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Autore: Nimel17    27/02/2015    2 recensioni
Una scrittrice deve ritrovare la sua ispirazione, ma per riaverla deve stringere un patto con chi gliel'ha data in primo luogo.
Quarta classificata al contest "Dalla mela avvelenata nascono farfalle"
Genere: Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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“Ciàran.”
“No.”
“Lachlan.”
“Ho detto che ho un nome lungo e strano, cara, ma continua pure a logorare le tue corde vocali.”
Jillian lo guardò irritata, vedendolo giocherellare con la sua collana portafortuna di conchiglie, un regalo di Peter.
L’ultimo che le aveva fatto prima di partire per la guerra.
Erano due ore che stava scrivendo il terzo e ultimo racconto, la sua attenzione divisa tra la ricerca del nome della creatura e il ricordo della risata di Ryan quando aveva letto La Camera di Sangue.
“Non pensavo avessi tanto spirito, Jill.”
“Beh? Ti sei arresa, cara?”
Lei si riscosse e si morse la lingua per non maledirlo.
“Acheron?”
“Non ti stai nemmeno impegnando.”
“Rabelas? Havelock? Azraphael?”
“Una fan di Pratchett, vedo.”
“Mi stai distraendo. Facciamo che torni per confermare se ho indovinato.”
“Primadonna. Tutti uguali, voi artisti.”
Lei lo ignorò, riprendendo a scrivere. Quello era l’ultimo racconto, forse per quello si ritrovava spesso a fissare le pagine, immobile, come se esitasse a finirlo.
O, forse, perché parlava di lui.
Ce l’aveva messa tutta per rendere l’angoscia che la sua presenza provocava, aveva esasperato i suoi doveri e atteggiamenti fino a renderlo un vero mostro che si nutriva della paura delle persone, eppure sentiva che mancava ancora qualcosa.
“Supercalifraglistichespiralidoso?”
Forse era nel suo aspetto fisico il problema? La pelle avrebbe potuto diventare grigiastra, invece che semplicemente pallida.
“Freddy Krueger?”
Allungò considerevolmente i suoi artigli.
“Quasimodo? Abelard?”
Magari doveva modificare di più il suo comportamento, il suo carattere…
“Greystorm?”
Gli occhi li avrebbe tenuti gialli, decise. Rossi ricordavano troppo i vampiri della Meyer.
“Cymbeline? Ebenezer? Keshaun?”
Sbuffò. La mano le faceva male, aveva sete e inoltre si stava irritando.
Troppi, i nomi possibili erano troppi.
“Lancelot? Marmaduke? È Mordecai, vero? Rispondimi, non sto risolvendo nulla.”
“Su, cara, hai ancora una vasta scelta.”
“Ormerod. Raeburn. Sacheverell.”
Ridacchiò.
“Sherlock.”
Silenzio. Jillian si schioccò le nocche, intorpidita. Avrebbe fatto una pausa e si sarebbe schiarita le idee, anzi, avrebbe cercato subito una destinazione verso cui partire l’indomani, purché fosse il più lontano possibile.
Dove Ryan non avrebbe più potuto farle del male.
Doveva esistere qualcuno disposto ad ascoltarla! Come mai il ricco editore non era mai stato sospettato per le scomparse di quelle donne?
Gli avrebbe dato quell’ultimo racconto, dopo sarebbe scappata. Non se la sentiva di rischiare più a lungo, lui avrebbe sempre potuto cambiare idea e ucciderla prima della fine della raccolta.
A malincuore, prenotò un viaggio di sola andata per Monaco: era un posto che odiava e Ryan lo sapeva, avendola interrogata più volte sulle sue destinazioni preferite… per un eventuale viaggio di nozze, diceva. Rabbrividì, chiedendosi se quelle domande non nascondessero già secondi fini.
“Jill? No, non è qui, è partita ieri per Firenze… certo, le dirò che ha chiamato.”
Per precauzione, effettuò altre cinque prenotazioni per località diverse, trattenendo a stento un secondo brivido. Ryan non doveva trovarla.
“Tic toc, cara, tic toc.”
Lei guardò nervosa l’orologio: erano le cinque e mezza.
“Saruman?”
Percepì il suo sguardo severo e si sentì come un’adolescente scoperta dalla madre a navigare su Internet invece di studiare.
“Ho diritto a salvarmi la vita, no?”
“Pensa a indovinare il mio nome, piuttosto, così non saranno più necessari certi sotterfugi.”
“Partirò ugualmente. Da domani, non basterà più l’ispirazione a tenermi viva.”
Non ci fu più nessuna replica.
“Tolivar? Ledavardis? Orogastus?”
Questa volta, ebbe la sensazione di essere davvero sola. Era quasi sicura che lui non si fosse semplicemente ritratto tra le ombre, ma che se ne fosse andato per davvero. Tornò allora al suo personaggio, aggiungendogli una predilezione per i nomi e gli accordi. Avrebbe intrappolato il protagonista in un patto, facendogli credere che il prezzo da pagare nulla non era nulla rispetto al guadagno ottenuto.
Lei, invece, lo sapeva bene. Per quell’ispirazione, non era mai riuscita ad avere amici: da bambina, tutti erano convinti che inventasse frottole mentre, da ragazza, nessuno voleva avvicinarsi a quella che tutti chiamavano “Mercoledì Addams”.
Ora, però, le notti insonni davano frutti insospettabili e Jill non rimpiangeva più quello che aveva dovuto sacrificare.
“Perché hai scelto proprio me?”
L’aveva sentito tornare e leggere da sopra le spalle ciò che aveva scritto.
“Eri una bambina così particolare. Unica, direi. Talmente tanto talento da plasmare…”
“Non ho iniziato a scrivere che da pochi anni.”
“Non eri pronta, prima. Ad ogni modo, cara, perché non cambi i termini dell’accordo tra il perfido me e il ragazzo? La maggior parte degli esseri umani brama oro prezioso, non trovi?”
“Tu non sei un mago. Far comparire un bel gruzzoletto non rientra tra le tue competenze.”
“No, ma so filare la paglia in oro. Lo facevo spesso, quando ancora gli umani usavano gli arcolai.”
Jillian moriva dalla voglia di chiedergli cosa usasse ora, in epoca moderna – una macchina da cucire? Uncinetti?-, ma si morse la lingua per tacere, anche se non riuscì a frenare un sorriso.
“Mi piace come idea.”
Non sapeva spiegarsi il perché, ma quel dettaglio era esattamente ciò che mancava.
“Sanderson?”
Continuò a elencare nomi su nomi, improvvisamente vincere il suo genio creativo le sembrava sempre più importante, mano a mano che finiva la storia. Gli occhi scuri erano accesi, vivi, le labbra piegate in un sorriso esaltato. Quella era la sua vita, non aveva bisogno di niente e di nessuno, non avrebbe più provato a interpretare un ruolo che non era il suo.
Essere normale non le aveva portato che guai.
Sarebbe sopravvissuta a Ryan, avrebbe ricominciato a scrivere in qualche altra parte del mondo; dopo un po’ avrebbe chiamato Peter, spiegandogli perché aveva dovuto fare quello che aveva fatto… No, le telefonate erano rintracciabili. L’avrebbe informato l’indomani, all’aeroporto.
Posò la penna e riordinò i fogli, lasciandoli sulla scrivania per quando più tardi sarebbe arrivato il suo “fidanzato”.
“Hannibal? Roderick? Cornelius?”
“Più lungo, cara.”
“Fitzwilliam?”
Suonò il campanello e Jillian deglutì, intuendo l’identità del visitatore. Era in anticipo e la cosa la metteva a disagio. Non contribuì a rassicurarla il sorriso aperto e smagliante dell’uomo, simile a quello che doveva avere il Lupo Cattivo prima di divorare Cappuccetto Rosso.
“Che denti grandi che hai!”
“È per… mangiarti meglio!”
“Allora, mi fai entrare o no?”
Lo lasciò passare, abbassando lo sguardo per non far vedere la sua paura. C’era qualcosa di strano, lo sentiva, in quella visita.
“Hai finito il racconto?”
“Sì. Quanto tempo ho per gli altri?”
Lui la ignorò e iniziò a leggere, senza neanche togliersi la giacca.
“Hai superato te stessa, complimenti. Sembra quasi reale questo… supervillain. Qual è il titolo?”
“Non lo so ancora. Devo trovargli un nome adatto e quel nome sarà il titolo.”
Ryan si appoggiò alla scrivania, le braccia incrociate e gli occhi lucidi.
“Dimmi, Jill, hai qualcosa da fare stasera?”
Digli di sì.
Lei si chiese se lui fosse davvero lì, o se il suo istinto avesse semplicemente preso in prestito la sua voce.
“Sì, devo trovarmi con Peter più tardi. È in licenza.”
“A cena?”
“Sì.”
Guardarono entrambi l’ora: erano quasi le sette.
“Mi devo sbrigare, allora.”
Prima che Jillian potesse reagire, lui l’aveva colpita alla tempia con il portapenne di legno e lei cadde a terra, la vista offuscata a metà dal sangue caldo che le colava sull’occhio. Si portò la mano sulla fronte, tentando invano di calmare le pulsazioni intense nella fronte.
“Ho trovato una sostituta, cara Jill. Una promessa, non alla tua altezza, ma basterà.”
La prese per i capelli e le alzò la testa, stringendo così forte da strapparle un urlo involontario.
Cercò di graffiarlo, ma non era facile visto che le stava alle spalle.
“Sssh, buona, tesoro.”
Con l’altra mano cercò di afferrarle le braccia, ma lei si dimenava troppo e un calcio lo colpì alla caviglia, facendogli mollare la presa con un’imprecazione. Jillian si voltò e arretrò strisciando, rovesciando  una sedia in modo che Ryan vi inciampasse; non fu delusa e approfittò della distrazione per alzarsi e correre in cucina.
Un coltello, un coltello…
Ne afferrò uno, ma non fece in tempo ad usarlo che si sentì torcere il braccio dietro la schiena.
“Mollalo!”
Lui le strinse anche la gola, ma lei si rifiutò di perdere coscienza o di lasciar cadere la sua unica arma, la stretta sul coltello ancora salda. Gli diede una testata, disperata per la mancanza d’ossigeno e fu ricompensata dal rumore di un osso che si rompeva. Approfittò della momentanea libertà per lasciar cadere la lama nell’altra mano e affondò nella coscia, provocandogli un urlo.
“Stronza!”
Ryan la trascinò con sé nella caduta e Jillian cercò di aggrapparsi al tavolo, ma ottenne solo di rovesciare la tovaglia e la fruttiera a terra, mancandola per un pelo.
Doveva essere caduta sopra il tappeto, perché non si fece particolarmente male. Si sollevò su un gomito per controllare quel pazzo omicida e lo vide che cercava di sedersi, il volto pallido e sudato. Purtroppo aveva avuto il buon senso di non strapparsi il coltello dalla gamba, così non sarebbe morto dissanguato nel giro di pochi minuti e sarebbe stato in grado di afferrarla per la caviglia quando si fosse alzata. Il braccio le faceva un male della malora, anche se era sicura che non ci fosse nulla di rotto, la tempia pulsava e la nausea le stava salendo… doveva avere una commozione cerebrale, come minimo.
Quegli istanti di distrazione le impedirono di vedere Ryan strisciare faticosamente verso di lei con un frammento di ceramica in mano.
Sentì solo un dolore acuto al fianco, così forte da farla ricadere a terra.
“Sei finita, Jill. Dovrò organizzare le cose diversamente, stavolta, ma a qualcosa penserò. Sei stata l’unica che ha lottato, consolati con questo.”
A consolarla fu invece il frastuono di un colpo di pistola.
“Jilly! Jilly, sei ancora viva?”
“C-cosa… Peter?”
Lui non le rispose, occupato a chiamare l’ambulanza.
“Come facevi…”
“Non parlare, meglio che non ti sforzi. Cerca di restare sveglia, hai un brutto livido sulla fronte, vedrai che tra pochi minuti arrivano i soccorsi.”
“P-peter…”
 Improvvisamente, si sentiva così stanca…
“No no no no no, Jilly, sta’ sveglia e ascoltami! Volevo farti una sorpresa, ho trovato un appartamento in affitto vicino a te e mi ci sono trasferito l’altro ieri. Neanche un’ora fa mi ero addormentato e ho fatto un incubo terribile. Eri in pericolo, urlavi uno strano nome e, quando mi sono svegliato, sono corso qui, certo di fare la figura dell’idiota, ma quel sogno era così realistico…”
“I-il…”
“Cosa?”
“Nome… quale…”
“Rum… Rumpelstiltskin, ma probabilmente quello è stato causato dal chilli che ho mangiato a pranzo.”
“R-rumpels…tilts…kin.”
Gli infermieri erano arrivati e, mentre la caricavano sulla barella, Jillian scorse la familiare figura nascosta nell’ombra. Le sorrideva e s’inchinava.
Hai indovinato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Jillian firmò l’ennesimo autografo. Il libro di racconti era stato molto popolare, un ponte perfetto tra il suo primo romanzo e il secondo, ancora in fase di scrittura. Una teenager con la felpa di Nightmare ammirò la sua copia.
“Farà altre storie con questo Rumpelstiltskin? È stata la storia più popolare di questo libro.”
“Chi lo sa. Sembra un tipo che ama intervenire nelle vicende altrui, potrebbe essere il protagonista delle mie prossime opere.”
Sorrise all’uomo vestito di nero con gli occhiali da sole che avanzò verso di lei.
“Sono sorpresa. Non pensavo potessi… a meno che la gente non mi stia vedendo parlare da sola.”
“Sono pieno di sorprese. Posso essere visto, se così voglio, pensavo lo sapessi. L’hai scritto tu, non ricordi?”
“A chi lo devo dedicare?”
“A.U. Rattle.”
“A.U.?”
“Alwyin Uriel. Mi sembrava un alias appropriato, cara.”
“Ad A.U. Rattle, la mia fonte d’ispirazione, perché non mi abbandoni mai.”
 
 
 
 
Note dell’autrice: Il mio Rumpelstiltskin è fuso con il personaggio di Pitch Black, l’Uomo Nero, grazie al permesso di Shinkari. Le iniziali del suo alias simboleggiano ovviamente l’oro, mentre il cognome, “Rattle” è preso dall’originale significato del nome Rumpelstilzchen, cioè “Little Rattle Skin”(piccolo sonaglio).  
  
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