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Autore: 9Pepe4    23/02/2015    7 recensioni
«Oh». Suo nipote lo guardò da sotto in su. «E quando torna adad?»
Il cuore di Thorin sprofondò. Era probabile che ci sarebbe voluto un po’ di tempo, prima che il bambino capisse pienamente cos’era accaduto. «Fíli… Tuo padre non tornerà».
Fíli aggrottò la fronte. «Perché no?»
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dìs, Fili, Kili, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Amrâdu adad

Tante volte, sedendo negli alloggi di Dís a Ered Luin, Thorin aveva rimuginato sul fatto che lei – una principessa della stirpe di Durin – avrebbe meritato stanze ben più lussuose.
Oggi, però, la sua mente non aveva spazio per quel genere di pensieri. Oggi, quel genere di pensieri gli sembrava triviale.
All’esterno della montagna si era fatto buio da qualche ora, e lui si sentiva esausto come se non dormisse da anni.
Quel giorno era partito all’alba con una manciata di altri Nani. Avrebbe dovuto trattarsi di una semplice battuta di caccia, ma quando erano stati attaccati si era trasformata in una carneficina.
I loro avversari, seppur cruenti e rabbiosi, erano in svantaggio numerico e completamente disorganizzati, e alla fine i Nani erano riusciti a prevalere.
Alcuni di loro erano rimasti feriti, però, e il cognato di Thorin era stato ucciso da un colpo d’ascia alla testa. Era stato proprio lui a trovare il corpo, e ancora lo rivedeva nella propria mente. Quei capelli biondi inzuppati di sangue, quegli occhi scuri vitrei e sbarrati…
Non aveva una memoria precisa del viaggio di ritorno, ma sapeva che era stato lento e difficoltoso. Ciò che ricordava bene era il momento in cui era arrivato alla porta di sua sorella.
Dís gli aveva aperto reggendo il piccolo Kíli con un braccio, e Fíli aveva fatto capolino da dietro la gonna della madre con aria curiosa.
Nel vedere l’espressione di Thorin, Dís era impallidita.
Le sue labbra si erano dischiuse, ma poi lei aveva abbassato lo sguardo su Kíli – impegnato a mangiucchiare felicemente un cavallino di pezza – e si era sforzata di ricomporsi.
Aveva posato a terra il suo secondogenito, ed aveva detto a Fíli di andare in camera col fratello.
Il bambino biondo aveva guardato Thorin ma non aveva protestato, limitandosi a prendere la mano di Kíli e a fare come aveva detto sua madre.
«Dov’è?» aveva chiesto Dís, con voce incrinata, non appena i suoi figli erano scomparsi nell’altra stanza.
Quando Thorin le aveva spiegato quanto era accaduto, lei non aveva né pianto né urlato. Era diventata ancora più pallida, invece, e si era premuta una mano sulla bocca come per cercare di contenere lo strazio.
Riguardando indietro, Thorin avrebbe preferito che si fosse accasciata tra le sue braccia singhiozzando, poiché il dolore nel suo sguardo muto era stato devastante.
Adesso, Dís si trovava a preparare il corpo di suo marito per il funerale – aveva rifiutato con fermezza che se ne occupasse qualcun altro – e a vegliare su di lui secondo le tradizioni.
Prima di andarsene, aveva parlato a lungo con Fíli e Kíli, cercando di spiegare loro cos’era successo, e li aveva messi a letto.
Thorin chiuse brevemente gli occhi, sfiorando la benda che gli avvolgeva la mano. Un taglio sul palmo era l’unica ferita che avesse riportato. La cosa lo assillava: suo cognato era morto, lui non avrebbe dovuto star bene.
Non che avesse mai avuto uno stretto rapporto col marito di sua sorella – anzi, all’inizio era stato riluttante a concedere la mano di Dís ad un Nano di origini tanto modeste – ma pian piano era giunto a considerarlo parte della famiglia.
Ed ora Dís aveva perso il suo sposo, e Fíli e Kíli sarebbero cresciuti senza un padre.
Thorin sfiorò il tessuto rattoppato del divano su cui era seduto. Ricordò l’eterno ottimismo di suo cognato, il suo incrollabile buonumore, l’orgoglio e l’amore con cui guardava sua moglie e i suoi figli.
Con occhi assenti, fissò un ciocco di legno che anneriva nel focolare.

Alla fine, la stanchezza ebbe la meglio su di lui. Dopotutto, tra la marcia e la battaglia, senza contare i danni emotivi, quel giorno era stato davvero sfibrante.
Quando riaprì gli occhi con un sussulto, l’aurora era vicina, e Fíli lo guardava con le mani appoggiate sul suo ginocchio.
«Fíli?» domandò Thorin, con voce impastata. Si passò il dorso della mano sull’angolo delle labbra. «Come mai sei in piedi? Dov’è tuo fratello?»
«Dorme».
Thorin strizzò gli occhi. Ma certo.
Dopotutto, Kíli era ancora molto piccolo. Aveva da poco imparato a camminare, e i suoi lunghi monologhi erano tanto vivaci quanto incomprensibili.
Thorin supponeva che avrebbe dovuto esser grato del fatto che fosse troppo giovane per risentire di quanto era appena accaduto… Tutto ciò che riusciva a pensare, però, era che probabilmente da qualche anno a quella parte Kíli non avrebbe più serbato alcun ricordo di suo padre.
«Non so dov’è amad» gli disse Fíli.
«Si sta… occupando di alcune cose» rispose Thorin, raddrizzando la schiena. «Tornerà quando sarà mattina».
«Oh». Suo nipote lo guardò da sotto in su. «E quando torna adad?»
Il cuore di Thorin sprofondò. Era probabile che ci sarebbe voluto un po’ di tempo, prima che il bambino capisse pienamente cos’era accaduto. «Fíli… Tuo padre non tornerà».
Fíli aggrottò la fronte. «Perché no?»
Thorin lo guardò, e in quel momento desiderò che ci fosse qualcun altro, qualcuno che sapeva come spiegare le cose ad un bambino. Ma non c’era nessun altro, e in più Fíli era suo, persino più suo di quanto non lo fosse Kíli.
«Tuo padre è morto».
Fíli lo guardò con la fronte aggrottata. Evidentemente quelle parole – che peraltro aveva già sentito sulle labbra di sua madre – non gli erano chiare. E allora? Non può tornare se è morto? sembrava voler chiedere. Invece, fece segno di no con la testa, poi il suo labbro inferiore tremò e lui parve esitare.
Thorin notò che il bambino occhieggiava le sue gambe in maniera inequivocabile. Mentre Kíli – quel piccolo impudente – non si faceva problemi ad arrampicarsi in grembo allo zio, Fíli pareva nutrire una certa soggezione nei suoi confronti.
Thorin, allora, si chinò in avanti e lo prese su, issandolo sulle proprie ginocchia. Fíli si girò di lato e si rannicchiò contro di lui, appoggiandogli un orecchio sul petto come per ascoltargli il cuore.
Ci fu un istante di silenzio, riempito soltanto dal crepitio del fuoco.
«Zio Thorin?» chiese poi Fíli, con voce minuscola. «Ho fatto qualcosa di brutto?»
Thorin credette di aver capito male. «Come?»
Il bambino tenne la testa bionda appoggiata contro il suo petto mentre riformulava la domanda: «Sono stato cattivo? Adad è andato via perché sono stato cattivo?»
Thorin rimase immobile per un istante, poi sollevò il mento del bambino per guardarlo in faccia.
«Fíli, non è colpa tua» gli disse, con la massima serietà. «Tu non hai fatto niente di male».
Il bambino tirò su col naso. «Davvero?»
A Thorin si strinse il cuore. Gli permise di tornare ad appoggiare la testolina, e gli accarezzò i capelli biondi in modo un po’ impacciato. «Davvero. Tuo padre è stato ucciso».
Fíli rimase zitto, e Thorin maledisse le proprie parole goffe e forse troppo dirette. Non ci sapeva fare con i bambini.
Quando Fíli si mise a tremare, lui raggelò, poi lo avvolse nelle proprie braccia, cercando di offrirgli conforto e calore.
Fíli si aggrappò alla sua camicia consunta e nascose il viso contro il suo petto.
A Thorin mancò il fiato. Il bisogno di rassicurare suo nipote era così intenso da essere quasi un dolore fisico, ma non conosceva né le parole né i gesti più adatti.
Temeva che, se solo avesse allentato la presa, Fíli avrebbe tremato più forte, così non si azzardò nemmeno ad accarezzarlo. Si limitò a tenerlo stretto, mentre le ore si trascinavano lente una dopo l’altra.
Quando sopraggiunse la mattina e i cinguettii degli uccelli arrivarono sino a loro, il bambino aveva smesso di rabbrividire.
Thorin, però, sospettava che si trattasse di un sintomo di stanchezza, non di un’improvvisa tranquillità.
Si frugò la mente alla ricerca di qualcosa da dire, e si schiarì la gola. «Andiamo a controllare tuo fratello?»
Subito, Fíli non rispose. Poi, però, sollevò il viso dal petto di Thorin per guardare suo zio negli occhi ed annuì.
Provando un certo sollievo, Thorin si alzò in piedi, reggendo il bambino. A quel punto, si diresse nella stanza dei figli di Dís… e per poco non gli venne un colpo nel vedere che entrambi i giacigli erano vuoti.
Poi Fíli indicò il pavimento, e Thorin abbassò lo sguardo.
Kíli era raggomitolato sul tappeto morbido che si trovava tra i due letti. Aveva una coperta appallottolata vicino ai piedi, un dito in bocca, ed era profondamente addormentato.
Thorin mise giù Fíli, ricordando che Dís gli aveva parlato delle abitudini notturne del suo secondogenito.
A quel che pareva, quasi tutte le notti Kíli rotolava dal proprio letto al pavimento, dove seguitava a dormire come se nulla fosse. Ogni tanto, Fíli si svegliava e scendeva dal letto a sua volta, per poi rimettersi a dormire abbracciato al suo fratellino.
Vista la frequenza con cui questo accadeva, la loro madre aveva sistemato sul pavimento di pietra un tappeto spesso e morbido ed una coperta.
Thorin osservò Fíli avvicinarsi al suo fratellino e chinarsi su di lui. Sembrava un po’ meno agitato di prima.
Quasi avesse percepito la sua presenza, Kíli si stiracchiò e aprì gli occhi. Vedendo il fratello torreggiare su di lui, sorrise radiosamente ed allungò le braccia. Si aggrappò al collo di Fíli, obbligandolo a chinarsi di più, e a quel punto gli stampò un bacio sonoro sulla guancia.
Fíli emise uno squittio di protesta, ma il più piccolo rise – una risata a dir poco deliziata.
Alle orecchie di Thorin, suonò al contempo come un balsamo e come un dolore.
Poi Fíli ricambiò l’abbraccio, e si rotolò sul tappeto insieme a Kíli. Erano avvinghiati l’uno all’altro, e i capelli biondi di Fíli e gli occhi scuri di Kíli – che ora cercava di liberarsi – saltarono all’occhio di Thorin.
Per un momento, un raggelante momento che gli tolse il fiato, a Thorin parve di vedere del sangue insudiciare i ciuffi dorati di Fíli, e gli occhi splendenti di Kíli gli parvero privi di vita. Poi il più piccolo strillò e l’altro lottò per tenerlo fermo, e quell’attimo terribile passò.
D’impulso, Thorin si avvicinò ai suoi due nipoti. I due bambini si fermarono un attimo, stretti l’uno all’altro, e lo guardarono ad occhi sgranati.
Lui, allora, prese la coperta lì accanto, e con un gesto fluido la avvolse attorno a quei due furfanti. «Vi ho presi!»
La risata argentina di Kíli esplose subito, e stavolta fu accompagnata da quella di Fíli.
Thorin attirò bambini e coperta contro il proprio petto… e mentre Kíli si dimenava con un anguilla senza smettere di ridere, Fíli diede una manata al braccio dello zio.
Poco a poco, smisero di agitarsi, e ai gridolini si sostituirono degli sbadigli assonnati. Non fu una sorpresa. Sì, era mattina, ma dopotutto Fíli si era svegliato prima dell’alba, e Kíli certo non si alzava col sole.
Cautamente, Thorin permise ai due bambini di rannicchiarsi sul tappeto.
«Zio?» biascicò Fíli, mezzo addormentato. «Non voglio stare senza adad».
Thorin respirò bruscamente, ma prima che potesse pensare a una risposta il bambino era già sprofondato nel sonno.
Lui tese una mano verso i suoi capelli biondi, poi la ritirò con una stretta al cuore. Rimase semplicemente lì, in ginocchio accanto ai suoi nipoti addormentati.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo passò, ma ad un certo punto udì un rumore, e voltandosi vide Dís sulla soglia della stanza.
Sua sorella era di un pallore spettrale, e il dolore le segnava il volto. Si era tagliata la barba scura in segno di lutto, notò Thorin, ora era molto corta. Più corta persino della sua, che lui non lasciava crescere in memoria di coloro che erano periti tra le fiamme di Smaug.
Senza dir nulla, Dís venne a sedersi sul pavimento accanto al fratello. Non lo guardò, posando invece gli occhi sui propri figli.
Fíli e Kíli erano stretti l’uno all’altro, le boccucce semiaperte, il respiro regolare.
«Non hanno ancora compreso quanto è accaduto, vero?» sussurrò Dís, la voce roca.
Prima che Thorin potesse rispondere, lei inclinò il viso per osservare Fíli, e venne percorsa da un tremito.
«Dís?» chiamò sommessamente suo fratello.
Lei girò la testa verso di lui e lo guardò con aria desolata. «Gli somiglia così tanto» si limitò a dire, la voce incrinata.
Thorin esitò. «Lo so».
Dís si passò una mano sul volto. «Voglio che partecipino anche loro» disse poi. «Al suo funerale, intendo». I suoi occhi azzurri, di solito così sicuri, parvero improvvisamente incerti. «Sei d’accordo? O forse sarebbe meglio se non lo vedessero. Pensi…»
«No, credo sia giusto» la interruppe Thorin. «Devono dire addio al loro padre».
Lei gli rivolse un sorriso tremulo, e andò a poggiare la testa sulla sua spalla. Thorin rimase immobile, respirando il suo odore familiare e desiderando con tutto se stesso di poter alleviare il suo dolore.















Note:
A quel che pare, non posso proprio astenermi dal scrivere su questa famiglia.
Il titolo, a prova del fatto che la mia originalità fa davvero schifo, significa ‘la morte del padre’.
Mi auguro con tutto il cuore di non aver scritto idiozie (sì, sono molto preoccupata, va bene?). Grazie per aver letto :)
Quasi dimenticavo! Pubblicherò la seconda e ultima parte questo sabato, il 28 febbraio.
  
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