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Autore: AnneC    25/02/2015    2 recensioni
Si può abbandonare il proprio Paese e una volta all’estero cercare qualsiasi cosa che ti tenga aggrappato ad esso?
Si può ripartire da zero, iniziare una nuova vita, creare una nuova versione di te senza sentirsi spaesati e soli in una metropoli che ti attende oltre le finestre?
Riuscirai a ristabilire l’ordine o andrà tutto a rotoli?
Resterai o tornerai indietro?
In ogni battaglia serve qualcuno che ti copra le spalle nei momenti di difficoltà e che esulti con te della vittoria.
Ma puoi trovarlo in mezzo ad una folla sconosciuta?
C’e chi riesce nel suo intento e chi invece rimane sconfitto.
Cos’è successo a me? Stavo precipitando, ma qualcuno mi ha portata in salvo.
-
Questa storia è la versione revisionata di Walk away.
Genere: Romantico, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny O'Donoghue, Glen Power, Mark Sheehan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3
*
I still don’t know where to start.
 
«Lo sai, quando torniamo a Londra passiamo sempre a trovarvi» mormora Glen, sorridendo ad entrambi. 
«Passiamo?» chiede Paul, alzando un sopracciglio. «Quando hai cominciato a parlare al plurale di te stesso?»
In quel momento, alcuni clienti lasciano la caffetteria, così approfitto di quel momento di calma per poter ripulire i tavoli. Mi guardo distrattamente la scottatura, che non smette di bruciare, mentre prendo lo straccio ed il vassoio; Steve entra nel locale, salutandomi con un gesto della mano, per poi avvicinarsi alla cassa. Prendo un respiro profondo, prima di tornare al bancone, sperando di non far danni e sorrido alla coppia che è appena entrata, mentre trattengo il fiato per non far cadere nulla a terra. Una volta al sicuro dietro al bancone, svuoto il contenuto del vassoio, per poi riporre le tazze sporche nella lavastoviglie.
«Ci penso io agli ordini» mormora Paul, cominciando a preparare due tazze di cappuccino. «Però», continua, «si sono liberati altri tavoli sopra».
«Ecco spiegata la tua gentilezza» ridacchio, scuotendo la testa. «Devo imparare a non fidarmi di te».
Il barista alza le spalle, per poi scoppiare a ridere e finisce per contagiare anche me; continua così a preparare le bevande, mentre io prendo l’occorrente, per poi avvicinarmi alle scale.
«Oh, Emma» dice Steve mentre gli passo accanto. Mi fermo, notando solo in quel momento che qualcun altro si è unito a loro.
«Loro sono Glen e Danny» dice, indicando l’uomo dagli occhi blu di poco fa e poi l’altro, più alto del primo e dagli occhi più scuri. «Temo che in questi giorni te li ritroverai spesso tra i piedi».
Stringo la mano ad entrambi, perdendomi per qualche istante nei miei pensieri, avendo la sensazione di aver già incontrato il nuovo arrivato da qualche parte.
«Tutto bene? Cos’è successo?» chiede Steve, notando il segno rosso.
«Non è niente» lo tranquillizzo, nascondendo la mano nella tasca del grembiule. «Ho solo avuto uno scontro con l’erogatore del vapore».
«Ed ha vinto lui» conviene Danny, sorridendo appena.
«Già» mormoro, alzando le spalle. «Torno a lavoro adesso».
Lascio i tre a parlare tra loro, mentre sorrido ad un gruppetto di nuovi clienti e raggiungo il piano di sopra. Dal soppalco, tutto sembra più tranquillo, come se il tempo si fosse fermato d’un colpo, e posso permettermi di abbassare la maschera di serenità che ho indossato senza accorgermene. Sospiro debolmente, stringendo appena le labbra; mi sento fuori luogo, sola, immobile in una città che non si ferma mai. Prendo un respiro profondo, provando a placare il senso di angoscia che sembra aumentare a dismisura, fino ad inghiottirmi. Sorrido tristemente ad una ragazza dai capelli rossi che sta sorseggiando il suo tè; mi sorride di rimando, spostando poi lo sguardo sul libro ingiallito che ha aperto sul tavolino. Sistemo silenziosamente le sedie per non disturbare la sua quiete, per poi ritrovarmi ad osservarla di tanto in tanto: ha un’espressione malinconica in volto e stringe spesso  le labbra, accarezzandosi distrattamente il collo.
Chiudo gli occhi, massaggiandomi piano la fronte, obbligandomi a concentrarmi solo sul mio lavoro. La sensazione di essere osservata mi fa quasi rabbrividire, ma mi sforzo di sorridere ancora alla ragazza seduta qualche tavolo più in là. Lei però è concentrata sul suo libro, immersa nei propri pensieri. Scuoto la testa e sospiro appena, per poi sentire l’eco del suo pochi secondi dopo; sposta lo sguardo fuori dalla finestra, osservando la vita degli altri che scorre inesorabilmente senza freno, con lo sguardo triste, lo stesso che ho io in questo momento.
Torno al piano di sotto, sentendo sulle spalle il peso della tristezza di quella ragazza e della mia. Ritorno al mio posto dietro al bancone, sospirando un’altra volta, mentre Paul chiacchiera allegramente con Steve ed i suoi amici. Controllo l’orologio, tamburellando distrattamente le dita sulla superficie di legno del ripiano; manca poco più di mezz’ora alla fine del turno, così tra poco potrò rifugiarmi nel mio appartamento e mettere la testa sotto le coperte. 
Dopo un po’ Paul ritorna al suo posto, servendo altri clienti, per poi comunicarmi le ordinazioni.
«Sei stanca?» mi chiede preoccupato, corrucciando le sopracciglia.
«Sto bene» mormoro, sforzandomi di sorridere. Scavo dentro di me, nella speranza di trovare un po’ di tranquillità, seppur apparente, ma sembra essersi volatilizzata nel nulla; sospiro appena, concentrandomi poi sulla macchina del caffè. Provo a sorridere ancora, consegnando ad ognuno la propria bevanda, mentre il tempo sembra scorrere più lentamente del solito.
 
Appena Leslie prende il mio posto al bancone, mi precipito nello spogliatoio. Ho il fiato corto, come se avessi un peso che mi schiaccia il petto; scivolo lungo la parete, chiudendo gli occhi e provando a riempiere i polmoni. Deglutisco a fatica, sfregandomi le mani sulle braccia, ma la situazione non sembra migliorare. Mi alzo lentamente, provando a regolare il respiro, per poi avvicinarmi all’armadietto per prendere le mie cose; mi cambio il più veloce possibile, cominciando a sentire gli occhi bruciare. Passo una mano sul volto, sospirando, per poi infilarmi il cappotto e prendere la borsa. Chiudo la porta alle mie spalle, camminando a testa bassa per paura di non riuscire a fingere più; saluto Steve e gli altri con un cenno della mano, per poi uscire in strada.
Il contatto con l’aria fredda sulla pelle del volto mi fa rabbrividire all’istante ed infilo le mani nelle tasche, provando a ripararle dal gelo. Mi incammino verso la fermata della metro col suono dei miei passi che sembra sempre più distante, sopraffatto dai pensieri che mi affollano la mente. Passo una mano tra i capelli, per poi stringermi nel cappotto scuro, sospirando ancora; sento lo squillo del cellulare,  ma impiego qualche istante di troppo per capire che è il mio.
«Mamma» rispondo, mordendomi le labbra per provare a tenere a bada le lacrime.
«Tesoro, come stai?» chiede lei con un tono quasi preoccupato.
«Bene» mento, sentendo però la voce tremare.
«Stai bene, Emma?».
«Sì, mamma, sono solo stanca» mi giustifico, asciugando la scia lasciata da una lacrima sulla guancia. Tiro su col naso, ridacchiando poco dopo al ricordo di lei che mi dice di non farlo.
«È strano...», ammette d’un tratto, «sentirti al telefono e non poterti abbracciare».
«Vorrei abbracciarti anch’io» confesso, stringendomi nelle spalle.
«Allora, come ti trovi lì? Hai avuto difficoltà all’aeroporto? Com’è l’appartamento?» chiede veloce, bombardandomi con le sue parole.
«Oh, mi abituerò» mormoro, provando ad organizzare un discorso. «L’appartamento è carino, non ha una vista eccezionale, però almeno è caldo. Qual era l’altra domanda?» continuo, grattandomi la testa. «Ah, l’aeroporto».
«Esatto» dice, ridacchiando.
«Non è andata affatto male. Mi hanno persino ceduto...» mi fermo lungo il marciapiede, ricordando solo in quel momento dove ho già visto Danny.
«Cosa?» incalza, dopo qualche istante di silenzio.
«Il taxi», continuo, «Mi hanno ceduto l’ultimo taxi».
«Che cosa carina» mormora allegra. «Sei partita col piede giusto, allora!».
«Sì...» ammetto, pensando però che probabilmente quello è l’unico evento positivo.
«E chi era?», domanda, «Era un bel giovanotto oppure un uomo di mezz’età? Sicuramente non una donna».
Ridacchio, scuotendo appena la testa. «Perché non una donna?».
«Tu lasceresti l’ultimo taxi a qualcun altro? No, è inutile che ci pensi su» conviene, scoppiando poi a ridere. «Era bello almeno?».
«Un bel tipo» dico semplicemente, ancora incredula al fatto che l’abbia rivisto in caffetteria. «Sì, decisamente un bel tipo».
«Hai avuto un benvenuto in grande stile».
«Non è un film, mamma. Mi ha solo ceduto il suo taxi, tutto qui».
«Però, è stato un gesto adorabile», ribatte, «ma conoscendoti, non gli avrai nemmeno chiesto il numero».
Schiudo le labbra, sorpresa dalle sue parole. «Mamma, non...» biascico, alzando le sopracciglia. «Oh, d’accordo. Non gli ho chiesto nulla».
«Tipico» mormora in disappunto, mentre il cielo minaccia un acquazzone.
Sospiro appena, mentre mi avvicino veloce alla fermata della metro. «Ne riparliamo, va bene? Sta per piovere e non ho l’ombrello».
«Va bene, ma mi raccomando...» dice, per poi ridacchiare. «Se ti capita un’altra occasione del genere, non la sprecare».
 
Per fortuna sono riuscita a rientrare prima che le copiose gocce cadessero dal cielo; ho acceso il riscaldamento al massimo ed indossato un maglione di lana per provare a sciogliere il freddo che sento nel petto.  Accendo il televisore, stendendomi poi sul divano, nella speranza di poter placare i pensieri che non hanno intenzione di abbandonarmi.
Mi alzo controvoglia, annoiata dai programmi in tv, e sentendo la testa scoppiare; chiudo gli occhi, massaggiandomi piano la fronte. Aspetto che l’acqua bolla, tamburellando le dita sul ripiano del mobile; sospiro piano, passandomi una mano tra i capelli, per poi legarli in una coda. Mentre il bollitore fischia, nascondo il volto tra le mani, provando a fermare le lacrime che mi offuscano la vista.
Mi sento stanca, tormentata dalla sensazione di non essere all’altezza di cominciare una nuova vita. Sento la mancanza della mia famiglia, dell’Italia e tutto ciò che ho lasciato lì; i ricordi mi affollano la mente, si materializzano vividi davanti ai miei occhi ed io sono incapace di rinchiuderli in un cassetto, per affrontare al meglio questa nuova avventura. Verso l’acqua nella tazza, per poi immergerci una bustina di tè; osservo il liquido cambiare colore con gli occhi ormai arrossati e ne respiro il profumo, provando a calmarmi. Torno in salotto, stringendo la tazza tra le mani e spengo il televisore. Mi stendo sul divano, ascoltando il rumore della pioggia che batte contro i vetri delle finestre e stringendo il cuscino contro il petto.
Non so quanto tempo sia trascorso da quando mi sono addormentata, ma il tè si è ormai freddato e non piove più. Apro la finestra, appoggiandomi con i gomiti al davanzale; respiro a pieni polmoni, osservando le automobili che scorrono lente e qualche passante che si ferma a chiacchierare per strada. Il cielo sembra riflettere il mio stato d’animo: grigio ed apatico. Mi sento vuota, come un corpo senza anima, in bilico tra restare e ripartire, con una strana sensazione di star aspettando qualcosa che potrebbe arrivare da un momento all’altro.
Ma non accade nulla. Non cambia niente.
Chiudo la finestra, prendendo poi il cappotto e la borsa ed uscendo dall’appartamento. Cammino per strada senza meta, lasciandomi accarezzare la pelle dal vento freddo che mi scompiglia i capelli; procedo senza sosta, un passo dietro l’altro, con la mente spenta e le mani congelate. I negozi stanno chiudendo e il cielo comincia a farsi più scuro, mentre le luci illuminano il mio vagare. Mi siedo su una panchina, non perché sia stanca; è come se una forza che non riesco a spiegare mi stia attirando lì per qualche motivo.
Mi stringo nelle spalle, mentre una giovane donna porta a spasso un cane dal pelo riccioluto, scomparendo oltre l’entrata del parco. Il traffico si è affievolito, lasciando così quella parte di strada in silenzio; riesco a sentire il mio cuore battere forte sotto la pelle, per poi riempirmi le orecchie, fino a sovrastare i miei pensieri. Mi guardo distrattamente intorno, fin quando un particolare non cattura la mia attenzione. Accanto alla fermata dell’autobus, c’è un manifesto pubblicitario: ritrae una coppia con una valigia, con lo slogan che recita “Pronto per partire? Blue Airlines ti aspetta”.
Non so se mi ha incuriosito di più il messaggio scritto a caratteri cubitali o l’immagine dell’aeroporto che evoca, ma mi ritrovo a sorridere inconsapevolmente. Chiudo gli occhi, mentre la mia mente mi catapulta in quel luogo, tra la folla che si affretta ad uscire ed io che vado alla ricerca di un taxi. Ridacchio debolmente, dandomi della stupida per non essermi ricordata prima di Danny; mi stringo nel cappotto, provando a proteggermi dal freddo, per poi appoggiare la schiena alla panchina e stringere le gambe al petto. Mi sento sollevata, come se ogni preoccupazione fosse sparita di colpo, lasciando spazio ad una sensazione di calore che si irradia in ogni singola cellula; sorrido ancora, appoggiando il mento sulle braccia incrociate, mentre si accendono le luci nel locale dall’altro lato della strada ed il silenzio lascia spazio ad una flebile canzone suonata al pianoforte. Rimango per un po’ così, raggomitolata su me stessa, con la mente sgombra e il cuore più caldo.
Quelle note soffuse mi trasmettono una tranquillità che non sembra essermi mai appartenuta, come la calda sensazione di sentirsi al sicuro, al riparo da ogni turbamento.  
Mi alzo col sorriso ancora sulle labbra, per poi avviarmi verso quella che ancora non sento come casa mia, in quel luogo che, sì, mi tiene al riparo dal gelo londinese, ma che mostra il ghiaccio che invade la mia anima.
Questa volta però, una volta chiusa la porta alle mie spalle, mi sento meno sola, con un sorriso ed un paio di occhi che mi affollano la mente. Gli stessi che spero di rivedere domani in caffetteria.






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Salve! Come va?
Ecco un nuovo capitolo!
Stiamo entrando nel vivo della storia, al centro del disadattamento di Emma. Scrivere questo capitolo non è stata una passeggiata, ma spero che il risultato sia positivo, almeno. Come potete notare, non riesco ad aggiornare ad intervalli regolari, ma spero di accorciare al più presto i tempi di pubblicazione. Vorrei ringraziare tutte voi che avete recensito lo scorso capitolo e chiunque legga questa storia in silenzio.
Per qualsiasi dubbio, errore o curiosità, non fatevi scrupoli!
A presto,

AnneC



 
   
 
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