Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: Nidham    25/02/2015    0 recensioni
Cosa succede quando perdi te stesso e ritrovarti significa affacciarsi su di un mondo che non avresti mai voluto conoscere? In una Parigi a metà tra il reale e il fantastico, Alexandra si farà strada verso verità impensate, attraverso incontri affascinanti e terribili, nemici pericolosi e amici impareggiabili, fino a decidere se varcare l'ultimo cancello e accettare un destino da cui sembra non esserci scampo.
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Al resto ci pensiamo noi” una frase promettente, a cui sarebbe facile arrendersi, se non fossi così maledettamente ostinata e se non percepissi la frustrazione e l'assoluta mancanza di certezze in chi la sta pronunciando.

Il capitano non ha colpe, lo so bene, non è davvero un incompetente, nonostante la mia diffidenza iniziale; è un uomo ostinato, preciso, onesto e sta indagando con coscienza e perizia su qualcosa che temo, però, sia molto più complessa di quanto entrambi riusciamo ad immaginare, una matassa così contorta di assurdità che districarla richiederebbe una fortuna sfacciata o almeno un briciolo di collaborazione da parte mia. Purtroppo i ricordi si ostinano a rimanere in disparte, eccetto le rare volte in cui si palesano al momento meno opportuno e assomigliano talmente ad allucinazioni che non sono del tutto certa siano affidabili. Forse potrei confessargli quei pochi dettagli che mi ostino a tacere, sperando che riesca a sistemarli in questo puzzle di cui io intravedo solo parte dei contorni, e che invece, per lui, potrebbe assumere una trama meno astratta. Non so cosa mi blocchi dal richiamarlo e spiattellargli tutto, non credo sarebbe sbagliato, eppure continuo a mordermi la lingua, per un istinto incomprensibile che mi spinge a credere in lui, ma, nello stesso tempo, a continuare a mentirgli o a omettergli particolari che ritengo non potrebbe capire. Del resto, l'unico che sembra a suo agio in questo campo è quel testone con problemi comportamentali a cui, in un modo o nell'altro, mi sono trovata legata.

Jasmine insiste a fissarmi con aria torva, impaziente di lasciare questo posto, ma restia a mettermi troppa fretta. Capisco che per lei sia difficile tornare nel luogo dove è morto un amico e rivivere certe brutte sensazioni, ma sembra più spaventata che commossa: non ha smesso un attimo di tamburellare col piede e tormentarsi le unghie, gli occhi sono sgranati e saettano impazziti da destra a sinistra, come si aspettassero di veder piombare elefanti dal cielo. In effetti il tipo che ha lanciato il dardo di cerbottana potrebbe essere ancora qui intorno e se davvero io ne ero il bersaglio, per quanto assurdo mi sembri, adesso gli sto offrendo un'occasione perfetta per rimediare al suo errore, quindi non sarebbe Jas a essere paranoica, ma io incosciente, e il capitano, con tutta la sua prosopopea, è stato un bel disgraziato a lasciarmi sola e in pericolo. Proprio mentre rimugino su cosa fare per non diventare, neanche per sbaglio, un bersaglio semovente, sento il rumore fastidioso di stridule sirene avvicinarsi a velocità sostenuta e, prima di poter capire cosa stia succedendo, mi trovo circondata da quattro poliziotti che si riversano in Rue des 3 Frères e iniziano a perquisire meticolosamente la zona. Ancora una volta, devo delle scuse a quel pover'uomo e magari potrei esprimergliele attraverso questa biondina in uniforme che sta puntando con aria fin troppo decisa verso di noi.

“Signorina De raven” sembra quasi stia per farmi il saluto militare. “Il capitano mi ha incaricato di tenerla d'occhio.”

Alzo un sopracciglio; non ho dubbi che queste siano state le esatte parole di Renaud, ma probabilmente si aspettava che mi venissero riferite con una luce diversa, facendomi sentire protetta e non sorvegliata.

“Non ho bisogno di una bodyguard” o almeno spero. “Ringrazi il capitano, ma gli riferisca che so tenermi d'occhio da sola.”

“Io obbedisco agli ordini signorina” non muove quasi la bocca, nel parlare, e sembra abbia ingoiato una scopa tanto è rigida; probabilmente è una novellina, o forse una che si prende troppo sul serio. “Non la infastidirò.”

Difficile crederlo. Ad ogni modo non c'è molto che possa fare per evitarla e suppongo sia meglio un male conosciuto di uno sconosciuto, quindi mi stringo nelle spalle, mi volto senza degnarla di un'ulteriore occhiata, ben decisa a fingere che non esista, e mi incammino verso Jasmine, che adesso sembra scocciata, oltre che spaventata, reazione che mi sento di condividere appieno, soprattutto perché lei potrà svignarsela appena vorrà, ma io rimarrò per chissà quanto con una zecca attaccata al sedere, circostanza niente affatto comoda viste le mie frequentazioni e i vari progetti per il prossimo futuro.

“Quell'uomo è davvero insopportabile” bisbiglia la mia amica, prendendomi a braccetto. “Dovrebbe scopare di più.”

“Magari vuole proteggermi” provo a pensare positivo, certa che sia anche questo lo scopo del capitano, sebbene non il solo, dopo le mie inopportune omissioni. “A dar credito alle sue teorie, c'è qualcuno fuori di testa che mi minaccia e, se mai recuperassi la memoria, potrei essere più utile alla polizia da viva che da morta.”

“Non dire certe cose” mi stringe tanto il braccio da farmi male quasi quanto le vecchie bruciature. “Non scherzare sulla morte, soprattutto dopo essere stata in un posto come quello.”

La guardo scettica, mentre indica con mano tremante le scale dietro di noi. Da quassù, la mostra sembra solo un innocuo palazzo semi-diroccato, ma agli occhi di Jasmine deve apparire un mostro mitologico con zanne e artigli affilati. Forse, se ricordassi più vividamente cosa vi è successo, lo temerei anch'io. Scruto di soppiatto la pivella che, per fortuna, rimane a consona distanza da noi, per non violare eccessivamente la mia privacy. Mi chiedo come farà adesso il mio sfuggente amico a non farsi notare e, come se il mio pensiero l'avesse evocato, sento vibrare il cellulare e riconosco il suo numero.

“Pronto” esordisco tra lo squillante e l'esasperato.

“Alex.”

Vorrei fargli presente l'assurdità di telefonare per pronunciare il mio nome, invece controbatto con un meno sardonico: “Mi hai mentito?”

“Ti ho mentito?” almeno pare sinceramente sorpreso, ma lo sarebbe anche se avesse la coscienza sporca e si sentisse scoperto. “Perché?”

“Dimmelo tu perché.”

“In cosa ti avrei mentito?” ovviamente è subito alterato, se vogliamo usare un eufemismo: la sua voce è un ringhio basso che mi perfora quasi il timpano.

“Lo sai” ribatto piccata e ben decisa a non fornirgli indizi, per quanto questa conversazione possa apparire cretina sia dall'esterno che dall'interno.

“In cosa?” credo che potrei vedere il fumo delle fiamme dell'inferno uscire dall'altoparlante del telefonino, ma non mi lascio impressionare.

“Non ti racconterò io la bugia che mi hai detto.”
“Non ti ho detto bugie. Mai.”

“Invece me ne hai raccontate almeno una” persisto, irremovibile. “Oppure hai mentito alla polizia.”

Il silenzio che segue è carico di aspettativa.
“Può darsi che abbia mentito alla polizia” adesso la rabbia sembra sfumata in una cupa stanchezza. “Lo faccio spesso.”

Non so come questo possa risultare confortante, eppure mi dà una vaga sensazione di sollievo.

“In cosa avrei mentito, comunque?” insiste, prima di interrompersi, preoccupato da un'altra linea di pensiero. “Non mi hai contraddetto col capitano, vero?”

Senza soffermarmi sul minuscolo dettaglio di essermi resa sua complice, tenendo fede alle sue panzane, lo rassicuro.

“Non ho detto niente di te.”

“Meglio così” sbuffa. “Meglio che non facciano collegamenti tra di noi.”

“Troppo tardi per quello.”

“Spero non diventi troppo pericoloso” è appena un sussurro, probabilmente neanche rivolto alle mie orecchie. “Per te.”

“Come sei premuroso” dovrei essere commossa da tanta sollecitudine, invece mi sento solo molto, ma molto incazzata, sia perché non mi piace essere trattata come una bambolina di porcellana, sia perché, probabilmente, sono abbastanza lunatica. Non posso insultarlo per un gesto di cortesia, anche se mal interpretato, però posso continuare a vessarlo per il precedente passo falso da cui non l'ho ancora del tutto assolto. “Io odio chi non mi racconta la verità, sappilo.”

“Eddai!” è esasperato. “In cosa cazzo ti avrei mentito, me lo vuoi spiegare?”

“Mi hai detto di non essere stato coi tuoi compagni, la sera dell'incidente.”

“Infatti. Purtroppo è la verità.”

“Il capitano ha raccontato una storia leggermente diversa: secondo lui sei uscito solo poco prima dell'esplosione.”

Non risponde niente e mi chiedo se stia inventando qualche giustificazione o semplicemente ricordando la vecchia balla precedente.

“E' quello che avrei dovuto fare” ammette infine, atono, con la voce così controllata da risultare falsa anche alle orecchie di un sordo e giuro su qualsiasi cosa che non avrei mai voluto essere la causa dell'espressione desolata dipintasi sul suo viso. “Avrei dovuto essere lì, mi avevano invitato per discutere di alcuni affari, ma io non riuscivo ad andare d'accordo col fidanzato di Sophie, non avevo voglia di perder tempo in dispute che non avrebbero trovato soluzione e non mi sono presentato. Quando ho deciso di smetterla di comportarmi come un cucciolo, era troppo tardi.”

Difficile resistere all'intensa agonia contenuta nelle sue parole, difficile mantenersi fermi su stupide questioni di principio davanti ad una sofferenza così palese, al di là del pessimo tentativo di nasconderla, ma la sua storia, per quanto commovente, ha comunque dell'assurdo.

“Avresti potuto dire semplicemente questo, no?” comprensione o meno, quando uno si comporta da idiota non si può non farglielo notare. “Potevi raccontare i fatti nudi e crudi alla polizia.”

“No, non potevo” è lapidario. “Non volevo che ficcanasassero in ciò che stavo facendo mentre non ero dove avrei dovuto essere.”

Nel senso che stava facendo davvero qualcosa di illegale?

“E poi, probabilmente, ho mentito anche per abitudine.”

“Non è un bel biglietto da visita” né questo, né l'idea che magari fosse a spacciare droga, o a fare a pugni con qualche malcapitato, invece di andare ad una riunione con parenti e amici. “Non è difficile pensare che tu possa prenderti gioco anche di me.”

“Non mento mai alle persone importanti” lo dice con una semplicità che mi stordisce.

“Gabriel, mi conosci da una settimana, più o meno” mi accorgo di aver urlato e mi maledico per la mia dabbenaggine. Oso un'altra occhiata furtiva alla biondina autorizzata a spiarmi, ma ha una faccia di bronzo che farebbe pensare o a problemi di udito, o a totale mancanza di curiosità, o a qualche decina di iniezioni di botulino.

“Non urlare, altrimenti la Guardiana della pace che hai dietro si insospettirà.”

“Cos'è che avrei dietro?” urlo di nuovo. “E tu dove saresti, per saperlo?”

“Io sono qui vicino, come ti avevo promesso. E la ragazza della polizia è quasi una novellina, si vede dalle mostrine sull'uniforme, ma non credo non abbia le orecchie.”

“Mi conosci appena” ripeto sottovoce, decisa a non lasciarmi distrarre.

“Sì” è dannatamente serio. “E non ti ho mentito.”

“Perché?” non so a cosa sia riferito, precisamente, forse a tutta la serie di dubbi che mi frullano in testa quando penso al nostro strano rapporto. “Perché sei interessato a me?”

“Non solo per il tuo bel sedere, se è questo che pensi” giurerei di sentire il suo sguardo infuocato proprio sulla suddetta parte anatomica. “Tu sei l'unica sopravvissuta a quelle esplosioni, a parte me.”

A volte è vero che sarebbe meglio non chiedere, perché le risposte potrebbero non piacerci. Le motivazioni di Gabriel non sono diverse da quelle del capitano, solo che le sue non hanno la stessa patina di legalità e fanno più male, una volta scoperte. Cerco una battuta per controbattere sullo stesso tono, ma sono momentaneamente a corto di idee. La sua spiegazione è del tutto plausibile e altrettanto deprimente; non che mi sentissi legata a lui da vincoli sacri e perpetui, lo conosco appena, è senza un soldo e ci siamo scambiati solo un bacio, però avevo creduto in qualcosa di più, o almeno di diverso. In cosa, non saprei davvero dirlo.

“Ok, ho capito” riesco solo a dire, prima di chiudere bruscamente e senza motivo apparente la comunicazione.

“E poi mi sono abituato a proteggerti.”

L'ultima parte del discorso suona incredibile anche alla sua bocca e non sono certa di averla sentita, perché stavo allontanando il cellulare dall'orecchio. In compenso il sonoro “dannazione” che esplode da dietro un angolo lo sento molto bene.

“Ma era qui dietro?” chiedo stolidamente a Jasmine, che si stringe nelle spalle, senza capire niente della situazione.

“Sennò come avrei fatto a tenerti d'occhio?” il diretto interessato, con un giaccone in stile militare, che non so dove si sia procurato, completo di cappuccio calato sulla testa, si materializza letteralmente al mio fianco, mi osserva per un attimo con occhio attento e sentenzia: “Sei arrabbiata.”

Non è una domanda, quindi posso evitare di sprecare il fiato, soprattutto visto che ha ragione, anche se non so il perché neppure io.

“Mi sono avvicinato a te prima dell'incidente di Emile, ricordi? E ti assicuro che il fatto che sia ancora qui non dipende solo da quello.”

Bisogna ammettere che è percettivo: tra tutti motivi per cui avrei potuto essermi offesa, ha subito azzeccato il più importante. Vorrei dirglielo, ma quando apro la bocca per parlare mi trovo per un attimo impedita dalle sue labbra che cercano prepotentemente le mie, soffocandomi con un bacio veloce e appassionato a cui rispondo prima ancora di ricordarmi di essere stata arrabbiata con lui.

“E questo non è una bugia” sussurra, senza allontanarsi da me, mischiando il suo fiato al mio in una protesta che è anche un giuramento. “Va bene?”

Non riesco a ragionare con lui così vicino, quindi annuisco e basta, momentaneamente priva della volontà di discutere. È pericoloso l'effetto che mi fa, ma è anche dannatamente seducente e non me ne frega niente se quella guardiana della galassia farà rapporto su un individuo misterioso appiccicato alla mia faccia, voglio soltanto godermi ancora un po' questo calore, questo profumo, che mi fa sentire viva e al sicuro contro ogni ragionevolezza.

“E non è successo perché l'hai chiesto ripetutamente” sogghigna appena, mantenendo un tono di protesta più per posa che per reale indignazione. Poi stringe lievemente gli occhi e lo vedo impallidire. “Mi sta scoppiando la testa” ammette a malincuore, portandosi una mano ancora bollente alle tempie, ma subito dimenticandosi di nuovo di sé, per preoccuparsi della mia incolumità. “Tu stai bene? É passata la strana sensazione che hai provato in quel postaccio?”

Annuisco, allungando io stessa una mano sulla sua fronte e rimpiangendo di non avere un paio di uova, perché avrei potuto tranquillamente cucinarcele sopra.

“Devi andare a riposare” provo a suggerirgli, senza riuscire a interrompere il filo del suo discorso.

“Ho lanciato io il dardo” mi spiega. “Non ti volevo uccidere!”

Evidentemente la mia espressione era esplicativa.

“Non era un dardo avvelenato, era un dardo scaccia spiriti.”

Deve stare peggio di quanto entrambi non pensiamo per uscirsene con un'allucinazione del genere. Il guaio è che sono quasi certa che ci creda e che la febbre lo spinga solo a essere più sincero, non più folle.

“E' pieno di spiriti maligni lì dentro” continua, senza notare il mio scetticismo o decidendo di ignorarlo, magari contando sul supporto di Jas che, infatti, non si fa pregare per venirgli in aiuto.

“Secondo me ha ragione, Alex” si intromette, alzando le mani in un gesto di pace, quando il mio sguardo tenta di incenerirla. “E non lo dico perché è carino.”

“Libera di non crederci” la voce di Gabriel è sempre forte e vigorosa, ma, non so come, vi avverto una sfumatura di fatica, nascosta dietro alla volontà di mostrarsi invincibile. “Io credo a queste cose. E l'ho fatto per scacciarli. Ha funzionato, no? Dopo non hai più sentito nulla di strano.”

In effetti, per quanto pazzesco, ha ragione. Di certo sarà stata una coincidenza, o magari il trambusto derivato dal suo strambo intervento mi ha distratto dalle precedenti allucinazioni, ad ogni modo mi vedo costretta ad ammettere un sofferto: “Non so più a cosa credere.”

Mi fa una carezza, forse impietosito dalla mia aria mesta e sconfitta.

“Ho visto una delle auto di Xavier lungo la strada e un suo scagnozzo che parlava con voi” mantiene un tono neutro, nonostante la palpabile tensione, non più dovuta al suo precario stato di salute.

“Voleva consegnarmi un biglietto” gli spiego, tirandolo per il braccio per raggiungere, finalmente, la relativa tranquillità di casa. “Non l'ho preso.”

Stava già per perdere il filo di compostezza che aveva tanto faticosamente mantenuto, ma la mia spiegazione lo soddisfa, per cui mi stringe più forte la mano e mi sorride, sincero come un bambino la vigilia di Natale.

“Brava” mi approva con entusiasmo, tanto che quasi mi dispiace doverlo deludere.

“Non è per quello che pensi. Se vuole avere a che fare con me, è bene muova le chiappe e si scomodi di persona.”

“Ci manca solo che entri in ballo quel damerino figlio di puttana” mugugna contrariato, poi mi fissa con espressione solenne. “Alex, io non sono un bugiardo, ma quel tipo lo è, puoi credermi.”

“Mi chiedo cosa tu intenda con questa parola, visto che hai ammesso di aver raccontato varie frottole alla polizia.”

“A volte devo farlo.”

“Perché?”

“Perché alcune cose non possono essere spiegate. Perché ci sono posti dove non sarei dovuto entrare, ma me ne sono fregato, per trovare indizi che facessero luce su questi delitti. E continuerò a fare qualsiasi cosa pur di scoprire la verità su chi abbia ucciso i miei amici, Emile e quasi anche te.”

“Non capisco come possa essere stata invischiata in questa storia, né, tanto meno, perché continui a esserlo, visto che Emile non c'è più.”

“Il tuo amico ti deve aver coinvolto per una ragione” alza gli occhi al cielo. “Ma io non la conosco.”

“Non l'avevo cercato io?”

“No” è Jasmine a correggermi, mentre trotterella al mio fianco, cercando di stare al passo con l'imponente falcata di Gabriel. “Come già ti avevo raccontato, Emile era più un conoscente che un amico, per te. Usciva con noi raramente e anche quando lo faceva se ne stava quasi sempre in disparte, limitandosi a bere qualcosa e ascoltare le nostre chiacchiere. Poi ha scoperto l'ispirazione e, tra tutte le persone a cui poteva chiedere di visionare le sue opere, ha scelto te. Lì per lì mi sono sentita quasi offesa: in fondo l'unica che avesse mai provato ad aiutarlo ero io, ma lui voleva solo il tuo parere.”

“E' strano” sono costretta ad ammettere. “Magari aveva una cotta per me e sperava di conquistarmi.”

“E' quello che hai detto anche allora” la mia amica sorride, forse sperando che stia recuperando il mio passato, o forse solo felice di ritrovare in me ciò che io non so di aver perso. “Ero propensa a darti ragione, però la nostra teoria si è smontata in breve tempo: non ha mai cercato di sedurti, neanche in maniera velata. Era totalmente assorbito dalla sua arte, la viveva, la respirava, la rendeva parte stessa del suo essere come il sangue o la ragione. Non aveva tempo per sentimenti futili come l'amore o la passione per una donna. Una volta hai detto che il gesto più romantico che abbia fatto era stato consegnarti la chiave della villa dove andava a dipingere.”

Ecco dove ho preso quell'affare! Ora rimane da capire come se la fosse procurata quel pazzo criminale, perché ho la vaga sensazione che non sia stato tramite vie legali, il che rende la mia visita in quel luogo un po' meno giustificabile agli occhi della legge.

“Mi raccontasti che l'aveva fatto a malincuore” continua Jas, persa nei suoi ricordi. “Quasi come se vi fosse stato costretto, ma l'unico degno di custodirla fosse lui. Io ti avevo chiesto di non frequentare quella casa maledetta, ma tu mi hai riso in faccia e hai detto di non credere a quelle baggianate. Ovviamente hai usato parole un po' più colorite di queste.”

Sembra ancora indignata per la mia mancanza di fede, ma forse avrei dovuto darle retta per pura cortesia.

“Anche mio nonno voleva stessi lontana dalla villa” mi sovviene, con un tortuoso collegamento di idee. “Invece, a quanto pare, Emile mi ha simbolicamente invitato a disporne come meglio preferissi.”

“Hai bisogno di riposare” tra un discorso e l'altro, siamo di nuovo fermi in mezzo alla strada e gli occhi di Gabriel sono lucidi di febbre, ma, come pare faccia sempre, si preoccupa solo per me. “Posso accompagnarti a casa?”

Fino ad ora non s'è fatto problemi ad auto-invitarsi ovunque, ma ora ha un'aria decisamente timida e questo rischia di farmi sciogliere del tutto. Non posso credere che sia un delinquente come le parole del capitano lascerebbero supporre, né che sia capace di mentirmi o stia provando ad approfittarsi di me; è arruffato, caotico e sicuramente molto propenso a perdere le staffe, ma i suoi occhi sono caldi e gentili, al di là della patina di tristezza e furia che li offusca, le sue mani sono sempre delicate quando mi sfiorano, anche se potrebbero spezzarmi in due con più facilità di quanto non mi piaccia ammettere. Può darsi che mi stia ingannando sul suo conto, che sia un abile manipolatore o io una sciocca irrecuperabile, ma credo valga la pena correre il rischio di scottarmi, perché il suo fuoco mi attrae irrimediabilmente ed è l'unico che riesce a scaldarmi, in questo buio freddo in cui mi sento sperduta.

Mi rendo conto di non avergli risposto quando allontana la mano da me, con un sospiro.

“Alex, non saresti la prima che non si fida di me” cerca di dirlo con nonchalance, ma sento lo sconforto nelle sue parole; rassegnato, forse persino convinto che sia giustificato, ma comunque ferito dalla diffidenza della gente. “Nessuno di solito si fida di me. Devo fare una gran fatica, ogni volta, per farmi assumere.”

Vorrei dirgli che i suoi modi di licenziarsi, se risaputi, non sono un ottimo biglietto da visita, ma non credo sia dell'umore di accettare un rimprovero, per quanto appropriato.

“Io mi sono fidata subito di te” opto per la verità, giusto per non predicare bene e razzolare male.

“Vuoi smettere di farlo?” ancora la sua voce non è rassicurata.

“No” la sincerità sta diventando un vizio e potrebbe risultare scomoda alla lunga. “Ma tu non darmene motivo.”

“Non ti ho mai mentito” finalmente la desolazione lascia il posto alla rabbia. “Mettimi alla prova. Mio padre faceva davvero lo chef, puoi controllare, se vuoi.”

“Senza offesa, non me ne frega poi tanto, poteva fare anche il muratore o il medico, per quanto mi interessa.”

“Oddio” sussurra Jas, contraddicendomi. “In realtà abbiamo sempre controllato le occupazioni dei parenti dei nostri possibili flirt: un padre ricco presupponeva una cospicua eredità.”

“Mio padre era decisamente benestante” intercala Gabriel, ben sapendo l'effetto che ha su di me quella parola magica.

“Ma dovete aver sperperato tutto, visto che vivi in una casa in affitto e neanche riesci a pagare il dovuto.”

“Cazzo, l'affitto” si batte un pugno sulla fronte, per poi sbuffare. “Avevo anche prelevato i soldi al bancomat.”

Sembra riflettere per un po', poi guarda Jasmine.

“Jas, non è che potresti fare un salto” inizia, allungandole una mazzetta di banconote.

“Che ti salta in mente?” lo interrompo. “Non la userai come lacchè.”

“Non voglio usarla come lacchè” si schernisce. “Volevo solo chiederle un favore, per non lasciarti sola tutto quel tempo. Santo cielo, ma tu non hai mezze misure.”

“Ti accompagno.”

“Devi riposare” continua a porgere il denaro alla mia amica, che ci guarda perplessa, indecisa su come comportarsi.

“Mi riposerò in metropolitana.”

“Notoriamente il posto più comodo del mondo.”

“Voglio vedere dove abiti” insisto. “Tu conosci casa mia, voglio conoscere la tua.”

Sembra rifletterci su, ma sono quasi certa non possa trovare obiezioni.

Jasmine mi tira in disparte, sussurrandomi all'orecchio un titubante: “Sei sicura? Vuoi che ti accompagni?”, ma non credo di aver bisogno dello chaperon.

“D'accordo, ti mostrerò il mio castello” Gabriel segna la fine di qualsiasi tentennamento. “Ma non rimanerci male se non è all'altezza delle tue aspettative.”

Forse avrebbe fatto meglio a dire “dei miei sogni”, perché in questa circostanza le mie aspettative sono molto basse e, a meno che non abiti nel sottoscala pidocchioso di qualche edificio diroccato, non credo rimarrò impressionata.

Saluto Jasmine che mi osserva allontanarmi con un sorriso un po' stiracchiato, mentre la giovane poliziotta continua a mantenersi a distanza, ma sono certa abbia raccolto un mare di pettegolezzi per il suo capitano.

“Dovremo trovare il modo di seminarla” mi avverte Gabriel.

Suppongo sappia come fare e non ho obiezioni in merito, così lascio che mi prenda per mano e lo seguo fiduciosa verso la fermata della metro.

“Comunque non m'interessa” dico soltanto, dopo qualche minuto di silenzio, mentre saliamo su un'affollatissima carrozza, con un gruppo di giovanistri idioti intenti a fingere di dar fuoco ai rispettivi giacchetti con l'accendino.

“Che cosa?”

“Che tu mi racconti che tuo padre era ricco” spiego, perché quasi non ci credo io stessa. “Non è per questo che ti ho baciato.”

“Non l'ho pensato” sono più stupita io nel sentirlo, che lui non dirlo. “Anche perché non avrebbe avuto senso, io quei soldi non li ho. Ho giusto il necessario per vivere e non mi sono preoccupato neanche dell'assicurazione sulla vita di mia sorella.”

“Probabilmente è stata la tua fortuna.”

“Sì” concorda. “Ma ho pensato dopo alle implicazioni per la polizia. A tal proposito...”

La giovane in uniforme, a cui dovrò decidermi a chiedere il nome, è riuscita a infilarsi nella nostra stessa carrozza e adesso se ne sta fastidiosamente schiacciata tra una rubiconda signora con grosse buste della spesa e un uomo di mezza età intento a scrivere sul telefonino come se ne andasse della sua vita.

“Scendiamo alla prossima” mi avverte.

Concorde è uno snodo piuttosto frequentato e forse vuole far perdere lì le nostre tracce, anche se la linea dodici ci porterebbe tranquillamente nel suo distretto. Ho deciso di fidarmi di lui, quindi mi limito a aspettare e vedere cosa si inventerà, mantenendo un prudente atteggiamento distaccato.

Appena si aprono le porte, mi trascina sulla banchina, velocemente, ma senza dar segno di volersi defilare. Per tutto il tempo ha continuato a tenere il volto nascosto, ma dubito che sia possibile non essere riconosciuti quando si ha un fisico statuario come il suo; se il capitano non è davvero l'incompetente che temevo, mi telefonerà prima di sera per chiedermi conferma sulla sua identità.

Per adesso, però, abbiamo problemi più contingenti. Mentre ci confondiamo nella folla, dirigendoci verso la fermata della linea 8, la nostra stolker personale si mantiene a breve distanza da noi, zigzagando tra turisti ingombri di valige, vecchiette con bastone e branchi di studenti ridanciani, assiepati come pecore intorno ad un immaginario pastore; credo sia impossibile liberarci di quel peso morto, poi Gabriel mi stringe a sé, quasi nascondendomi nel suo giaccone, e si schiaccia improvvisamente contro la parete, chiudendomi completamente la visuale con la sua considerevole mole.

“Gabriel, non vorrei deluderti, ma non sei invisibile” cerco di dirgli, col volto compresso nel suo petto. “Era a qualche metro da noi e tu sei anche alto, oltre che grosso, non mi sembra un buon modo per seminarla.”

Mi ignora e continua a stringermi, tanto che mi viene il dubbio che stia solo cercando una scusa per un po' di coccole, ma quando, dopo un paio di minuti, si allontana da me, guardandosi intorno con un sorriso soddisfatto, e poi alza il pollice in segno di vittoria, non so se credere di essere impazzita io o se lo siano tutti i contribuenti costretti a pagare le tasse per dare lo stipendio a funzionari di polizia tanto incompetenti.

“Coraggio, torniamo indietro” mi guarda con espressione compiaciuta. “Per stavolta ce la siamo tolta di mezzo.”

“E come?” non posso fare a meno di chiedermi e chiedergli. “E' stata travolta dalla folla e trascinata sulle scale mobili all'uscita? Come ha fatto a non vederci?”

Si stringe nelle spalle, come se non si fosse aspettato niente di diverso.

“Davvero, Gabriel” insisto. “Non è possibile che sia tanto idiota.”

“Le persone vedono quello che vogliono” e non so se sia anche un velato rimprovero, ma mi sembra comunque una baggianata, in questo caso. “Scenderemo a Volontaires e da lì saremo quasi arrivati.”


Non so quando potrò aggiornare di nuovo, ma intanto rieccomi qua, a portare avanti una storia che non è ancora entrata nel vivo, ma che spero non vi stia annoiando troppo ^_^ Grazie a chiunque sia qui a leggere!!!
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: Nidham