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Autore: Koira    23/02/2015    0 recensioni
'Riconobbi a me stessa di amarlo: amavo tutto di quel ragazzo, dai capelli rosso fuoco all’andatura incerta e buffa. Amavo persino i suoi vestiti, vecchi e logori– ma sempre puliti - , e addirittura amavo quel suo modo spesso sgrammaticato di parlare, che mi faceva terribilmente infuriare'.
Riflessioni di Hermione dopo l'allontanamento di Ron, a metà della loro ricerca degli Horcrux.
Vi prego, recensite! ^^
*Nella FF sono presenti frasi tratte da 'Harry Potter e il Calice di Fuoco' e 'Harry Potter e i Doni della Morte'.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Phineas Nigellus Black, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Il più solido piacere

 

Se ne era andato.

Non volevo accettarlo, non riuscivo proprio a capacitarmene, ma era così. Continuai a chiamarlo altre dieci, forse venti volte, strillando il suo nome nell’oscurità, ma nulla: a rispondermi c’era solo la mia eco, beffarda. Pioveva già da un po’, quando iniziammo a litigare: io, lui ed Harry. Ron era infastidito perché si sentiva escluso dalle nostre conversazioni, e lo capivo, ed era preoccupato per le sorti della sua famiglia, ma sospettavo che in realtà molto dipendesse dal fatto che indossava l’Horcrux da giorni. Avevamo deciso di portare al collo quel brutto e pesante medaglione a turno, per evitare che esercitasse troppo a lungo le sue influenze negative su ciascuno di noi. “Togliti il medaglione, Ron”, gli avevo detto, “non parleresti così se non l’avessi tenuto addosso tutto il giorno”. Ma le mie parole non avevano sortito l’effetto desiderato. O meglio, il medaglione alla fine l’aveva tolto, gettandolo su una sedia, ma ci aveva pure abbandonati. “Tu cosa fai?” , aveva chiesto, rivolto a me. In quei pochi secondi, lo ammetto, avevo pensato seriamente di seguirlo, di andarmene con lui fino in capo al mondo, lontana da tutto e da tutti: da tutta quella violenza e sopraffazione, da una realtà troppo crudele e disumana per accettarla così com’era. Sarebbe stato stupendo poter fuggire, no? Sposarsi, costruirsi una famiglia, senza pensare a null’altro se non a noi due.

Stupendo e facile.

Troppo facile.

Ripensai alle parole di Silente al quarto anno, dopo la morte di Cedric:

“Ricordatevi di Cedric. Quando e se per voi dovesse venire il momento di scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile, ricordate cos’è accaduto a un ragazzo che era buono, e gentile, e coraggioso, per aver attraversato il cammino di Voldemort. Ricordatevi di Cedric Diggory”

Abbandonare Harry … come avrei potuto farlo? Con quale coraggio avrei potuto abbandonare il mio migliore amico e tutto il mondo magico, per un’utopia egoistica? Non potevo, appunto. Non potevo arrendermi e darla vinta a Voldemort e a tutti i suoi seguaci, i Mangiamorte, folli purosangue imbevuti di una concezione totalmente arretrata e dissennata della realtà. Fanatici, li avrebbe definiti Voltaire. “Sì … Sì, io resto, Ron”, avevo dichiarato alla fine, ferendo più me stessa che lui. Salvo poi inseguirlo lungo la foresta, gridando il suo nome al vento – un urlo soffocato dal frastuono della pioggia - , senza ottenere risposta alcuna.

Ero letteralmente inzuppata, quando rientrai in tenda.

<< E’ … an-an-andato! Si è smaterializzato! >> dissi ad Harry, in preda alle lacrime.

Mi gettai sulla sedia più vicina, raggomitolandomi su me stessa, e piansi. O, se piansi. Quella notte versai più lacrime che in tutta la mia vita, non potrò mai scordarlo. Harry, da parte sua, più che addolorato sembrava sconvolto, incredulo di quanto accaduto. Prese una coperta di lana dal letto di Ron e me la gettò sulle spalle, per poi stendersi sul suo di letto. Quel suo gesto così affettuoso e carico di premura mi colpì, ma non poté che peggiorare la situazione; con addosso la coperta di Ron, potevo sentire il suo inconfondibile profumo, che mi attraversava, ad ogni inspirazione, le narici, penetrando nei miei polmoni, nel mio corpo. E tenendomi compagnia, nella lunga notte che trascorse.
Il mattino seguente ebbi la certezza assoluta che il tutto non era stato uno spiacevole incubo: Ron non c’era, quando mi alzai. Doveva essere prestissimo, forse le sei, o poco più tardi. Sapevo che il miglior modo per non pensarci fosse tenermi impegnata, mentalmente o fisicamente. Scelsi la seconda opzione, e mi dedicai alla preparazione della colazione. Dopo qualche minuto si alzò Harry, dandomi il buongiorno. Non risposi, e distolsi rapidamente lo sguardo: non volevo che mi vedesse in quelle condizioni. Da quando mi ero alzata, avevo rifiutato di guardarmi allo specchio, ben consapevole del mio mostruoso aspetto; e l’espressione del mio amico, quando gli versai le salsicce nel piatto, me ne diede la conferma. Occhi gonfi e rossi, capelli arruffati e occhiaie blu-violacee erano ben evidenti, riflesse sugli occhi di Harry. Facemmo colazione nel più totale silenzio. Harry insistette per lavare i piatti, convinto di farmi un favore, ma in realtà mi diede solo del tempo in più per pensare a Ron; guardando fuori dalla finestra, non feci che sperare che, tra gli alberi, comparissero i suoi capelli rosso fiammante da un momento all’altro. Cosa che non accadde. Persi più di un’ora per preparare la mia valigia, rifiutando di ricorrere a qualsiasi incantesimo; sapevo perfettamente che, una volta abbandonata quella postazione in riva al fiume, Ron non sarebbe più riuscito a trovarci. E mi faceva male, terribilmente male. Alla fine ci Smaterializzammo, minacciati dal fiume fangoso in piena, e ci trasferimmo in un nuovo rifugio, in cima ad un colle coperto d’erica. Una volta lì, non riuscii a trattenere le lacrime, che mi bagnarono il volto per quasi tutto il resto della giornata, impedendomi anche solo di proferire parola. Fu Harry ad occuparsi degli incantesimi di protezione, nonché della cena, quella sera. Sospettavo che si sentisse in colpa, frustrato dai continui fallimenti dei nostri progetti e dal fatto che, in diversi mesi, non avevamo ottenuto nessun risultato, come giustamente aveva esclamato Ron. Divorai i suoi wurstel bruciacchiati come se fossero pizza e patatine fritte, talmente ero affamata, desiderosa di riempire, in qualche modo, il vuoto immenso che Ron aveva lasciato dentro di me.

<< Non pensavo che ti sarebbero piaciuti >> commentò Harry, meravigliato.

Probabilmente pensava di aver fatto un buon lavoro con la cucina, perché nei giorni successivi si offrì spesso di preparare da mangiare per me, senza molto successo.

 

***********************************************

Sette. Erano ormai sette giorni che Ron se ne era andato, quando tirai fuori dalla mia borsetta il ritratto di Phineas Nigellus, alla ricerca disperata di una compagnia diversa da quella di Harry.

<< Non parlerò fino a quando non mi avrete tolto questa maledetta benda dagli occhi! >> si ribellò Phineas, da dentro il quadro.

<< Come le ho già detto, è una precauzione necessaria, signor Nigellus >> gli dissi, leggermente rallegrata.

Non potevo negare che quell’uomo fosse bizzarro e divertente, nonostante la sua discutibile passione per i Serpeverde e per Piton.

<< Lurida Mezzosangue … Fortunatamente, ad Hogwarts il magnifico professor Piton sta cambiando le cose. Rigore e disciplina, prima di tutto >>.

<< Cosa? Cosa ha fatto Piton? >> intervenne Harry, visibilmente preoccupato.

<< Ragazzo, le cose sono cambiate, ormai. Quell’uomo è un genio. Ha reintegrato i vecchi provvedimenti della Umbridge: niente riunioni di tre o più studenti! >> esclamò Phineas, con aria trionfante.

Decisi di lasciare quei due da soli: nonostante fossi stata io a tirare il ritratto di Nigellus fuori dalla borsetta, non avevo più voglia di sentirlo parlare di ingiustizie e violenze sulle quali non potevamo intervenire in alcun modo. Impugnai “Le Fiabe di Beda il Bardo” e il dizionario runico e mi lasciai cadere sul letto, mettendomi a leggere. Era così da quando ero bambina: leggere era l’unico modo per non pensare, per “spegnere il cervello e accendere il cuore”, come diceva mio padre. Alle “Mille e una notte”, però, si era ormai sostituita quella raccolta di favole del Mondo Magico, che Silente mi aveva lasciato in eredità. Aprii una pagina a caso, e mi si presentò davanti una storia dal titolo “La fonte della buona sorte”. Iniziai a leggerla, trovandola sin da subito magnifica. Narrava le vicissitudini di tre streghe, Asha, Altheda e Amata, e di un cavaliere, diretti ad una Fonte miracolosa, la “Fonte della Buona Sorte”, capace di lenire le loro sofferenze. Il cavaliere si chiamava Messer Senza- qualcosa, senza … Diedi un’occhiata al dizionario runico: Senzafortuna. Lessi la storia tutta d’un fiato, rivedendomi nel personaggio di Amata, sofferente perché abbandonata dall’amore della sua vita. La morale del racconto mi colpì: arrivati alla Fonte, le tre streghe si capacitarono di non averne bisogno, mentre il messere si bagnò nelle sue acque, convinto di poterne trarre guarigione. E ne uscì innamorato di Amata, alla quale chiese la mano, ottenendo risposta positiva. Era chiaro: la Fonte non aveva alcun potere, erano stati loro e tutta la gente ad insignirla di una capacità di cui essa era totalmente priva. Anche in quel racconto, Silente aveva voluto lasciare un commento, appena abbozzato con la sua esile scrittura a fondo pagina:

“Quando ero ancora insegnante di Trasfigurazione, si tentò di inscenare la storia in una recita scolastica, ad Hogwarts, ma senza successo. Ero ignaro, ahimè, dell’esistenza di un triangolo sentimentale tra tre dei protagonisti, e la cosa decretò il fallimento della rappresentazione scenica. Oltre al fatto che il serpente che usammo per la recita, durante la serata, si rivelò essere un pericoloso Ashwinder, incendiando tutta la sala e ferendo diversi studenti e professori. Fu inoltre l’origine dell’ inimicizia, ancora accesa, con Lucius Malfoy ”.

Malfoy …. Chiaro che non gli piacesse quella storia: Amata era una nata Babbana, e quando mai si era visto, a quei tempi, che un siffatto essere inferiore sposasse un Mago?

Chiusi il libro e mi misi a pensare. Pensai a molte cose: all’infelicità di Amata, abbandonata dal suo amore come io lo ero stata da Ron, e soprattutto a quanto potente sia l’illusione. Ma certo, l’illusione che qualcosa sia vero quando in realtà non lo è. L’illusione di riuscire a sconfiggere Voldemort, per esempio, distruggendo tutti gli Horcrux; l’illusione di farcela a sopravvivere altri mesi, anni forse, in quelle condizioni. L’illusione, soprattutto, di rivedere Ron, e magari di baciarlo, per la prima volta, unendo i nostri corpi in un caldo abbraccio, e magari anche di sposarlo e di avere figli. Riconobbi a me stessa di amarlo: amavo tutto di quel ragazzo, dai capelli rosso fuoco all’andatura incerta e buffa. Amavo persino i suoi vestiti, vecchi e logori– ma sempre puliti - , e addirittura amavo quel suo modo spesso sgrammaticato di parlare, che mi faceva terribilmente infuriare. Potevo illudermi di rivederlo? Di avere un futuro con lui, nonostante tutto quello che era successo e che ancora ci aspettava? Di amarlo persino nei suoi momenti di maggiore debolezza, in cui a un tempo lo detestavo? Mi venne in mente una frase di Giacomo Leopardi, un poeta italiano: “Il più solido piacere di questa vita, è il piacere vano delle illusioni”.

Ma sì, mi dissi. E’ così bello lasciarsi andare alle illusioni, “spegnere la mente e accendere il cuore”.

E passai il resto della giornata a pensare a Ron, illudendomi che anche lui, da qualche parte, fosse intento a fare la stessa cosa.  

   
 
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