Dunque...
questa storia ha partecipato all' Horror
Contest
, indetto sul Forum di EFP da kiara_chan ed HopeToSave,
classificandosi... QUARTA! *___*
Non ho davvero parole per esprimere la mia felicità. E' una
fic a cui tengo in modo particolare, ho messo praticamente tutto di me in
questa storia; vale a dire il mio amore per le storie surreali, e per
l'introspezione del personaggio.
Ringrazio infinitamente le giudici, per averci dato questa splendida
opportunità; e le altre partecipanti, per aver condiviso con
la sottoscritta quest'esperienza. Complimenti a tutte, in modo
particolare alle podiste!
A questo punto mi congedo, lasciandovi alla lettura... spero di
ricevere qualche commentino. ^^
Candido
volto sovrasta il mio sguardo,
occhi
di fiamma mi scrutano attenti,
senza
perdersi alcuna sfumatura dell'espressione di terrore che si
è
dipinta sulla mia faccia.
-
Perché? Perché mi hai lasciato
morire?
-
Perfect
Illusion
E' notte. Notte inoltrata, dato che le campane della chiesa suonano le 3, e la sveglia sul comodino conferma. Chissà come mai, in questo maledetto posto, si sentono quei rintocchi perfino a quest'ora.
Da quando sono giunto qui, non ho mai visto il sole brillare alto nel cielo come quando adoravo osservarlo; è come se si fosse spento quel giorno.
Quella in cui mi trovo è una piccola e sudicia cittadina sperduta, non ricordo neanche come ho fatto ad arrivarci, guidato dalla sofferenza.
So solo che vorrei tanto andarmene da qui, da questa sottospecie di albergo, dai vicoli ciechi ospitanti topi e loschi figuri, da una città fantasma.
Ma non ci riesco, e non capisco che cosa diavolo mi lega a questa realtà. Urla provenienti da chissà dove, a tratti sconvolgono il silenzio che vi regna. Dovrebbe farmi paura; ed invece non provo assolutamente nulla. Dal momento in cui ho varcato quel cancello, io non esisto più; non sono che un'ombra, che cammina su questo suolo cosparso di polvere, cenere e chissà cos'altro.
C'è solo una cosa che potrebbe riuscire a spaventarmi, ma non può raggiungermi. No, lui non può entrare qui. Sarà rimasto tutto come allora, nella nostra casa? Il letto a baldacchino comprato pochi mesi dopo che ci siamo conosciuti, lo specchio davanti al quale lui pettinava i miei capelli biondi, il divano vecchio ma confortevole, e la cucina dove preparavamo modesti pasti, ma splendidamente gustosi, se consumati assieme. Non desideravamo niente altro, se potevamo addormentarci ogni notte abbracciati.
Era un tipo affascinante, pacato e sapeva essere gentile, anche se per la maggior parte del tempo era un po' burbero; ma io amavo ogni cosa di lui, e non m'importava se talvolta mi trattava male. Mi ero abituato al suo carattere un po'... particolare. Ed adoravo i suoi capelli rossi, morbidi fra le mie dita, quando li accarezzavo. Non ho più nulla, ho lasciato tutto in quel piccolo appartamento di periferia; eppure, anche se vorrei dimenticare, non ne sono capace.
Mi alzo in piedi sospirando, in cerca di qualcosa da fare per ingannare il tempo. La Tv è guasta, e nonostante l'abbia fatto presente ai gestori dell'hotel, ancora nessuno è venuto a controllarla. Non ho libri da leggere, e il diario che avevo iniziato a scrivere l'ho abbandonato in un angolo della stanza, troppo ricco di dolorosi ricordi, per poterlo sfogliare ancora.
Guardo fuori dalla finestra, il buio prevale; solo una piccola luce si vede in lontananza, in prossimità del lago nel quale, per quanto ne so, sono annegate diverse persone nel corso degli anni. Che ci sia qualcuno?
Osservo la mia immagine riflessa nello specchio, sembra che non dorma da giorni; ho veramente un aspetto orribile. E dire che lui era solito elogiare i miei lineamenti delicati, quasi femminei. Svogliatamente, mi pettino un po', legando i capelli in una coda di cavallo; probabilmente mi manderanno a quel paese, ma intendo uscire proprio a quest'ora.
- Non sei a casa tua, impara un po' d'educazione! - è quello che mi aspetto di sentirmi dire da coloro che gestiscono questa topaia.
Ma in fondo, che me ne importerebbe, anche se mi cacciassero via?
Sono finito qui per caso, e per un mio capriccio potrei essere cacciato. Giusto. E' così che va il mondo, no? O almeno, è così che è sempre andato per me.
Esco stando comunque attento a non fare troppo rumore, per non svegliare la signora che dorme nella camera accanto alla mia, che è qui col suo bambino da giorni; pare triste e sola, chissà cosa nasconde dietro quel finto sorriso. Il suo figlioletto piange spesso, per cui ho ipotizzato che gli manchi il papà. Chissà che fine ha fatto... sarà morto come mia madre, o fuggito via con un'altra donna come mio padre?
Cammino per il corridoio facendo luce con l'accendino che mi porto appresso, sebbene in vita mia io non abbia mai fumato; illumino macchie sul muro, lì da chissà quando, chissà come. D'improvviso, mi accorgo che vicino ad un quadro lì appeso, rappresentante un paesaggio dai colori sgargianti, vi sono tracce di qualcosa che ha tutta l'aria di essere sangue; ed io mi sento ancor più confuso e sorpreso, perché riesco a rimanere stranamente calmo.
Scendo le scale silenzioso, attento a non mettere piedi in fallo; giunto in fondo, noto la signora della reception che mi guarda aggrottando un sopracciglio.
- Che ci fai qui a quest'ora, Deidara? - mi chiede, chiudendo la rivista che stava leggendo; ormai, si rivolgono a me come se fossi loro figlio, essendo qui da diverse settimane.
Ho scelto di alloggiare in questo albergo perché le tariffe sono estremamente basse, ma il denaro a mia disposizione, che mi ero guadagnato facendo diversi lavoretti part-time, è quasi terminato; mi chiedo che cosa farò poi. Magari, chiederò proprio a queste persone di poterle aiutare, in cambio di vitto e alloggio. Perché il mio smisurato orgoglio, nonostante tutto, non mi permette di restare seduto ad aspettare che la morte mi colga. Anche se da allora io non vivo più, non ho intenzione di abbandonare questo mondo senza far niente; senza lasciare tracce di me.
- Ecco... non riuscivo a dormire, e quindi... pensavo di andare a fare una passeggiata... - spiego, e lei strabuzza gli occhi.
- Adesso? Ma sono le 3 di notte! - mi rimprovera.
- Ha ragione, lo so... ma per favore, ho bisogno di prendere un po' d'aria... dico davvero. -
C'è qualcosa là fuori, stanotte, che mi sta chiamando.
Devo rispondere a quell'appello disperato.
- Mah, fai come vuoi... ma ti avverto che fino alle 7 io non riapro la porta... se ti prende sonno dovrai dormire fuori! -
- Va bene, non c'è problema. -
Mi congedo con queste parole, e finalmente esco, avvertendo un'aria gelida che mi penetra fino alle ossa; fa un freddo cane, e tira anche vento, trasportando con sé le foglie degli alberi. Una perfetta notte d'autunno.
Cammino per il tetro paese guardando dritto davanti a me, e un pipistrello mi vola accanto con un veloce battito d'ali; invidio la sua libertà, vorrei avere anche io la possibilità di librarmi in alto nel cielo, per poter osservare il mondo da lassù. Ed invece, confinato in questo mondo che sta marcendo sempre di più, giorno dopo giorno, non posso far altro che camminare e guardarmi intorno, mentre immagini che vorrei rendere invisibili agli occhi, mi tormentano; e così passo accanto ad un ragazzo sulla ventina, che allunga il braccio verso di me con le ultime forze che gli sono rimaste per chiedermi qualche spicciolo. Non c'è pietà in me; continuo la mia passeggiata, mentre lui mi manda a quel paese e si accascia a terra, probabilmente strafatto di chissà quale schifo di sostanza stupefacente.
Qualche altro passo, e un miagolio attira la mia attenzione; volgo lo sguardo sull'asfalto, e noto due occhietti vispi che mi squadrano, interessati. La bestiola è accucciata dentro una piccola scatola di cartone, e trema leggermente; continua a miagolare, probabilmente mi sta chiedendo di prenderlo in braccio. Beh, perché no? Ho sempre desiderato avere un animale domestico, fin da bambino; ma, in tutta sincerità, non penso che all'albergo accetteranno la presenza di un gattino, seppur così tenero e splendidamente morbido. Il pelo, interamente bianco, crea uno squisito contrasto col buio che ci circonda, interrotto solo a volte da delle lampade fuori dalle abitazioni, che illuminano la stretta strada con la loro luce fioca. Proseguo accarezzando il micio che ha iniziato a farmi perfino le fusa, e si struscia sul mio braccio in cerca di altre coccole; nel frattempo, una tenda si muove appena, e un occhio vigile mi scruta. Chissà chi è, e che cosa sta pensando in questo momento, vedendo un povero idiota camminare a notte fonda fuori da casa sua; allo stesso momento, lo maledico per la sua ( seppur giustificata ) curiosità. Scosto lo sguardo dalla finestra e mi specchio negli occhi del cucciolo fra le mie braccia, sorridendo appena; lui ricambia la mia occhiata, miagolando perfino. Sembra quasi che capisca il mio stato d'animo. Inquietudine, rabbia, dolore; eppure, in un certo senso, mi sento assurdamente tranquillo. Quanta confusione, dentro di me.
Plic
Plic
Un
rumore mi distoglie dai miei pensieri, e mi fa rabbrividire; qualcosa
sta gocciolando, vicino a me. Mi volto e mi trovo davanti un altro
muro; quant'è stretto, questo dannato vicolo. C'è
un'altra casa, e sul davanzale della finestra vi è una
pianta,
simile a quelle carnivore che si vedono a volte nei film; e, sotto
quel vaso, c'é una macchia di sangue decisamente fresco, che
cola sulle pietre e finisce a terra con quel fastidioso rumore.
Rimango come paralizzato da quella macabra visione, che rischia
perfino di diventare affascinante
ai miei occhi malati,
che non vedono altro che dolore. Solo la purezza dell'animale che
stringo mi dimostra che qualcosa di bello esiste ancora, a questo
mondo; almeno lo fa finché non inizia ad agitarsi, ed arriva
perfino a graffiarmi la mano. Lo lascio dunque scendere, ed esso si
avvicina al liquido cremisi, sporcando il candido manto. Ecco; anche
lui si è macchiato. Mi viene da chiedermi se l'innocenza
esista davvero, o se sia solo un prodotto della mente umana;
perché,
in tutta sincerità, non ho mai incontrato un'anima veramente
pura, che non conoscesse il peccato.
Si pecca
fuggendo dalle
proprie responsabilità, o raccontando menzogne.
Lo si fa
osservando una
povera anima dannata agonizzare su un marciapiede.
Oppure
desiderando qualcosa o qualcuno ardentemente, tanto da annullarsi e
abbandonarsi completamente ad un effimero piacere, che dura un
attimo, come una bellissima esplosione.
Pecchiamo
invidiando la serenità e le cose altrui.
O
magari, lasciando sola e smarrita la persona che si ama più
di
qualsiasi altra cosa al mondo.
Certo
è, che siamo dei veri assi, nel farlo; io ne sono un
esempio,
e non c'è proprio nulla di cui posso vantarmi, anzi. Ma,
nonostante ciò, continuo imperterrito a commettere atti
atroci; non uccido, non uso violenza. Semplicemente me ne sto a
guardare, mentre tutto va in malora.
Giungo
davanti alla chiesa, grande e fiera si staglia di fronte a me, con il
suo alto campanile; mi appoggio con la schiena alla pietra fredda
delle sue mura, sospirando.
La
mano graffiata brucia da morire, tanto che mi costringe a soffiarci
sopra, al fine di calmare un po' il dolore, mentre i rintocchi delle
campane riecheggiano nuovamente nella notte; sono le quattro.
Incredibile, è già passata un'ora? Come passa
velocemente, il tempo!
“
Sarebbe
bello se questa vita fosse eterna, tu che ne dici? ”
“
Uhn,
beh... ”
“
Splendida
come la più preziosa delle opere d'arte... vivere per
sempre... non ti attrae quest'idea? ”
“ Hai ragione. ”
Non importava se mentivo o ero sincero. Ma, orgoglioso fino al midollo, non mi sono mai neanche sognato di farlo. Che bastardo sono stato.
Perché, anche se me ne rendo conto, non riesco lo stesso a domandare scusa? Potrei entrare in chiesa e confessare i miei peccati, allora forse mi sentirei più leggero; ma sinceramente, non ho mai creduto in Dio.
Dunque riprendo a camminare, cercando di scacciare questi pensieri dalla mente; d'improvviso, il suono di quello che sembra una specie di campanellino, mi fa sussultare. Guardo alla mia destra, dove noto un altro piccolo vicolo, e un rumore di passi che lo percorre; un bambino dai capelli rossi mi si avvicina saltellando, sembra felice. Porta al collo un ciondolo, e subito mi accorgo che è quello a suonare; che strano ornamento. Si ferma e mi sorride, chiedendomi dove sono diretto.
- Da nessuna parte... stavo solamente facendo una passeggiata. Tu, piuttosto... che ci fa un bambino in giro da solo, a quest'ora di notte? - gli chiedo, curioso.
- Perché non posso, eh? Per quale motivo non posso andare dove mi pare, senza il tuo permesso?! Dimmelo! - esclama furioso, strappandosi di dosso il ciondolo, gettandolo a terra.
- No... non volevo dire questo, scusami... è solo che... -
Mentre cerco invano di convincerlo che non intendevo dire quello che lui pensa, vengo colpito dal suo sguardo forte, determinato; conosco quell'espressione, quegli occhi che s'infiammano, quella cocciutaggine. Assurdamente mi rendo conto che le domande che mi ha fatto, non è la prima volta che mi vengono poste.
“
Senti,
Deidara... posso uscire a prendere un po' d'aria? Mi sento
soffocare... ”
“
Scordatelo,
lo sai che non posso lasciarti andare fuori, nelle tue condizioni!
”
“
Ma
perché? Dimmelo... perché non posso andare dove
mi
pare, senza il tuo permesso? ”
“
Piantala,
Sasori! Ti ho già detto che non puoi! ”
Un
brivido mi percorre la schiena, mentre il bambino mi afferra la mano,
guardandomi con rabbia.
-
Allora? Parla, perché non posso fare nulla? -
-
Lasciami... lasciami andare! - urlo, liberandomi dalla sua stretta,
che è più forte del previsto, e corro via; il
bambino
inizia a piangere, a gridare, ed io sono costretto a coprirmi le
orecchie per non udire quelle grida strazianti. Che diavolo sta
succedendo?
Inciampo
in qualcosa, e cado rovinosamente a terra; sento un dolore lancinante
alla caviglia destra, ma nonostante ciò cerco di rialzarmi,
mentre il bimbo mi si avvicina, con le braccia tese verso di me.
-
Perché, dimmi perché... - continua a ripetere,
come una
litania.
-
Và via! Sparisci! - esclamo, constatando che sono inciampato
su... un portafoto.
Raccolgo
la cornice e mi rialzo a fatica, allontanandomi zoppicando; raggiungo
la riva del lago, che è più vicina di quanto
invece
sembrava osservandola dalla finestra della mia stanza d'albergo. Mi
guardo le spalle; il ragazzino evidentemente ha rinunciato al mio
inseguimento. Mi siedo sfinito su una roccia, osservando l'oggetto
che ho trovato sull'asfalto.
-
Oh, cazzo... - commento a bassa voce, soffiando via la polvere
depositatasi sul vetro che protegge l'immagine all'interno; una
nostra
foto.
La
nostra preferita, per l'esattezza.
Non
riesco più a sorridere come allora, come in quel momento in
cui ci abbracciavamo, guancia contro guancia, mentre attendevamo che
la funzione autoscatto della macchina fotografica facesse il suo
dovere. Sento gli occhi bruciare, e le lacrime minacciare di uscire
copiose; voglio dimenticare, voglio abbandonare quel volto gentile in
un angolino remoto della mia anima, ma non ne sono capace. Ogni volta
ritorna alla memoria, prepotente, senza lasciarmi vie di scampo; e
piango, piango come un bambino, e come un uomo che ha perso tutto.
Solo quell'orgoglio che ancora mi è rimasto, mi impedisce di
buttarmi in quel lago maledetto. In realtà mi manca, da
morire; quando c'era lui al mio fianco, le giornate erano
così
splendidamente luminose! Svegliarmi sentendo il suo calore era quanto
di più bello potessi desiderare, e i suoi baci erano la mia
dolcissima droga; peccato che però, a quanto pare, lui non
la
pensava come me. Ed al sapore delle mie labbra preferiva quelle
maledettissime sigarette.
Tic tac, tic tac
Un
orologio che lentamente scandiva i secondi delle ultime ore di vita
insieme.
E
mentre osservavo il suo corpo logorarsi, mi chiedevo cosa avrei
potuto fare per lui.
Sono
sempre stato un tipo estremamente egoista, e non trovai di meglio da
fare che abbandonarlo a sé stesso, su quel letto, in quella
stanza buia; noncurante delle sue suppliche, di quel debole braccio
teso verso la mia figura indifferente. Niente pietà, niente
lacrime di fronte a lui; ma uno sguardo freddo, colmo di rancore.
“
Deidara...
stringimi la mano, te ne prego... ”
“
...
”
“
Mi
hai sentito? Ho freddo! ”
“
...
”
“
Cazzo,
Deidara! Sei uscito di testa, per caso? Non te ne frega proprio nulla
se muoio? ”
Un
dolore, dentro, insopportabile; per non essere stato capace di
fermare la sua autodistruzione, quand'ero ancora in tempo.
Presi
quella mano gelida e la strinsi fra le dita, mentre una silenziosa
lacrima abbandonava il suo occhio sinistro infrangendosi sul cuscino
sotto la sua testa; la baciai delicatamente, accarezzandone il palmo
e le dita ossute. Lui respirava a fatica, e teneva a malapena gli
occhi socchiusi, mormorando a bassa voce le sue ultime parole:
“ Lo
sai che ti amo, nonostante tutto? ”
Mi
alzai senza rispondere, chiudendo la porta di legno alle mie spalle,
ascoltando i colpi di tosse che squarciavano il silenzio. Raccolsi
pochi viveri e alcuni vestiti in una valigia, e senza tornare in
camera, uscii di casa velocemente, lasciandomi alle spalle il
passato, le sue gioie e i suoi dolori; lasciando indietro lui.
E
adesso eccomi qui a piangere, stringendo l'immagine più pura
della felicità, sfuggita al mio abbraccio con una
facilità
che non credevo possibile.
Ed
io che pensavo che, allontanandomi, quei ricordi non avrebbero mai
più bussato alla porta del cuore... stupido orgoglio,
maledetta paura di essere considerato responsabile del declino sia
psicologico che fisico di un angelo di nome Sasori. Di averlo portato
alla morte, abbandonandolo poco prima che questa avvenisse.
Comincia
a piovere, una fredda goccia d'acqua mi riporta al presente; ma non
mi curo di trovare un riparo. Forse, questo temporale
riuscirà
a lavare via i miei peccati, chi lo sa.
Me
ne sto qui, seduto, osservando la pioggia che si mescola al lago,
mentre sento una delicata voce intonare una canzone.
As
strong as you were, tender you go,
I'm
watching you breathing, for the last time.
A
song for your heart, but when it is quiet, I know what it means,
and
I'll carry you home, I'll carry you home. [*]
Il
testo che amavamo cantare assieme; mi volto, una bimba avvolta in un
vestito color cremisi canta, guardando verso di me. Non mi ero mai
accorto che quelle note fossero così dannatamente tristi;
sarà
che, ascoltate ed intonate assieme, facevano tutt'altro effetto.
La
bambina, dai capelli neri come la notte e gli occhi fissi sul
sottoscritto, tiene le mani conserte dietro la schiena, lasciandosi
bagnare dalla pioggia battente, restando immobile.
Mi
alzo e mi avvicino a lei, tendo una mano ad accarezzarle i capelli,
mentre ella continua a cantare imperterrita, sempre quello stesso
ritornello. Poi alza lo sguardo ed incontra il mio, specchiandosi nei
miei occhi azzurri. Lei piange lacrime di sangue, eppure non sembra
triste.
-
Lui ti sta aspettando. - sussurra, quasi ghignando.
Ed
io assurdamente sorrido, ringraziandola.
Ho
capito tutto.
In
fondo, l'ho sempre saputo.
Le
volto le spalle, salutandola con un cenno della mano.
Ripercorro
la strada fatta in precedenza, seppur abbia per un attimo pensato di
lasciarmi cadere in quel profondo specchio d'acqua.
Ma
non posso farlo, sapendo che c'è qualcuno che mi aspetta
ancora.
Mi
metto perfino a correre, passando di fronte alla chiesa e al bambino
dai capelli rossi come il sangue; calpesto il ciondolo che egli aveva
gettato a terra, diventato il giocattolo preferito di quel gattino
che mi aveva rifiutato. Vengo spiato da chissà quanti occhi
dietro quelle finestre, prima di tornare di nuovo all'albergo nel
quale alloggio. Mi fermo, riprendendo fiato, ed osservo la
costruzione di fronte a me.
E'
tutto come allora, probabilmente è passata solo qualche ora.
Sorrido,
passandomi la mano fra i capelli; sono proprio uno stupido.
Il
mio corpo trema, fuori fa freddo, ed ho dormito non so per quanto
appoggiato a questa porta; le campane non suonano più, la
canzone si è fermata.
Sono
tornato a casa.
Entro,
tutte le luci sono spente ed ogni cosa è al suo posto,
proprio
come quando me ne sono andato, senza però avere la forza di
fuggire lontano. Salgo le scale, e il silenzio regna attorno a me,
doloroso testimone di una catastrofe già avvenuta. Non sento
la sua flebile voce chiamare il mio nome, quando salgo l'ultimo
scalino; non vedo la luce fioca dell'abat jour filtrare da sotto la
porta della nostra stanza. La apro, lentamente, e lui è
ancora
lì, steso su quel letto, immobile proprio come l'ho
lasciato;
i suoi occhi sono chiusi, e sul suo volto non leggo dolore alcuno.
Però è pallido, pallido e freddo. Gli accarezzo
il
viso, sedendomi accanto a lui.
-
Hai ragione, Sasori. Adesso tocca a me. Aspettami, mi raccomando. -
dico, stendendomi al fianco del mio defunto compagno di
vita.
Fisso
il soffitto, ripercorrendo tutte quelle immagini prodotte da una
mente logorata dal dolore.
Perché
mia madre mi ha cresciuto da sola, dopo che quello stronzo di mio
padre l'ha tradita e se n'è andato; girava per alberghi e
case
di amici, per potermi assicurare la sopravvivenza, perché la
nostra casa, non ricordo come mai, non esisteva più.
Perché
quand'ella mi abbandonò per sempre, non vidi altro che
sangue.
E
la persona che mi aveva fatto scoprire l'amore è sfuggita al
mio abbraccio, lasciandomi solo una foto e una canzone.
Ed
io, da codardo quale sono, l'ho abbandonato solo in questa stanza
buia, costruendo attorno a me una realtà fittizia, dove ogni
minima cosa riusciva a riportarmelo alla mente.
Un
sogno, un maledettissimo sogno.
Un'illusione.
Perfetta,
in ogni sua perfida
sfumatura.
Un
luogo in cui non aveva senso aver paura, perché a governarlo
non ero altro che io stesso.
Un
mondo ideale, si può dire?
Lui non c'era, però.
Ora,
mentre affondo nel mio petto un coltello preso in cucina prima di
salire, osservo i suoi occhi colmi di rabbia; ed in essi vedo, come
se fossi di fronte ad uno specchio, la paura che in questo momento mi
sfigura il volto dai lineamenti gentili. Ho proprio un aspetto
orribile.
Il
sangue macchia le mie mani, il cuscino, le lenzuola... abbandona
questo corpo che tanto ha amato; ma non un gemito, non una lacrima.
Solo il terrore di non potermi ricongiungere a lui.
“
Perché?
Perché mi hai lasciato morire, Deidara? ”
Con
un ghigno si bea dell'immagine del mio viso stravolto dal dolore e
dalla paura, mentre continua a ripetere quella fatidica domanda.
“
Perché?
”
Non
so cosa rispondere. Sento le forze venire meno, riesco solo ad alzare
un poco le braccia, tentando di accarezzare quella crudele quanto
affascinante visione.
-
Portami con te... - sussurro, lasciandomi sopraffare dalla morte, che
prima tanto mi spaventava; non è poi così
terribile, se
si ha di fronte l'immagine perfetta del più bel peccato che
si
abbia mai commesso.
Quell'effimera
illusione che ha dato un senso alla mia vita.
L'ho
sempre detto, io, che le cose più belle non durano mai in
eterno.
Sembra
incredibile, ma anche in questo momento riesco a pensare a questa
mia maledettissima convinzione.
Non
sento più il tocco delle sue mani su di me; non
più
quelle dolci parole sussurrate all'orecchio mentre facevamo l'amore.
Mi
chiedo se Sasori sia esistito davvero.
Ed
io? Ho davvero dormito su questo letto, camminato su questo
pavimento?
A
chi apparteneva il corpo senza vita accanto a me?
E
a chi è appartenuto il cuore che pian piano, secondo dopo
secondo, si indebolisce?
TUM
Un
attimo ancora.
TUM
Con
estrema fatica mi volto, guardando quel volto pallido, dall'aria
serena, nonostante tutto.
TUM
Un
ultimo battito, una mano insanguinata a macchiare la bella guancia.
Un'ultima
parola, la più importante.
-
Perdonami...
-
Di me, rimarrà solo una macchia di sangue sulle sue lenzuola preferite.
E la consapevolezza che, su questo letto, qualcuno ha amato disperatamente.
Oltre gli incubi, oltre l'illusione.
The End
Nota:
[*]
Così forte come eri, e
sensibile,
ti
sto osservando respirare, per l'ultima volta.
Una
canzone per il tuo cuore, ma quando esso tace, io so cosa vuol dire,
e
ti porterò a casa, ti porterò a casa.
-
Strofa presa dal testo della canzone “Carry you
Home” di James
Blunt -