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Autore: lyssa    27/02/2015    1 recensioni
«Moriarty… Moriarty è vivo.» John sussurra, la voce ancora un poco tremante. «Non solo è vivo, ma ha addirittura una mano sul sedere di Sherlock, che lo guarda come se fosse la cosa più bella del mondo e Dio, ho bisogno di vomitare.» Sherlock gioca a fare la coppietta romantica con Moriarty – il solo pensiero gli fa venire la nausea – mentre lui è lì a piangere la sua morte, incapace di rifarsi una nuova vita. Vuole spaccare la faccia ad entrambi.
[ AU: la teoria di Laura è vera || sheriarty + john || prompt: scandal ]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Partners in death

 
 
“Dovrebbe continuare a scrivere, John; la aiuterebbe a superare il suo lutto” ha detto la sua terapista, per poi guardarlo come se avesse voluto leggergli l’anima, in un modo che istintivamente gli ha ricordato un po’ Sherlock. È stata un’associazione spontanea, un collegamento di idee che John ha compiuto senza pensare, perché ormai vede Sherlock un po’ dappertutto e perché le penetranti iridi azzurre del detective sembrano perseguitarlo tanto nel sonno quanto nella veglia. “Sarebbe benefico per lei, la farebbe stare meglio” ha aggiunto e John si è allora ritrovato a mordersi la lingua per non urlarle in faccia che no, scrivere su uno stupido blog non avrebbe fatto nulla, perché il suo migliore amico è morto senza che lui abbia potuto fare nulla per impedirlo e niente può cambiare il fatto che la persona più importante della sua vita sia scomparsa per sempre.

Così il blog è rimasto inutilizzato, un po’ perché aprire la pagina web e vedere i precedenti post che parlano di Sherlock gli stringe il cuore e lo stomaco, un po’ perché oggettivamente parlando ora la sua vita è talmente noiosa ed ordinaria che non saprebbe proprio cosa scrivere. Non si trova più sulle scene del crimine ad inseguire pericolosi criminali, non vive più con un uomo che gli fa trovare teste umane nel frigo: ora John abita da solo in un piccolo appartamento e lavora come dottore mentre nel tempo libero si vede con la sua nuova fidanzata. Ha una nuova vita. Una nuova noiosa vita da cui non riesce a trarre un minimo di felicità, perché la utilizza per crogiolarsi nel dolore e nel rimpianto. Sherlock non lo vorrebbe. O forse sì, pensa John, un sorriso amaro che gli solca le labbra senza che se ne renda conto, forse Sherlock vorrebbe vederlo portare il lutto per sempre, pieno di quella superbia ed egocentrismo che lo portava sempre a rovinare le sue uscite romantiche. In ogni caso, non ha importanza. I morti non hanno desideri, sono morti e basta e nessuno meglio di lui può saperlo.

John sospira, si passa una mano sul volto e si alza per andare in cucina. Normalmente si sarebbe fatto un tè, ma esso è stato rimpiazzato dallo scotch il giorno in cui Sherlock è morto. John non è un alcolizzato – ci manca solamente che un altro Watson abbia questo problema – ma non disdegna un bicchiere (o due, tre, quattro) ogni tanto. Annebbiato dai fumi dell’alcol a volte può fingere che Sherlock sia ancora vivo, lì con lui. Si tratta di un’illusione fugace che dura solo un paio di istanti prima di scoppiare con un sonoro “pop”, una bolla di sapone distrutta dalle mani di un bambino. Non è reale e non è qualcosa a cui può aggrapparsi per sollevarsi dalla depressione e dalla disperazione presenti ora nella sua vita, ma è pur sempre meglio di nulla.

John sta versando il liquido ambrato nel bicchiere quando il cellulare squilla. Sospira, interrompe quello che sta facendo e afferra il telefono, deciso a rifiutare la chiamata. L’ultima cosa di cui ha bisogno è di parlare con qualcuno, pensa seccato, lanciando un’occhiata fugace allo schermo.
Quando legge il nome sul display smette di respirare.
***
 
Seduto sui sedili in pelle scura di un’auto costosa John si morde il labbro, tamburella nervoso le dita e guarda fuori dal finestrino oscurato, cercando di trovare qualcosa su cui focalizzare l’attenzione in modo da mettere a tacere la mente e non fare ipotesi su quello che sta accadendo. Non riesce a smettere di pensare. Forse è così che si sentiva Sherlock ogni volta. Non riuscendo a distrarsi si volta verso la donna seduta accanto a lui. Completo scuro, una cascata di calde onde castane ed un cellulare tra le mani, Anthea non lo considera minimamente e continua a messaggiare, dita che si muovono abili sul piccolo dispositivo.

Quella situazione è assurda.

John sente le proprie labbra sollevarsi in un sorriso esasperato mentre pensa che vorrebbe tanto scuotere Anthea – o qualunque sia il suo vero nome – per le spalle e domandarle perché diavolo Mycroft lo ha chiamato dopo tutti quei mesi di silenzio, perché lo hanno costretto a salire in macchina senza dargli risposte e se tutta quella faccenda ha qualcosa a che vedere con Sherlock. Si trattiene solo perché a quel punto Anthea finalmente solleva lo sguardo dal cellulare, lo guarda con imperturbabili occhi scuri e John capisce immediatamente che non riuscirà ad ottenere nulla da lei.
«Presto il signor Holmes le spiegherà tutto.» Mormora, tornando a dedicarsi al telefono, custode di chissà quali segreti. «Siamo arrivati.»
 
***
 
John è riuscito ad abituarsi alla presenza costante di Sherlock Holmes, un uomo a dir poco particolare, eppure non pensa riuscirà mai a fare lo stesso con Mycroft. Ogni volta gli sembra di essere in uno di quei film di spionaggio che guarda la sera prima di addormentarsi sul divano. Viene contattato senza alcuna spiegazione e costretto a salire in una costosa automobile scura, una volta poi arrivato a destinazione uomini in giacca e cravatta lo scortano verso l’ufficio e seguono con lo sguardo ogni suo più piccolo movimento fin quando non si trova davanti al maggiore dei fratelli Holmes – ha senso fare questa distinzione ora che Sherlock è morto? – che nonostante lo conosca da più di tre anni continua a comportarsi con un artificiosa cordialità.

L’ufficio di Mycroft è ben arredato ma impersonale. Non c’è nulla nella stanza in grado di dire qualcosa sul possessore; probabilmente è voluto, pensa John, facendo un piccolo cenno del capo a Mycroft, seduto alla scrivania perfettamente in ordine. Le labbra di Holmes si increspano in un accenno di sorriso che è pura cortesia.

«John, la prego, si sieda.»

L’uso della terza persona gli fa roteare seccato gli occhi al cielo. «Mycroft, puoi darmi del tu.» Afferma, usando un tono forse troppo aggressivo. In ogni caso, non è su quello che John vuole focalizzarsi, quindi cambia subito discorso e prende posto nella sedia indicata dal braccio altrui. «E delle spiegazioni.»

Mycroft rimane in silenzio un paio di secondi, poi sospira ed annuisce con aria grave, guardando John dritto negli occhi. «Capisco che tu sia confuso, ma la segretezza è fondamentale. Non sono informazioni confidenziali, che po–»

«Taglia corto.»

John può vedere il fastidio prendere forma fisica sul volto di Mycroft. Le labbra si arricciano in una impercettibile smorfia seccata. Non ci vuole un genio per rendersi conto che il Governo Inglese in persona – quel concetto è sempre sembrato un po’ stupido a John, come può un uomo solo rappresentare l’intero governo? È davvero possibile? – non è abituato a sentirsi parlare in quella maniera. In ogni caso, se Mycroft ha qualche risposta sarcastica sulla lingua, decide di non sfoderarla.

«Fonti attendibili ci dicono che Sherlock è ancora vivo.»

Il cuore di John perde un battito. Il respiro gli si mozza in gola e l’intera stanza sembra sparire, sfumandosi in uno scenario senza forma definita. Nulla esiste più, nulla ha più senso, perché Sherlock è vivo. Sherlock è vivo e se è Mycroft a dirglielo allora lui può crederci. Sherlock è vivo, ripete la sua mente e il cuore di John riprende a battere, furioso come non mai, un tamburo che risuona nella cassa toracica, nel cranio e nella sua anima intera. Sherlock è vivo e John vorrebbe quasi mettersi a piangere lì, sulla sedia dell’ufficio di Mycroft. Riesce a trattenersi. Dopo qualche istante la felicità fa però spazio alla rabbia. Se Sherlock è vivo, allora perché non gli ha detto nulla? Perché ha continuato quella farsa? Perché non ha provato neanche a mettersi in contatto?

La voce di Mycroft lo distoglie dai suoi pensieri. «Abbiamo ottenuto delle foto.» Nei suoi occhi c’è una preoccupazione ed un riguardo che vanno al di là della semplice gentilezza. Mycroft lo guarda come se lui fosse una statuetta di cristallo pronta a spezzarsi in ogni istante, una sottile lamina di vetro prima o poi destinata a rompersi, qualcosa di fragile che andrà incontro a distruzione. A John non piace essere guardato in quel modo. Si schiarisce la voce e si passa la mano sul volto, per essere poi pronto a sostenere lo sguardo dell’altro. Solo allora Mycroft continua. «Attualmente sembra alloggiare in Sud America, anche se è difficile dirlo dato che si sposta molto.»

«Perché?» Fare quella domanda a Mycroft è insoddisfacente. Non è lui l’Holmes che deve rispondere, non è lui la persona che John vuole avere davanti e non è lui a dover rispondere dell’accaduto. È frustrante e non è quello che desidera, eppure nel pronunciare la parola il suo cuore accelera appena il battito.

«Non è tutto. Non l’avrei chiamata se fosse stato semplicemente questo e no John, non mi guardi in quel modo e mi lasci finire–» Mycroft solleva una mano come interrompere ogni possibile obiezione, poi continua imperterrito «Le circostanze delle fotografie in nostro possesso sono… problematiche.» Aggrotta le sopracciglia e prende un profondo respiro. Qualunque cosa sia successa, è chiaro che ne è profondamente turbato. Per un momento nei suoi occhi John vede il dubbio. Un baleno rapido che offusca le sue iridi per poi sparire immediatamente. «Dia un’occhiata lei stesso.»

Mycroft non aggiunge altro. Apre uno dei cassetti che si trovano alla sua destra – è sottochiave, nota John – e appoggia la foto sul tavolo. Per la seconda volta da quando si trova in quella stanza, John crolla.

«No.» Non riesce a credere a ciò che ha davanti agli occhi. «No.» ripete e la voce ora gli trema in un modo che John stesso non può fare a meno di trovare patetico. Non che gli interessi. Non riesce a pensare a nient’altro se non all’immagine che ha davanti, impressa a fuoco nel suo cervello. Dubita di poterla cancellare presto.

«Non è un fotomontaggio. È autentica.»

«È impossibile.»

«Eppure…»

«Non può essere vera!» Questa volta ha urlato e i pugni hanno sbattuto sul tavolo. Passano dei secondi in assoluto silenzio, pieni unicamente dell’eco della voce di John che lentamente si spegne nella stanza. Mycroft non batte ciglio. Ovviamente si aspettava una risposta del genere.
«Moriarty… Moriarty è vivo.» John sussurra, la voce ancora un poco tremante. «Non solo è vivo, ma ha addirittura una mano sul sedere di Sherlock, che lo guarda come se fosse la cosa più bella del mondo e Dio, ho bisogno di vomitare.» Sherlock gioca a fare la coppietta romantica con Moriarty – il solo pensiero gli fa venire la nausea – mentre lui è lì a piangere la sua morte, incapace di rifarsi una nuova vita. Vuole spaccare la faccia ad entrambi.

«Sherlock purtroppo è sempre stato tentato dal proibito e dal pericoloso, avrei dovuto immaginare uno sviluppo simile.» Mycroft al contrario non sembra troppo stupito. John non può fare a meno di chiedersi quale sia stata la sua reazione iniziale, se la sua voce allora sia stata imperturbabile e fredda come è adesso. Non riesce a darsi una risposta. Mycroft è sempre stato difficile da capire. «Non può immaginare qua–»

«Non mi interessano i vostri problemi famigliari.» La voce esce tagliente dalle labbra di John. C’è un’altra pausa prima che riprenda a parlare. «Cosa… Cosa volevi da me, comunque? Non mi hai convocato qui senza alcuna ragione.»

«Non mi piace ammetterlo, ma… ho bisogno del tuo aiuto.» Mycroft lo guarda nuovamente negli occhi, ma ora nel suo sguardo c’è qualcosa di diverso. Una supplica silenziosa, una preghiera che dovrebbe rimanere nascosta ma che in qualche modo riesce a trapelare dalle iridi azzurre. «Sei l’unico che può far tornare Sherlock come prima.»

John scoppia in una risata.
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La luce aranciata del tramonto filtra attraverso le finestre e delicata disegna arabeschi sulla pelle nuda di Sherlock, il cui candore contrasta con le lenzuola di seta nera del grande letto matrimoniale. Un sorriso increspa inconsapevole le labbra di Jim quando allunga il braccio per andare a sfiorare con la punta delle dita il fianco scoperto di Sherlock. I polpastrelli si muovono leggeri, delicati tracciano sull’epidermide linee e figure che, per quanto possano sembrare casuali e senza alcun significato ad una prima occhiata, riprendono le forme di galassie e costellazioni lontane. È rilassante. In Jim non vi sono più tendenze autodistruttive e tedio esistenziale: l’incessante rumore, portatore di rabbia e caos nella sua mente è diminuito nel momento stesso in cui Sherlock ha accettato di intraprendere quella bizzarra relazione ed è presto stato rimpiazzato da tranquillità, desiderio e da uno strano calore che Jim assocerebbe quasi all’amore, se solo lui non fosse lui e Sherlock non fosse Sherlock.

Non c’è bisogno di dare un nome a ciò che prova per il detective. In ogni caso, anche se lo volesse, non potrebbe comunque farlo. Il linguaggio umano non è ancora tanto evoluto.

«Pensi sia stata una buona idea?» Sherlock si volta da lui, guardandolo dritto negli occhi. I riccioli scuri gli ricadono sul volto in una massa informe a causa dal sesso appena fatto. Jim sente il bisogno di passarci di nuovo dentro le mani. «Avresti semplicemente potuto ucciderlo…» Aggiunge in un mormorio, arricciando le labbra.

La naturalezza e la spontaneità con cui Sherlock è ora disposto a macchiarsi di omicidio fanno sorridere Jim. Non è qualcosa che lo sorprende – non dopo che hanno trascorso mesi insieme ad architettare crimini ed atrocità di cui la Terra non è mai stata spettatrice prima di allora – ma è comunque in grado di renderlo contento.

«Sherlock, non possiamo nasconderci per sempre.» Non fatica a comprendere il punto di vista di Sherlock, ma non c’è davvero alcuna ragione per prolungare la segretezza della loro relazione. In un modo o nell’altro, sarebbe venuta alla luce comunque: nonostante Jim si creda intellettualmente superiore a Mycroft, sa di non poter sfuggire alla sua sorveglianza per sempre. Nella sua mente prende improvvisamente vita l’immagine del maggiore degli Holmes di fronte alla scioccante rivelazione ed il criminale non riesce a reprimere una risata cristallina che gli fa guadagnare un’occhiata perplessa da parte di Sherlock. «Stavo solo immaginando cosa pensi il tuo caro fratello di tutta questa faccenda…» Dice, premendo un poco l’indice su uno dei tanti succhiotti che adornano la pelle dell’altro.

«Avrei voluto vedere la sua reazione.» Sherlock ride, si avvicina un po’ e dimezza la distanza tra di loro. Si trovano a una manciata di centimetri di distanza ora e si guardano dritti negli occhi. Nelle iridi azzurri di Sherlock, Jim vede una preoccupazione che, per quanto ben celata, non riesce a sfuggire al suo sguardo.

Sono uguali, l’immagine riflessa e specchiata dello stesso oggetto; Sherlock non può nascondergli nulla perché Jim è consapevole dei suoi pensieri nel momento in cui questi nascono. C’è un legame speciale, mentale prima che fisico e sentimentale, che li unisce, una connessione che non potrebbero avere con nessun’altro. Jim pensa sia un buon momento per dare voce alla domanda inespressa che Sherlock cerca di reprimere.

«Penso dovremmo tornare a Londra,» dice serio, continuando a carezzargli il fianco «presto la notizia farà scalpore in ogni caso, tanto vale fare un rientro in grande stile.» Si allunga e depone un casto bacio sulla mandibola. «Dare alla città qualcosa di nuovo»

In realtà Jim non prova un amore spassionato per la capitale inglese. Tutti i luoghi sono a lui indifferenti, non è capace di affezionarsi a una città o ad una casa, ma è consapevole che Sherlock sia diverso da lui sotto questo punto di vista. A Sherlock manca Londra. Gli manca anche la vita che aveva prima, non perché quella che vive ora sia peggiore, ma perché la convivenza con John e la presenza dei suoi amici – il naso di Jim si arriccia al solo pensiero – sono diventati ormai parte di mondo senza il quale non può vivere. James vorrebbe tenerlo al suo fianco per sempre e impedirgli di vedere altre persone, ma sa che è non può farlo: sarà anche un pluriomicida, ma manipolare Sherlock non è mai stato nelle sue intenzioni. Non vuole costringere il detective a fare qualcosa che non vuole, perché allora tutto il senso della loro relazione svanirebbe come fumo al vento. Sherlock deve essere consapevole e sicuro delle scelte che fa.

«Quando?»

«Quando vuoi.» Una telefonata è tutto quello che serve per preparare un jet privato. «Prima però c’è qualcos’altro che vorrei fare…»

Sherlock sorride quando la mano di Jim si fa strada tra le sue cosce.
***

Jim è comodamente seduto sul divano in pelle bianca dell’aereo privato, il cellulare in una mano e i riccioli di Sherlock – che si è addormentato con la testa sulla sua spalla – arricciati intorno alle dita dell’altra. Il volo prosegue senza complicazioni e mantenendo quella velocità dovrebbero atterrare nel suolo britannico in una quarantina di minuti circa.

Se il viaggio è tranquillo, lo stesso non si può dire della mente di Jim. Pensieri di ogni sorta vorticano nella sua testa, infiniti “e se…?” che intricati si attorcigliano tra di loro, una matassa scura di ipotesi negative che presto formano un mare scuro e profondo, le cui onde sono in grado di risucchiare qualunque cosa, come un buco nero. In quel momento non ha importanza che Sherlock, quel giorno sul tetto dove tutto è cominciato con una semplice stretta di mano, gli abbia detto che sono uguali e non hanno più importanza neanche le numerose volte in cui dalle labbra dell’inglese sono fuoriuscite le stesse parole – “Sono come te, non siamo più soli al mondo” – intervallate a baci più o meno casti su labbra, zigomi, palpebre, collo, orecchie.  Nulla ha più importanza perché è solo uno il pensiero a prendere forma nella mente di Jim: “Forse Sherlock è come tutti gli altri, forse ho sprecato la mia vita dietro qualcuno che non lo merita” e l’idea è sufficiente a spaventarlo a morte. Nonostante abbia una profonda conoscenza e consapevolezza di sé, Jim non sa come reagirebbe se il suo timore diventasse realtà. Non vuole pensarci.

Si sente come se fosse tornato indietro al tempo in cui non aveva ancora avuto il coraggio – o la sconsideratezza? – di avvicinarsi fisicamente a Sherlock, quando non sicuro del loro legame e della loro somiglianza si limitava a seguirlo da lontano senza interferire nella sua vita, un’ombra silenziosa quanto presente. È da parecchio tempo che non aveva sbalzi di umore di quel tipo, si rende conto, mordendosi nervoso il labbro inferiore. Prima non era minimamente turbato, al contrario, pieno di quella sicurezza e superbia che hanno sempre caratterizzato il suo modo di fare, aveva allontanato ogni ipotetico ripensamento, soffocandolo con spinte sempre più rapide ed osceni gemiti. Ora che non ha nulla con cui distrarsi, cercare di non pensarci è pressoché impossibile.

«Jim?» La voce assonnata di Sherlock – che ora ha aperto gli occhi – in qualche modo lo salva. Mette a tacere ogni cosa, porta il suo cervello in una posizione di stallo e congela ogni pensiero negativo.

«Sì?»

«Niente. Solo non preoccuparti troppo, mi hai fatto svegliare.»

Jim lo guarda ed un debole sorriso prende vita sulle sue labbra. Sherlock se ne è reso conto immediatamente. Forse non ha alcun motivo di dubitare di lui.
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Era semplice ignorare l’esistenza di John Watson mentre lui e Jim passavano giornate intere a disquisire di filosofia, scienza e musica, organizzare crimini e fare sesso. Certo, a volte i ricordi lo colpivano con una forza tale da fargli mettere in discussione le sue scelte, ma in qualche modo Jim era sempre in grado di distrarlo e di fargli focalizzare l’attenzione su qualcos’altro, mettendolo di fronte alla meraviglia di ciò che il loro rapporto era diventato e facendo così svanire ogni pensiero negativo.

Ora che si trova a Londra davanti alla porta del nuovo appartamento di John tutto è però diverso. Il peso di ciò che ha lasciato e del senso di colpa gravano su di lui in un modo che non aveva previsto, rendendo impossibile respirare ed accelerando il battito del cuore, che pompa all’impazzata risuonando a livello delle tempie. Non si è mai sentito tanto nervoso in vita sua.

Sherlock solleva il braccio per suonare il campanello, ma l’arto ricade prima che riesca a premere il bottone. Non riesce a farlo perché non ne trova il coraggio. Cosa potrebbe mai dirgli, dopotutto? Come potrebbe scusarsi per quello che ha fatto? Non sono molte le cose che Sherlock conosce sulla natura umana, ma di qualcosa è consapevole:  ha fatto del male al suo migliore amico e gli deve scuse e spiegazioni. Sospira Sherlock, si passa la mano tra i capelli e prova a suonare il campanello di nuovo. Il cuore batte furioso quando il polpastrello dell’indice preme il pulsante e mentre Sherlock aspetta quasi si dimentica di respirare.

Quando inspira nuovamente John non gli ha ancora risposto.

Forse non è in casa ed ha semplicemente dimenticato la luce accesa, riflette, alzando lo sguardo verso la finestra che dà sulla strada. Rimane qualche istante immobile, pensando al da farsi. Potrebbe andarsene, ma quello comporterebbe il dover tornare nuovamente e non è sicuro di riuscire a farlo. Deve trovare un altro modo.

Fortunatamente la serratura della porta è piuttosto semplice.
***

Non gli ci sono voluti più di sei minuti e quarantasette secondi per farsi strada nell’appartamento di John. Dovrebbe fare più attenzione a queste cose, riflette, mentre curiosa la nuova casa nell’attesa che il suo proprietario faccia ritorno. L’arredamento appartiene chiaramente all’inquilino precedente, un infelice scapolo che non ha mai prestato troppa attenzione alle condizioni della propria abitazione. Non sono solo i mobili però ad appartenere all’uomo senza volto e nome, nota Sherlock, ogni cosa, dai libri ai soprammobili non appartiene a John. Non c’è nulla di John Watson lì, nulla della vita che insieme Sherlock ha vissuto con lui e non sa se la cosa lo offende o se invece gli stringe ancor più lo stomaco. Probabilmente entrambi. Sta deducendo le nuove abitudine alcoliche di John quando la porta si apre, facendo rizzare Sherlock sull’attenti. La bottiglia mezza vuota di scotch che stava stringendo tra le mani viene appoggiata sul tavolo della cucina e Sherlock si avvicina con passi lenti e calcolati all’altro, come se un’andatura moderata e tranquilla possa essere in grado di nascondere tutto il suo nervosismo.

«John.»

Il pugno lo colpisce talmente rapidamente che Sherlock non fa neanche in tempo a proteggersi il volto. Il dolore ed il calore si espandono come una macchia d’olio, mentre qualcosa di umido scende fino a raggiungergli le labbra e la reazione istintiva di Sherlock è quella di portarsi una mano al naso sanguinante. Dovrebbe essere sorpreso, ma in qualche modo non lo è.

«Dopo tutto questo tempo è questa l’unica cosa che riesci a dirmi?» Chiamare John furioso sarebbe un eufemismo. Non c’è bisogno di avere le capacità d’osservazione di Sherlock per rendersi conto che il dottore è fuori di sé.

«Non mi hai lasciato tempo di fare molto altro.» La mezza risata che gli nasce in gola viene soffocata da un pugno nuovamente diretto verso al naso. Questa volta il colpo è talmente doloroso che Sherlock non riesce a trattenere un mugolio di dolore e perde l’equilibrio, cadendo all’indietro sul pavimento. «Okay, questo me lo sono meritato.» Stringe gli occhi, continuando a tastarsi il naso con i polpastrelli. Fa male, ma per fortuna non c’è nulla di rotto.

«Decisamente.» John gli è sopra. Gli stringe il colletto della camicia con forza e Sherlock osserva il tessuto di Armani che si stropiccia tra le sue dita prima di sollevare lo sguardo per incontrare quello dell’altro. C’è qualcosa negli occhi di John che fa nascere in lui dei sensi di colpa. Ha sempre saputo di non essere un sociopatico, ma provare quei sentimenti è per lui una sensazione comunque nuova ed inaspettata.

«Scusa» dice e non lo fa per evitare un altro colpo «non avrei mai dovuto farlo» aggiunge, subito dopo. Delle semplici parole non sono abbastanza, Sherlock ne è perfettamente consapevole, ma non c’è molto altro che può fare. Non può tornare indietro e cambiare le sue scelte; in ogni caso, anche se distorcere le leggi spazio-temporali fosse possibile, non lo farebbe mai, perché non importa quando i sensi di colpa siano forti e quanto il suo cuore sia pesante, non si pente di nulla. Non cancellerebbe o distruggerebbe mai tutto quello che tutt’ora ha con Jim. 

«Pensi che basti? Mi hai rovinato la vita.» John ora non sta urlando. Usa una voce più bassa, permeata di una rabbia diversa, una rabbia che non deriva dall’impulso del momento, una rabbia più profonda forte e ragionata, in qualche modo indelebile. Sherlock non sa cosa rispondere. John ha ragione, gli ha rovinato la vita – è sempre stato consapevole del fatto che l’altro non sarebbe mai riuscito a voltare completamente pagina – eppure non sa come reagire. Piuttosto che dire qualcosa di inopportuno decide di rimanere in silenzio.

«Tutto questo per andare con… con Moriarty! È un assassino, Sherlock!»

«Sapevo che Mycroft te l’avrebbe detto. Non riesce a tenere il suo grosso naso f–»

«Sherlock.» John lo interrompe con la sua voce “da soldato”, quella ferma e decisa che non sempre arriva a tirare fuori. La presa sulla sua camicia si fa più stretta, per poi allentarsi di colpo. John continua comunque a non sollevarsi. «Dimmi che Moriarty ti ha rapito e ti ha costretto a stare con lui. Per favore.»

A quelle parole il cuore di Sherlock perde un battito. «No, non posso.» Non importa quanto forti possano essere il suo dolore e il suo affetto per John, Sherlock non può fare qualcosa di simile a Jim. Non può ridurlo a un semplice omicida e rapitore, non può ridurre tutto ciò che la sua sola esistenza significa a qualcuno che non si cura dei suoi bisogni e desideri. «Jim non mi ha mai costretto a fare nulla che io non volessi.» Sente il dovere di metterlo in chiaro. «Come fai anche solo a pensare una cosa simile? Anche prima di tutta questa storia non mi ha mai costretto a… giocare.»

«Giusto… Perché si tratta solo di un gioco per te, vero?» Per un attimo Sherlock teme che John lo colpisca ancora. Non lo fa ed invece si limita a ridere, per poi sollevarsi ed allontanarsi da lui. «Voi giocate con la vita delle persone.»

«Non è un gioco. Non mi aspetto che tu capisca la natura del nostro rapporto.» Sherlock si alza in piedi, sistemandosi la giacca e arricciando appena il naso dolorante. Non vuole provare a spiegare ciò che lui e Jim hanno, un po’ perché John non capirebbe – nessuno potrebbe, non è una cosa che riguarda il dottore personalmente – un po’ perché la relazione che ha con Jim è qualcosa che non vuole condividere troppo con il mondo. È solo sua.

«E adesso? Adesso che sei tornato e mi hai dato le tue scuse pensi di sparire di nuovo?»

Sherlock aspettava quella domanda. Prende un respiro profondo ed abbozza un paio di passi in avanti. Ha preso la sua decisione appena sono arrivati, quando Jim lo ha accompagnato di fronte all’appartamento di John. «No. Voglio rimanere qui.» Fa una pausa di qualche secondo, in modo da permettere alle sue parole di venire completamente comprese. «Io e Jim ne abbiamo parlato. Un po’ ci manca essere da due lati opposti della scacchiera, quindi possiamo tornare al 221b. Se vuoi, ovviamente.»

«Pensi davvero che io ti segua dopo tutto quello che mi hai fatto?»

«Sì.» La sua risposta suona probabilmente arrogante, ma è sincera. Non ha alcun dubbio che John lo farà. Certo, all’inizio sarà arrabbiato, forse si rifiuterà addirittura di rivolgergli la parola o di comportarsi in modo civile, ma si trasferirà nuovamente al 221b con lui. Insieme arrederanno nuovamente l’appartamento e vivranno una vita simile e al tempo stesso completamente diversa a quella di prima, perché nonostante la routine possa restaurarsi e tornare quella di prima, lo stesso non può essere detto della situazione, non dopo un gesto del genere e non dopo la nuova importanza acquisita da Jim Moriarty nella vita di Sherlock. Sarà difficile per John abituarsi all’inizio, ma lo farà, perché in nessun caso John riuscirebbe a condurre la vita sciapa e banale che ha al momento. Sherlock lo sa. Conosce il suo migliore amico. «Lo sai anche tu.»

«Ipotizzando che sia così… Cosa succederà con Moriarty?»

«Il nostro rapporto non cambierà.»

«Quindi continuerà ad essere… il tuo ragazzo?»

«Qualcosa del genere, sì.» Sentir chiamare Jim in quel modo a voce alta è strano, ma lo fa sorridere in modo inconsapevole anche in una situazione tanto assurda. «Hai un po’ di tempo per pensarci.» Non esige una risposta immediata, quindi inizia a camminare, diretto verso la porta dell’appartamento. John lo afferra per il braccio e lo blocca.

«Sherlock?»

«Sì?»

«Ne sei sicuro? È pericoloso.»

«Lo so. Se non lo fosse non l’avrei mai fatto.» Può comprendere perché John sia preoccupato. Jim non è una brava persona, ma al tempo stesso Sherlock  è certo che non gli farà alcun male. Non lo ha mai fatto prima e non inizierà certo adesso. Un giorno lo capirà anche John. «Non cambierò idea su questo. Non voglio lasciarlo.»

«Non so se posso accettarlo.»

«So anche questo.»

John lascia la presa e Sherlock si allontana senza aggiungere una parola.
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Lo scandalo è scoppiato immediatamente. “Il grande detective Sherlock Holmes e la mente criminale James Moriarty sono vivi ed amanti!” recitano le prime pagine dei giornali e il web è pieno di oscuri forum in cui si discute l’autenticità della notizia. Si tratta di una situazione assurda e paradossale.
Jim sembra trovarsi abbastanza a suo agio: gioca con la loro relazione ora di dominio pubblico, posta foto di loro due insieme e talvolta, quando proprio non ha nient’altro da fare, mette nuove voci in giro tramite l’utilizzo di pseudonimi particolarmente famosi in determinati siti web. Sherlock ha invece deciso di vivere diversamente, ignorando la fama. Certo, inizialmente lo scandalo era stato scomodo, i clienti erano diminuiti sia per lui che per Jim, ma non c’è voluto molto prima che la situazione ritornasse simile a come era prima e che il lavoro iniziasse a ricomparire.

«Hai visto? Qui si chiedono chi tra di noi stia sopra a letto.» Jim scoppia in una risata e si siede a cavalcioni sulle sue gambe sventolandogli un giornale sotto il naso e guadagnandosi un’occhiataccia da parte di John, che si corruccia ancora di fronte ad ogni gesto romantico tra i due. Probabilmente John non si abituerà mai, ma Sherlock non potrebbe immaginare una soluzione migliore.

Non ha dovuto rinunciare né al suo migliore amico né alla persona che ama.
 










Note dell'autore:
 
Ho sempre voluto scrivere qualcosa del genere ed eccomi qua! Spero vi sia piaciuta e nulla, vorrei solo chiarire che i sentimenti tra John e Sherlock non sono di natura romantica, ma oggettivamente parlando capisco che questa fic possa essere vista come una fic sulla johnlockiarty intesa come OT3 e coppia polyamorosa, quindi boh, interpretatela pure come volete. Non ho mai scritto di John e Mycroft, quindi spero di non essere andata troppo OOC, ma nell'insieme sono soddisfatta! Alla prossima u v u
   
 
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