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Autore: crimsontriforce    07/12/2008    2 recensioni
Il velo posto dai due attori sul loro palcoscenico è squarciato: decine di mondi soffrono tramite l'unico che può prestar loro voce. Non basta.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Achenar, Atrus, Catherine, Nuovo Personaggio, Sirrus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '3. Storia antica ma non troppo'
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A prompt grotta e sangue, per il bel concorso “Gli elementi del contenuto” indetto da AkaneMikael sul forum.


Disclaimer: Gli avvenimenti narrati sono frutto di fantasia. Non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle persone descritte né offenderle in alcun modo. Se possibile, anzi, il tutto è da intendersi come tributo di affettuosa stima.











Quando fu tempo di scegliere una parola che racchiudesse tutte le intenzioni, le speranze e l'amore per l'Era appena terminata, Catherine scrisse senza esitare “Serenia” sulla copertina.
Non si sorprese di scoprire, come spesso accadeva quando le sue improbabilità statistiche si rivelavano abitate, che lo stesso nome fosse quello scelto dalla gente del luogo per la propria terra. Un mondo di acque e pietra, dai colori soffusi, non lontano in spirito dalla sua Riven eppure da essa nettamente distinto, come lo è un sogno dalla realtà che l'ha originato.



Terra tradisce, cuore non vede







La loro biblioteca su Myst si era allargata molto, da quel giorno. L'isola stessa era cambiata.
Quando Achenar e Sirrus ebbero imparato a gattonare, correre e tuffarsi, aveva perfino iniziato a sembrare troppo piccola.
Anna era morta su un mondo lontano ed era calato il silenzio.
Ogni gioia nello scrivere le fu tolta da quel lutto che li colpì tutti con una violenza da cui non si sarebbero più ripresi e a Catherine, col cuore pesante, non restò che iniziare un doloroso processo di riappacificazione con le sue creazioni, colpevoli senza possibilità di appello della sciagura. Le avrebbe riscoperte in privato, come una bambina, e studiate con rigore maturo finché, dopo sei anni, quaranta o forse mai, non fosse stata nuovamente certa di sé e delle sue parole.

La sua serenità era così affidata unicamente a tre persone e due Ere: la prima era la sua Myst, in cui ogni rivolo di vento portava con sé il suo antico tocco di libertà gioiosa assieme a quello dolce e pratico di Anna.
La seconda era tradita dal nome stesso: Serenia.

Catherine era solita meditare lì, quando il giorno glielo permetteva. Raramente si allontanava dalla grotta che lei e Atrus avevano eletto a primo punto di Collegamento. Pur amando la foresta di pietra che si stendeva fino alla riva e cedendo talvolta alla tentazione di percorrerne i sentieri per ammirare la Camera della Memoria, con i suoi petali bianchi e carnosi che s'innalzavano a toccare il cielo, il più delle volte restava semplicemente lì, protetta dalla pietra scura, in grembo a un'Era misteriosa e femminile. Nel punto di contatto fra ‘qui’ e ‘altrove’, luogo di simboli, cordone ombelicale che legava Serenia a Myst e a tutti i mondi che da lì si dipanavano.
Seduta su una stuoia, con la schiena appoggiata alla pietra liscia del pilastro, Catherine si delineava per contrasti e paralleli.

Il Sogno impregnava ogni aspetto dell’Era: era la faccia nascosta di ogni cosa, saggia e cosciente. Era indicazione certa del domani, memoria, consolazione; era gli antenati che continuavano a guidare i vivi con amore. Era il pilastro della società, mostrato, regolamentato, noto e interpretato.
Ed era gioiosamente semplice lasciarsene condurre verso visioni nitide e sicure, che terminavano però in circolo, senza la forza di spingersi oltre i confini dell’Era. Serenia era il Sogno; il Sogno era Serenia. Un cerchio perfetto di pace.

Non era, quindi, la forza che l’aveva sorretta fin da bambina: simile in superficie, ne era ancora una volta distinto quanto il sonno dalla veglia. Lasciava le Protettrici del Sogno ai loro studi, sedeva al centro della grotta e lo osservava da ospite estranea e gradita. Nell’osservarlo, trovava se stessa.



Quando vide uno schizzo di sangue per terra, sulle prime non gli diede importanza.

Tornò quattro giorni dopo e lo schizzo era diventato una piccola pozza fresca, quasi fosse colato dal centro esatto del soffitto. La volta di roccia sopra la sua testa era intonsa.





~/~

La macchia cresce. Anche oggi: impercettibile all’osservazione diretta, sono tuttavia sicura che quando me ne sono andata fosse più grande.
Chiederò a Raan alla prima occasione. Non mi sembra una manifestazione del loro Sogno, ma in fondo come posso dirlo con certezza, se mi sono sempre tenuta lontana da quelle tradizioni? Domandare non costa nulla… al contrario, la superbia può avere un caro prezzo.
E inizio a essere inquieta.


~/~





“Atrus?”
Suo marito alzò il naso dai suoi lavori e la salutò con un sorriso radioso impiastricciato di olio e polvere.
Catherine si avvicinò piano, incerta.
“Fra quanto partirai per Stoneship?”, chiese infine.
Atrus si sistemò gli occhiali e osservò con aria critica il macchinario di fronte a sé.
“Una settimana… dieci giorni al massimo. Appena avrò finito con questo.”
“Emmit ne sarà entusiasta.”
“Non ci vediamo da anni. Un piccolo regalo è il minimo che cortesia richieda”, annuì lui. Si voltò a guardarla chinando la testa da un lato. “Sei venuta fin su Selenitic per chiedermi questo?”
Catherine scosse il capo.
“Volevo stare un poco con te”, rispose, ed era buona parte della verità. Si inchinò per stampargli un bacio in punta di naso e tornò a passi lenti verso il Libro.

Atrus rispettò il suo riserbo, ma la osservò turbato finché non si fu Collegata a casa e si rimise all’opera con difficoltà, persa ogni concentrazione.





~/~

Raan è stata inaspettatamente gentile: non condivide la competizione che in qualche modo sento nelle sue compagne più anziane.
Ed è un peccato, perché per loro non vorrei essere un'intrusa né una potenziale minaccia.

Oltre alla gentilezza, però, dalla ragazza ho ottenuto ben poco se non un indizio e qualche ipotesi raffazzonata.
Il dato certo: nessuna di loro ha visto nulla. Per lei e per le altre Protettrici, il suolo della grotta è pulito come sempre – mentre me lo diceva, ai miei occhi stava lasciando impronte rosse su tutto il perimetro.
Cosa questo significhi: non lo so.
La cultura di Raan la porta a offrirmi due possibilità. Non credo, in tutta onestà, che quest'Era mi stia rifiutando (e nemmeno lei ne pareva convinta). La sua seconda idea può invece avere radici più profonde: se il messaggio fosse destinato a me soltanto? Spiegherebbe molto. Ancora non mi aiuta, però, a svelarne il significato. Serenia sanguina? La grotta? O che altro ancora?

Non vorrei distrarre Atrus dai preparativi per il viaggio, ma non nego che sarei più serena se sapessi che sta lavorando al problema con la sua logica, il suo metodo.

~/~





Se i miei augusti genitori richiedono ancora la nostra presenza per la sera concordata, recitava con grafia svolazzante un foglio in bella mostra sul tavolo di cucina, avrò cura di stanare il mio recalcitrante fratello e renderlo presentabile per una cena almeno. Non sarà impresa semplice, ahimé! Ma confido nelle mie risorse. Distinti saluti, Sirrus

Catherine rise. I rapporti con i suoi figli si facevano più e più distanti, limitandosi a incrociarsi nei loro brevi passaggi su Myst o per un raro pasto insieme. La prospettiva della cena la rallegrava: aveva piacere di vederli nuovamente girare per casa e Sirrus si era mostrato essere un conversatore colto e brillante. Anche troppo brillante, a tratti, ma sua madre aveva da tempo concluso che dovesse essere il suo ultimo modo di dimostrarsi superiore a tutti e in fondo, per il suo ristretto pubblico, era un modo ben più piacevole di altre fasi attraverso cui era passato in gioventù.


***





Tornò su Serenia nel momento in cui una nuova goccia si staccava dalle stalattiti e smuoveva la superficie rossa, ora larga quasi quanto la grotta stessa. Le gambe non la reggevano. Si appoggiò al muro, alla roccia solida, e senza lasciare quel sostegno strisciò fino all'esterno. Caddero altre tre gocce. Cresceva a dismisura.
Sul prato, si lasciò cadere per terra e, portandosi le mani al petto, le sembrò di respirare per la prima volta dacché si era Collegata.
L'aria fresca la purificò dall'oppressione e lentamente, inspirando a fondo, riacquistò il controllo dei suoi pensieri, dei suoi muscoli, per ultimo del suo stomaco, chiuso come in una morsa. Si rialzò. Ammirò il lago e le montagne in lontananza, facendo sua la loro calma. Abbassò lo sguardo e si sentì mancare: il sangue era arrivato fino al fiume, un rivolo rosso che si insinuava nelle sue acque calme e scompariva oltre un'ansa.
Vuoi che ti segua?
Qualunque cosa fosse, per orrendo che fosse secondo l'istinto e secondo ogni simbologia a lei nota, non le aveva fatto del male. Decise di fidarsi.
Camminò sull'erba seguendo quel filo di sangue, che non s'ingrossava né si disperdeva nella corrente. Il prato lasciò spazio alle rocce e il fiume a una piccola cascata. Catherine si tolse le scarpe, si legò i lacci in spalla e la seguì senza indugi, sentendosi tornare bambina. Riven, Riven, Riven, casa, gridavano i suoi ricordi, e forse qualcosa in più.

Il fiume la portò dietro la vecchia Camera della Memoria, ancora maestosa nonostante il suo gigantesco fiore fosse ormai appassito. Vi girò attorno, cercando di capire se fosse quello che la sua visione voleva mostrarle, ma ogni entrata era sigillata e ovunque aleggiava un'aria di abbandono e decadimento. Perfino gli spiriti e le creature eteree che pervadevano l'aria di Serenia evitavano quella parte dell'isola, lasciandone dominio incontrastato a soffioni e sterpi.

Ritornò per il sentiero, senza disturbare ulteriormente quel luogo di morte.

Poco dopo, l'acqua del pozzo si abbassò e Achenar risalì una scalinata segreta con aria soddisfatta.
Sirrus è un genio, avrebbe scritto sul suo diario. Non sono certo di come ce l'abbia fatta ma, a giudicare dai risultati del suo primo test di oggi, sembra proprio che ce l'abbia fatta. Quasi mi spiaceva per il topo.



Non ti capisco, pensò Catherine tornando in vista della grotta e del fiume. Cosa vuoi da me?
Il sangue taceva, ma si era mostrato solo a lei, in un'Era di prodigi e visioni, ed era determinata a scoprire perché.

A modo suo, decise di affrontarlo. Dominò il disgusto e sedette sul piedistallo, reggendo in grembo il Libro di Myst. Chiuse gli occhi, si estraniò dall'odore che le aggrediva le narici, lasciò andare i pensieri uno a uno e attese che il suo mistero la riempisse con i suoi.
Per lungo tempo non successe nulla. Infine, lo sentì. Distante e confuso, un sentimento basilare, quasi la somma di una moltitudine di voci in cui la singolarità di ognuna si perdesse nel dolore che le accomunava.
Il sangue non le era ostile. Era triste, e la chiamava.

Quindi?


***





L'indomani si svegliò sola nella sua stanza su Myst. L'altra metà del letto era già fredda.
Sul cuscino, un biglietto con quattro note su un pentagramma sbarrato e il consueto “Sempre tuo, Atrus” scribacchiato in fondo.
Nel caso potesse venirmi il dubbio di aver sposato qualcun altro, sospirò Catherine, sedendosi sul bordo del letto e stropicciandosi gli occhi. Girò il biglietto, lo ruotò e lo piegò secondo la linea a penna, senza troppe speranze di trovarvi nuovi indizi. Provò a cantarlo, re mi la fa, ma ancora non le ricordava nulla. Rilesse le note per sicurezza: oltre alla chiave di sol erano proprio re, mi, la, fa... cioè D E A F, riformulò con un'intuizione secondo l'altro uso terrestre, quindi 'sordo' sbarrato, quindi se hai voglia di parlare, sai dove trovarmi. Caro...
Si rimproverò per averci impiegato così tanto tempo ma, in fondo, era Atrus quello dal risveglio veloce. Imputò la disfatta al mattino inclemente, si vestì in tutta fretta e si avviò con passo sostenuto verso l'unico luogo cui un invito scritto in tal modo potesse alludere.

Come dedotto, e mentre ancora rabbrividiva per l'impatto con l'aria gelida, sentì un semplice motivo a una mano provenire da nord, oltre il camminatoio. Il talento di Anna per le arti era precluso alla sua discendenza, ma ciò non impediva loro di dilettarsi di tanto in tanto con quel piccolo organo, ognuno secondo le sue capacità e ben lontano dalle mura domestiche, per il sollievo delle orecchie altrui.
Atrus si attardò su qualche nota quando sentì i suoi passi risuonare sulla chiglia metallica, chiuse con un maldestro accordo e si girò per salutarla.

Scusami”, disse lei. “Non volevo preoccuparti.”
Atrus si alzò e le offrì il braccio. “C'è qualcosa di cui dovrei preoccuparmi?”
“Non lo so.”
“Vuoi parlarmene?”


Si sedettero sull'angolo del camminatoio, reggendosi a vicenda. Il mare, parecchi metri sotto di loro, era grigio e calmo.
Catherine gli appoggiò la testa sulla spalla e gli parlò della grotta e del sangue, di tristezza e di un dolore lontano. Lui chiese del Sogno, dei suoi principi; lei disse di simboli e archetipi e cose imperscrutabili. Il suo metodo e la sua logica tracciavano segni nuovi in un campo familiare: chiedeva di cause e di conseguenze, prendeva appunti, tracciava schemi.
Atrus non amava l'idea di visioni e destino; amava però sua moglie e come questi si manifestavano in lei. A disagio nell'inedito ruolo di consolatore, si strinse nella giubba e strinse a sé la sua compagna.
Ci lavoreremo insieme”, promise. “Stoneship può aspettare. Non vado da nessuna parte finché non avremo risolto questo enigma.”


***





Si Collegarono insieme.
Per Atrus era la prima visita dopo quasi trent'anni: oltre a un vago senso d'inferiorità nei confronti del folklore locale, non aveva mai trovato grandi spunti d'interesse nell'Era. Si tolse gli occhiali protettivi e socchiuse le palpebre, abituandosi alla scarsa luce soffusa della grotta. Colse d'istinto la bellezza delle rocce sedimentarie che la componevano e, guardando all'esterno, non ebbe difficoltà a immaginare un tempo in cui il suo punto di osservazione era stato l'ansa impetuosa di un fiume, ora imbrigliato da chiuse.
Non rimanevano che pozze di fanghiglia e sassi oblunghi erosi dalla corrente. Qualche vaso, forse un'offerta votiva, e frammenti di una stele incisa. Nulla di strano.

Si voltò in cerca di spiegazioni e vide la sua Catherine paralizzata dall'orrore. Spostava febbrilmente lo sguardo da una parete all'altra e sempre verso di lui, scuotendo la testa. Tremava.
Catherine?”, la chiamò, spaventato. “Katran?”
Gli rispose con una secca frase nella sua lingua natale.
Catherine!”
Lontano! Sta' lontano!”, gridò lei in D'ni.
Atrus si bloccò, incapace di comprendere cosa stesse succedendo. Era lui a doverle stare lontano? Tutto era immobile lì dentro. Oltre alle loro parole, si sentiva solo il gorgoglio tranquillo del fiume provenire da fuori.
Lascialo!”, disse, e gli si mise davanti a braccia aperte, come a fargli da scudo.
Vederla così era più di quanto potesse sopportare. Catherine era il suo sostegno e la sua ragione, una forza che procedeva nella vita con grazia propria, con un grado di libertà in più rispetto alle esistenze comuni, non così.
Con la determinazione che solo le situazioni più nere riuscivano a smuovere in lui afferrò il Libro di Myst e, tenendolo aperto, prese Catherine per il polso e le appoggiò a forza la mano sul pannello. La seguì subito dopo, lasciando quell'orrore invisibile a fato incerto.


***





Catherine?”
Il volto minuto di sua moglie spuntava appena dalla gran massa di coperte in cui l'aveva avvolta. Atrus le sedeva a fianco, reggendole la mano e rivolgendole quello sguardo un po' triste e indagatore che fin da giovane si era sedimentato sui suoi lineamenti.

Era...” Cercò un termine adatto. Quello che trovò fu un lungo suono gutturale, la parola rivenese per 'incubo' che più di ogni altra parlava di foschia, oscurità e mistero.
Mi capisci?”, riprese, tornando al D'ni.
Atrus scosse la testa, non solo per quello che, per lui, era appunto solo un lungo suono gutturale: anche l'altra non era la loro lingua. Era quella con cui Catherine aveva maggior dimestichezza, tolto l'idioma natio, ma anche quella da cui guardarsi, quella delle responsabilità e del passato sempre in agguato. Era scossa al punto che trent'anni di inglese semplice e affettuoso le erano scivolati via di dosso come olio.
Era un sogno che credevo di essermi lasciata alle spalle tanto, tanto tempo fa”, sussurrò, rannicchiandosi con le ginocchia al petto. “Quando ancora... prima della Fessura.” Prima di dover fingere di tradirlo per garantirgli la vita, quando il cammino non era ancora fissato e ogni contrattempo, ogni minimo errore li avrebbe resi vittime inermi di fronte a Gehn. Lei, sua sposa. Lui...

Cosa è successo in quella grotta, Catherine?”
Era ovunque.”
Il sangue?”
Annuì. “A terra, un lago. Macchie fresche sulle pareti. Un incubo rosso, un inferno. Quando sei apparso al mio fianco ti si è rivoltato contro, come una cosa viva.”
Atrus le strinse la mano fra le sue.
Ancora una volta, ti ho visto... sporco di sangue. Ovunque... risaliva come una spirale e... Non tu, non tu, volevo gridare. Amore mio, promettimi che non succederà nulla del genere...”
Lo prometto”, disse lui in tutta onestà.
Il segno lasciato dalle tue mani non può essere una scia di sangue, mai. Il tocco lasciato sulle tue mani...” Scosse la testa. “Era un avvertimento. Non so da dove giunga, non so pagato da chi né a che prezzo. Stai lontano da Serenia, amore mio. Ciò che il male brama sei tu.”
È un prezzo troppo caro, se arriva a farti questo.”
Passerà”, rispose lei abbozzando un sorriso. Si districò dalle coperte, cercando un abbraccio.


***





Aveva visto anche altro, prima di scomparire nel buio del legame.
L'indomani su Myst, seduta sul bordo della vasca di pietra, non riusciva ad allontanare da quel particolare le sue riflessioni. Più tempo passava, più vedeva nel dettaglio quella che all'inizio era stata solo un'immagine sfocata dalla fretta, come depositi d'argento su una pellicola fotografica. C'era stato un unico punto in cui la macchia fresca era stata rovinata, lasciando una traccia.
Sulla parete insanguinata, Catherine aveva visto l'impronta di una mano sinistra.

Osservò le sue, piccole e appena toccate dalle rughe. Che tipo di mano aveva lasciato quel segno? Se fosse tornata su Serenia, l'avrebbe ritrovato? Probabilmente no, ma, anche se fosse, avevano convenuto di dare ascolto al monito e restare entrambi lontani dall'Era. Tornò alla sua memoria, che non era solo di 'una mano'. La forma dell'impronta era particolare, ma ancora non ricordava in che modo. Lasciò sedimentare il ricordo.

Ecco: non era l'impronta di una sinistra! Le dita erano chiuse, tranne il mignolo, aperto quasi da sembrare un pollice. Aprì la sua mano nello stesso modo, poggiandola sulla superficie dell'acqua, e venne sommersa dai ricordi.
In quello stesso spiazzo, in un inverno lontano, il suo bambino più grande era corso piangendo da lei a lamentarsi che suo fratello e Atrus passavano tutto il tempo a giocare agli indovinelli senza che lui potesse divertirsi. Le parole non gli erano mai state amiche e anche solo esprimere quello sfogo gli era costato un grande sforzo, così sua madre aveva lasciato da parte i panni per trovare al figlio un modo di comunicare che gli fosse più congeniale. Aveva unito i palmi delle loro mani e separando prima un dito, poi due, poi ogni possibile combinazione, avevano coperto con quel loro sistema inventato tutte le maggiori emozioni dell'animo umano.
Era stato il loro codice per mesi interi. Poi Sirrus l'aveva scoperto e un fratello maggiore aveva l'obbligo di scegliere fra la dignità e un segreto da femminuccia con la mamma. Achenar aveva scelto l'ovvio e lei, col tempo, aveva quasi dimenticato.

Achenar? La fonte è lui?

Era un pensiero così vile che gli negò ogni verità. Passò la giornata fra cucina e lavori di casa, attendendo l'arrivo di Achenar e Sirrus per la loro cena a lungo attesa.
Come una goccia sulla pietra, tuttavia, il sospetto continuava a battere con insistenza.


***





Madre”, salutò Sirrus con un inchino quando fu apparso nella biblioteca all'ingresso. “Padre...”
Achenar lo imitò in silenzio.

Catherine li osservò come sospesa, a cavallo fra più mondi. La goccia aveva battuto e battuto sulla pietra, arrivando a scavarla, e nelle due figure in piedi di fronte a lei si sovrapponevano ora milioni d'ipotesi e di possibilità. Su tutte, due spiccavano, ed erano abbastanza per paralizzarla. Da una parte vedeva i suoi affetti di sempre, anche se lontani, cambiati: adulti. Dall'altra – remota e inconcepibile, ma la grotta, il sangue, l'impronta! – assassini grondanti sangue.

Che c'è, madre? Non ti avrà sfiancata con la manodopera per un qualche esperimento, spero...”

Fatemi vedere le mani”, ordinò loro, calpestando tutto quello che il suo cuore le suggeriva. E poteva sentirlo battere, quel cuore, scandire lentamente le immagini dei suoi figli che si guardavano titubanti e infine si decidevano ad avvicinarsi a lei, porgendole le mani come due bambini piccoli, e
sentì appena Sirrus rispondere offeso che sapeva rispettare una promessa mentre le studiava. Tracciò con le dita ogni linea della pelle su cui si era incrostato il sangue di popoli, ma Myst, diversamente da Serenia, era fatta di terra solida, dura e sensata: quando lasciava aperto uno spiraglio ai sogni, o alle visioni, era unicamente nell'intimità notturna.
Le mani dei suoi figli profumavano di sapone.

Catherine chiuse gli occhi e sprofondò nel sollievo.























Note:

@ Serenia come Riven stinta: impressione personale di cui mi assumo ogni responsabilità. Di fatto, appena visto il flyby, subito commentai “Andrea Andrea sono in un posto strano in cui non dovrei essere e... perché hanno stinto Riven?”

@ lutto di Katran: mi sembra implicito nello straordinario lavoro della sciura sceneggiatrice. Credo intendesse, attribuendo a Kathy l'Era in cui è morta Anna, spiegare la buffa transizione dalla Scrittrice formidabile dallo spirito indomito che vediamo nel primo libro e in Riven alla casalinga perfetta di Myst.

@ Atrus deve rimanere lontano da Serenia: THE PLAAAAAAAAAN consisteva nel portarlo a Serenia per fare... qualcosa... con la sedia nella Memory Chamber. Il sangue metaforico di tutte le vittime dei fratelli si manifesta quindi nel punto di Collegamento di Serenia per avvertire Catherine del fatto.
   
 
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