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Autore: Lally30    07/12/2008    7 recensioni
Questa è la storia di Hinata e Naruto, una storia che racconta di due vite apparentemente distaccate ma che in realtà sono sempre state legate da una connessione profonda la quale, senza che se ne rendessero conto, li ha sempre tenuti uniti.
Due vite, dunque, inconsapevolmente intrecciate da un vincolo indissolubile, legate da un passato malinconico e riunite dal destino in un luogo dove avrebbero voluto in realtà dimenticare tutto. I due giovani invece dovranno fare i conti con i loro problemi, ma troveranno via via e sempre più nell'altro la forza di reagire ai tormenti del loro passato.
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Tratto dal cap. 14:
Lo stavo ferendo, se non avessi detto nulla avrebbe sofferto e lo avrei perso… lui mi aveva confidato probabilmente il più grande segreto che si portava dentro da tutta la vita dandomi la sua completa fiducia ed io? Come lo ripagavo? Dal momento che non sapevo dimostrargli il mio affetto e la mia compassione a parole, decisi allora di farlo con i gesti.
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Versione revisionata, modificata in alcune parti e corretta (Settembre 2016).
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Ino Yamanaka, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Prologo

Mi chiamo Hinata Hyuga, ho 18 anni e attualmente vivo a New York.
Ho i capelli lunghi fino a metà schiena di un bel colore corvino, secondo le mie amiche ho un fisico ben formato e proporzionato e loro mi invidiano per questo. In realtà io non ci credo molto e non ritengo affatto di essere una bella ragazza, nonostante le loro insistenze, proprio per questa ragione vesto sempre con abiti tendenti al nero e più larghi di due taglie in modo da confondermi alla massa ed evitare di essere presa in giro per la bellezza che non possiedo.
Una delle caratteristiche che mi distingue da tutti sono i miei occhi, essi sono molto chiari di una tonalità tendente al bianco… molti li trovano impressionanti, mentre molti altri ne rimangono affascinati. Questi occhi sono geneticamente tipici della mia famiglia. Precisamente provengono dal ramo di mio padre, discendente di uno dei clan più prestigiosi, apprezzati e longevi del mio paese d’origine. Mio padre è la persona che stimo più di ogni altra al mondo per il suo modo così sicuro e spontaneo di intrattenere rapporti d’affari e per il suo grande sapere rispetto alle tradizioni della nostra cultura. Ciò nonostante il mio profondo rispetto nei suoi confronti non basta… ricevo moltissimi scoraggiamenti da lui. Sembra strano ma invece di apprezzarmi per le cose che faccio e amarmi incondizionatamente in quanto mio padre egli mi disprezza, mi ritiene una nullità ed incapace di portare prestigio all'azienda di famiglia come del resto fanno mio cugino Neji e mia sorella minore Hanabi. Fin da piccolina avevo sempre manifestato un carattere buono, calmo e gentile verso tutti, ma per mio padre queste erano caratteristiche sinonimo di timidezza e mancanza del temperamento che serviva per farsi strada nella vita. Secondo lui possedevo tutte connotazioni per nulla adatte a prendere le redini della famiglia in quanto futura ereditiera. Ogni mio più piccolo sbaglio lo faceva diventare un macigno da portare sulle spalle come una condanna. Una condanna ingiusta che si manifestava all'occorrenza per ricordarmi quanto fossi una persona inadatta a vivere in una società come la nostra, piena di squali pronti a surclassarti al tuo primo cedimento. "Sei inadatta, inadatta, inadatta…" me lo ha ripetuto talmente tante di quelle volte che alla fine ho iniziato a crederci anche io, infatti le sue parole mi hanno sempre fatto soffrire enormemente, molto più degli sbagli stessi che commettevo. Più ricevevo rimproveri ed insulti e più diventavo timida ed insicura, dunque più diventavo timida ed insicura e più commettevo errori come intrappolata in un circolo vizioso dal quale trovavo via di fuga solamente chiudendomi in me stessa e rifugiandomi nella musica, la stessa tanto amata ed apprezzata dalla mia venerata e defunta madre. Come mi manca mia madre… lei morì quando avevo tre anni ed era l’unica che mi incoraggiava e mi difendeva dalle angherie di mio padre. Mia madre era una cantante lirica molto conosciuta ed apprezzata nel mio paese per la sua bravura, la sua grazia e la sua bellezza quasi eterea. È stato un grande lutto per la mia famiglia, la sua morte dopo una brutta malattia suscitò grande commozione anche all’intero paese… mio padre da allora divenne ancora più ostico e severo nei miei confronti. In ogni caso mi sento orgogliosa di dire che questo non mi ha fermato del tutto, perché nonostante le sue contrarietà e disappunti io amo fare ciò che faccio e amo immaginare di farlo mentre mia madre canta al mio fianco… è l’unico modo per sentirla vicina e per sentirmi al sicuro.
Non è un caso infatti che ho appena iniziato a frequentare la Julliard school, l’università di arti sceniche più famosa d’America e precisamente faccio parte della divisione musicale, si perché sono una pianista e lo sono da quando dei parenti mi regalarono all’età di quattro anni un piccolo pianoforte giocattolo per poi fare un passo di qualità a sei anni nel momento in cui mio padre mi comprò un pianoforte vero… se non ricordo male quello fu l’unico gesto d’affetto che lui fece nei miei confronti, l’unico gesto d’amore, l’unico gesto gentile che porterò sempre nascosto nel mio cuore.
Da sempre provavo il desiderio di entrare in questa prestigiosissima università ed era l’unico punto sul quale mio padre, per quanto ne avesse da ridire, non mi avrebbe mai fatto cambiare idea. La mia determinazione su questo aspetto la portavo avanti non solo perché volevo migliorare il mio talento musicale oltre confini che altrimenti non potrei nemmeno sfiorare e più diventavo bava e più sentivo la vicinanza di mia madre, ma soprattutto proprio per fargli cambiare opinione e per dimostrargli che su questo argomento ho sempre avuto ragione. Sulla musica non poteva dirmi che ero una nullità perché diamine sono brava! Lo sono veramente. Sarò in grado di fargli vedere che suonare il pianoforte non è una perdita di tempo e che anche io, misera nullità, troverò il mio posto nel mondo anche se questo non è ciò che desidera per me… ma non mi importa perché io diventerò una grande pianista.
Quasi dimenticavo di dire che sono nata in Giappone, a Tokio precisamente e li trascorsi un’infanzia pressoché infelice per poi passare ad una tragica adolescenza, si perché da quando misi piede alla scuola media, precisamente la più facoltosa della città, la mia vita divenne addirittura più infernale di quello che già non fosse a casa. Ancora non ne so il motivo… non so perché i miei compagni di classe mi trovassero ridicola ed insulsa, forse perché  ero la classica secchiona che portava gli occhiali con una montatura alla Harry Potter e le treccine alla Pippi calza lunghe e non solo, ero piuttosto alta per la mia età, allora undici, con un fisico mingherlino e debole senza praticamente la presenza di curve e diciamo che gli evidenti foruncoli presenti sul mio viso non contribuivano a migliorare la mia figura o forse provavano anche risentimento per via delle mie origini familiari esternamente invidiabili da tutti. Ma non erano solo questi i motivi che aizzavano le prese in giro dei miei compagni di classe, infatti a dare maggiore spinta ai loro rimproveri era il mio carattere eccessivamente timido e poco aperto ad instaurare nuove amicizie. Avevo già alla mia giovane età problemi di pressione, soffrivo di ansia e spesso avevo giramenti di testa ed è per questo che mi ritrovavo sovente a svenire nei corridoi o in classe senza che nessuno dei miei compagni mi aiutasse… tutto ciò contribuiva a classificarmi come una persona strana e solamente gli insegnanti avevano l’accortezza di soccorrermi o mandarmi in infermeria, per il resto della classe ero solo un giocattolo senza difese da maltrattare e rompere a loro piacimento.  Vivevo una vita tremendamente infelice: sofferente nell’ambito familiare, impostata alle regole della scuola, sottostante alla rigidità dell’insegnamento e per di più avevo dei compagni di classe che sfogavano tutte le loro frustrazioni su di me… nessuno escluso.
È stato proprio per questo che una volta giunta alle superiori ho voluto frequentare un liceo lontano dalla mia città, non mi importava di svegliarmi due ore prima per prendere in tempo il treno e per arrivare in orario a lezione perché volevo ricominciare senza ritrovarmi con i miei vecchi compagni. Purtroppo avevo troppa paura ad espormi e a fare nuove amicizie, non volevo essere nuovamente sottomessa e derisa da tutti. Così mi limitavo al minimo indispensabile per quanto riguarda i rapporti sociali, cercavo di farmi notare il meno possibile e di evitare le persone in modo da essere ignorata. Sapevo benissimo che essere ignorati non era il massimo della vita, ma per lo meno non sarei stata vessata in continuazione e la cosa mi andava bene perché così avrei evitato di diventare nuovamente lo zimbello della scuola. Passavo la maggior parte del tempo libero dalle lezioni nella vasta biblioteca del liceo, molto spesso evitavo di mangiare per cercare di isolarmi ancora di più. Durante i lunghi momenti trascorsi in biblioteca conobbi due ragazze con cui mi sentivo abbastanza bene in quanto interagivamo per lo più come gruppo di studio ed erano calme, timide e riflessive proprio come me. Ciò nonostante non ero mai riuscita a sentirmi completamente a mio agio con loro fino all’ultimo anno scolastico, periodo in cui riuscii a ritenerle delle vere amiche dalle quali provai un profondo dispiacere a separarmene.
Nel ricordare il mio periodo buio alla scuola media mi viene in mente che la mia era una classe mista cui la maggior parte degli alunni erano ragazzi. Se non ricordo male c’erano pressappoco tredici ragazzi e otto ragazze o più, ma tra loro c’era il capetto, insomma il bullo che ce l’aveva con me più di tutti gli altri. Era lui la persona che metteva contro di me il resto della classe, era lui che mi etichettava come un soggetto da evitare per tutta la scuola, era per colpa sua se a pranzo mangiavo sempre da sola in compagnia di me stessa e delle mie lacrime silenziose, era per colpa sua tutta sua… e ancora mi ricordo il suo volto, ancora mi ricordo i suoi gesti feroci e le sue cattiverie verso una ragazzina di undici anni, ancora mi ricordo il suo nome, ancora mi ricordo di Naruto Uzumachi.
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Spazio dell’autrice:

lo so, lo so… ho ancora due fan fiction da terminare e ne scrivo un’altra, per favore non uccidetemi, è solo che quando l’ispirazione chiama non puoi far altro che ascoltarla, ma non vi preoccupate ho assolutamente intenzione di andare avanti con le altre mie storie e in futuro (spero non molto lontano) di terminarle…

beh confidando nei vostri buon cuori vi chiedo di dirmi ciò che pensate di questa mia ultima creazione apparsami come un fulmine a ciel sereno portandomi all’assoluto bisogno di scriverla… comunque vi avverto che gli aggiornamenti non saranno molto frequenti… allora fatemi sapere ciao ciao.

 

  
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