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Autore: Koira    26/02/2015    0 recensioni
Ideale prosecuzione di 'Rosso come il sangue, bianco come il latte', una precedente FF scritta da me.
É la vigilia di Natale, e Cameron riflette sulla sua relazione con Chase.
"Non lo amo" aveva detto ad Annie, sentendosi rispondere un eloquente "Non ancora".
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allison Cameron, James Wilson, Robert Chase | Coppie: Allison Cameron/Robert Chase
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Non ancora

 

Sembra proprio che quest’anno trascorreremo il Natale sotto il sole, qui in New Jersey: le previsioni meteo preannunciano bel tempo sino al fine settimana. E per oggi, Vigilia di Natale, le temperature non scenderanno sotto i quindici gradi, con massime quasi primaverili. Con questo è tutto, ti restituisco la linea, Nick …”.

Spensi il televisore. Era il ventiquattro Dicembre, ed io mi sentivo incredibilmente depressa. Era così ogni anno, da diverso tempo, ormai. Quella mattina avevo programmato la sveglia perché suonasse prestissimo: visto il tempo mite, avevo deciso di andare a correre. Presi le chiavi di casa e il lettore musicale ed uscii. In quel chilometro che percorsi, su e giù, mi misi a pensare a quanto accaduto nell’ultimo mese al Princeton: il parto di Annie, il ricongiungimento con suo padre, il fidanzamento con Andrew. Quello appena iniziato sarebbe stato un giorno speciale, e non solo perché Vigilia di Natale: quella sera stessa, alle cinque, sarebbe stato celebrato il loro matrimonio. Ripensai alla mia espressione, a dir poco stupita, quando avevo rivisto Annie in ospedale, a poche settimane dal parto. “Stai bene?”, le avevo chiesto, istintivamente. “Sì, sto benissimo. Voi medici siete sempre sull’attenti”, aveva risposto lei, divertita. “Sono passata a lasciarti questo”, aveva aggiunto, porgendomi l’invito alle sue nozze; “ci sposiamo il ventiquattro Dicembre”. Wow, non pensavo proprio che mi avrebbe invitata; voglio dire, generalmente non è che i pazienti si facciano vivi volentieri in ospedale, una volta guariti. Avevo accettato l’invito, salvo poi trovare dentro alla busta, una volta a casa, un bigliettino scritto a mano: “vale per due persone, e tu sai bene chi portare con te”. Annie era sempre la solita, fissata che tra me e Chase ci fosse chissà quale grande e tormentato amore. Mi aveva persino regalato, prima di uscire dal policlinico, la serie completa dei romanzi di Nicholas Sparks, dal primo all’ultimo, nonostante le avessi ripetuto fino alla nausea che quello non era proprio il mio genere di lettura. Insomma, non è che sia proprio il tipo fissato per il romanticismo, o, almeno, non credo di dare quest’impressione alla gente che mi conosce. “Fidati, ti piaceranno. In vita mia, non ho mai conosciuto una persona più dolce e sentimentale di te. A parte Andrew, ed è per questo che lo sposo”, aveva esclamato infine, categorica. In quel mese trascorso dalla sua dimissione, avevo dato un’occhiata ad alcuni libri, dovendo ammettere (tra me e me, certo non davanti a lei) che quelle opere erano veramente meravigliose.  Il lettore scandiva le prime note di “Linger” dei Cranberries, con l’inconfondibile intro di Dolores O’Riordan, quando aprii la porta di casa, di ritorno. Accesi il televisore: lo facevo sempre quando rientravo, specie in tarda notte. Non che mi interessassero i programmi che di solito trasmettevano, perlopiù demenziali; semplicemente, mi dava l’impressione di essere in compagnia di qualcuno, di non essere sola. Presi il cellulare e notai tre chiamate perse: Chase, Chase, e ancora Chase. Qualche emergenza al lavoro? Gli mandai un sms per avere notizie, e mi infilai sotto la doccia. Cosa poteva volere Robert, dopotutto? Erano settimane che non parlavamo se non di lavoro, e di null’altro. Dopo il bacio che ci eravamo scambiati la notte di quasi nove mesi prima, quando avevo ottenuto da Andrew il numero del padre di Annie, non c’era stato alcun tipo di rapporto tra noi due, se non quello professionale. Lui aveva tentato, almeno i primissimi giorni, di discutere della nostra “relazione”, come la definiva, ma senza successo: non mi sentivo pronta ad impegnarmi seriamente con qualcuno, non in quel momento della mia vita. E così, dopo un paio di tentativi di chiarimento, aveva gettato la spugna, dandomi la conferma definitiva del fatto che, in realtà, non gli interessassi poi così tanto come diceva. Conoscevo Chase: era il classico tipo da “una botta e via”, che poi amava vantarsi con i colleghi delle conquiste fatte; e non avevo intenzione di essere un’altra conquista da poter esibire, alla pausa caffè, in sala medici. Uscita dalla doccia, feci rapidamente colazione, adocchiando di tanto in tanto il cellulare, pronta a scattare all’inconfondibile suono dell’sms in arrivo, che, ero certa, sarebbe stato di Chase o di House. Quello era il mio giorno libero, ma capitava spesso (troppo spesso) che dovessi prendere turno in ospedale, per questo o quel caso “interessante” ed “insolito”. In effetti, un sms mi arrivò, ma non era dei miei colleghi: era di Annie. “Allora, sarete in due stasera?”. Quella ragazza era davvero testarda. “Sarò sola” , le risposi, archiviandola. Persino nel giorno del suo matrimonio si interessava a me e a Robert. In risposta, mi inviò uno smile che piangeva, facendomi sorridere: era così piccola, nonostante l’età e le nozze imminenti. Nonché il fatto che fosse già madre di una bambina di un mese e mezzo di nome Kate.

Nel pomeriggio, uscii di casa intorno alle due per ritirare l’abito che avrei indossato quella sera. Un abito semplice, rosso, scollato quanto basta, lungo fin poco sopra il ginocchio. L’aveva scelto per me proprio Annie, qualche giorno prima, in una boutique in centro. Diedi una rapida occhiata al telefono: di sms o chiamate, neanche l’ombra; evidentemente, non era nulla di importante. Ritirai il vestito al negozio e passai dal parrucchiere, per farmi acconciare i capelli; da sola, avrei combinato un disastro. Intorno alle quattro, fui nuovamente a casa, pronta a prepararmi. Indossai l’abito, meravigliandomi della bellezza di quel capo: Annie aveva davvero buon gusto. Per un momento, pensai di chiamare Chase, solo per sentire la sua voce calda e rassicurante:  gli avrei mentito, dicendogli di voler sapere se era successo qualcosa in ospedale. Cancellai quel pensiero con la stessa velocità con cui era affiorato, senza volerlo. Uscii per la terza volta di casa e presi un taxi, diretta alla Chiesa in cui Annie ed Andrew si sarebbero a breve sposati. Era una costruzione molto antica, la Chiesa, piccolissima fuori come anche, notai una volta entrata, dentro. Il matrimonio sarebbe stato celebrato con rito cristiano cattolico, vista la fede religiosa dei due. Presi posto in una delle panchine più lontane dall’altare, accanto ad un uomo che si rivelò essere Wilson.

<< Wilson? E tu cosa ci fai qui? >> esclamai, in un tono forse troppo sorpreso.

Sembrò stupito dalla mia domanda.

<< Ehm … Annie è stata così gentile da invitarmi. Dice che mi è grata per quella volta in cui le salvai la vita >> rispose, alzando le spalle.

<< Avrà invitato anche House >> intuii.
Sospirò.

<< Sai che è allergico alle Chiese >>.

Un momento … se aveva invitato persino Wilson ed House, probabilmente …

Il flusso caotico dei miei pensieri fu interrotto dall’ingresso della sposa. Annie era stupenda: il bianco le donava proprio. Risaltava le forme del sue esile corpo, facendola sembrare non più una ragazzina, ma una donna adulta. Adulta e sicura del passo che stava per compiere, sostenuta alla destra dal padre. L’orchestra non stava suonando la marcia nuziale, ma una canzone che sembrava … l’aggiungersi agli strumenti della chitarra me ne diede la conferma: era proprio “Always” di Bon Jovi. Non riuscii a trattenere un sorriso. Wilson, invece, era in preda alle lacrime; sembrava quasi un bambino. Le sue erano lacrime colme di gioia, anche se non capivo il perché di tanto coinvolgimento emotivo.

<< Wilson, tutto ok? >> gli domandai, non riuscendo a trattenermi.

Si accorse che lo stavo fissando e distolse lo sguardo.

<< Sì, sono fatto così, io. Sarà che sono abituato a guardare in faccia la morte tutti i giorni, con il mio lavoro, e vedere finalmente la vita, la gioia, mi fa … commuovere >> si giustificò.

Tirò su col naso e poco dopo uscì dalla Chiesa, borbottando che era di turno o qualcosa del genere.

Era proprio strano, quell’uomo.

La cerimonia nuziale fu più lunga del previsto: non pensavo che i matrimoni cattolici durassero tanto. Fra letture di testi biblici, eucarestia, offertorio e promesse nuziali, passarono quasi due ore. Mi colpì, in particolare, la promessa di Andrew; Annie ripeteva sempre che era un tipo romantico, ma a me non aveva mai dato quest’impressione, dal primo momento in cui l’avevo visto. Probabilmente avevano influito non poco, sull’idea che mi ero fatta di lui, le numerose ecchimosi sul corpo della sua ragazza.

“Io qui presente, Andrew James Smith, mi impegno, da oggi in poi nientemeno che davanti a Dio, non solo ad amarti e onorarti, nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia, come da rito, ma a fare molto di più, tutto quello che mi sarà possibile, e oltre: l’impossibile. Ti prometto, amore, che per te farò l’impossibile, perché tu per me sei l’impossibile, ed è così dal primo giorno che ti ho vista. Non credevo ai miei occhi: prima di te non pensavo che esistessero tanta bellezza e tanta bontà, tanta gioia e tanta ironia, tanto splendore e tanto altruismo, tutti insieme, in una stessa persona. Non lo ritenevo possibile. Soprattutto se la persona è così piccola” – risata collettiva-. “Io ti amo e ti amerò sempre, Annie Samantha Cohen. E’ più forte di me, non posso farne a meno: è nella mia natura. Amarti è come respirare, mangiare, bere, dormire: tu per me sei un bisogno essenziale, primario”.
Dopo questa proposta, Annie non era riuscita a trattenersi: si era gettata fra le sue braccia, istintivamente, prima ancora che le infilasse l’anello al dito. Scatenando i rimproveri del parroco e un applauso spontaneo fra gli invitati, tutti – o quasi – commossi da quella dichiarazione d’amore tanto sincera e spontanea.

Erano quasi le otto di sera, quando accettai il passaggio del padre di Annie fino al ristorante. Per tutto il viaggio, ripensai alla promessa nuziale di Andrew: incredibile che esistesse un amore tanto puro e sincero come il loro, sopravvissuto alla malattia di Annie e anzi da questa rafforzato, se possibile. Arrivati a destinazione, scesi dall’auto, diretta verso il locale. Giunta all’ingresso, non riuscii a credere ai miei occhi: c’era Chase. E sì, era proprio Chase, difficilmente riconoscibile vestito in giacca e cravatta.

<< Sei bellissima >> mi salutò.

<< Grazie. Ha invitato anche te >> osservai.

<< Cameron, io … >> iniziò.

Si interruppe: sembrava emozionato. Cosa ne era stato del Chase che conoscevo, calmo e distaccato?

<< So che non vuoi chiarire la nostra relazione, e che ti infastidisce pure il fatto che la definisca così, ma io … non posso non dirtelo. Me ne pentirei, sono sicuro >>.

Fece un respiro profondo.

<< La verità è che ti amo. Ecco, finalmente l’ho detto ad alta voce. Ti amo, Allison. Ti amo dal primo giorno che ti ho vista, nel team di House, così insicura, così ingenua e diversa dalle altre colleghe e donne. Amo quel tuo spirito altruistico che, anche se non l’ho mai ammesso, ho ammirato sin da subito, amo quel tuo tono spesso di rimprovero nei miei confronti, amo soprattutto quel tuo fingere di essere ciò che non sei, cioè una a cui non importa niente di noi due. Lo leggo nei tuoi occhi, quando siamo insieme. Ti sforzi tanto di fingerti una persona peggiore di quella che sei, che alla fine rischi di convincerti che quella maschera che mostri al mondo esterno sia veramente tu. Ma io so che non sei tu. Tu sei la persona migliore che conosca, Allison, e nulla, nessuno può farmi smettere di amarti così tanto. E so che ti sposerò, un giorno >> dichiarò.

Aveva pronunciato quel discorso tutto d’un fiato, come per timore di dimenticare anche una sola parola. Non sapevo cosa dire.

<< Robert, io … >>.

Mi guardò intensamente: aveva gli occhi lucidi.

<< Anche io ti amo >> dissi infine. Me ne resi conto nello stesso istante in cui articolai quella frase: lo amavo. Che stupida a non accorgermene, anzi, a negarlo a me stessa, fino a quel momento.

Chase mi sollevò letteralmente da terra e mi baciò, il bacio più lungo e passionale che ci fossimo mai dati.

<< Che ti avevo detto, io? Non ancora … >> sentii sussurrare Annie alle mie spalle.

 

Era il ventiquattro Dicembre, e per la prima volta, dopo tanti anni, potevo dire di sentirmi felice.

   
 
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