NOTTE ROSSA
Accavallando le gambe chiese la carta dei
vini. Quel luogo era familiare, era come sentirsi a casa dopo tanto tempo, una
casa che portava solo brutti ricordi. Volse lo sguardo alla finestra dai bordi
ingialliti dalle tinte del legno che fermava quei vetri così sottili da vibrare
ad ogni folata d’aria. Fuori la piazzetta era deserta e i grandi abeti scuri
poco oltre si piegavano pericolosamente alle urla del vento.
Era caduta molta neve e tuttora ne cadeva in fiocchi compatti come batuffoli di
cotone. Gli spifferi passavano da sotto la porta di legno massiccio, ma il
crepitio del fuoco pareva scoraggiarli a proseguire oltre. Posò l’attenzione
all’interno della minuta saletta con non più di una decina di tavoli. Una
famigliola era rannicchiata davanti al fuoco: madre, padre e la loro figlia, una
bambina dai boccoli biondi impeccabilmente imbacuccata e bagnata come un
pulcino, ma ugualmente sorridente.
Un sospiro amaro nell’osservarla. Era così simile alla sua Mary, così ugualmente
gioiosa, un inno alla vita. L’uomo tornò con la lista dei vini, scusandosi del
ritardo. Prese quella carta ruvida macchiata dall’umidità, aprendola. La
plastica che la rivestiva era stata incollata dal tempo e si lasciò vincere con
uno scricchiolio lamentoso. L’uomo in piedi di fianco al tavolo si strinse il
grembiule, quasi imbarazzato di fronte allo straniero.
Di quella stagione non s’era mai visto un uomo di città salire sulle montagne,
vestito in modo così elegante, seppur attempato per le mode del momento.
Sembrava quasi un attore uscito da teatro, con tanto di cerone su quel volto
dalla pelle liscia, perfetta. Mani prive di qualsiasi callo, screpolatura o
graffio, un signore che non aveva mai faticato in vita sua, probabilmente.
- Vorrei una bottiglia di Notte Rossa – annunciò con voce basa e calma lo
straniero alzando gli occhi chiari sul padrone di quella locanda sperduta
- Come signore? – perplesso guardò la carta dei vini. Non si ricordava affatto
di un vino di tal nome, ma effettivamente era lì, scritto elegantemente in mezzo
ad altri nomi di vini rossi
- Non lo avete per caso? – domandò lo sconosciuto inarcando un sopracciglio,
quasi a sottolineare la scortesia di quell’eventuale mancanza
- Certo che c’è – rispose l’uomo quasi disturbato da come lo straniero pareva
ergersi sopra tutti – Ve lo porto immediatamente – detto ciò si allontanò
borbottando qualcosa avvicinandosi anche alla moglie per chieder se mai avesse
visto quel vino nelle cantine.
Ciononostante doveva esserci, la carta parlava chiaro.
Lo straniero tornò ad osservare ancora quella bambina in perfetto silenzio,
appoggiando il volto dai lineamenti affilati sulla mano. Nessuna espressione in
quegli occhi vitrei, come se le emozioni lo avessero abbandonato da tempo.
Perfettamente raccolti in una coda i capelli color della notte.
- Pover’uomo – mormorò la donna dietro al bancone al ritorno del marito – deve
averne passate tante – ma il padrone della locanda non era dello stesso pensiero
- Certo, tutta la vita a preoccuparsi di come spendere i suoi maledetti soldi –
grugnì
Poco gli importava se lo straniero lo avrebbe sentito, non gli aveva ispirato
fiducia né tanto meno simpatia dal momento in cui era entrato sbucando da quella
bufera di neve come se niente fosse.
- La Vostra bottiglia – annunciò secco posando sul tavolo rotondo una bottiglia
impolverata con un’etichetta nera in contrasto col rosso cupo del contenuto
- Vorrei anche una camera – mormorò lo straniero volgendosi lentamente verso
l’uomo, andando a prendergli dal grembiule il cavatappi con tranquillità,
aprendosi la bottiglia.
Un odore intenso si levò da essa, quasi nauseante
- Maledizione dev’essersi rovinata – borbottò l’uomo pronto a riprendere la
bottiglia e a porger le sue scuse, ma il forestiero lo invitò a desistere con un
elegante gesto della mano
- Solo i veri intenditori sanno apprezzare quest’essenza – il padrone della
locanda si sentì offeso fino alla punta dei pochi capelli che si trovava in
testa, ma non osò ribattere. Fece per allontanarsi quando alle sue spalle la
voce di quello strafottente si fece sentire, calma come sempre
- E una camera per stanotte – ribadì, andando a versarsi da bere, ammirando quel
colore intenso che brillava di rubino alla luce calda della sala. Riempito per
metà il calice lo prese tra le dita portandolo al naso, come se quell’odore così
spiacevole fosse il più prezioso dei profumi. Si volse ancora verso quella
bambina incrociandone gli occhi azzurri come il cielo delle belle giornate. Le
sorrise e la piccina ricambiò con entusiasmo quel sorriso.
I suoi genitori, però, non apprezzarono l’attenzione che quell’uomo aveva per
loro figlia e si alzarono dalle sedie, prendendo in braccio la piccola
avviandosi alle scale per il piano superiore.
La bambina si affacciò imbronciata oltre le spalle del padre salutando con la
manina lo straniero. Questi alzò il calice verso di lei, omaggiandola del suo
brindisi, prima di portare la bevanda alle labbra gustandola lentamente.
Lo straniero si trattenne fino a notte tarda nella sala, scolandosi la sua
bottiglia senza dar il minimo cenno di ubriachezza. Quando finalmente si ritirò
al piano superiore augurando la buonanotte, i due proprietari della locanda
tirarono un sospiro di sollievo, ormai a stento svegli.
Il corridoio superiore era scarsamente illuminato da lampade a muro. Le pareti
sembravan rivestite dello stesso broccato che vestiva lo straniero; su entrambi
i lati c’erano delle porte. Una di queste si schiuse lentamente e fece capolino
la bambina di prima con indosso una candida veste da notte. Scalza si avviò
verso la porta del bagno comune. Lo straniero si fermò appena un istante, prima
di rimprender passo deciso verso di lei.
L’attese con pazienza oltre quella porta di legno scolorito. Quando
quell’angioletto uscì rimase di pietra trovandosi quell’elegante uomo di fronte.
Si tranquillizzò quando questo le sorrise
- Ancora sveglia? – domandò in un sussurro morbido. La piccina annuì
profondamente scuotendo i capelli biondi – Come ti chiami? – le chiese ancora
chinandosi per poterla guardare negli occhi
- Christine – rispose la piccola sorridendo, abbassando quegli occhioni azzurri
- Mary – disse lo straniero accarezzandole quella cascata di boccoli
- No, Christine – ripeté la bimba
- Per me sarai Mary, è un bel nome – la voce morbida e profonda di quell’uomo
sembrava cullare la piccola, dissuadendola da ogni paura - Vieni Mary, voglio
mostrarti una cosa – la prese per mano alzandosi, tornando sui suoi passi, verso
le scale per la sala. La piccola gli saltellò dietro eccitata da quella sorpresa
inaspettata.
- E’ una cosa bella? – gli chiese sussurrando, stando al gioco, quasi pensasse
di giocare a nascondino
- Bellissima, ti piacerà – replicò l’uomo, prendendo la bambina in braccio
scendendo le scale senza far rumore. Il silenzio ed il buio regnavano nella sala
sottostante, il fuoco nel camino si stava assopendo. Lo straniero aprì la porta
verso l’esterno, investito dall’aria gelida della notte. Innanzi a loro la luna
brillava su una distesa immacolata, non più alimentata di fiocchi dal cielo che
si stava rasserenando, rendendo quel freddo ancora più penetrante.
Lo straniero avvolse la piccola nelle sue braccia, ma non riuscì a scaldarla.
Nonostante lei tremasse come una foglia lui avanzò nella neve alta verso gli
alberi.
- Guarda, mangio le nuvole! – giocosa la bambina si divertiva a giocare con
l’aria che si condensava ad ogni suo respiro. Guardò l’uomo quasi a volerlo
coinvolgere nel gioco, ma da lui non usciva alcuna nuvoletta.
- Tu non le mangi le nuvole? – chiese perplessa. Lo straniero le sorrise
- Voglio lasciarle tutte a te Mary – gli rispose dolcemente, come se la
corteggiasse
- Christine – precisò ancora la bambina – Sono buone sai? – gli disse con aria
da intenditrice.
- E tu sei buona? – gli chiese mentre avanzava affondando le gambe nella neve
- Uhm – la bimba portò un ditino alle labbra – Mamma dice che a volte sono
disubbidiente – sorrise – Ma io lo sono solo quando non ho voglia di fare quello
che mi dice – confidò mostrando la lingua
- Vuoi bene ai tuoi genitori? – le chiese lui osservandola, a un palmo dal suo
nasino
- Certo – rispose lei con un sorrisone
- E a me vuoi bene? – incalzò l’uomo stringendola a sé. La bambina parve
pensarci su qualche istante
- Sì voglio bene anche a te – assicurò posandogli un bacino su quella pelle
gelida.
Lo straniero si fermò inginocchiandosi nella neve, all’ombra dei primi abeti del
bosco. Osservò a lungo in silenzio quella creatura così innocente. La strinse a
sé sospirando posando il volto sulla sua spalla – Anche io te ne voglio Mary –
mormorò
– Christine – mormorò paziente la bambina – Cosa volevi farmi vedere? – chiese
infine – Qui fa freddo – l’uomo accarezzò con le labbra quel collo fragile
- Il paradiso dove gli angeli come te dovrebbero stare – mormorò prima di
scoprire i canini affondandoli nella carne di quella giovane preda che non ebbe
tempo neanche di gridare. Lentamente si accasciò tra le braccia dell’uomo
chiudendo gli occhi.
- Staremo sempre insieme Mary – mormorò mentre il sangue di quella piccina gli
bagnava le labbra – Per sempre tu ed io – preso nella sua follia, nell’ebbrezza
di quell’energia nuova in sé. Si alzò osservando la luna – e stavolta nessuno me
la porterà via! – stringendo quel corpicino inerte si allontanò tra gli alberi.
La stringeva a sé come il tesoro più prezioso, sfiorandole il volto
amorevolmente, come se non comprendesse ciò che aveva fatto. Come se i suoi
genitori non esistessero. Aveva ripetuto ciò che avevano fatto a lui, ma
egoisticamente gioiva senza pentimento. Ne aveva viste tante lui di famiglie,
aveva tanto cercato la sua bambina nel mondo, e finalmente l’aveva ritrovata.
Perché quella era la sua Mary, non era Christine, ma solamente Mary.
La follia di un padre privato della sua bambina, il desiderio di possedere
ancora qualcosa di così puro che avrebbe costretto ad un’eternità innaturale
lontano dal giorno e dal mondo in cui era nato. Ora come allora, annunciata
dalla Notte Rossa, una bambina moriva. Ma allora era rimasto solo, adesso aveva
nuovamente la Mary che aveva perso due secoli prima.
Un sonno vuoto cullò la bimba privandola del dolore, privandola della vita per
donarle un’eterna fanciullezza. Un angelo senza ali costretto lontano dalla luce
in un promesso paradiso di ombre. Avrebbe maturato una nuova coscienza ed un
nuovo istinto innaturale.
La neve riprese a cadere mentre la luna osservava impassibile la neve macchiata
di rubino, desiderosa di cancellare quello scempio. Nessuno si svegliò, nessuno
pianse fino a quando il sole non sorse, ma per allora lo straniero e la sua Mary
erano già lontano, pronti ad una nuova vita.