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Autore: Nimel17    27/02/2015    2 recensioni
Una scrittrice deve ritrovare la sua ispirazione, ma per riaverla deve stringere un patto con chi gliel'ha data in primo luogo.
Quarta classificata al contest "Dalla mela avvelenata nascono farfalle"
Genere: Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Jillian cancellò l’ennesima riga, rendendosi conto che non sarebbe riuscita a produrre nulla di concreto per quel giorno. Si guardò allo specchio antico appeso sopra la scrivania, desiderando vedere qualsiasi cosa al posto del suo riflesso.
Non aveva dormito un’intera notte di sonno da quando era piccola e ne erano conseguite delle occhiaie leggere, ma praticamente onnipresenti. Era di carnagione piuttosto pallida, gli occhi color nocciola erano molto grandi ed espressivi, mentre i capelli erano di un ordinario castano, lunghi e lisci fino ai fianchi sottili.
Tre anni prima aveva scritto un libro horror che aveva scalato in pochissimo tempo le classifiche internazionali, definito dalla critica angosciante e opprimente; Jillian aveva all’epoca sorriso amaramente, perché anche lei si era sentita come i suoi lettori.
Angosciata e oppressa, ma dai suoi stessi incubi.
Erano però passati già due anni e il suo editore le aveva strappato, sei mesi prima, la promessa di una raccolta di dodici brevi racconti dell’orrore.
“Consideralo un regalo di nozze, Jill.”
La punta della matita si spezzò bruscamente sul foglio su cui stava disegnando ghirigori senza senso. Ryan era il suo fidanzato da un anno e mezzo, ormai tutti si aspettavano che, entro un paio di mesi al massimo, si sarebbero sposati per poi vivere felici e contenti. I giornali lo speravano sicuramente: il matrimonio tra una giovane promessa della letteratura horror e l’editore che l’aveva lanciata era sembrato loro il coronamento di una fiaba.
In tre giorni avrebbe dovuto consegnargli tre racconti in anticipo e lei non aveva ancora scritto una parola.
Per quanto detestasse ammetterlo, non aveva ispirazione senza i suoi incubi.
Senza di lui.
Poco dopo aver pubblicato il libro ed essersi fidanzata, aveva iniziato a prendere dei sonniferi per sfuggire alla sua presenza piena di rabbia, ma così facendo si era apparentemente sottratta anche al genio creativo.
Andò in cucina a prepararsi un caffè, riflettendo con lo sguardo perso nel vuoto.
La prima volta che aveva scoperto l’esistenza di quella creatura aveva solo sei anni e aveva appena perso la sorellina a causa di un incidente stradale. Nel mezzo della notte si era svegliata con la sensazione di non essere sola nella sua cameretta, poi l’aveva visto.
“C-chi sei? L’Uomo Nero?”
“È uno dei miei nomi.”
Non l’aveva più lasciata da allora, dandole a ogni sonno nuovi incubi e manovrando la sua vita come un abile burattinaio; solo dopo aver conosciuto Ryan aveva osato ribellarsi al suo controllo, facendolo infuriare.
“Io ti ho dato tutto. Ho creato io la Jillian che quel tronfio pavone vuole tanto.”
“Tu mi perseguiti. Non sono che un’ombra. Io voglio vivere, capisci?”
Lei fece inconsapevolmente un sorrisetto beffardo. Aveva voluto vivere e invece aveva firmato la propria condanna a morte.
Due settimane prima aveva scoperto che, dopo la conclusione dei dodici racconti, Ryan aveva programmato di ucciderla per aumentare il valore di quelle brevi storielle, che sarebbero state rilasciate al pubblico a distanze considerevoli di tempo.
Se solo quel pomeriggio non fosse andata in cantina, mentre si trovava a casa di lui per il weekend…
Non appena aperta la porta, i corpi congelati delle precedenti fiamme di Ryan l’avevano fissata con i loro occhi spalancati, pieni di terrore.
Jane, dai capelli dorati e gli occhi castani, nemmeno sedicenne… sapeva che era stata la sua fidanzatina del liceo.
Marian, prima proprietaria della casa editrice, con i ricci scuri e la pelle ambrata. L’aveva vista spesso in fotografia.
Lisbeth, cantante country fallita, dal viso malinconico e lunghi capelli rossicci.
Diane, segretaria di un avvocato, con la chioma brizzolata e bellissimi occhi verdi.
“Tu sarai la prossima. Lo sai, vero, tesoro?”
Lei aveva lasciato cadere la chiave della cantina alla voce garbata di Ryan alle sue spalle.
“Eppure ti avevo detto di non venire in questa stanza.”
Sì, glielo aveva detto. Aveva cercato di allontanarsi da lui, ma era inciampata in uno dei corpi.
“Non temere. Mi sei ancora utile… devi darmi quei racconti, prima.”
“Sei pazzo! La polizia…”
“Non fare la sciocca. Se anche le forze dell’ordine dessero ascolto a una scrittrice di horror dall’immaginazione troppo fervida, farei comunque in tempo a spostare i miei tesori.”
Jillian si era arresa alla verità di quelle parole. Una volta aveva anche cercato di lasciare la città, ma Ryan l’aveva scoperta e dopo non aveva potuto alzarsi dal letto per una settimana.
E quella mattina… aveva trovato un suo messaggio in segreteria.
“Sai cosa succederà se non mi darai quei racconti entro tre giorni, cara. Anzi, passerò domani sera per il primo… una storia al giorno toglie la morte di torno, non trovi Jill?”
Lei si lasciò cadere sul divano, la tazza fumante ancora in mano. Il vecchio vestito da casa le penzolava sulla figura troppo magra e tesa, la pelle era scossa da brividi e il labbro inferiore recava il segno di troppi morsi.
Sapeva che aveva solo un’opzione davanti a sé, ma si sentiva come una volpe che, per far perdere le proprie tracce ai cani, poteva salvarsi solo nuotando in un torrente impetuoso.
Appoggiò il caffè intatto sul tavolo e si sdraiò, chiudendo gli occhi. Non si era resa conto d’essere così stanca, ma sentiva che, dalla sua mente, sarebbero presto riemerse le immagini di quei cadaveri gelidi.
“E così mi lasci entrare, finalmente. Quale onore.”
Fu come se il tempo non fosse mai passato. Jillian socchiuse le palpebre per osservare la figura seminascosta nell’angolo più buio della stanza. Vestito di nero, quell’essere si mimetizzava facilmente nell’oscurità e lei aveva perso il conto di tutte quelle volte che si era sentita osservata, per poi non trovare nessuno nelle immediate vicinanze.
“Sai perché te l’ho permesso.”
“Non riesci più a scrivere, vero? Dillo.”
Jillian stava per storcere il naso a quella familiare arroganza, ma non poteva permettersi nessun tipo d’orgoglio.
“Ho bisogno di te. Avevi ragione.”
Lui sorrise, gli occhi dorati pieni di soddisfazione. Il viso stretto e incavato divenne più nitido mano a mano che si avvicinava, una mano tesa verso di lei fino a sfiorarla con le lunghe unghie appuntite.
“Sì. Sì, è vero.”
La sua voce era poco più di un sibilo irato.
“Tuttavia, cara, io non perdono facilmente.”
“Me lo aspettavo. Voglio fare un patto con te.”
Lui s’immobilizzò, scrutandola attentamente.
“Ti ascolto.”
“Dammi l’ispirazione per un racconto. Devo scriverlo entro domani.”
Sperava, con la prima creazione, di comprarsi un po’ di tempo in più per le altre due.
“E cosa mi daresti in cambio?”
Jillian ci pensò seriamente. L’Uomo Nero nutriva ancora del rancore nei suoi confronti, quindi forse sarebbe bastato dargli qualcosa da cui le sarebbe pesato separarsi.
“Il primo quaderno su cui ho iniziato a scrivere.”
Era l’unico ricordo che aveva di sua nonna e l’aveva sempre custodito gelosamente.
“Molto bene, affare fatto. Chiudi gli occhi, principessa. Ti ridarò un po’ della tua ispirazione.”
Lei obbedì e, al suo risveglio, si mise a scrivere furiosamente di una ragazza prigioniera nelle acque di un lago ghiacciato, con la sola compagnia di anime e corpi abbandonati.
  
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