Caring / I have cared.
È andata male, per usare un eufemismo. Wrench si trova steso su questo dannato letto di ospedale, la spalla dolorante oltre i limiti del possibile, probabile febbre, silenzio e solitudine. Sarebbe meglio non riflettere sugli eventi accaduti il giorno precedente. Si costringerebbe a non pensare, se in mezzo non ci fossero questioni personali: la sua, in quel momento, è Numbers. Gli viene spontaneo farsi qualche domanda: “Dov'è?", “È ancora vivo?" ad esempio.
Deve essere vivo.
~
C'è silenzio. Non uno di quelli tranquilli, confortanti, in cui magari sei anche convinto del fatto che tutto vada bene e ti senti in pace col Mondo: quello che dilaga nella stanza è un silenzio carico d'ansia, chiunque avvertirebbe la tensione che quasi fa mancare il respiro a Wrench.
La poliziotta entra proprio quando l'uomo sta fissando insistentemente la porta. All'inizio è così assorto da non accorgersi neanche della sua presenza: pensa e si preoccupa, si preoccupa e pensa. Gli sembra quasi di sentire il ticchettio della lancetta dei secondi che va avanti, e gli occhi si chiudono e strizzano sempre di più a ogni rumore.
Tic, tic, tic...
Sa che Numbers non è morto, lo sa. Vuole solo accertarsi del fatto che stia bene, sapere perché non gli abbia ancora fatto visita, mentire al proprio sesto senso che ora non fa altro che lampeggiare di rosso e acclamare pericolo. Si preoccupa e non si preoccupa.
Poi si accorge dell'altra presenza nella camera, e vuole ovviamente approfittarne per chiedere informazioni sullo stato del collega. Wrench le indica la lavagnetta appesa alla parete davanti il lettino, poco più a sinistra del tavolo, poi le fa cenno di portargliela. Non indugia più un secondo a fare la domanda per cui è stressato da una giornata, e ha davvero paura della possibile risposta.
Si rende conto di quanto effettivamente tenga a Numbers.
"Partner?" Scrive, e qualche secondo dopo vorrebbe non essere capace di leggere le labbra.
L'ansia lo investe, si trasforma in pentimento, senso di colpa, tristezza e logora a fondo il cuore, causando un dolore atroce.
Dà la colpa alla nebbia, poi a Malvo, infine a sè stesso.
«Morto.»
Quella parola rimbomba nella testa di Wrench, gli fa scoppiare il cervello e distrugge qualcosa di profondo dentro lui, la cui formazione ha richiesto tanto, troppo tempo. Inizia a non controllare più i suoi pensieri, la realtà muta: da razionale a irrazionale. È una grande, enorme, immensa confusione.
Avrebbe dovuto seguirlo, difenderlo, anche farsi uccidere al posto suo, se necessario.
Vorrebbe chiedergli scusa, vorrebbe riaverlo lì perché si sente in colpa, si sente solo e si sente un vero schifo.
Due parole troneggiano sugli altri pensieri, due parole che non avrebbe mai detto al partner - vuoi per imbarazzo, vuoi per paura. L'agente parla, Wrench non ha né la forza né la voglia di leggerle il labiale. Una lacrima gli solca il viso, scendendo sulla sua guancia.
Si rende conto di quanto si stia pentendo.
Si rende conto di quanto gli mancherà.