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Autore: Yo Yo Sango 16    27/02/2015    0 recensioni
E se… nel cuore del Genio della Foglia nulla fosse cambiato?
Se il saggio discorso di Naruto durante lo scontro degli esami dei Chunin non avesse avuto effetto sul freddo Neji?
Se il suo odio per la casata principale non si fosse ancora spento e in lui la sofferenza non avesse ancora trovato pace?
In un giorno festoso, in una stanza sconosciuta di casa Hyuga i dubbi nasceranno nel cuore di Neji, quando appariranno vecchie memorie.
(Alla fine del capitolo 614, i ninja medici riescono a salvare Neji, per cui alla fine della battaglia con Kaguya, Neji e Hinata tornano a casa sani e salvi.)
2° classificata al contest “What if?! I could write my own ending?”.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Hiashi Hyuuga, Hinata Hyuuga, Neji Hyuuga | Coppie: Neji/Hinata
Note: What if? | Avvertimenti: Incest | Contesto: Dopo la serie
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Passi pesanti

Nella Culla dei Ricordi… Ritrovo Te

 

 

Passi pesanti.

Passi rumorosi che si fanno più affrettati.

Corro via, incurante del rumore che provoco sul pavimento d’ebano con i miei geta levigati.

Il fiato viene meno, mentre il pesante kimono elaborato con ricami delicati ed eleganti impedisce i miei movimenti.

Sento sempre più lontano il chiacchiericcio della gente, mentre mi allontano in tutta fretta.

Non mi devono vedere.

La musica grave arriva alle mie orecchie come un fastidioso rumore.

Sono stanco. Devo fermarmi a riprendere fiato.

Sono un ninja di Konoha, anzi, il migliore. Possibile che dopo soli quattro corridoi attraversati correndo, io abbia già il fiatone?

Il mio cuore è in subbuglio.

Varie sensazioni si agitano dentro di me e un sentimento simile alla paura si è infiltrato nel mio organismo e mi logora da dentro.

Ma il Genio della Foglia non può avere paura di nulla.

Nulla può sopraffarmi.

Poso una mano sul petto e sospiro.

Fisso lo stagno del giardino interno, con malinconia. Il rigagnolo d’acqua, che scorre per le pietre lucide, riflette i raggi violenti del sole estivo.

Il kimono comincia ad essere davvero soffocante, oltre che ingombrante.

L’aroma delle mille squisitezze che ci aspettavano per pranzo arriva a stuzzicare il mio naso. Sento un languorino allo stomaco piuttosto pressante, ma lo ignoro, mentre ascolto i battiti accelerati del cuore.

Finalmente sono lontano da quella folla opprimente, da quegli sguardi di disprezzo, da tutto e da tutti.

Ora sono solo con i miei pensieri, con le mie paure, il mio sgomento.

Come tutti gli anni, giunge questo fatidico giorno festoso.

Festoso per tutti, tranne che per me.

La primavera è terminata, gli alberi cominciano a produrre i loro frutti e l’aria si riempie di calore.

Ma in questo giorno particolare, il Signor Hiashi organizza ogni anno una cerimonia degna di questo nome. Sono arrivati centinaia di invitati, qualche ora fa, gente importante e gente insignificante.

Gente elegantemente vestita è entrata in casa nostra a portare doni, prelibatezze, auguri di tutto cuore. Persone all’apparenza gentili ed educate, ma profondamente false, ingannevoli ed approfittatrici.

Il Signor Hiashi ha preteso che io mi presentassi in splendida forma, per quel giorno. Ha ordinato appositamente un kimono nuovo per me e mi ha riempito di direttive e accorgimenti per tutta la giornata, sempre con quel suo tono freddo e perentorio.

Pare quasi un controsenso.

Per quale ragione cercare di farmi fare a tutti i costi una bella figura di fronte a quelle persone, se sa benissimo che verrò deriso? Deriso per la mia posizione di infimo livello…

Ma sono un illuso se penso che la loro regale attenzione si posi su uno sputo della società come me…

Loro oggi sono qui per lei.

Oggi è il giorno a lei dedicato, nulla e nessuno potrebbe catalizzare l’attenzione su qualcos’altro.

Oggi è il giorno del diciottesimo compleanno di Madamigella Hinata.

Una voce possente e imperiosa riecheggia per i corridoi della casa. Chiama il mio nome.

Deglutisco a vuoto, pensando che se il Signor Hiashi ora mi trovasse, potrei passare dei guai seri.

Col gelo del panico alla bocca dello stomaco, ricomincio a correre, il sudore che mi scende dalle tempie, un po’ per il caldo e un po’ per l’ansia di non essere scovato.

Giro l’angolo, affannosamente.

Non posso più sopportarlo, questo calore.

Giro di nuovo per un altro corridoio e mi ritrovo in un’ala della casa da cui sono passato rarissime volte. Ma forse è meglio così, sarà più difficile per gli altri sapere che mi sono nascosto qui.

La voce che chiama il mio nome ora è più lontana.

Tiro un lungo sospiro, appoggiandomi spasmodicamente al muro.

Improvvisamente sotto le dita della mano, tocco una maniglia intarsiata. Giro la testa e dietro di me trovo una porta. È in legno scuro, un po’ rovinato dal tempo. Inspiro il profumo umido e odoroso che emana, rimanendo incantato dalla scoperta.

In una casa come la nostra, abbiamo soltanto le porte scorrevoli. Non avrei mai pensato di trovare una porta a cardini.

La curiosità sale sempre più veloce e sento che presto mi vincerà.

L’incanto si spezza quando sento la voce potente che s’avvicina velocemente, seguita da passi pesanti. Di nuovo l’agitazione s’impossessa di me e tento di entrare nella stanza misteriosa.

Il legno però fa resistenza. Probabilmente il tempo e l’umidità l’hanno ispessito e ora è difficile smuoverlo.

Abbasso di nuovo la maniglia e faccio forza, ma di nuovo la porta si sposta di poco, senza permettermi d’entrare.

-Hyuga Neji!-

Quell’ultimo urlo mi riempie la testa.

Con una forte spallata, finalmente la porta cede e mi fa cadere all’interno della stanza con poca grazia.

Mi rialzo in fretta e furia e mi butto sulla porta, chiudendola con forza.

Rimango immobile qualche secondo, il fiato corto e il sangue che pulsa nelle vene. Alle orecchie non mi giunge più alcun suono, ma non lascio ancora la maniglia decorata.

Quando il mio cuore placa i suoi battiti furiosi, allento la presa lentamente, fino a staccarmi del tutto. Fisso la porta ed il suo legno liscio e profumato.

Poi lo sguardo mi cade sul kimono nuovo. Con un gemito di orrore, mi accorgo che è completamente sporco di polvere. Gettando un’occhiata sul pavimento, noto l’impronta perfetta che ho lasciato sulla polvere con la mia caduta di poco fa.

Lancio un ringhio d’ira, pensando che in questa giornata non mi è ancora successo qualcosa di buono.

Comincio così a spazzarmi il kimono con le mani, cercando disperatamente di far andar via lo sporco.

Il risultato è a dir poco penoso. Il bel color nocciola del mio abito ormai ha impronte di grigio un po’ ovunque, senza contare le ragnatele che mi si sono attaccate alle maniche.

Come un lampo, mi passa per la mente il pensiero di correre da Madamigella Hinata.

Fino a qualche anno prima, se qualche vestito mi si scuciva o si sporcava, non esitavo ad andar da lei a farmelo rammendare o ripulire. Non si era mai tirata indietro ad una mia richiesta. Con un sorriso gentile, accettava di buon grado di svolgere un così semplice lavoretto per me.

Era, alla fine, una patetica scusa per passare un po’ di tempo insieme a lei...

Sospiro, passandomi una mano fra i capelli. Ma cosa mi è saltato in mente, di punto in bianco?! È da stupidi lasciarsi sopraffare dai ricordi, momenti che non torneranno mai più.

Scuoto ancora un po’ il kimono con le mani e, notando che la situazione non cambia, ci rinuncio definitivamente.

Non appena alzo gli occhi sulla stanza, un mondo sconosciuto si apre davanti a me. La camera ha un odore acre, chiara conseguenza del fatto che per molti anni è rimasta chiusa, senza che un refolo d’aria sia mai entrato a correre fra i mobili.

Dando una veloce scorsa all’arredamento, mi pare a tutti gli effetti una camera da letto. È povera e un po’ spoglia.

Ma ha punto un nervo scoperto del mio animo. Questa stanza è intrisa di malinconia.

Mi avvicino, assorto, al letto dai pomi d’ottone. Tocco la coperta grigia, compostamente sistemata, e uno strato impressionante di polvere mi rimane sul palmo. Senza preoccuparmene, sollevo la coperta polverosa, che rivela delle lenzuola splendidamente candide.

Sorrido, guardando quella purezza. Di nuovo l’immagine di Hinata torna ad invadere i miei pensieri, ma cerco di sopprimerla scuotendo forte la testa.

Perché oggi non riesco a non pensare a lei? Forse perché oggi è il suo compleanno ed io, come un vigliacco, sono scappato a gambe levate dalla cerimonia, nascondendomi in questa misteriosa camera da letto.

Sì, è certamente per quello.

Risistemo la coperta pesante, alzando una nuvola di polvere, e ricomincio a guardarmi intorno.

Anche se la stanza è spaziosa, i mobili sono pochi e un po’ logorati. Non sono affatto in buono stato e nella casa è matematicamente impossibile trovare arredamento di scarsa qualità.

Il Signor Hiashi si occupa personalmente della cura dell’abitazione. Non vi dev’essere un singolo strato di polvere su ogni suppellettile.

È talmente strano che questa camera sia rimasta così incustodita. È davvero troppo strano.

Mi rialzo e mi dirigo verso una finestrella, dal lato opposto alla porta.

Il vetro sporco ed opaco non riflette alcun soggetto. Abbasso lo spioncino e faccio forza.

Ancora una volta quel legno umido fa attrito. Tiro più forte e finalmente la finestrella si spalanca.

Do un’occhiata furtiva all’esterno e scorgo del verde.

Dopo aver studiato un poco l’ambiente, riconosco il giardino interno della nostra casa.

Rimango a guardarlo ancora un po’. C’è un tale silenzio.

Spesso quel giardinetto viene usato dal Signor Hiashi quando vuole allenarmi personalmente. Tempo addietro però, lo utilizzavamo anche io e Madamigella Hinata, quando potevamo svagarci.

Il nostro piccolo rifugio…

D’improvviso, mi pare di scorgere una fugace figura dai lunghi capelli mori, correre per il prato.

Stupito, chiudo la finestrella sbattendola malamente.

“Questo è davvero troppo” penso, adirato con me stesso.

Quest’oggi è una giornata fin troppo bizzarra.

La scoperta di questa camera così particolare, io che mi lascio prendere dai ricordi come un moccioso… Ormai ho diciannove anni, sono stufo dei sentimentalismi.

In fin dei conti, non servono a diventare forti.

Decido però di rimanere lì dentro ancora un po’. Forse l’idea di tornare alla festa mi spaventa più di quel che credevo.

Aspetterò fino a quando tutti gli invitati se ne saranno andati e poi andrò incontro al mio destino. La strigliata di Hiashi non sarà poi così dura da digerire.

Le sue parole taglienti ormai non hanno più effetto su di me.

Gli unici mobili della stanza sono un armadio ad un’unica anta e un piccolo comodino, proprio a fianco del letto.

So di invadere probabilmente la privacy di qualcuno, ma non ho nulla da fare per le restanti quattro ore e sono certo di non poter trovare alcunché dentro a quei vecchi mobili.

L’armadio si apre con facilità, sotto la mia pressione. Non è nemmeno chiuso a chiave, constato, notando la serratura posta sopra l’anta.

Mi guardo intorno, ma della chiave nemmeno l’ombra.

Scrollando le spalle, apro lo sportello e sotto i miei occhi si staglia…

il nulla più assoluto.

Sospiro, sentendo la curiosità scivolare via pian piano dal mio corpo.

Con gli occhi percorro l’antro vuoto e profumato. Un piccolo ragno, spaventato dalla luce improvvisa, scappa velocemente via. Ma nient’altro di particolare attira la mia attenzione.

Sotto all’anta vi è un secondo sportello, decisamente più stretto.

Incrociando le dita e sperando fermamente che dentro ci sia qualcosa che possa permettermi di scovare, ad esempio, l’identità del proprietario della stanza, apro la porticina.

Finalmente sotto i miei occhi appare qualche vecchio oggetto.

Con l’indice e il pollice, raccolgo una grossa chiave arrugginita.

Mi domando subito se potrebbe essere la chiave dell’armadio, così mi alzo e la infilo nella serratura dell’anta.

Ci entra perfettamente. Così faccio pressione a sinistra e, con un suono meccanico, l’armadio si chiude. Sorrido, pensando di aver svelato almeno uno dei mille segreti di quella stanza.

Lascio la chiave nella serratura e torno al mio piccolo cassetto.

Dentro vi sono ancora dei fogli ripiegati, un bottone ed un coprifronte.

Ovviamente della Foglia.

Lasciando perdere il bottone, afferro i fogli piegati. A giudicare dal simbolo sul coprifronte, forse il proprietario di quella stanza era un abitante di Konoha. Ma potrebbe anche non appartenere ad egli.

“Così tornerei al punto di partenza” penso, aprendo piano i fogli.

Un anomalo batticuore agita il mio animo, mentre fisso quella calligrafia modesta e frettolosa. Vi sono inoltre degli schizzi di corpi umani in movimento o del sistema circolatorio.

Leggo con gli occhi quegli appunti precisi ed accurati.

Dopo le prime righe, ho già riconosciuto il tema principale di quegli scritti.

Sono tutte tecniche.

Tecniche fondamentali per il clan Hyuga.

Vi è spiegata l’arte del Juken, il flusso del chakra che si può scorgere con l’abilità innata del Byakugan e molto altro ancora.

Nell’ultima pagina di appunti, infine, vi è riportata la Tecnica delle 128 Chiusure. Rimango a bocca spalancata, nel vedere riportato fedelmente ogni minimo dettaglio, ogni singolo passaggio.

“Questa persona… doveva essere stata un membro molto influente della nostra casata…” rifletto, scorrendo ancora una volta con gli occhi tutti gli appunti.

Sono stati riportati con precisione assoluta.

Ripiego i fogli lentamente, senza riuscire a cacciare quell’agitazione che mi si muove dentro.

Invece che riporli nuovamente nel cassetto, me li infilo dentro al kimono, con fare furtivo, come se qualcuno potesse vedermi. Sarebbe un grandissimo spreco farli rimanere lì dentro a marcire col tempo. Inoltre sento il bisogno di studiarli meglio, magari per applicare in seguito questi utili suggerimenti.

Mi chino ancora una volta e sbircio dentro al cassettino.

A parte il bottone ed il coprifronte, ora non c’è più nient’altro dentro. Così lo chiudo, perso l’interesse per quella parte della stanza.

Mi volgo così all’ultimo mobiletto che mi aspetta.

Quel piccolo comodino sembra avere qualcosa di familiare. Ma più lo guardo e più sembra che mi sfugga il nesso.

Mi avvicino ad esso e mi inginocchio, come fossi conscio che conterrà una moltitudine di segreti da analizzare e impiegherò parecchio tempo.

Ignorando il fatto che il mio kimono si sta completamente ricoprendo di polvere, rimando a dopo il timore per la predica del Signor Hiashi.

Il comodino è l’unico oggetto che pare in buono stato, in quella camera. La superficie levigata è decorata dai nodi che percorrono il legno.

Ha tre cassetti, con un piccolo pomello per aprirli.

Faccio un gran respiro e parto dall’ultimo. Si apre con facilità ed è molto leggero. Infatti, quando lo scorro del tutto, si rivela essere totalmente vuoto. Sospiro, desolato, capendo di aver sperato troppo presto.

Eppure quella sensazione non lascia ancora il mio corpo. Sento che c’è ancora un mistero importante che dev’essere svelato.

Apro così il secondo cassetto, quello in mezzo. È un po’ più pesante del primo e il mio cuore accelera il suo battito.

Una piccola risma di fogli troneggia al centro, un po’ disordinata.

Mille colori appaiono a sprazzi sopra essi, mentre qualche matita e pastello rotola per il cassetto appena aperto. Li prendo con cura, anche se non sono affatto rovinati dal tempo, probabilmente perché sono abbastanza recenti.

Mi sistemo meglio per terra, senza togliere gli occhi da quei colori sfavillanti. Sbatto per un po’ le palpebre, quando mi rendo conto di cosa c’è sopra.

Sono disegni. Sono tutti disegni coloratissimi e molto elementari, tutti sicuramente provenienti dalle mani di un bambino.

Guardo il primo, dove troneggia un omino in una camera, mentre gioca con pezzi di legno. Con fretta, butto il foglio per terra e guardo il secondo.

L’omino tiene un kunai in mano e si allena con un altro omino più alto, molto simile a lui.

Il cuore mi si stringe in una morsa d’acciaio.

Butto l’altro foglio e guardo il terzo, col fiato corto. L’omino ora è circondato di persone. Ce ne sono due piccole e due grandi, tutti che sembrano trasmettergli affetto.

Con un gemito, lascio cadere i restanti disegni, che si spargono per tutto il pavimento.

-Non può essere! No, no, no!- dico, tenendomi con la mano la fronte aperta, senza coprifronte, per presentarmi degnamente alla festa.

E per essere deriso per quello stramaledettissimo marchio.

Ora però devo calmarmi. Non è da me lasciarmi andare allo sconforto in questa maniera. Faccio due o tre profondi respiri e poi torno a raccogliere confusamente i fogli, con quel pesantissimo nodo in gola che mi blocca il respiro.

Do un’occhiata ai restanti disegni, ma il soggetto si ripete sempre, nelle azioni di vita quotidiane. L’ultima pagina è più stropicciata delle altre…

Il soggetto è sempre il medesimo omino, solo con l’altro omino adulto.

Ma entrambi hanno qualcosa di diverso. Entrambi hanno la fronte priva di alcuna copertura e mostrano, tristemente, il segno della maledizione.

Stringo i denti, cercando di resistere dal mettermi a urlare, mentre quella vecchia ferita torna ad aprirsi, a sanguinare.

Metto i fogli da un lato, chiudo violentemente il secondo cassetto e, con altrettanta foga, apro l’ultimo.

Quando si apre, non senza aver fatto un po’ di resistenza, la forza di trazione fa scivolare in avanti qualche piccolo foglietto.

Appena mi rendo conto che sono fotografie, chiudo di scatto il cassetto e mi alzo in piedi.

A grandi passi mi dirigo verso la porta e afferro la maniglia con decisione. La mia mano esita e continua a tremare, senza avere la forza di abbassarla e permettermi di uscire da quella stanza così soffocante.

Un mare di sensazioni si accavallano dentro al mio corpo, veloci come fulmini, senza lasciarmi un attimo di respiro.

Ho svelato il segreto. Ormai il proprietario di quella stanza non è più un mistero. Eppure… in questo momento desidererei così tanto non averlo scoperto!

Rimango qualche secondo, che mi pare interminabile, nell’indecisione più totale. Nella mia testa continua a ruotare l’idea che la festa e la sgridata del Signor Hiashi ora sarebbero molto più piacevoli del rimanere in questa prigione. Ma ora che il Destino mi ha portato qui, non posso voltargli le spalle in questa maniera.

Questa non è una camera qualunque. Qui ho passato la mia infanzia ed è stata l’unica scintilla di gioia nella mia vita maledetta.

Non posso rinnegare un posto simile.

Non la stanza di mio padre.

A passi lenti ed estenuanti ritorno alla mia precedente postazione.

I disegni di quando ero bambino sono ancora sparsi per terra ed il cassetto contenente le fotografie sembra mi stia chiamando.

Guardo i fogli colorati con disprezzo, respingendo la gioia ed il candore che emanano tutti… tranne l’ultimo. L’unico, vero ritratto del mio Destino. L’unico che riesce a trasmettermi quel dolore violento e vivo, che sarò destinato a provare per l’eternità.

Faccio scorrere il primo cassetto, che prima avevo sbattuto malamente, con mano tremante. Le foto sono lì, con quei volti che mi sorridono, maligni.

Le prendo in mano e fisso lo sguardo sulla prima.

Il volto arrogante del Signor Hiashi mi rivolge un sorriso di superiorità.

“Riesce a farmi sentire un verme anche in foto…” penso, l’odio che arriva alle mani e la crescente voglia di strappare quella diapositiva in mille pezzi che avanza inesorabile.

Ma non mi muovo, se non per farla scorrere sotto alle altre.

La seconda provoca in me una sensazione così forte, che pare travolgermi come un’onda in tempesta.

Quel viso si specchia perfettamente nel volto della foto precedente.

Sembra di vedere la medesima persona, solo in un’ambientazione diversa.

Ma ciò che differisce fra le due diapositive è l’espressione del viso.

Il primo uomo ha un sorriso beffardo, superbo ed arrogante. Il secondo ha nel viso un velo di malinconia. Il suo sguardo rassegnato si nasconde dietro alla fierezza e alla tenacia che dimostra in superficie.

Mi mordo forte il labbro inferiore, fino a farlo sanguinare. Ma ciò è necessario per non farmi prendere dalle emozioni, dalla nostalgia che quella foto mi provoca.

Senza il coraggio di abbandonare la fotografia, me la metto in grembo, passando all’ultima.

Su questa vi sono immortalate quattro persone. I due gemelli e i loro figli.

Sgrano gli occhi quando mi riconosco, all’età di circa quattro anni.

La mia fronte aperta e pulita risalta maledettamente tanto. Inoltre, il mio sorriso sincero sembra scaldare l’animo di mio padre, che mi guarda con tenerezza, posandomi una mano sulla spalla.

Gli occhi di Hiashi, invece, sono freddi come ora, nel portare davanti a sé la figlia, un’Hinata di tre anni, come sempre schiva e restia alle foto.

Hanabi probabilmente non era ancora nata, il giorno in cui fu scattata quella diapositiva.

Nel guardare quel quadretto familiare, il cuore mi si stringe in una morsa. C’è così tanta falsità. Così tanto odio traspare dai due adulti.

Mentre io, ancora fragile e sereno, aspettavo che si compisse il mio Destino. Maledetto, come tutta la casata cadetta.

Sorrido, guardando i membri di quella principale con scherno.

Bugiardi. Falsi e corrotti. Mi hanno sempre schernito alle spalle, si sono burlati della mia infima posizione.

Ma i tempi ora sono cambiati. Io sono cambiato. Ora ho superato di molto il livello dei semplici cadetti, grazie al mio impegno e alla vendetta che si nutriva del mio corpo.

Con le dita, percorro la mia fronte da lato a lato.

Ora mio padre non c’è più. Ciò che mi rimane sono soltanto queste vecchie fotografie ed una grande solitudine interiore. Mi ha lasciato solo in questa casa dove non sono benaccetto, dove i suoi membri desidererebbero eliminarmi dalla società, dove non ha più senso continuare a vivere, oppresso dal loro senso di superiorità e dai ricordi dolorosi.

La soluzione sarebbe scappare. Ma scappare significherebbe mancare ai doveri di un cadetto come me, di un semplice schiavo in questa ingiusta gerarchia.

Con le unghie ripercorro il segno maledetto.

Scappare significherebbe essere fermato e riportato indietro, ovunque io mi trovi, ovunque io mi nasconda. Ciò significherebbe una punizione esemplare, degna di far sentire potente colui che detiene la mia vita nel proprio palmo.

Non posso scappare. Ma non posso nemmeno continuare a vivere in questo modo. Quale potrebbe essere la mia ragione di vita, d’ora in poi?

Mentre penso a tutto ciò, non mi accorgo che calde gocce salate piovono dai miei occhi, cadendo sopra alle immagini scolorite della famiglia Hyuga. Un singhiozzo scuote il mio corpo, facendolo vibrare forte.

Mi ero ripromesso di non lasciarmi andare ai sentimentalismi.

Mi mordo forte il labbro sulla ferita e il dolore mi annebbia i sensi, permettendomi di non pensare a nient’altro.

Quando la porta della stanza si apre lentamente, la sorpresa prende il sopravvento e non posso fare altro che trattenere il fiato d’un colpo.

Con un cigolio, l’uscio si ferma ed io, con un gesto d’ansia, volto di scatto la testa nuovamente verso il cassetto ancora aperto di fronte a me.

Il rumore dei geta entra nella camera e si ferma. Sono passi così leggeri e delicati che si fa fatica ad udirne il suono.

Il silenzio mi riempie la testa, nel frattempo il panico si acquieta e lascia il posto alla curiosità di scovare il proprietario di quei passi aggraziati.

Finalmente prendo coraggio e mi giro lentamente verso la porta.

Ancora con la maniglia sotto le dita affusolate, Madamigella Hinata si guarda attorno, meravigliata di aver scoperto quella camera così misteriosa.

Io, sbigottito dallo stupore e dal conforto, sbatto più volte le palpebre per scacciare quella fastidiosa nebbia di lacrime che mi appanna la vista.

Per l’occasione, lei indossa un lungo kimono scuro come la notte, adorno di fiori pallidi color della luna, dai grossi petali.

I lunghi capelli corvini le cadono delicati sulle spalle, mentre due ciocche sono state intrecciate e fermate dietro alla nuca da un austero fermaglio, che accentua ancor di più il contrasto col suo viso puro e perfetto.

Gli occhi dalle lunghe ciglia sono accesi di stupore e curiosità, mentre l’avorio delle sue pupille perlustra l’antro da cima a fondo.

Le sue labbra di rosa sono appena schiuse, quasi volessero far uscire un sussurro di sorpresa, ma non rivelano alcun suono, custodendolo gelosamente.

Il piccolo capo si gira verso di me in maniera lenta, senza ancora accorgersi della mia presenza. Ma non appena il suo sguardo incontra il mio, l’esile corpo le si scuote in un tremito di spavento.

Rimane qualche secondo inebetita, coi grandi occhi sgranati per lo stupore di trovarmi lì, sempre sulla soglia della camera.

Io contraccambio l’espressione meravigliata, senza sbattere le ciglia nemmeno per un attimo, mentre, segretamente, la studio minuziosamente e ammiro la sua semplice bellezza.

Finalmente lei pare risvegliarsi e cerca inutilmente di ricomporsi.

-Oh… Neji-kun… sei qui. Ti… ti ho cercato, fuori, ehm…-

L’incantesimo di armonia che prima la circondava pare cadere in frantumi, lasciando il posto al timore e all’insicurezza che la caratterizzano.

Ora pare un’altra persona.

Ora è solamente una snervante ragazzina che si agita senza motivo e senza riuscire a creare una frase di senso compiuto, evitando pause inutili.

Sbuffo e mi alzo dalla mia posizione rannicchiata.

Assumo nuovamente quella maschera di odio e sicurezza che ho indossato per anni e ciò mette ancora più in crisi la ragazza.

Hinata prende una ciocca dai capelli lisci e la comincia a rigirare fra le dita lunghe e bianche, facendo guizzare lo sguardo da una parte all’altra della camera.

-Non pensavo di… di trovarti qui. Alla festa ti aspettano tutti…- balbetta, con un filo di voce, apposta per non innervosirmi.

Ma il semplice ricordo della cerimonia che mi aspetta fuori di qui mi mette già una grande irritazione in corpo.

-Speravo di non essere scoperto, a dire la verità- ammetto, senza abbandonare quell’aria di superiorità che solo il Signor Hiashi avrebbe potuto insegnarmi.

All’improvviso lei si accorge di qualcosa. Quando prende il coraggio a due mani ed alza gli occhi sui miei, rimane a fissarmi con meraviglia.

Ciò non può far altro che farmi arrabbiare ancora di più.

-Che c’è ora?- chiedo bruscamente, scrollando le spalle.

Lei apre la bocca senza far uscire parole, ma si porta una mano vicino al viso. Poi finalmente parla:

-Neji-kun… stavi piangendo.-

Come se avessi appena ricevuto un pugno in pieno viso, perdo l’equilibrio ed indietreggio di un passo. Velocemente mi pulisco le lacrime restanti con la manica del kimono, peggiorando ancor di più la situazione e sporcandomi completamente il volto di polvere.

-Non… Non è affatto come credete!- esclamo, stupidamente.

Lei in un attimo perde quel suo tentennare nervoso e mi si avvicina con un’espressione dolce. Ma l’ultima cosa di cui ho bisogno è la compassione degli altri.

Soprattutto di un membro della casata principale.

Cerco di scansarmi da lei, ma Hinata non demorde e continua ad avanzare.

-Smettetela di guardarmi in quel modo. Vi ho detto che non stavo piangendo, mi è soltanto andato qualche granello di polvere negli occhi e li ha fatti lacrimare.-

Arrivata a pochi centimetri da me, i polmoni mi si riempiono del suo aroma dolce e delicato. Inspiro una seconda volta quella fragranza inebriante, mentre sento che la mia maschera di impassibilità si sta completamente sgretolando sotto il suo sguardo luminoso.

Le gote cominciano a bruciare, nel momento in cui le sue dita vellutate e fresche si posano sul mio volto.

-Sei pieno di polvere- constata a bassa voce, -ed anche il tuo kimono è tutto impolverato.-

Io distolgo lo sguardo con fatica e lo dirigo in un’altra direzione.

-Non è difficile, questa camera ne è piena.-

Lei ritira la mano e sento già la mancanza del suo tocco delicato sul mio viso. Poi abbassa lo sguardo a terra.

Ora la sua espressione ha lasciato il posto ad una sincera malinconia.

-Neji-kun… posso sapere il motivo per cui sei scappato dalla festa?-

Serro i denti, pensando che dare spiegazioni per ciò che ho fatto sarebbe alquanto fastidioso, oltre che il minimo che possa fare per lei.

-Non sono affari che vi riguardano.-

Le mie parole fredde la feriscono.

Alza nuovamente gli occhi ed il suo sguardo pieno di delusione colpisce un nervo scoperto del mio cuore. Ma soltanto perché fa un po’ gli occhi dolci, non significa che mi farò intenerire da lei.

Abbasso gli occhi sulle sue mani. Tremano un po’ quando se le porta al petto.

-Hai ragione, scusa…- soffia, prima di voltarmi le spalle e dirigersi verso la porta, mestamente.

La guardo allontanarsi con un viso alquanto buio ed impenetrabile.

Non mi tocca d’averla ferita e delusa. Non mi importa del fatto che, uscita di qui, vada a sfogare il suo dolore nella sua stanza oppure che vada a raccontare al padre cos’è successo qui dentro.

Non mi importa di lei. Punto.

Mentre cerco di convincermi disperatamente di tutto ciò, non mi accorgo che il suo sguardo è caduto sopra a ciò che è ancora sparso sul pavimento.

Lo noto unicamente quando, con un’espressione di stupore, si china a guardare meglio i disegni e le fotografie.

Una fitta di panico gelido mi attraversa la schiena.

Con uno scatto felino, mi lancio sui fogli per terra e li proteggo col mio corpo, in un gesto di possessione.

-Non toccarli!- le grido, con un ringhio.

Hinata, presa alla sprovvista, si ritrae d’improvviso, terrorizzata dalla mia reazione.

Anch’io mi ritraggo, spaventato dalle mie parole e dal mio comportamento innaturale. Così cerco di correggermi, mentre mi passo stancamente una mano fra i capelli.

-Perdonatemi… Ma ciò che è qui per terra non è cosa che vi riguarda.-

Quando alzo il viso sul suo, la mia maschera d’impassibilità cede definitivamente e lascia il posto ad un’espressione afflitta.

L’ho sconvolta. L’ho scossa terribilmente e ora rimane immobile a fissarmi con i suoi occhi enormi ed espressivi.

È sempre stata un libro aperto per me. Non è mai riuscita a nascondermi nulla. Con me ciò che pensava si è sempre rivelato senza fatica.

Bastava tuffarsi nel candore dei suoi occhi così simili ai miei, per scoprire in lei paure, segreti, verità.

Ma ora, ciò che i miei occhi riescono a vedere, anche senza l’aiuto della mia abilità innata, è spiacevolmente acre.

Ma so anche che, dentro a quella corazza di vetro che si è costruita per anni, arde un coraggio senza eguali. E me lo dimostra ancora una volta.

-Erano fotografie… Io… Mi pare di avere visto le nostre foto…- balbetta, tenendo lo sguardo fisso sul mio, senza vacillazioni.

Serro la mascella e poi raccolgo frettolosamente le carte, ammucchiandole e sistemandole dentro ai cassetti, senza rispettare l’ordine in cui le ho trovate.

-Credo di essermi già spiegato…-

-Neji-kun, ti prego…-

I suoi occhi luccicano immensamente. Un velo di lacrime le impedisce di tenere fisso lo sguardo e sbatte più volte le palpebre.

Anche la voce ormai è un tremolio continuo.

-Non nasconderti più… ti prego… come posso aiutarti se non mi spieghi mai cosa ti affligge…?-

-Credete che io abbia bisogno del vostro aiuto? Beh, vi sbagliate di grosso! Non verrò di certo a dire a voi ciò che mi riguarda.-

Lei fa uno sforzo tremendo per ritrovare la sicurezza. Stringe le labbra e i pugni al petto, prima di asciugarsi in fretta le lacrime.

-Ciò che riguarda te, riguarda anche me…-

Poi aggiunge, con voce così bassa che mi tendo un po’ per sentire:

-Voglio sapere che cosa ti succede, Neji-kun… Ci tengo molto…-

Infine, abbassa gli occhi a terra e mormora:

-Una volta non ti chiudevi in te stesso con me…-

-Una volta era diverso, Madamigella Hinata!- grido, fuori di me dall’ira.

Lei sobbalza e chiude gli occhi per non guardare la mia furia.

Ne ho davvero abbastanza. Vorrei tanto farla uscire da questa camera a forza, ma solo il pensiero di toccarla mi mette addosso una sensazione di malessere.

E questo bisogno impellente di sfogarmi, di rivelarle il mio dolore è così pressante da mozzarmi il fiato. Le giro le spalle e fisso le travi in legno.

-Erano le foto di famiglia… Erano le fotografie che conservava mio padre gelosamente.-

Posso sentire chiaramente il respiro di Hinata farsi più veloce.

-Quindi… questa è…-

-Sì. È la camera di Hizashi.-

Il silenzio riempie l’aria pesante della camera, mentre solo i nostri respiri possono essere vagamente uditi.

Mille dubbi si affacciano alla mia mente, pensando se sia stato un bene rivelarle il segreto di questa stanza. Ma Hinata non è una persona scorretta, so che di lei posso fidarmi.

-Mi-mi dispiace… Scommetto che… che è stato un duro colpo per te.-

-Lo è stato. Ma mi sento appagato da questa scoperta.-

Di nuovo qualche attimo di silenzio.

-Gli altri… erano…-

-Disegni. Disegni della mia infanzia. Mio padre li ha conservati tutti.-

Il ricordo dell’ultima rappresentazione mi rivolta lo stomaco.

-Sono… ricordi molto importanti…-

-Già, per me lo sono. Ma chi può dire che il Signor Hiashi non decida di distruggerli, una volta ritrovati…-

Posso sentire il movimento brusco dei suoi geta sul pavimento di legno, mentre si sporge verso di me.

-Sono… sono sicura che mio padre non lo farebbe mai!-

Mi giro a guardarla. In confronto con quel kimono scuro, il viso pallido e le gote arrossate per lo sforzo di parlarmi spiccano ancora di più.

È così rassomigliante al Signor Hiashi, con quell’espressione corrucciata in viso. Ed io provo un odio incontrastato per quell’uomo.

Perché è l’uomo che osa portare lo stesso volto di mio padre.

Hinata perde la sua poca sicurezza e torna ad essere docile e fragile, non appena si accorge che i miei occhi la scrutano.

Adoro farla sentire a disagio, mentre col solo potere di uno sguardo riesco a farle perdere la ragione.

Ora non riesce più a reggere la situazione e abbassa il capo, cercando di evitare di guardarmi.

-Non posso fidarmi ciecamente di voi e lo sapete. La casata principale mi ha causato soltanto dolori fino ad adesso.-

So ciò che sta pensando. Lo posso leggere meravigliosamente bene.

Sta pensando all’infanzia, ai giorni felici trascorsi nella beata ignoranza della fanciullezza. Pensa che questo sia ancora possibile recuperarlo.

Ma non capisce che è un’assurdità. Quei giorni non torneranno mai più.

-Tu… non fai altro che darci la colpa… Ma sei sicuro che tutta la tua sofferenza… sia stata solo causa nostra?-

Le sue parole mi fanno rimanere basito.

Rimango qualche secondo in silenzio, cercando di captare l’eco della sua voce.

Spero seriamente di aver sentito male.

-Credo di non avervi inteso bene.-

Hinata tiene sempre gli occhi bassi, per non cedere ancora una volta sotto il mio sguardo.

-Ho solamente detto che non credo… sia tutta colpa nostra.-

Sul mio viso si allarga un sorriso. Un sorriso crudele.

Ha superato ogni limite con questo.

Non doveva farmelo. Non doveva dirlo!

Mi avvicino con passo lento e pesante, senza toglierle gli occhi di dosso.

-Quindi… voi credete che la colpa sia mia, in sostanza.-

Lei alza gli occhi, allarmata.

-No, non intendevo…-

Ma le parole le muoiono in gola, nel momento in cui vede il mio volto.

Sento il sangue ribollire nelle vene.

-Voi credete che tutte le sofferenze che ho passato siano state solo frutto di un mio capriccio.-

Posso leggere il terrore puro nei suoi occhi. Indietreggia lentamente, cercando con gli occhi una via di fuga.

Non ha scampo, non potrà mai sfuggirmi.

Deglutendo a vuoto, tenta comunque di parlare, ma le esce una frase stridula e spezzata che suona come un:

-Non è vero…-

Ormai ha le spalle al muro. È sotto il mio controllo.

-Voi credete che sia mia la colpa per la morte di mio padre!- grido, la frustrazione che si libera dei freni che le avevo imposto.

Hinata chiude gli occhi e si porta le mani al petto.

Una lacrima le riga una guancia.

-Non ho mai detto questo!- urla, la voce rotta dal pianto.

Con un sopracciglio alzato, la fisso scetticamente.

-Allora cosa volevate comunicarmi con le vostre parole?-

Lei si copre il viso con le mani, scuotendo la testa.

-Non è colpa tua per tutto ciò che è successo, Neji-kun! Ma io… io sono convinta che se ci avessi raccontato il tuo dolore, noi ti avremmo compreso… Ma tu non hai mai parlato a nessuno del tuo risentimento… Tu… hai deciso di ignorarmi, da quel giorno… hai deciso di chiuderti nel tuo dolore, lasciandomi fuori…-

Sembra sinceramente dispiaciuta.

Pare quasi che… ci tenga davvero a vedermi felice.

-E voi siete certa che mi avreste veramente compreso?-

Hinata abbassa le mani, sempre guardando a terra.

-Io… io ci avrei provato. Mi sarei sforzata di riuscire a comprenderti. Ma so… che ti avrei ascoltato senza giudicarti…-

Perché appare ora così sincera, ai miei occhi?

Forse mi sta solo influenzando e sta riuscendo nel suo intento.

Ho vissuto troppo tempo nell’inganno.

-Voi non potete volere la mia felicità… Siete di un rango molto superiore al mio. Perché vi dovreste interessare a ciò che mi affligge?-

-Invece è così… Neji-kun. A me non importano le differenze di rango che ci separano…- mormora, la voce tremante e flebile.

Un nuovo moto d’ira mi sale su per il corpo.

Sbatto i pugni sul muro a qualche centimetro dalle sue orecchie, sbarrandole così anche ogni possibilità di fuga, con le mie braccia.

Lei, per la paura, chiude gli occhi e si appiattisce contro la parete.

-Non mentite! A voi non è mai importato di me, come a vostro padre!-

Lei apre piano gli occhi e li dirige adagio verso i miei.

Ricolmi di lacrime, mi rivolgono uno sguardo sincero che non può essere più frainteso. Non c’è menzogna nel suo cuore. Non c’è mai stata.

Tenta di sussurrare qualcosa, ma lo sgomento glielo impedisce. Il suo corpo è scosso da forti tremiti, il viso pallido sembra voler cedere alla paura da un momento all’altro.

Ma i suoi occhi non mi lasciano un attimo. Ed io non riesco ad abbandonare i suoi.

Non so quanto darei per sapere ciò che vorrebbe dire in questo momento.

Ma le sue labbra di rosa non smettono di tremare ininterrottamente.

Così faccio cessare una volta per tutte il loro tremore, con decisione.

Finalmente la sua angoscia si scioglie, lasciando il posto allo stupore. Il suo corpo dapprima s’irrigidisce, poi lentamente si rilassa, senza lasciare il muro alle sue spalle.

Nel momento in cui separo le nostre labbra, posso notare la visibile differenza di colore del suo volto. Incendiato dall’imbarazzo, ora appare decisamente più colorito.

Le sue gambe cedono e l’afferro prima che cada a terra, priva di forze.

Lei di rimando affonda il suo viso nel mio kimono color nocciola, per non mostrarmi il rossore delle sue guance.

Fra le mie braccia, il suo corpo snello ed aggraziato mi pare così fragile che potrei spezzarlo con un gesto troppo azzardato.

D’improvviso mi tornano alla mente le parole di Hizashi, di un giorno d’estate proprio come questo.

Appartengo alla casata cadetta. Per questo avevo ricevuto l’incarico di proteggere la casata principale con tutte le mie forze e fino alla morte, se necessario. Agli occhi di un semplice bambino di quattro anni, questo sembrava il compito più nobile ed importante che si potesse mai ottenere.

Ma alla scomparsa di mio padre avevo perso l’interesse a rispettare i miei doveri. L’unica cosa che desideravo era vedere la casata principale distrutta per sempre.

Hinata ora pare aver ripreso le forze e allontana il volto dal mio abito, per rivolgerlo verso di me. Il suo sguardo ora mi sembra così indecifrabile.

Il contatto con le labbra di lei ancora brucia sulla mia bocca.

-Madamigella Hinata…-

Come poterle spiegare ciò che ho appena fatto e ciò che ho compreso?

Ma lei sembra già aver capito e scuote la testa.

Non senza sforzarsi, riaffronta i miei occhi e sorride.

-Vorrei tanto… entrare anch’io nel tuo mondo, anche solo per un istante…- bisbiglia, le gote ancora rosse e calde.

Chiudo gli occhi e faccio un lungo respiro. Dopodiché prendo la sua piccola mano nella mia e, guardando la porta di legno rovinata e ispessita dall’umidità, dico:

-Avete ragione.-

 

****

 

Mano nella mano, cominciamo a percorrere a ritroso i corridoi che avevamo precedentemente attraversato, prima di incontrarci nella camera.

La camera che custodisce un segreto proibito, il nostro segreto.

Mentre camminiamo, senza fretta, per tornare alla cerimonia, mi assale il ricordo di un particolare. Al ripensarci, la malinconia torna a prendere possesso di me.

Madamigella Hinata se ne accorge e mi guarda, preoccupata.

-Neji-kun… c’è qualcosa che ti turba?-

Questa volta non le terrò nascosto il mio dolore, penso fermamente.

-Stavo soltanto pensando che… sono trascorsi esattamente 15 anni dal giorno in cui…-

Mi tocco la fronte con le dita, guardando le travi in legno del pavimento.

Poi rialzo lo sguardo e mi giro verso di lei.

-Era il giorno del vostro terzo compleanno. Lo ricordo perfettamente.-

Gli occhi di Hinata luccicano di tristezza. Anche lei sta pensando che, oltre ad essere il giorno del suo compleanno, questo è sicuramente l’anniversario di una disgrazia.

Perché dovevano cadere entrambi nella medesima data?

Rimaniamo in silenzio per qualche momento e solo il rumore dei nostri geta ci accompagna nel labirintico intreccio di corridoi.

Improvvisamente Hinata si ferma e, con lei, anch’io mi devo arrestare.

La guardo interrogativamente. Quando noto il suo volto corrucciato, mi sciolgo nella tenerezza che mi provoca ogni volta.

Si vede che si sta impegnando seriamente per dire qualcosa di molto serio.

Quando alza il viso su di me, noto il rossore delle sue guance.

-Ti… ti prometto, Neji-kun, che non userò mai il tuo simbolo maledetto per punirti! Mai, per nessuna ragione al mondo.-

Le sue parole mi scaldano il cuore più di quanto avessi mai immaginato.

Le sorrido, un sorriso sincero e puro, questa volta.

-È un pensiero molto carino da parte vostra, Hinata.-

Lei mi sorride timidamente e proseguiamo, sempre tenendoci per mano.

Dopo qualche passo, cominciamo ad udire il suono dei musicisti e il chiacchiericcio allegro della gente invitata.

La festa si sta avvicinando e, con essa, anche la strigliata del Signor Hiashi è sempre più imminente. Questa volta non me la farà passare liscia.

Stringo più forte la piccola mano di Hinata per farmi coraggio e scendiamo le scale che portano alla sala principale, completamente imbandita.

Il padre di Hinata ha proprio organizzato una celebrazione coi fiocchi, questa volta.

Una grossa tavola impreziosita da mille e più cibarie troneggia al centro della stanza, adorna di fiori. Gli ospiti sono intenti a mangiare, altri invece chiacchierano e ridono scompostamente, mentre i restanti osservano i musicisti suonare l’oboe.

In una posizione privilegiata, ad uno dei capitavola del banchetto è seduto il Signor Hiashi, che intavola cordialmente una discussione ora con uno e ora con l’altro ospite.

La piccola Hanabi è al suo fianco, visibilmente annoiata, che spilucca una fetta di carne, probabilmente ormai fredda.

Quando i suoi occhi si posano sui nostri, le si accende una luce gioiosa nello sguardo vispo. Sorridendo, si alza di fretta e corre verso di noi, senza rispettare minimamente il codice d’educazione che il Signor Hiashi ci impone di seguire alla lettera.

Infatti egli, notato il comportamento poco educato della figlia, la richiama alla compostezza. Ma lei, felice del nostro ritorno, non ci bada più di tanto e corre da noi.

-Nee-san, finalmente! Non ne potevo più di aspettarti.-

Poi si volta verso di me, con un’espressione confusa.

-Fratello Neji, si può sapere dove ti eri cacciato?-

-Mi ero allontanato per portare al Signor Hiashi un libro che avevo trovato molto interessante, ma girando per i vasti corridoi della villa ho perso l’orientamento.-

Lei sembra accontentarsi della mia risposta e prende Hinata per mano, trascinandola verso il suonatore di oboe. Io le guardo allontanarsi, con un sorriso sulle labbra, pensando a quanto siano differenti le due sorelle fra loro.

Le risate di alcune persone attirano la mia attenzione e mi volgo verso di loro. Quando noto gli sguardi di disprezzo che mi stanno rivolgendo, l’odio torna a crescere in me. Coprendosi coi loro ridicoli ventagli, mi guardano di sottecchi e sghignazzano fra loro.

Cerco di passarci sopra ancora una volta, anche se sento tornare il disagio che sentivo al principio della festa. Ma il solo movimento leggiadro di quel kimono blu notte mi acquieta l’animo e mi permette di tornare sereno.

L’occhiata inceneritrice del Signor Hiashi mi fa perdere d’improvviso totalmente le forze. Tuttavia mi avvicino al tavolo con sicurezza e mi siedo al mio posto, senza scompormi.

Gli occhi di Padron Hiashi non mi lasciano per un secondo.

Smette ad un tratto di parlare ad un uomo elegante e mi invita ad avvicinarmi. Col sangue gelido che mi scorre all’interno delle vene, mi alzo e raggiungo il posto prima occupato dall’ospite.

Il suo sguardo incute ancora più timore, ora che è così vicino.

-Neji, ti ho cercato per un’ora. Esigo delle spiegazioni per il tuo comportamento.-

Io abbasso il capo, rispettosamente.

-Chiedo scusa, non intendevo mancarvi di rispetto.-

Lui mi scocca uno sguardo agghiacciante e poi sposta i suoi occhi sulla figlia, poco lontana da noi.

-Oggi è un giorno importante per Hinata. Non credo serva spiegarti che non è stato una mancanza di rispetto nei miei confronti, bensì nei confronti di mia figlia.-

-Ho già provveduto a scusarmi con lei.-

La mia risposta pare non soddisfarlo completamente. Anzi, mi rivolge un’occhiata di disgusto, mentre fa scorrere gli occhi sulla mia intera figura.

-Inoltre, non posso credere a ciò che vedo. Come hai fatto a conciare il kimono che ti avevo fatto cucire apposta per l’occasione, in questo stato?-

Alcune persone che, curiosamente, stanno origliando la nostra conversazione, scoppiano sonoramente a ridere, mentre mi fissano.

Sono ben conscio di essere ancora completamente sporco di polvere.

L’arrivo di Madamigella Hinata rinvia di qualche istante il rimprovero che mi sarebbe toccato.

Il padre la guarda sedersi, con a fianco la piccola Hanabi.

-Ti ringrazio, Hinata, di aver riportato indietro Neji.-

Lei mi guarda di sfuggita, arrossendo e non avendo la forza di dire nulla.

Hiashi fa scorrere lo sguardo ora su di me e ora su sua figlia, sempre con la fronte corrugata. Che sia riuscito in qualche modo a capire cos’è successo?

No, è impossibile.

-Neji, pretendo che ora tu porga il tuo omaggio a mia figlia. Il tuo comportamento per il giorno del suo compleanno è stato davvero scorretto. Non credi sia il minimo che tu possa fare?-

Ecco cosa tramava…

Vuole farmi fare ancora una volta una degna figura di un membro della casata cadetta. Lo guardo lasciando trapelare l’odio che non smetterò mai di provare contro di lui e poi faccio un lungo sospiro.

Hinata, allarmata, comincia ad agitarsi, mentre scuote nervosamente le mani.

-No, padre, non è necessario… Io… non ho bisogno di nulla…-

Con un'unica occhiata, il Signor Hiashi riesce a far ammutolire la ragazza.

Sono sempre più convinto di aver imparato da lui, questa tecnica altezzosa.

-Non è un problema per me, Madamigella Hinata.-

Lì dentro sanno tutti quanti, ospiti, membri della famiglia e persino le antiche mura che sorreggono questa casa, che l’odio provato per la casata principale è sempre stato molto forte nei cuori di noi membri di quella cadetta.

Ma per un giorno speciale come il compleanno, i membri cadetti sono tenuti a fare un omaggio al festeggiato.

Ma, come tutti suppongono correttamente, io oggi non ho preparato nulla per Hinata.

L’orgoglio che mi consumava non mi ha permesso nemmeno di sfiorare l’idea. Inoltre, fin da giorni prima sapevo di non poter resistere alla repulsione di un giorno tanto gioioso per lei ed infelice per me.

Eppure ciò che è successo in quella camera riscoperta, le nostre parole, il nostro bacio… sono stati tutti elementi decisivi per la decisione che voglio prendere. Non ho più dubbi.

Mi alzo e raggiungo Madamigella Hinata, sorpassando Hiashi e facendo ammutolire la stanza, mentre solo il suonatore di oboe continua con la sua melodia ipnotizzante.

Arrivato nel posto di fianco al suo, noto il rossore delle gote che le colora il volto, mentre con gli occhi mi prega di essere cauto, di fronte a tutta quella gente pronta a deridermi senza pietà.

Ma con un dolce sorriso riesco a tranquillizzarla.

Mi inginocchio al suo fianco e calo piano il capo, fino a prostrarmi completamente dinnanzi a lei. La sala si riempie di mormorii confusi.

-Devo porgervi le mie più sentite scuse, Madamigella Hinata, poiché in questo giorno così gaio non vi ho portato alcun dono materiale. Chiedo di essere perdonato per la mia scorrettezza.-

Hinata, sempre più rossa ed ansiosa per tutti gli sguardi puntati su di noi, si porta le mani alle labbra.

-No… non ti preoccupare… io-io non necessito di nulla, davvero!- balbetta, seriamente in colpa.

Così rialzo il capo e la guardo dritta negli occhi.

-È vero, non vi ho portato beni materiali… ma oggi voglio porgervi un’importante promessa, che mi impegnerò a mantenere a costo della vita. In più, vorrei donarvi qualcosa di più prezioso di un bene costoso.-

Sento di avere attirato l’attenzione anche dei più indifferenti e sento gli occhi di Hiashi perforarmi la schiena, con la loro influenza negativa.

Ma tutto ciò non mi importa più.

Ora, in quella stanza, ci siamo soltanto io e Madamigella Hinata.

-Il Destino ha voluto che io nascessi nella disgraziata casata cadetta e ciò l’ho sempre sentito come un grosso peso, capendo di essere impotente di fronte al verdetto divino. Pensavo che il mio ruolo nella casata non fosse necessario e non avevo mai trovato una vera ragione per cui vivere e morire.-

Lentamente, senza provocare in lei troppo timore, le prendo una pallida mano e la stringo fra le mie.

Sento la gente scaldarsi, agitarsi nei loro posti, poiché un gesto simile non era mai capitato nella storia del Casato Hyuga. Anche Hiashi è pronto a riprendermi, ma non lo lascio iniziare.

Ho bisogno di esternare, per la prima volta, ciò che penso veramente, ciò che ho appena scoperto, che mi turba così tanto.

-Dal giorno stesso in cui vi ho incontrato, ho capito che un legame molto più forte di quello sanguineo ci legava. E quando ho appreso la mia missione, il mio compito principale che dovevo svolgere come cadetto, non mi sono tirato indietro.-

La guardo con tenerezza, al ricordo di quel giorno.

-Ero soltanto un bambino e cosa ne potevo sapere di doveri morali? Il Destino poi ci ha separato per lungo tempo e non ho più assolto al mio compito. Ma oggi voglio promettervi che non accadrà più.-

Gli occhi di lei si stanno riempiendo di lacrime, intuendo già la mia promessa.

-Vi prometto che da questo momento fino alla fine dei miei giorni, vi proteggerò a costo di rinunciare a tutto ciò che ho di più caro. E rinuncerò anche alla vita, se necessario. Perché ho finalmente trovato una persona da difendere, perché desidero condurre un’esistenza dedita alla vostra felicità e perché la mia esistenza non avrebbe significato, senza di voi. Vi dono la mia vita, Madamigella Hinata.-

Alcune lacrime iniziano a rigare il volto della ragazza, vinta dalla sorpresa e dall’emozione.

Le sorrido ancora una volta, asciugandole le gocce salate con la manica del kimono color nocciola.

-Buon compleanno, Madamigella Hinata.-

Non appena finisco la frase, un pacato e leggero battito di mani giunge alle mie spalle.

Mi volto e scorgo Hiashi, con l’espressione corrucciata di sempre, battere le mani, con serietà. Poco a poco, tutti gli invitati cominciano anche loro a seguire l’esempio del capo-clan, applaudendo e sorridendomi.

Sorrisi sinceri, emozionati e commossi.

Il mio cuore si riempie di gioia nel sentirmi finalmente apprezzato per ciò che sono e non per ciò che mi sono costruito per anni.

Madamigella Hinata si appoggia contro il mio petto, cercando di trattenere i singhiozzi e improvvisamente sento anch’io il pizzicore delle lacrime agli occhi.

Le accarezzo dolcemente i capelli mori, fiero di me e del Destino che mi è capitato.

La piccola Hanabi si avvicina a me, con la bocca ancora semi-aperta, e tirandomi leggermente per una manica.

-Neji-kun… Potresti fare un regalo del genere anche a me, per il giorno del mio compleanno?-

Rido un poco della sua richiesta e poi devo rifiutare.

-Sono veramente mortificato, Madamigella Hanabi, ma vedete… ciò che mi lega a Madamigella Hinata è qualcosa di importante. Un qualcosa che si può donare ad una persona sola nel corso della propria vita.-

Lei pare un po’ dispiaciuta, ma ritorna sorridente nel giro di poco tempo.

Nel frattempo io stringo a me l’oggetto del mio desiderio, la persona che mi ha cambiato la vita.

E benedico il Destino che mi ha affidato il compito di proteggere la vita della persona di cui mi sono, inconsciamente, innamorato.

 

 

 

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Ebbene, dopo ben 5 anni d’inattività, sono tornata alla carica più forte di prima! Questa fanfic è stata creata nel 2011 in verità e solo ora ho avuto il coraggio di pubblicarla (e addirittura partecipare al mio primo contest!). Sono felicissima di aver ripreso a pubblicare e spero tanto che questa fic, in cui ci ho messo davvero il cuore, piaccia anche a voi.

A presto! ^^

 

 

  
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