Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: DarkRose86    09/12/2008    6 recensioni
Candido volto sovrasta il mio sguardo,
occhi di fiamma mi scrutano attenti,
senza perdersi alcuna sfumatura dell'espressione di terrore che si è dipinta sulla mia faccia.
- Perché? Perché mi hai lasciato morire? -
.4° classificata all'Horror Contest, indetto da kiara_chan e HopeToSave.
Sasori/Deidara
Genere: Triste, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akasuna no Sasori , Deidara
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dunque... questa storia ha partecipato all' Horror Contest , indetto sul Forum di EFP da kiara_chan ed HopeToSave, classificandosi... QUARTA! *___*
Non ho davvero parole per esprimere la mia felicità. E' una fic a cui tengo in modo particolare, ho messo praticamente tutto di me in questa storia; vale a dire il mio amore per le storie surreali, e per l'introspezione del personaggio.
Ringrazio infinitamente le giudici, per averci dato questa splendida opportunità; e le altre partecipanti, per aver condiviso con la sottoscritta quest'esperienza. Complimenti a tutte, in modo particolare alle podiste!
A questo punto mi congedo, lasciandovi alla lettura... spero di ricevere qualche commentino. ^^


Image Hosted by ImageShack.us

Candido volto sovrasta il mio sguardo,
occhi di fiamma mi scrutano attenti,
senza perdersi alcuna sfumatura dell'espressione di terrore che si è dipinta sulla mia faccia.


- Perché? Perché mi hai lasciato morire? -


Perfect Illusion


Mi sveglio di soprassalto, la fronte gronda sudore, i capelli ribelli sono sparsi sul cuscino; attorno a me il buio più totale, non un piccolo raggio di luce da quella finestra leggermente aperta.
E' notte. Notte inoltrata, dato che le campane della chiesa suonano le 3, e la sveglia sul comodino conferma. Chissà come mai, in questo maledetto posto, si sentono quei rintocchi perfino a quest'ora.
Da quando sono giunto qui, non ho mai visto il sole brillare alto nel cielo come quando adoravo osservarlo; è come se si fosse spento quel giorno.
Quella in cui mi trovo è una piccola e sudicia cittadina sperduta, non ricordo neanche come ho fatto ad arrivarci, guidato dalla sofferenza.
So solo che vorrei tanto andarmene da qui, da questa sottospecie di albergo, dai vicoli ciechi ospitanti topi e loschi figuri, da una città fantasma.
Ma non ci riesco, e non capisco che cosa diavolo mi lega a questa realtà. Urla provenienti da chissà dove, a tratti sconvolgono il silenzio che vi regna. Dovrebbe farmi paura; ed invece non provo assolutamente nulla. Dal momento in cui ho varcato quel cancello, io non esisto più; non sono che un'ombra, che cammina su questo suolo cosparso di polvere, cenere e chissà cos'altro.
C'è solo una cosa che potrebbe riuscire a spaventarmi, ma non può raggiungermi. No, lui non può entrare qui. Sarà rimasto tutto come allora, nella nostra casa? Il letto a baldacchino comprato pochi mesi dopo che ci siamo conosciuti, lo specchio davanti al quale lui pettinava i miei capelli biondi, il divano vecchio ma confortevole, e la cucina dove preparavamo modesti pasti, ma splendidamente gustosi, se consumati assieme. Non desideravamo niente altro, se potevamo addormentarci ogni notte abbracciati.
Era un tipo affascinante, pacato e sapeva essere gentile, anche se per la maggior parte del tempo era un po' burbero; ma io amavo ogni cosa di lui, e non m'importava se talvolta mi trattava male. Mi ero abituato al suo carattere un po'... particolare. Ed adoravo i suoi capelli rossi, morbidi fra le mie dita, quando li accarezzavo. Non ho più nulla, ho lasciato tutto in quel piccolo appartamento di periferia; eppure, anche se vorrei dimenticare, non ne sono capace.
Mi alzo in piedi sospirando, in cerca di qualcosa da fare per ingannare il tempo. La Tv è guasta, e nonostante l'abbia fatto presente ai gestori dell'hotel, ancora nessuno è venuto a controllarla. Non ho libri da leggere, e il diario che avevo iniziato a scrivere l'ho abbandonato in un angolo della stanza, troppo ricco di dolorosi ricordi, per poterlo sfogliare ancora.
Guardo fuori dalla finestra, il buio prevale; solo una piccola luce si vede in lontananza, in prossimità del lago nel quale, per quanto ne so, sono annegate diverse persone nel corso degli anni. Che ci sia qualcuno?
Osservo la mia immagine riflessa nello specchio, sembra che non dorma da giorni; ho veramente un aspetto orribile. E dire che lui era solito elogiare i miei lineamenti delicati, quasi femminei. Svogliatamente, mi pettino un po', legando i capelli in una coda di cavallo; probabilmente mi manderanno a quel paese, ma intendo uscire proprio a quest'ora.
- Non sei a casa tua, impara un po' d'educazione! - è quello che mi aspetto di sentirmi dire da coloro che gestiscono questa topaia.
Ma in fondo, che me ne importerebbe, anche se mi cacciassero via?
Sono finito qui per caso, e per un mio capriccio potrei essere cacciato. Giusto. E' così che va il mondo, no? O almeno, è così che è sempre andato per me.
Esco stando comunque attento a non fare troppo rumore, per non svegliare la signora che dorme nella camera accanto alla mia, che è qui col suo bambino da giorni; pare triste e sola, chissà cosa nasconde dietro quel finto sorriso. Il suo figlioletto piange spesso, per cui ho ipotizzato che gli manchi il papà. Chissà che fine ha fatto... sarà morto come mia madre, o fuggito via con un'altra donna come mio padre?
Cammino per il corridoio facendo luce con l'accendino che mi porto appresso, sebbene in vita mia io non abbia mai fumato; illumino macchie sul muro, lì da chissà quando, chissà come. D'improvviso, mi accorgo che vicino ad un quadro lì appeso, rappresentante un paesaggio dai colori sgargianti, vi sono tracce di qualcosa che ha tutta l'aria di essere sangue; ed io mi sento ancor più confuso e sorpreso, perché riesco a rimanere stranamente calmo.
Scendo le scale silenzioso, attento a non mettere piedi in fallo; giunto in fondo, noto la signora della reception che mi guarda aggrottando un sopracciglio.
- Che ci fai qui a quest'ora, Deidara? - mi chiede, chiudendo la rivista che stava leggendo; ormai, si rivolgono a me come se fossi loro figlio, essendo qui da diverse settimane.
Ho scelto di alloggiare in questo albergo perché le tariffe sono estremamente basse, ma il denaro a mia disposizione, che mi ero guadagnato facendo diversi lavoretti part-time, è quasi terminato; mi chiedo che cosa farò poi. Magari, chiederò proprio a queste persone di poterle aiutare, in cambio di vitto e alloggio. Perché il mio smisurato orgoglio, nonostante tutto, non mi permette di restare seduto ad aspettare che la morte mi colga. Anche se da allora io non vivo più, non ho intenzione di abbandonare questo mondo senza far niente; senza lasciare tracce di me.
- Ecco... non riuscivo a dormire, e quindi... pensavo di andare a fare una passeggiata... - spiego, e lei strabuzza gli occhi.
- Adesso? Ma sono le 3 di notte! - mi rimprovera.
- Ha ragione, lo so... ma per favore, ho bisogno di prendere un po' d'aria... dico davvero. -
C'è qualcosa là fuori, stanotte, che mi sta chiamando.
Devo rispondere a quell'appello disperato.
- Mah, fai come vuoi... ma ti avverto che fino alle 7 io non riapro la porta... se ti prende sonno dovrai dormire fuori! -
- Va bene, non c'è problema. -
Mi congedo con queste parole, e finalmente esco, avvertendo un'aria gelida che mi penetra fino alle ossa; fa un freddo cane, e tira anche vento, trasportando con sé le foglie degli alberi. Una perfetta notte d'autunno.
Cammino per il tetro paese guardando dritto davanti a me, e un pipistrello mi vola accanto con un veloce battito d'ali; invidio la sua libertà, vorrei avere anche io la possibilità di librarmi in alto nel cielo, per poter osservare il mondo da lassù. Ed invece, confinato in questo mondo che sta marcendo sempre di più, giorno dopo giorno, non posso far altro che camminare e guardarmi intorno, mentre immagini che vorrei rendere invisibili agli occhi, mi tormentano; e così passo accanto ad un ragazzo sulla ventina, che allunga il braccio verso di me con le ultime forze che gli sono rimaste per chiedermi qualche spicciolo. Non c'è pietà in me; continuo la mia passeggiata, mentre lui mi manda a quel paese e si accascia a terra, probabilmente strafatto di chissà quale schifo di sostanza stupefacente.
Qualche altro passo, e un miagolio attira la mia attenzione; volgo lo sguardo sull'asfalto, e noto due occhietti vispi che mi squadrano, interessati. La bestiola è accucciata dentro una piccola scatola di cartone, e trema leggermente; continua a miagolare, probabilmente mi sta chiedendo di prenderlo in braccio. Beh, perché no? Ho sempre desiderato avere un animale domestico, fin da bambino; ma, in tutta sincerità, non penso che all'albergo accetteranno la presenza di un gattino, seppur così tenero e splendidamente morbido. Il pelo, interamente bianco, crea uno squisito contrasto col buio che ci circonda, interrotto solo a volte da delle lampade fuori dalle abitazioni, che illuminano la stretta strada con la loro luce fioca. Proseguo accarezzando il micio che ha iniziato a farmi perfino le fusa, e si struscia sul mio braccio in cerca di altre coccole; nel frattempo, una tenda si muove appena, e un occhio vigile mi scruta. Chissà chi è, e che cosa sta pensando in questo momento, vedendo un povero idiota camminare a notte fonda fuori da casa sua; allo stesso momento, lo maledico per la sua ( seppur giustificata ) curiosità. Scosto lo sguardo dalla finestra e mi specchio negli occhi del cucciolo fra le mie braccia, sorridendo appena; lui ricambia la mia occhiata, miagolando perfino. Sembra quasi che capisca il mio stato d'animo. Inquietudine, rabbia, dolore; eppure, in un certo senso, mi sento assurdamente tranquillo. Quanta confusione, dentro di me.

Plic

Plic

Un rumore mi distoglie dai miei pensieri, e mi fa rabbrividire; qualcosa sta gocciolando, vicino a me. Mi volto e mi trovo davanti un altro muro; quant'è stretto, questo dannato vicolo. C'è un'altra casa, e sul davanzale della finestra vi è una pianta, simile a quelle carnivore che si vedono a volte nei film; e, sotto quel vaso, c'é una macchia di sangue decisamente fresco, che cola sulle pietre e finisce a terra con quel fastidioso rumore. Rimango come paralizzato da quella macabra visione, che rischia perfino di diventare affascinante ai miei occhi malati, che non vedono altro che dolore. Solo la purezza dell'animale che stringo mi dimostra che qualcosa di bello esiste ancora, a questo mondo; almeno lo fa finché non inizia ad agitarsi, ed arriva perfino a graffiarmi la mano. Lo lascio dunque scendere, ed esso si avvicina al liquido cremisi, sporcando il candido manto. Ecco; anche lui si è macchiato. Mi viene da chiedermi se l'innocenza esista davvero, o se sia solo un prodotto della mente umana; perché, in tutta sincerità, non ho mai incontrato un'anima veramente pura, che non conoscesse il peccato. Si pecca fuggendo dalle proprie responsabilità, o raccontando menzogne. Lo si fa osservando una povera anima dannata agonizzare su un marciapiede. Oppure desiderando qualcosa o qualcuno ardentemente, tanto da annullarsi e abbandonarsi completamente ad un effimero piacere, che dura un attimo, come una bellissima esplosione. Pecchiamo invidiando la serenità e le cose altrui. O magari, lasciando sola e smarrita la persona che si ama più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Certo è, che siamo dei veri assi, nel farlo; io ne sono un esempio, e non c'è proprio nulla di cui posso vantarmi, anzi. Ma, nonostante ciò, continuo imperterrito a commettere atti atroci; non uccido, non uso violenza. Semplicemente me ne sto a guardare, mentre tutto va in malora.
Giungo davanti alla chiesa, grande e fiera si staglia di fronte a me, con il suo alto campanile; mi appoggio con la schiena alla pietra fredda delle sue mura, sospirando.
La mano graffiata brucia da morire, tanto che mi costringe a soffiarci sopra, al fine di calmare un po' il dolore, mentre i rintocchi delle campane riecheggiano nuovamente nella notte; sono le quattro. Incredibile, è già passata un'ora? Come passa velocemente, il tempo!

Sarebbe bello se questa vita fosse eterna, tu che ne dici? ”
Uhn, beh... ”
Splendida come la più preziosa delle opere d'arte... vivere per sempre... non ti attrae quest'idea? ”


Non ho mai condiviso il suo punto di vista, probabilmente è anche per questo che il suo corpo si è pian piano consumato, davanti a questi occhi che, alla fine, non ce l'hanno fatta più a vederlo così. Eppure, non ho mai pensato di pentirmi, dopo che la mia visione delle cose lo ha portato inesorabilmente a soffrire le pene dell'Inferno; avrebbe voluto solo che qualche volta gli rivolgessi due semplici parole:
Hai ragione. ”
Non importava se mentivo o ero sincero. Ma, orgoglioso fino al midollo, non mi sono mai neanche sognato di farlo. Che bastardo sono stato.
Perché, anche se me ne rendo conto, non riesco lo stesso a domandare scusa? Potrei entrare in chiesa e confessare i miei peccati, allora forse mi sentirei più leggero; ma sinceramente, non ho mai creduto in Dio.
Dunque riprendo a camminare, cercando di scacciare questi pensieri dalla mente; d'improvviso, il suono di quello che sembra una specie di campanellino, mi fa sussultare. Guardo alla mia destra, dove noto un altro piccolo vicolo, e un rumore di passi che lo percorre; un bambino dai capelli rossi mi si avvicina saltellando, sembra felice. Porta al collo un ciondolo, e subito mi accorgo che è quello a suonare; che strano ornamento. Si ferma e mi sorride, chiedendomi dove sono diretto.
- Da nessuna parte... stavo solamente facendo una passeggiata. Tu, piuttosto... che ci fa un bambino in giro da solo, a quest'ora di notte? - gli chiedo, curioso.
- Perché non posso, eh? Per quale motivo non posso andare dove mi pare, senza il tuo permesso?! Dimmelo! - esclama furioso, strappandosi di dosso il ciondolo, gettandolo a terra.
- No... non volevo dire questo, scusami... è solo che... -
Mentre cerco invano di convincerlo che non intendevo dire quello che lui pensa, vengo colpito dal suo sguardo forte, determinato; conosco quell'espressione, quegli occhi che s'infiammano, quella cocciutaggine. Assurdamente mi rendo conto che le domande che mi ha fatto, non è la prima volta che mi vengono poste.

Senti, Deidara... posso uscire a prendere un po' d'aria? Mi sento soffocare... ”
Scordatelo, lo sai che non posso lasciarti andare fuori, nelle tue condizioni! ”
Ma perché? Dimmelo... perché non posso andare dove mi pare, senza il tuo permesso? ”
Piantala, Sasori! Ti ho già detto che non puoi! ”

Un brivido mi percorre la schiena, mentre il bambino mi afferra la mano, guardandomi con rabbia.
- Allora? Parla, perché non posso fare nulla? -
- Lasciami... lasciami andare! - urlo, liberandomi dalla sua stretta, che è più forte del previsto, e corro via; il bambino inizia a piangere, a gridare, ed io sono costretto a coprirmi le orecchie per non udire quelle grida strazianti. Che diavolo sta succedendo?
Inciampo in qualcosa, e cado rovinosamente a terra; sento un dolore lancinante alla caviglia destra, ma nonostante ciò cerco di rialzarmi, mentre il bimbo mi si avvicina, con le braccia tese verso di me.
- Perché, dimmi perché... - continua a ripetere, come una litania.
- Và via! Sparisci! - esclamo, constatando che sono inciampato su... un portafoto.
Raccolgo la cornice e mi rialzo a fatica, allontanandomi zoppicando; raggiungo la riva del lago, che è più vicina di quanto invece sembrava osservandola dalla finestra della mia stanza d'albergo. Mi guardo le spalle; il ragazzino evidentemente ha rinunciato al mio inseguimento. Mi siedo sfinito su una roccia, osservando l'oggetto che ho trovato sull'asfalto.

- Oh, cazzo... - commento a bassa voce, soffiando via la polvere depositatasi sul vetro che protegge l'immagine all'interno; una nostra foto.
La nostra preferita, per l'esattezza.
Non riesco più a sorridere come allora, come in quel momento in cui ci abbracciavamo, guancia contro guancia, mentre attendevamo che la funzione autoscatto della macchina fotografica facesse il suo dovere. Sento gli occhi bruciare, e le lacrime minacciare di uscire copiose; voglio dimenticare, voglio abbandonare quel volto gentile in un angolino remoto della mia anima, ma non ne sono capace. Ogni volta ritorna alla memoria, prepotente, senza lasciarmi vie di scampo; e piango, piango come un bambino, e come un uomo che ha perso tutto. Solo quell'orgoglio che ancora mi è rimasto, mi impedisce di buttarmi in quel lago maledetto. In realtà mi manca, da morire; quando c'era lui al mio fianco, le giornate erano così splendidamente luminose! Svegliarmi sentendo il suo calore era quanto di più bello potessi desiderare, e i suoi baci erano la mia dolcissima droga; peccato che però, a quanto pare, lui non la pensava come me. Ed al sapore delle mie labbra preferiva quelle maledettissime sigarette.

Tic tac, tic tac

Un orologio che lentamente scandiva i secondi delle ultime ore di vita insieme.
E mentre osservavo il suo corpo logorarsi, mi chiedevo cosa avrei potuto fare per lui.
Sono sempre stato un tipo estremamente egoista, e non trovai di meglio da fare che abbandonarlo a sé stesso, su quel letto, in quella stanza buia; noncurante delle sue suppliche, di quel debole braccio teso verso la mia figura indifferente. Niente pietà, niente lacrime di fronte a lui; ma uno sguardo freddo, colmo di rancore.

Deidara... stringimi la mano, te ne prego... ”
... ”
Mi hai sentito? Ho freddo! ”
... ”
Cazzo, Deidara! Sei uscito di testa, per caso? Non te ne frega proprio nulla se muoio? ”

Un dolore, dentro, insopportabile; per non essere stato capace di fermare la sua autodistruzione, quand'ero ancora in tempo.
Presi quella mano gelida e la strinsi fra le dita, mentre una silenziosa lacrima abbandonava il suo occhio sinistro infrangendosi sul cuscino sotto la sua testa; la baciai delicatamente, accarezzandone il palmo e le dita ossute. Lui respirava a fatica, e teneva a malapena gli occhi socchiusi, mormorando a bassa voce le sue ultime parole:

Lo sai che ti amo, nonostante tutto? ”

Mi alzai senza rispondere, chiudendo la porta di legno alle mie spalle, ascoltando i colpi di tosse che squarciavano il silenzio. Raccolsi pochi viveri e alcuni vestiti in una valigia, e senza tornare in camera, uscii di casa velocemente, lasciandomi alle spalle il passato, le sue gioie e i suoi dolori; lasciando indietro lui.
E adesso eccomi qui a piangere, stringendo l'immagine più pura della felicità, sfuggita al mio abbraccio con una facilità che non credevo possibile.
Ed io che pensavo che, allontanandomi, quei ricordi non avrebbero mai più bussato alla porta del cuore... stupido orgoglio, maledetta paura di essere considerato responsabile del declino sia psicologico che fisico di un angelo di nome Sasori. Di averlo portato alla morte, abbandonandolo poco prima che questa avvenisse.
Comincia a piovere, una fredda goccia d'acqua mi riporta al presente; ma non mi curo di trovare un riparo. Forse, questo temporale riuscirà a lavare via i miei peccati, chi lo sa.
Me ne sto qui, seduto, osservando la pioggia che si mescola al lago, mentre sento una delicata voce intonare una canzone.

As strong as you were, tender you go,
I'm watching you breathing, for the last time.
A song for your heart, but when it is quiet, I know what it means,

and I'll carry you home, I'll carry you home. [*]

Il testo che amavamo cantare assieme; mi volto, una bimba avvolta in un vestito color cremisi canta, guardando verso di me. Non mi ero mai accorto che quelle note fossero così dannatamente tristi; sarà che, ascoltate ed intonate assieme, facevano tutt'altro effetto.
La bambina, dai capelli neri come la notte e gli occhi fissi sul sottoscritto, tiene le mani conserte dietro la schiena, lasciandosi bagnare dalla pioggia battente, restando immobile.
Mi alzo e mi avvicino a lei, tendo una mano ad accarezzarle i capelli, mentre ella continua a cantare imperterrita, sempre quello stesso ritornello. Poi alza lo sguardo ed incontra il mio, specchiandosi nei miei occhi azzurri. Lei piange lacrime di sangue, eppure non sembra triste.
- Lui ti sta aspettando. - sussurra, quasi ghignando.
Ed io assurdamente sorrido, ringraziandola.
Ho capito tutto.
In fondo, l'ho sempre saputo.
Le volto le spalle, salutandola con un cenno della mano.
Ripercorro la strada fatta in precedenza, seppur abbia per un attimo pensato di lasciarmi cadere in quel profondo specchio d'acqua.
Ma non posso farlo, sapendo che c'è qualcuno che mi aspetta ancora.
Mi metto perfino a correre, passando di fronte alla chiesa e al bambino dai capelli rossi come il sangue; calpesto il ciondolo che egli aveva gettato a terra, diventato il giocattolo preferito di quel gattino che mi aveva rifiutato. Vengo spiato da chissà quanti occhi dietro quelle finestre, prima di tornare di nuovo all'albergo nel quale alloggio. Mi fermo, riprendendo fiato, ed osservo la costruzione di fronte a me.
E' tutto come allora, probabilmente è passata solo qualche ora.
Sorrido, passandomi la mano fra i capelli; sono proprio uno stupido.
Il mio corpo trema, fuori fa freddo, ed ho dormito non so per quanto appoggiato a questa porta; le campane non suonano più, la canzone si è fermata.
Sono tornato a casa.
Entro, tutte le luci sono spente ed ogni cosa è al suo posto, proprio come quando me ne sono andato, senza però avere la forza di fuggire lontano. Salgo le scale, e il silenzio regna attorno a me, doloroso testimone di una catastrofe già avvenuta. Non sento la sua flebile voce chiamare il mio nome, quando salgo l'ultimo scalino; non vedo la luce fioca dell'abat jour filtrare da sotto la porta della nostra stanza. La apro, lentamente, e lui è ancora lì, steso su quel letto, immobile proprio come l'ho lasciato; i suoi occhi sono chiusi, e sul suo volto non leggo dolore alcuno. Però è pallido, pallido e freddo. Gli accarezzo il viso, sedendomi accanto a lui.

- Hai ragione, Sasori. Adesso tocca a me. Aspettami, mi raccomando. - dico, stendendomi al fianco del mio defunto compagno di vita.
Fisso il soffitto, ripercorrendo tutte quelle immagini prodotte da una mente logorata dal dolore.
Perché mia madre mi ha cresciuto da sola, dopo che quello stronzo di mio padre l'ha tradita e se n'è andato; girava per alberghi e case di amici, per potermi assicurare la sopravvivenza, perché la nostra casa, non ricordo come mai, non esisteva più.
Perché quand'ella mi abbandonò per sempre, non vidi altro che sangue.
E la persona che mi aveva fatto scoprire l'amore è sfuggita al mio abbraccio, lasciandomi solo una foto e una canzone.
Ed io, da codardo quale sono, l'ho abbandonato solo in questa stanza buia, costruendo attorno a me una realtà fittizia, dove ogni minima cosa riusciva a riportarmelo alla mente.
Un sogno, un maledettissimo sogno.

Un'illusione.

Perfetta, in ogni sua perfida sfumatura.
Un luogo in cui non aveva senso aver paura, perché a governarlo non ero altro che io stesso.
Un mondo ideale, si può dire?

Lui non c'era, però.

Ora, mentre affondo nel mio petto un coltello preso in cucina prima di salire, osservo i suoi occhi colmi di rabbia; ed in essi vedo, come se fossi di fronte ad uno specchio, la paura che in questo momento mi sfigura il volto dai lineamenti gentili. Ho proprio un aspetto orribile.
Il sangue macchia le mie mani, il cuscino, le lenzuola... abbandona questo corpo che tanto ha amato; ma non un gemito, non una lacrima. Solo il terrore di non potermi ricongiungere a lui.

Perché? Perché mi hai lasciato morire, Deidara? ”
Con un ghigno si bea dell'immagine del mio viso stravolto dal dolore e dalla paura, mentre continua a ripetere quella fatidica domanda.
Perché? ”
Non so cosa rispondere. Sento le forze venire meno, riesco solo ad alzare un poco le braccia, tentando di accarezzare quella crudele quanto affascinante visione.
- Portami con te... - sussurro, lasciandomi sopraffare dalla morte, che prima tanto mi spaventava; non è poi così terribile, se si ha di fronte l'immagine perfetta del più bel peccato che si abbia mai commesso.
Quell'effimera illusione che ha dato un senso alla mia vita.
L'ho sempre detto, io, che le cose più belle non durano mai in eterno.
Sembra incredibile, ma anche in questo momento riesco a pensare a questa mia maledettissima convinzione.
Non sento più il tocco delle sue mani su di me; non più quelle dolci parole sussurrate all'orecchio mentre facevamo l'amore.
Mi chiedo se Sasori sia esistito davvero.
Ed io? Ho davvero dormito su questo letto, camminato su questo pavimento?
A chi apparteneva il corpo senza vita accanto a me?
E a chi è appartenuto il cuore che pian piano, secondo dopo secondo, si indebolisce?


TUM


Un attimo ancora.


TUM


Con estrema fatica mi volto, guardando quel volto pallido, dall'aria serena, nonostante tutto.


TUM


Un ultimo battito, una mano insanguinata a macchiare la bella guancia.


Un'ultima parola, la più importante.


- Perdonami... -


Di me, rimarrà solo una macchia di sangue sulle sue lenzuola preferite.

E la consapevolezza che, su questo letto, qualcuno ha amato disperatamente.

Oltre gli incubi, oltre l'illusione.


The End



Nota:

[*] Così forte come eri, e sensibile,
ti sto osservando respirare, per l'ultima volta.
Una canzone per il tuo cuore, ma quando esso tace, io so cosa vuol dire,
e ti porterò a casa, ti porterò a casa.
- Strofa presa dal testo della canzone “Carry you Home” di James Blunt -



  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: DarkRose86