Non
ancora
“Sembra proprio che quest’anno
trascorreremo
il Natale sotto il sole, qui in New Jersey: le previsioni meteo
preannunciano
bel tempo sino al fine settimana. E per oggi, Vigilia di Natale, le
temperature
non scenderanno sotto i quindici gradi, con massime quasi primaverili.
Con
questo è tutto, ti restituisco la linea, Nick
…”.
Spensi
il televisore. Era il ventiquattro Dicembre, ed io mi sentivo
incredibilmente depressa.
Era così ogni anno, da diverso tempo, ormai. Quella mattina
avevo programmato
la sveglia perché suonasse prestissimo: visto il tempo mite,
avevo deciso di
andare a correre. Presi le chiavi di casa e il lettore musicale ed
uscii. In
quel chilometro che percorsi, su e giù, mi misi a pensare a
quanto accaduto
nell’ultimo mese al Princeton: il parto di Annie, il
ricongiungimento con suo
padre, il fidanzamento con Andrew. Quello appena iniziato sarebbe stato
un
giorno speciale, e non solo perché Vigilia di Natale: quella
sera stessa, alle
cinque, sarebbe stato celebrato il loro matrimonio. Ripensai alla mia
espressione, a dir poco stupita, quando avevo rivisto Annie in
ospedale, a
poche settimane dal parto. “Stai
bene?”,
le avevo chiesto, istintivamente. “Sì,
sto benissimo. Voi medici siete sempre sull’attenti”,
aveva risposto lei,
divertita. “Sono passata a
lasciarti
questo”, aveva aggiunto, porgendomi
l’invito alle sue nozze; “ci
sposiamo il ventiquattro Dicembre”.
Wow, non pensavo proprio che mi avrebbe invitata; voglio dire,
generalmente non
è che i pazienti si facciano vivi volentieri in ospedale,
una volta guariti. Avevo
accettato l’invito, salvo poi trovare dentro alla busta, una
volta a casa, un
bigliettino scritto a mano: “vale
per due
persone, e tu sai bene chi portare con te”. Annie
era sempre la solita, fissata
che tra me e Chase ci fosse chissà quale grande e tormentato
amore. Mi aveva
persino regalato, prima di uscire dal policlinico, la serie completa
dei
romanzi di Nicholas Sparks, dal primo all’ultimo, nonostante
le avessi ripetuto
fino alla nausea che quello non era proprio il mio genere di lettura.
Insomma,
non è che sia proprio il tipo fissato per il romanticismo,
o, almeno, non credo
di dare quest’impressione alla gente che mi conosce. “Fidati, ti piaceranno. In vita mia, non
ho mai conosciuto una persona
più dolce e sentimentale di te. A parte Andrew, ed
è per questo che lo sposo”,
aveva esclamato infine, categorica. In quel mese trascorso dalla sua
dimissione, avevo dato un’occhiata ad alcuni libri, dovendo
ammettere (tra me e
me, certo non davanti a lei) che quelle opere erano veramente
meravigliose. Il
lettore scandiva le prime note di “Linger”
dei Cranberries, con l’inconfondibile
intro di Dolores
O’Riordan, quando
aprii la porta di casa, di ritorno. Accesi il televisore: lo facevo
sempre
quando rientravo, specie in tarda notte. Non che mi interessassero i
programmi
che di solito trasmettevano, perlopiù demenziali;
semplicemente, mi dava l’impressione
di essere in compagnia di qualcuno, di non essere sola. Presi il
cellulare e
notai tre chiamate perse: Chase, Chase, e ancora Chase. Qualche
emergenza al
lavoro? Gli mandai un sms per avere notizie, e mi infilai sotto la
doccia. Cosa
poteva volere Robert, dopotutto? Erano settimane che non parlavamo se
non di
lavoro, e di null’altro. Dopo il bacio che ci eravamo
scambiati la notte di
quasi nove mesi prima, quando avevo ottenuto da Andrew il numero del
padre di
Annie, non c’era stato alcun tipo di rapporto tra noi due, se
non quello
professionale. Lui aveva tentato, almeno i primissimi giorni, di
discutere
della nostra “relazione”, come la definiva, ma
senza successo: non mi sentivo
pronta ad impegnarmi seriamente con qualcuno, non in quel momento della
mia
vita. E così, dopo un paio di tentativi di chiarimento,
aveva gettato la spugna,
dandomi la conferma definitiva del fatto che, in realtà, non
gli interessassi
poi così tanto come diceva. Conoscevo Chase: era il classico
tipo da “una botta
e via”, che poi amava vantarsi con i colleghi delle conquiste
fatte; e non
avevo intenzione di essere un’altra conquista da poter
esibire, alla pausa
caffè, in sala medici. Uscita dalla doccia, feci rapidamente
colazione, adocchiando
di tanto in tanto il cellulare, pronta a scattare
all’inconfondibile suono dell’sms
in arrivo, che, ero certa, sarebbe stato di Chase o di House. Quello
era il mio
giorno libero, ma capitava spesso (troppo spesso) che dovessi prendere
turno in
ospedale, per questo o quel caso “interessante” ed
“insolito”. In effetti, un
sms mi arrivò, ma non era dei miei colleghi: era di Annie. “Allora, sarete in due stasera?”.
Quella ragazza era davvero
testarda. “Sarò
sola” , le risposi,
archiviandola. Persino nel giorno del suo matrimonio si interessava a
me e a
Robert. In risposta, mi inviò uno smile che piangeva,
facendomi sorridere: era
così piccola, nonostante l’età e le
nozze imminenti. Nonché il fatto che fosse
già madre di una bambina di un mese e mezzo di nome Kate.
Nel
pomeriggio, uscii di casa intorno alle due per ritirare
l’abito che avrei indossato
quella sera. Un abito semplice, rosso, scollato quanto basta, lungo fin
poco
sopra il ginocchio. L’aveva scelto per me proprio Annie,
qualche giorno prima,
in una boutique in centro. Diedi una rapida occhiata al telefono: di
sms o
chiamate, neanche l’ombra; evidentemente, non era nulla di importante. Ritirai il vestito al
negozio e passai dal
parrucchiere, per farmi acconciare i capelli; da sola, avrei combinato
un
disastro. Intorno alle quattro, fui nuovamente a casa, pronta a
prepararmi.
Indossai l’abito, meravigliandomi della bellezza di quel
capo: Annie aveva
davvero buon gusto. Per un momento, pensai di chiamare Chase, solo per
sentire
la sua voce calda e rassicurante:
gli
avrei mentito, dicendogli di voler sapere se era successo qualcosa in
ospedale.
Cancellai quel pensiero con la stessa velocità con cui era
affiorato, senza
volerlo. Uscii per la terza volta di casa e presi un taxi, diretta alla
Chiesa
in cui Annie ed Andrew si sarebbero a breve sposati. Era una
costruzione molto
antica, la Chiesa, piccolissima fuori come anche, notai una volta
entrata,
dentro. Il matrimonio sarebbe stato celebrato con rito cristiano
cattolico,
vista la fede religiosa dei due. Presi posto in una delle panchine
più lontane
dall’altare, accanto ad un uomo che si rivelò
essere Wilson.
<<
Wilson? E tu cosa ci fai qui?
>> esclamai, in un tono forse troppo sorpreso.
Sembrò
stupito dalla mia domanda.
<<
Ehm … Annie è stata così gentile da
invitarmi. Dice che mi è grata per quella
volta in cui le salvai la vita >> rispose, alzando le
spalle.
<<
Avrà invitato anche House >> intuii.
Sospirò.
<<
Sai che è allergico alle Chiese >>.
Un
momento … se aveva invitato persino Wilson ed House,
probabilmente …
Il
flusso caotico dei miei pensieri fu interrotto dall’ingresso
della sposa. Annie
era stupenda: il bianco le donava proprio. Risaltava le forme del sue
esile
corpo, facendola sembrare non più una ragazzina, ma una
donna adulta. Adulta e
sicura del passo che stava per compiere, sostenuta alla destra dal
padre. L’orchestra
non stava suonando la marcia nuziale, ma una canzone che sembrava
… l’aggiungersi
agli strumenti della chitarra me ne diede la conferma: era proprio “Always” di Bon Jovi.
Non riuscii a
trattenere un sorriso. Wilson, invece, era in preda alle lacrime;
sembrava
quasi un bambino. Le sue erano lacrime colme di gioia, anche se non
capivo il perché
di tanto coinvolgimento emotivo.
<<
Wilson, tutto ok? >> gli domandai, non riuscendo a
trattenermi.
Si
accorse che lo stavo fissando e distolse lo sguardo.
<<
Sì, sono fatto così, io. Sarà che sono
abituato a guardare in faccia la morte
tutti i giorni, con il mio lavoro, e vedere finalmente la vita, la
gioia, mi fa
… commuovere >>
si giustificò.
Tirò
su col naso e poco dopo uscì dalla Chiesa, borbottando che
era di turno o
qualcosa del genere.
Era
proprio strano, quell’uomo.
La
cerimonia nuziale fu più lunga del previsto: non pensavo che
i matrimoni
cattolici durassero tanto. Fra letture di testi biblici, eucarestia,
offertorio
e promesse nuziali, passarono quasi due ore. Mi colpì, in
particolare, la
promessa di Andrew; Annie ripeteva sempre che era un tipo romantico, ma
a me non
aveva mai dato quest’impressione, dal primo momento in cui
l’avevo visto.
Probabilmente avevano influito non poco, sull’idea che mi ero
fatta di lui, le numerose
ecchimosi sul corpo della sua ragazza.
“Io
qui presente, Andrew James
Smith, mi impegno, da oggi in poi nientemeno che davanti a Dio, non
solo ad
amarti e onorarti, nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e
nella
malattia, come da rito, ma a fare molto di più, tutto quello
che mi sarà
possibile, e oltre: l’impossibile. Ti prometto, amore, che
per te farò l’impossibile,
perché tu per me sei l’impossibile, ed
è così dal primo giorno che ti ho vista.
Non credevo ai miei occhi: prima di te non pensavo che esistessero
tanta
bellezza e tanta bontà, tanta gioia e tanta ironia, tanto
splendore e tanto
altruismo, tutti insieme, in una stessa persona. Non lo ritenevo
possibile. Soprattutto
se la persona è così piccola”
– risata
collettiva-.
“Io ti amo e ti amerò
sempre, Annie
Samantha Cohen. E’ più forte di me, non posso
farne a meno: è nella mia natura.
Amarti è come respirare, mangiare, bere, dormire: tu per me
sei un bisogno
essenziale, primario”.
Dopo questa proposta, Annie non era riuscita a trattenersi: si era
gettata fra
le sue braccia, istintivamente, prima ancora che le infilasse
l’anello al dito.
Scatenando i rimproveri del parroco e un applauso spontaneo fra gli
invitati,
tutti – o quasi – commossi da quella dichiarazione
d’amore tanto sincera e
spontanea.
Erano
quasi le otto di sera, quando accettai il passaggio del padre di Annie
fino al
ristorante. Per tutto il viaggio, ripensai alla promessa nuziale di
Andrew:
incredibile che esistesse un amore tanto puro e sincero come il loro,
sopravvissuto
alla malattia di Annie e anzi da questa rafforzato, se possibile.
Arrivati a destinazione,
scesi dall’auto, diretta verso il locale. Giunta
all’ingresso, non riuscii a
credere ai miei occhi: c’era Chase. E sì, era
proprio Chase, difficilmente
riconoscibile vestito in giacca e cravatta.
<<
Sei bellissima >> mi salutò.
<<
Grazie. Ha invitato anche te >> osservai.
<<
Cameron, io … >> iniziò.
Si
interruppe: sembrava emozionato. Cosa ne era stato del Chase che
conoscevo,
calmo e distaccato?
<<
So che non vuoi chiarire la nostra relazione, e che ti infastidisce
pure il
fatto che la definisca così, ma io … non posso
non dirtelo. Me ne pentirei,
sono sicuro >>.
Fece
un respiro profondo.
<<
La verità è che ti amo.
Ecco,
finalmente l’ho detto ad alta voce. Ti
amo, Allison. Ti amo dal primo giorno che ti ho vista, nel
team di House,
così insicura, così ingenua e diversa dalle altre
colleghe e donne. Amo quel
tuo spirito altruistico che, anche se non l’ho mai ammesso,
ho ammirato sin da
subito, amo quel tuo tono spesso di rimprovero nei miei confronti, amo
soprattutto
quel tuo fingere di essere ciò che non sei, cioè
una a cui non importa niente
di noi due. Lo leggo nei tuoi occhi, quando siamo insieme. Ti sforzi
tanto di
fingerti una persona peggiore di quella che sei, che alla fine rischi
di convincerti
che quella maschera che mostri al mondo esterno sia veramente tu. Ma io
so che
non sei tu. Tu sei la persona migliore che conosca, Allison, e nulla,
nessuno può
farmi smettere di amarti così tanto. E so che ti
sposerò, un giorno >>
dichiarò.
Aveva
pronunciato quel discorso tutto d’un fiato, come per timore
di dimenticare
anche una sola parola. Non sapevo cosa dire.
<<
Robert, io … >>.
Mi
guardò intensamente: aveva gli occhi lucidi.
<<
Anche io ti amo >>
dissi
infine. Me ne resi conto nello stesso istante in cui articolai quella
frase: lo
amavo. Che stupida a non
accorgermene, anzi, a negarlo a me stessa, fino a quel momento.
Chase
mi sollevò letteralmente da terra e mi baciò, il
bacio più lungo e passionale
che ci fossimo mai dati.
<<
Che ti avevo detto, io? Non ancora
…
>> sentii sussurrare Annie alle mie spalle.
Era
il ventiquattro Dicembre, e per la prima volta, dopo tanti anni, potevo
dire di
sentirmi felice.