando le braccia "se ti butto in piscina per punirti per aver infranto una regola, va a finire che il gioco finisce".
"Già". Ma sebbene le fosse stata data ragione, il suo sguardo non le piaceva. Stava certamente tramando qualcosa. 
"In tal caso", disse respirando a pieni polmoni e allargando le braccia "c'è solo un modo per farla finita e subito".
"E quale sarebbe?".
"Voglio poterti buttare in acqua...ricordi? Devi fare tutto quello che voglio io". Adesso aveva un bel sorriso astuto stampato in faccia. Gli occhi gli brillavano: era bello avere potere. Un po' meno non averlo, però. 
"Sei una persona orribile, lo sai?", gli disse ridendo.
"Vedrai che ti piacerà", le rispose lui. E dopo averla stretta in un abbraccio si lanciò in acqua. Ora sì che tutti li fissavano.
"Tu sei un idiota", gli disse.
"Lo so".

In fin dei conti quei tre giorni erano stati davvero rilassanti. Doveva dargliene merito a Jo.
"Avevi ragione", disse lunedì sera mentre se ne stavano distesi sotto il cielo stellato.
"A proposito di cosa?".
"Che rilassarmi un po' mi avrebbe fatto bene". Sorrise beato.
"Già, Beck...goditi questo momento perché non ricapiterà mai più".

   
 
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