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Autore: honeyandthemoon    24/02/2015    1 recensioni
Ed è un po' scontato dire che lei si perde nei suoi occhi marroni, che adora il modo in cui sorride, e come pronuncia il suo nome. Ma alla fine quando ti innamori di una persona sono quelle le uniche cose a cui riesci a pensare.
Roma ha sempre avuto un certo fascino su di lei, ma con lui è tutta un'altra storia.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1.


 
"Quando un asteroide si dirigerà sulla terra
voglio te sul cacciabombardiere"
"Grazie per il voto di fiducia"





Claire ama la neve.
Ama come si posa leggera sull’asfalto ruvido, il suo vorticare senza una giusta meta nell’aria, la sensazione di freddo che da quando si poggia sulla sua lingua. Poi la neve è segno di buon auspicio, almeno per lei. Sono successe solo cose belle quando nevicava. Il suo primo bacio, il primo sei in matematica, la prima volta che ha incontrato il sorriso di un ragazzo carino, il giorno in cui le han dato la licenza di guida nevicava fortissimo. Ha un sesto senso per la neve, la sente arrivare ancora prima che cada il primo fiocco.
Ed è proprio per tutti questi motivi che non capisce perché suo padre la sta obbligando a partire per un viaggio in un posto in cui la neve non c’è. Mai. O per lo meno, guardando le notizie, avrà nevicato si e no tre volte negli ultimi anni.
“Spiegami perché dovrei andare io e non Daphne, per esempio”
“Perché Daphne sta frequentando l’università, e non è a zonzo come te. Non sta fuori tutta la notte e non torna la mattina alle sei.”
La litigata con sua padre risuona ancora tra le mura dell’appartamento in una delle zone più ricche di Londra –Chelsea-, le porte che sbattono, le urla, e le imprecazioni aleggiano tra di loro come una fine nebbiolina autunnale.
Spegne la sigaretta in un posacenere improvvisato fuori dall’aeroporto, guarda un’ultima volta la neve ed entra facendo aprire le porte scorrevoli, facendo uscire un dolce calore.
Le scritte sui tabelloni cambiano in continuazione, un continuo vociare in torno a lei, fa sentire Claire un po’ meno sola. Guarda le partenze, gli arrivi, i voli annullati e i voli in ritardo. Il suo è li, senza nemmeno un minuto di ritardo, la scritta arancione sembra più luminosa di quello che in realtà non è.
Roma.
Sì, quella Roma. Quella di Audrey Hepburn, quella dei gladiatori, dei leoni e dei sette re –che lei non ha mai studiato- nonché la Roma in cui sua nonna Anna vive da ormai ottant’anni.
Claire si avvicina all’area del check-in, tirando fuori la carta d’imbarco e un documento d’identità.
Una ragazza sulla trentina le regala un sorriso cordiale, i suoi lunghi capelli marroni sono chiusi in una crocchia ordinata, un paio di piccoli occhiali dalla montatura scura la cadono sul piccolo naso alla francese, e la divisa verde –solita per i collaboratori di Alitalia- le dona, stranamente.
“Buon viaggio, e si goda Roma” la voce di Lauren, il nome della ragazza dietro il bancone , riscuote Claire dall’analizzarla.
“Oh grazie. Lo spero” esce dalla fila infilando i documenti nella borsa e si dirige verso gli imbarchi.
Claire ha questo… chiamiamolo difetto, di analizzare chiunque lei si trovi davanti. Forse è per questo che chiunque la incontri si sente sempre in soggezione, per questo gli amici che ha sono quelli da una vita, ed è anche per questo piccolo fatto che la maggior parte del tempo Claire lo passa da sola.
Ma a lei non interessa, lei è nata per rimanere da sola, per passeggiare ad Hyde Park di notte, per rimanere sdraiata sul suo letto tutto il giorno, senza che nessuno senta la sua mancanza. Lei è una specie di robot programmato per quello.
Claire non ha paura di volare, ma certamente sapere che i suoi piedi sono troppo in alto rispetto all’asfalto non la rallegra. Sedendosi al suo posto nota che dietro di lei c’è una mamma con una bambina piccola. Cattivo segno. I bambini piangono, puzzano e urlano. Lei non sopporta tutto questo, e inizia a pregare qualcuno lassù che la bambina rimanga calma per le due ore di viaggio. E Claire sa che essendo che quell’aereo decollerà da lì a poco, si avvicinerà un po’ di più a quel qualcuno lassù.
“I signori passeggieri sono pregati di allacciare le cinture”
Con un gesto meccanico prende la cinghia e la passa da fianco a fianco, si sistema meglio sul sedile e dopo poco tempo si addormenta, proprio poco prima che la bambina dietro di lei inizi a piangere.
 
L’aeroporto di Roma è affollato, ma non come quello di Londra, buio e grigio, questo sembra meno opprimente e più soleggiato. La bambina che ha pianto per buona parte del volo è in braccio ad un signore con dei folti baffi grigi, che tiene un bagaglio in una mano e la bimba dall’altra.
Davanti a lei passano circa cento valigie, ma della sua non ce ne l’ombra. Rossa, nera, blu, verde, gialla, rosa. Valigie di tutti i colori e dimensioni le stanno passando davanti, ma la sua piccola valigia nera con attaccati degli stampini regalatogli da Sam non ce ne l’ombra.
Innervosita, stanca e leggermente accaldata si avvia all’ufficio reclami.
“Senta, la mia valigia non c’è. È da più di tre quarti d’ora che sono davanti a quel dannato nastro rullante e la mia valigia non scende. Non c’è più nessuno li davanti ed io ho veramente bisogno dei miei effetti personali”.
Un signore sulla quarantina la guarda annoiato.
“Mi lasci il suo numero ed un indirizzo, quando troveremo la sua valigia la chiameremo.” Parla con un forte accento italiano, con una leggere inflessione romana. Claire potrà essere una Londigina –suo padre è inglese e sua madre francese- come ama definirsi, ma le vacanze estive dalla nonna non è facile dimenticarsele, e l’accento romano ha imparato a riconoscerlo.
Un grugnito di assenso lascia la sua bocca, prende la biro al suo fianco e compila un modulo.
“Buona permanenza” la voce del signore davanti a lei è diventata tremendamente irritante. Sembra abbastanza un presa in giro, le perdono la valigia e le augurano una buona permanenza? È ovviamente uno scherzo.
Si gira per lasciare il posto a qualche altro sfortunato come lei. Si trascina a piedi stanchi verso l’uscita, dove spera di trovare il maggiordomo di sua nonna, Massimo.
Un folata di aria calda la investe uscendo dalle porte scorrevoli, come se non fosse dicembre. A Londra quelle temperature le sentiva verso aprile-maggio.
Si guarda intorno, e dopo poco tempo riconosce i capelli brizzolati di Massimo. La carnagione olivastra, gli occhi marroni, i capelli ricci e un sorriso genuino sono difficili da dimenticare.
“Massimo!” esclama Claire andando incontro all’uomo, che in mano tiene un cartello con scritto “Claire Harries”.
“Signorina Claire, che piacere averla qui!” Massimo l’accoglie in un abbraccio, in fondo l’ha sempre sentito come parte della famiglia invece di un uomo pagato da sua nonna per eseguire tutti i suoi voleri.
“Il piacere per metà è anche mio” Claire gli strizza l’occhio e lo prende sotto braccio.
“Allora, cosa mi sono persa in questi due anni lontani da voi?”
 
Urla, risate, e discorsi arrivano alle orecchie di Claire, seduta sull’elegante terrazzo a casa di nonna Anna, in una delle zone più belle di Roma. Trastevere.
Ha sempre amato passare il tempo su quel terrazzo, ammirare il paesaggio, spiare la gente dall’alto e sì, fare scherzi a qualche povero turista. Perché alla fine loro si differenziano sempre. Cappellino, sandali con calzini, zaino in spalla e cartina alla mano.
“Come sta Daphne, cara?” la voce di sua nonna la distrae dall’ammirare il tramonto su una Roma ancora piena di vita.
“Sta bene, è sempre la cocca di papà, studia e non combina pasticci” risponde scartando un’oliva dal piatto.
“E tu, cosa pensi di fare?” chiede in tono serio, quello che usa suo padre ogni volta che torna a casa al mattino tardi –o presto, dipende da come si guarda la cosa-, o quello che sua madre usava quando la trovava con le dita nella marmellata.
“Beh, domani andrò a fare compere essendo che quegli incapaci dell’aeroporto mi hanno smarrito la valigia” Claire risponde in tono stanco, anche se ha capito che sua nonna voleva sapere cosa avrebbe fatto della sua vita, e non quale vestito acquisterà il giorno dopo.
E sa anche che prima o poi dovrà iniziare a pensarci seriamente, a ciò che vuole fare.
Vuole frequentare l’università? Vuole lavorare per suo padre? Vuole raggiungere suo fratello in America e cercare lavoro nel campo della scienza? Lei potrebbe fare tantissime cose, ma le uniche che le vengono in mente in quel momento sono  shopping, party, leggere.
“Ti lascio la carta di credito sul tavolino all’uscita, non usarla tutta.” Un sorriso bonario apparve sul volta dell’anziana signora seduta a capotavola.
“Ci starò attenta” risponde Claire sorridendo.
 
Claire si sveglia con il profumo di gelsomini che regna in quell’enorme stanza. Le tende bianche si muovono grazie al vento che entra dalla finestra, Agata, l’altra cameriera, deve averle aperte per far cambiare l’aria, e anche per svegliare Claire senza urlarle nell’orecchio.
Alzandosi dal letto si infila la vestaglia blu notte, e si avvicina alla finestra. Della neve nemmeno l’ombra.
Sbuffa, si infila le ciabatte e scende in cucina, dove l’aspetta una tavola imbandita di prelibatezze italiane. Caffè, brioches, tramezzini, yogurt, fette biscottate, nutella e spremuta d’arancia. Quello è forse l’aspetto che più le manca ogni volta che lascia l’Italia, il cibo. La pizza, la pasta, i dolci, è tutto un contenuto astronomico di calorie, che se solo a casa la cameriera le preparasse una colazione del genere, rischierebbe di trovarsi fuori dalla porta in meno di due minuti, ma in Italia no. Si siede in terrazza, con una tazza di latte e caffè, una fetta biscottata ricoperta di nutella e il cellulare con le cuffie.
La voce degli Imagine Dragons le riempie la testa, chiude gli occhi e respira l’aria di quel posto così pieno di storia, così bello, così vivo che quasi quasi la neve non le manca più di tanto.
“Signorina Claire, sua nonna mi ha mandato a dirle che nel suo armadio ci sono alcuni vestiti che può indossare oggi” la voce di Massimo la distrae dal volo di un piccione.
“Oh, perfetto. Grazie mille Massimo” risponde educatamente Claire, alzandosi e spegnendo la musica.
Entra in camera sua, apre il grande armadio e trova una gonna a vita alta a pois, una maglia bianca con maniche a tre quarti e scollo a barchetta, abbinate a delle All Star bianche. Dev’essere qualche vestito dimenticato nelle volte passate in cui era stata lì. Dopo aver passato una buona mezz’ora in bagno esce di casa, occhiali alla mano e sigaretta tra le labbra.
 
Roma non è famosa solo per Audrey Hepburn, per il parlamento e per la storia che nasconde tra le sue vie, ma ha anche la sua dose di popolarità per Via del Corso, il primo posto in cui Claire decide di andare.
Cammina per Via Ferdinando Savoia quando intravede la statua del Dio nettuno, e Dio! Pensa che non ci sia nulla di più bello della visuale di Piazza del popolo alle dieci del mattino per iniziare bene la giornata.
Per essere prima mattina –almeno per lei- c’è movimento per le strade. Le urla dei bambini, turisti alle prese con le cartine, camerieri con vassoi pieni di caffè, persone sedute ai tavolini dei bar.. questo è tutto ciò che lei ama di Roma, perché in fondo- ma proprio in fondo- questo viaggio a Roma non le dispiace.
Si aggiusta gli occhiali sul naso, e cammina per la piazza, scattando qualche foto con l’iphone, sorridendo ad un bambino seduto sul leone che adorna l’obelisco di Flaminio, e rifiutando la rosa che un indiano voleva a tutti i costi darle.
Passeggiando lentamente, entra in via del corso, ed i suoi occhi assumono quella sfumatura classica di una ragazza con in mano una carta di credito illimitata-quasi, follia, adrenalina, felicità.
Cammina tra la gente, entra in quasi tutti i negozi che vi sono, striscia la carta più di venti volte, e le sembra che ad un tratto quest’ultima esali un respiro di felicità quando Claire la ripone nel portafoglio. In mano tiene una ventina di sacchetti pieni di vestiti, altri con accessori, e alcuni pieni di trucchi dei più svariati colori.
Claire non è una persona materialista, però se qualcuno le dice di fare shopping lei non si tira di certo indietro.
Nella sua camera a Londra ci sono sicuramente più libri che vestiti, perché un libro –secondo lei- da più di un vestito, insomma puoi anche andare in giro con un sacco di patate addosso, ma l’ignoranza è una delle cose che nella sua famiglia non è permessa.
Senza accorgersene inciampa nei suoi stessi piedi, l’asfalto si fa sempre più vicino, ma prima che lei, le borse e tutto il resto riesca a sentire il cemento due mani grandi la prendono al volo.
“Oddio, grazie!” urla con il suo spiccato accento inglese.
“Beh, prego” davanti a lei si scaglia la figura alta di un ragazzo dai capelli corti e gli occhi scuri “Tutto bene?” non è italiano, anche se lo parla. Claire inizia a guardarlo, indossa una semplice maglietta bianca, sopra un giubbotto di pelle, dei pantaloni chiari e dei Dr. Martens neri. La maglia è leggermente sporca di terra, così come le mani del ragazzo, i capelli sono abbastanza corti, con un accenno di cresta e leggermente bianchi, forse a causa della calce.
Ha una piccola voglia sul collo, ha la barba, poca ma c’è. La manica della giacca lascia leggermente scoperta un parte di braccio, e nota che ha un tatuaggio.
“Hey, ci sei? Sei italiana? Inglese? Tedesca?” il ragazzo davanti a lei la guardava con aria interrogativa, la fronte leggermente corrucciata, delle piccole rughe si erano fatte spazio sulla sua fronte, e le labbra rosee strette da di loro.
“Sono inglese, ma capisco l’italiano” Claire ritrova l’uso della parola, perso momentaneamente dopo aver guardato il ragazzo negli occhi.
“Stai bene?” chiede di nuovo il ragazzo.
“Sì, grazie.. di tutto” Claire non è timida, per quanto ami stare da sola quando si trova in compagnia parla sempre con tutti, è comunque una ragazza solare. Ma questo ragazzo ha un qualcosa che lei non riesce a capire.
“Piacere Liam” Liam allunga la mano, aspettando che Claire gliela stringa.
Spostando le borse sulle braccia, tenendo in bilico gli occhiali sul naso, e soffiando su una ciocca di capelli che le è caduta davanti al viso, Claire allunga la mano e la stringe a quella del ragazzo.
“Claire”. Liam sorride, le labbra si sono assottigliate, lasciando scoprire una fila di denti bianchi, gli occhi si sono chiusi leggermente creando delle piccole increspature nella parte esterna, e lei pensa che se non si trovasse in via del corso, tra milioni di persone intorno a lei, e non fosse l’ora di punta, avrebbe potuto tranquillamente svenire.
“Cosa ci fa una ragazza così carina tutta sola in giro per Roma?” chiede inclinando leggermente la testa verso sinistra.
“Ieri all’aeroporto mi hanno perso la valigia e mi servivano dei vestiti, così ho pensato di saccheggiare Via del Corso.” Risponde Claire sistemandosi gli occhiali sopra la testa.
“Tutto questo shopping deve averti messo fame, se ti invito a pranzo risulto troppo sfacciato?” Claire pensa che di sfacciato questo ragazzo non ha nulla, anzi pensa sia la cortesia in persona.
“Se io accettassi risulterei una ragazza facile?” questa sequenza di domanda e risposta inizia a piacerle.
“Beh, lo scoprirò solo conoscendoti meglio” risponde Liam, prendendo un sacchetto davanti ai piedi di Claire.
Claire sorride e inizia a camminare vicino al ragazzo dagli occhi scuri, non pensando che dovrebbe avvisare sua nonna, non mettendo in conto che la sua giornata di shopping non era del tutto finita. L’unica cosa a cui pensa è che Liam ha delle belle mani.
 
 
“Ti va un trancio di pizza?” chiede Liam sistemando le borse di Claire in macchina.
Andare a pranzo con le mani piene di borse non è l’ideale, e Claire lo sa. Annuisce leggermente e sposta una ciocca di capelli da davanti al viso. Claire non si imbarazza, ma il sorriso di Liam è qualcosa su cui riflettere a lungo. Nella sua mente lei è seduta su un prato e contempla il suo sorriso, in ogni minima sfaccettatura. E pensa che qualcuno dovrebbe dipingerlo un sorriso come quello di Liam, farci uno scalpo, o una semplice foto da portare nel portafoglio, perché, ne è sicura, potrebbe illuminare una stanza intera.
La sua mano sfiora quella del ragazzo, che è ruvida, callosa e non molto curata, ma un brivido lascia la sua schiena, percorrendola da capo a piedi.
“Come la preferisci la pizza?” la sua voce è tranquilla, Claire vorrebbe chiedergli se abbia mai pensato di incidere audio libri, perché, insomma, la sua voce è dannatamente sexy.
“Al prosciutto” risponde alzando la sguardo, ed incontrando gli occhi di Liam. Ed i suoi occhi sorridono, lo può giurare.
“Sei una ragazza semplice quindi..”
“Beh, non amo particolarmente le cose complicate, odio scegliere ed è per questo che non vado mai al supermarket, troppi prodotti, all’apparenza diversi ma che alla fine hanno tutti la stessa funzione\sapore.” È la prima frase con più di cinque parole che riesce a dire da almeno quindici minuti.
“Interessante” mormora Liam, tirando fuori un pacchetto di Camel Blu dalla tasca interna del giubbotto di pelle, prendendo in seguito una sigaretta e portandosela alle labbra. La testa leggermente inclinata, porta l’accendino alla sigaretta, con un gesto veloce la fiammella esce, e brucia la punta della sigaretta. Uno sbuffo di fumo esce dalle sue labbra, mischiandosi con il leggero venticello invernale. Claire trova il gesto estremamente sexy, pensa di non aver mai visto nessuno accendere una sigaretta in modo tanto eccitante. Sente le guance tingersi di rosso e abbassa il viso, nascondendo il leggero imbarazzo con i lunghi capelli color biondo cenere.
“Tu parli inglese ed italiano, come mai?” chiede incuriosita dopo qualche secondo.
“Beh, io sono inglese. Nato a nord est della gran Bretagna, cresciuto con i miei fino a diciott’anni. Poi un bel giorno ho deciso di trasferirmi. Ho preso una valigia, il primo volo per Berlino e molto coraggio. Il primo periodo è stato terribile. La lingua era oscena, fortuna che l’inglese lo parlano abbastanza. Facevo il lavapiatti in un ristorante italiano. Turni massacranti, lavoro duro e a volte anche schifoso. Ho dovuto stringere talmente tanto i denti, che una volta ho pensato si stessero per rompere. All’inizio non riuscivo davvero ad ambientarmi, non conoscevo nessuno, e anche se riuscivo a farmi capire, fare amicizia era abbastanza difficile. Dopo un anno il mio capo mi ha proposto di seguirlo in Italia, mi ha detto che aveva aperto un nuovo ristorante e voleva mettermi a fare il cameriere lì. Sulle prime ero abbastanza indeciso, insomma, avevo appena imparato il tedesco e dovevo trasferirmi in un posto in cui la lingua era ancora diversa? Roba da pazzi. Ma Louis, il mio miglior amico, mi ha detto che mi avrebbe seguito. Lui è l’unico amico che ho avuto in quell’anno infernale, penso che senza di lui non ci sarei riuscito a rimanere li. L’ho conosciuto una sera mentre ero in un pub, lui mi serviva la birra e dopo aver visto che mi scolavo la quarta birra da solo, se ne uscito con “Ciao sono Louis, vuoi diventare mio amico?”. Da quel giorno ci siamo visti tutti i giorni, e quando gli ho detto dell’opportunità di trasferirsi si è alzato dalla sedia dov’era seduto, è entrato in camera, e quando è tornato mi ha chiesto “Secondo te che tempo fa a Roma?”. Ho rifatto la valigia e ho preso un volo diretto per la capitale. Ho iniziato a lavorare come runner, portavo solo i piatti, e prendevo gli ordini solo ai clienti inglesi, essendo che qui in Italia l’inglese non lo sanno così bene. Vivevo in una mansarda, dividevo il letto con Louis, e non è bello, per niente.
Piano piano ho iniziato a farmi le ossa, e dopo due anni da cameriere un cliente del ristorante mi ha proposto di lavorare per lui. È un imprenditore edile, e dice che due braccia come le mie sono sprecate per portare piatti. La paga era migliore e l’idea di non dover portare piatti tutto i giorno e non dover lavorare tutta la notte mi faceva gola. Così ho parlato con il mio capo, gli ho spiegato che volevo cambiare un po’. Ora vivo in una casa con due stanze, ho una vita sociale e riesco ad arrivare a fine mese senza dare di matto.”
Durante tutto il discorso Claire è rimasta in silenzio, ad ascoltare le sue parole. Si è immaginata un Liam più piccolo, con meno muscoli ma con lo stesso sorriso. Un Liam spaesato ma con voglia di fare. Ed ha sorriso per tutto il viaggio, non accorgendosi esattamente di essere salita su un pullman, un pullman!, Claire non usa mai i mezzi pubblici ed aver camminato per almeno una ventina di minuti.
“Ed ora, ti porto a mangiare la pizza più buona del mondo” dice aprendo la porta a vetri di un piccolo locale.
“Ciao Louis!” un ragazzo leggermente più basso di Liam esce dal retro del locale con la faccia sporca di farina, un cappellino bianco in testa e un sorriso sincero sul volto.
“Liam, che ci fai qui?”
“Mi mancavi” risponde lasciando una pacca sulla schiena del ragazzo.
“Mi sento onorato!” quando Louis si gira, Claire nota i suoi occhi. Azzurri. Azzurri come il cielo in primavera, in una mattina in cui il sole inizia a scaldarti la pelle, e una brezza calda soffia sul viso.
“E questa bella biondina chi è?” chiede con un sorriso sornione in viso.
“Io sono Claire, molto piacere” allunga la mano verso il ragazzo e lui la prende, baciandole leggermente il dorso.
“Onorato, Claire” Louis lancia una sguardo a Liam, e sembra che quei due stiano affrontando un lungo discorso, ma in verità l’unico rumore che si sente è la voce metallica di qualche speaker italiano.
“Beh, cosa posso darvi ragazzi?” le sue mani si aprono, volendo mostrare la vetrina sotto di lui, con almeno dieci tipi diversi di pizza.
“Per me un pezzo di pizza con le zucchine, e per lei uno con il prosciutto” risponde Liam guardando Claire, che annuisce sorridendo.
 
La pizza tra le sue mani brucia leggermente, Claire toglie la carta da davanti e ci soffia sopra, facendo muovere il fumo che fuoriusciva dalla pizza. Lei e Liam sono seduti su una panchina all’ombra di un albero. Liam continua a guardarsi la punta delle scarpe nere, lanciando qualche occhiata a Claire, sperando di non essere notato.
Claire mangia la pizza lentamente, con piccoli morsi intervallati dal pulirsi le mani sul fazzoletto che tiene in grembo.
“Sembra che tu non abbia mai mangiato una pizza con le mani” esclama Liam pulendosi i lati della bocca con il pollice.
Claire si irrigidisce un attimo, sbatte i grandi occhi marroni e si gira verso Liam.
“Beh.. effettivamente..” mormora in imbarazzo.
“Cosa?” Liam strabuzza gli occhi, fissando Claire.
“La mia famiglia è leggermente fissata con le buone maniere. Fin da piccola mi han praticamente vietato di mangiare la pizza con le mani. Quindi non ho l’abitudine, e mi sporco facilmente” mormora leccandosi le labbra, sentendo il sapore di pomodoro.
“Non ci posso credere. Ma sei parente con la regina?” domanda appallottolando la carta unta, lanciandola nel cestino come se fosse un canestro da basket.
“Bel tiro!” o meglio belle braccia “comunque no. È solo che sono fissati con il bon ton e ste cose qui, ed io per quanto le odi non riesco a toglierle dalle mie abitudini” Cancellare anni e anni di insegnamenti su come usare le diverse posate, o su come camminare e comportarsi con la gente è difficile, soprattutto se questi erano gli unici momenti che si passavano con la propria madre.
“Raccontami qualcosa su di te, Claire. La mia vita te l’ho raccontata, ora tocca a te” Liam sorride, guarda la mano della ragazza che sfiora la sua e sente le guance farsi leggermente più calde.
“Io abito a Londra con mio padre e mia sorella. Ho finito gli studi, ma non vado ad college, non lavoro e non faccio nulla. Sto a casa da sola, o con qualche amica solitamente. Passiamo le giornate a guardare la televisione oppure usciamo, combinando più guai di quanti dovrei. Mio padre mi vorrebbe cacciare fuori di casa.
Mia sorella è la figlia perfetta, mentre io sono un caso umano. Sono venuta a Roma per passare del tempo con mia nonna, essendo che è stata poco bene negli ultimi tempi. Adoro disegnare, ma mio padre dice che frequentare una scuola d’arte è una cosa da falliti. Vorrebbe che diventassi avvocato, mentre io non so nemmeno se preferisco il gelato al cioccolato o alla fragola.” Quel fiume di parole le esce veloce, senza sosta e senza una pausa. Sente gli occhi velarsi di lacrime, gli angoli della bocca si piegano all’ingiù  e un leggero pizzicore al naso annuncia un probabile pianto. Ma “la figlia di un militare non piange”, è questo ciò che suo padre le dice sempre.
Liam è fermo sulla panchina, la ragazza davanti a lui è così… normale che non si aspettava di trovare tutto questo dolore dentro di lei.
“Lo sai” inizia Liam alzandosi sulla panchina “Newton ha scoperto la legge delle gravità grazie ad una mela” allungandosi sopra l’albero stacca una mela rossa dal ramo più basso. “ti rendi conto? In un giorno così lui ha fatto una delle più grandi scoperte al mondo” alita leggermente sulla mela per poi passarci un fazzoletto pulito “quindi, cosa ti fa pensare che tu in un giorno qualunque non riesca a trovare la tua strada?”
Claire guarda Liam, è leggermente rossa in viso, senza volerlo ha visto gli addominali di Liam mentre cercava di prendere la mela, ma è stato un caso, puro caso. I suoi occhi sembrano così profondi, eppure sono marroni, mica come quelli di Louis.
“Seguimi, voglio presentarti una persona” Liam porge la mela a Claire, che la avvolge nel fazzoletto e la mette in borsa. Sente le dita di Liam attorno al suo polso, e il suo cuore sembra perdere un battito.
 
Claire scorge l’angelo di Castel Sant’Angelo, la statua che svetta in cima ad esso l’ha sempre ammaliata. Pensare che quell’angelo all’inizio era una statua di legno, un pezzo ornamentale per finire il castello. Ma durante gli anni è cambiato quattro volte, tra marmo, alato e non.. per poi finire ad essere un angelo di bronzo, fotografato talmente tante volte da una quantità di persone inimmaginabile. Claire inizia a pensare che nella vita le cose possono cambiare così tante volte, che sarebbe impossibile contarle; così come le persone che entrano a farne parte. Amici, fidanzati, conoscenti. Ognuno ha un ricordo di qualcuno, come tutti quelli che hanno fotografato l’angelo in cima al castello, hanno un ricordo di Roma.
La mano di Liam non ha mai lasciato il polso di Claire, anzi si sono intrecciate perfettamente. Le dita callose di Liam non sono fastidiose, il calore della sua mano sembra rilassare, più o meno, Claire.
“Conosci la storia degli angeli di questo ponte?” domanda Liam guardandosi intorno.
“No. Perché?” Claire guarda curiosa Liam. La barba segna il profilo della mascella, gli occhiali da sole nascondono gli occhi marroni. Liam morde distrattamente il labbro, per poi ricominciare a parlare.
“Beh, le prime due statue sono quelle di San Pietro e San Paolo, sono quelle che tengono i mano i libri” dice indicando le prime due statue all’inizio del ponte “inizialmente, dopo aver fatto installare quelle, hanno aggiunto quelle dei quattro evangelisti, Giovanni, Matteo, Luca e Marco, e quelle dei patriarchi quindi Adamo, Mosè, Noè ed Abramo. Nel 1669, papa Clemente IX fece realizzare un nuovo parapetto disegnato dal grande Bernini, sopra il quale vennero collocate le dieci statue raffiguranti gli angeli che portano gli strumenti della Passione. Ma l’angelo con la corona di spine e quella con il cartiglio non sono le originali, sono imitazioni. Delle due statue originarie rimangono solo quelle di San Pietro e San Paolo. Se guardi attentamente ogni statua porta qualcosa di diverso in mano.” Claire per la prima volta si ferma ad osservare ogni singola statua. Ognuna è diversa, con un oggetto diverso e con le scritte diverse alla base. Per quanto lei amasse la storia era all’oscuro di quella. Ma chissà quante cose non sa.
“E dove sono le statue vere, quelle originali?” chiede sfiorando l’iscrizione alla base della statua che portava i chiodi.
“Sono state collocate nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, che però non ho idea di dove sia” risponde Liam grattandosi la testa e sorridendo timidamente.
“Seguimi” le sussurra sfiorandole l’orecchio con le labbra.
Claire sente una strana sensazione alla bocca dello stomaco, ma lascia che passi da sola, o almeno spera passi da sola.
Liam la trascina giù dalle scale, il Tevere scorre veloce vicino a loro, un colpo di vento colpisce in pieno viso Claire, che stringe, senza volerlo-sicura?, la mano di Liam.
“Scusa” borbotta tirando giù la manica della maglia, e notando il sorrido di Liam.
Davanti a lei c’è un ragazzo seduto sulle ginocchia con la testa china su una tela. Pelle olivastra, una cresta imperfetta, dei grandi occhiali gli ricadevano sul naso perfettamente dritto, le guance ricoperte da un leggero strato di barba. Indossa un paio di pantaloni neri, dei Dr. Martens- si son messi d’accordo?, una maglia bianca con lo scollo a V, da cui riesce a scorgere qualche tatuaggio, e sopra una giacca di jeans con le maniche gialle.
“Hey Zayn!” Liam si avvicina, ed il ragazzo alza lo sguardo. Un grande sorriso si apre sul suo volto, si alza in piedi, appoggiando la bomboletta per terra, si pulisce le mani in uno strofinaccio infilato nella tasca posteriore dei pantaloni.
“Liam! Come stai?” i due si scambiano un abbraccio amichevole, iniziano a parlare e Claire guarda la tela su cui Zayn stava lavorando. Raffigura un pesce rosso in un mare di pesci super colorati. I colori degli altri pesci sono sgargianti, luminosi e ben definiti, mentre quelli del pesciolino rosso sono meno intensi e non ben distesi. Dalla sua bocca escono delle bollicine, in una di esse c’è scritto “Why so sirius?”.
“Ti piace?” chiede Zayn guardando Claire.
“Molto” risponde la bionda sorridendo.
“Liam mi ha detto che sei un’artista, è vero?” Claire lancia uno sguardo a Liam, tra l’infuriato e l’eccitato.
“Sì, diciamo che me a cavo” la sua voce è quasi un sussurro. Lei non ama mettersi in mostra, per quello ci sono i suoi genitori che usano lei e sua sorella come trofei.
“Tieni” Zayn le porge una tavola bianca, è una trenta x quaranta, Claire le usa sempre di questa misura “disegna ciò che vuoi. Fammi vedere di che pasta sei fatta”.
Claire può anche non amare essere al centro dall’attenzione, ma il tono in cui Zayn gli ha chiesto di disegnare assomiglia un po’ troppo a quello con cui si propone una sfida.
Claire posa la borsa, appoggia la tavola al muro, prende una matita e inizia a disegnare. Le linee, i movimenti, le idee le vengono piano piano. Più va avanti con i disegno, più prende forma. Rosso, blu, giallo.. gomme, matite, temperino. Ogni strumento è sparso attorno a Claire, i lunghi capelli ormai racchiusi in una coda disordinata, e l’espressine concentrata sul suo volto. Liam e Zayn stanno parlando, come se non si vedessero da anni, mentre, da ciò che ha capito Claire, è dal giorno prima che non si parlano.
Liam osserva come Claire tiene la matita, come si morde le labbra, e il modo in cui intrappola la lingua tra i denti. Prende il suo iphone e le scatta una foto, lei è troppo impegnata a disegnare per rendersene conto. Liam la osserva, il sole schiarisce ancora di più i capelli della ragazza, è leggermente in contro luce, i suoi contorni non sono completamente definiti, ma pensa che quella foto sia una delle cose più belle al mondo.
 
Un’ora dopo Claire si alza, si pulisce le mani sullo straccio di Zayn e osserva il suo disegno.
“Allora, ora tocca a te dirmi che ne pensi” esclama guardando Zayn intento a contemplare i suoi disegno.
Il ragazzo piega la testa a destra ed a sinistra varie volte, si prende il labbro tra il pollice e l’indice e corruccia la fronte.
“Bello. Molto bello. Molto molto bello” Claire sorride, e guarda Liam ancora intento ad esaminare il quadro.
“Che titolo gli daresti?” la domanda di Zayn le pare strana, lei non da mai nomi ai suoi quadri.
“Direi, la mela di Newton”
Liam è senza parole. Davanti a lui è raffigurato un albero, le foglie verdi, il tronco marrone. Su di esso ci sono delle mele, rosse come le labbra di Claire.
Sotto di esso vi è un ragazzo, è di spalle e sta cercando di prendere una mela. È pazzesco quanto è pieno di dettagli. Ogni mela è disegnata perfettamente, sulla maglietta del ragazzo ci sono tutte le pieghe, la panchina è nera e vicino ad essa c’è un’elegante pattumiera.
“Liam?” Claire osserva Liam, ancora intento a osservare il quadro.
“È incredibile” sono le uniche sue parole che riesce a dire.
“Beh, Liam, io direi che la puoi portare stasera da Horan” esclama Zayn, battendo una pacca sulla sua spalla.
“Sì, penso di sì” risponde flebilmente.
“Ragazzi, vi saluto. Claire, posso tenere il quadro?” Zayn raccoglie il materiale dal marciapiede, e lo infila in una vecchia sacca marrone.
“Certo, mi farebbe piacere. Aspetta che lo firmo” la ragazza dagli occhi scuri prende la matita bianca e tra le assi disegnate scrive in bella grafia “Claire de Lune”.
Suo nonno materno la chiamava sempre così, diceva che lei era bella come la luna, e che chiunque fosse mai riuscito a rubarle il cuore, avrebbe potuto sentirsi un po’ come Armstrong.
Claire recupera la sua borsa e prende Liam per mano, questa volta senza arrossire-più o meno.
“A stasera Zayn!” urla salendo le scale. Liam lo saluta con la mano, continuando a non parlare.
Attraversano il ponte, lasciandosi alle spalle gli angeli, il fiume e il castello.
Liam non parla, la mano di Claire è stretta nella sua, la pelle è così morbida, sulla parte esterne del polso nota una piccola cicatrice.
“E questa?” chiede passandoci un dito sopra.
Claire guarda il piccolo ovale, leggermente più chiaro rispetto al resto della pelle.
“Quello si chiama scooter” sorride ripensando a come si era procurata quella cicatrice “un giorno ero con Adam, il mio migliore amico, i suoi genitori gli avevano appena regalato una scooter. Era maggio, stranamente quel giorno a Londra faceva caldo. Indossavo solo un paio di pantaloncini e una canottiera. Mi è passato a prendere, mi ha sporto un casco e abbiamo iniziato a girovagare perle vie di Londra. Ad un certo punto è spuntato un gatto, Adam per evitarlo ha sterzato bruscamente, io sono sbalzata fuori dallo scooter, cadendo su un fianco. Per proteggermi ho lasciato le mani lungo i fianchi, così il polso ha strisciato sull’asfalto rovente. Non mi sono fatta niente, se non qualche graffio. Mentre il motorino  è rimasto dal meccanico per un mese, essendo che si era rotta la marmitta” Claire sorride e pensa che dovrebbe chiamare Adam.
“Allora non sei la brava ragazza che fai pensare” esclama Liam evitando di dare una spallata ad un passante.
“Beh, per quanto i miei modi da regina non riesco a togliermeli, a volte ci provo” Claire ridacchia.
Rimangono in silenzio per tutto il tragitto, le mani strette l’una con l’altra, e mille pensieri in testa.
Claire inizia a riconoscere le vie centrali, e quando si ritrova davanti alla macchina di Liam sembra ricordarsi che lei al mattino ha fatto shopping.
“Vuoi… vuoi un passaggio?” Liam apre la macchina, con un sonoro clack.
“Sì, volentieri” Claire apre la portiera e si ritrova ad annusare il profumo forte di un Arbe Magic al lime.
La macchina di Liam è una volvo rossa, un vecchio modello. I sedili sono in pelle nera, è pulita, molto pulita.
“Regalo da parte dei miei” mormora mettendo in moto.
“È molto bella” ammette Claire, guardando fuori dal finestrino.
Le strade Romane le scorrono veloci sotto gli occhi. Turisti, persone uscite dall’ufficio e ragazzini popolano le strade della città. 
La voce di Dan Reynolds esce dalle casse dell’auto.
“Amo questa canzone!” esclama Claire, cercando di alzare il volume.
Liam prende la sua mano e la sposta dolcemente, girando poi una manovella che fa aumentare la vibrazioni della macchia.
“When you feel my heat
Look into my eyes
It’s where my demons hide
It’s where my demons hide”
Claire canta, la sua voce nell’abitacolo della macchina, le sue risate ai gesti di Liam e il profumo di lime l’accompagnano fino a casa. Da le indicazioni a Liam, come se lui non conoscesse abbastanza bene le strade romane.
“Allora, se ti chiedo di uscire anche stasera faccio la figura di un ragazzo pressante?” chiede Liam passando le varie borse a Claire.
“Se io rispondo di sì, faccio la figura della povera inglese che non sa cosa fare il sabato sera?” sorridono, insieme.
“Ti passo a prendere alle otto” Claire chiude la porta e saluta Liam, che piano piano torna ad immergersi nel traffico romano.
Entra in casa, e la sensazione di camminare su una nuvola non l’abbandona. Forse Liam ha un effetto benefico su di lei, forse capirà davvero cosa le piacerebbe fare nella vita, magari lui è la sua ancora di salvezza.
Claire risposte a queste domande non ne ha, ma sa solo che se non inizia a prepararsi quando Liam l’aspetterà sotto casa, lei potrebbe, anzi è sicuro, non essere pronta.
 
  
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