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Autore: Hermione Weasley    09/12/2008    4 recensioni
Il ricordo più nitido che aveva della sua infanzia era inscindibilmente legato al dolore più atroce che avesse mai provato. [Elle Bishop]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scritta per la IV Disfida su Criticoni. {Team Lambda ♥}.
Spoilers fino alla 3x02 the Butterfly Effect.



What Goes Around, Comes Around.

Is this the way it's really going down?
Is this how we say goodbye?

Justin Timberlake - What Goes Around / Comes Around



Questa volta non ci sarà rumore o intruso che tenga, aveva sentito dire a quel buffo detective con i capelli grigi e gli occhiali un po' troppo spessi che sua nonna adorava così tanto. Era il protagonista di un telefilm vecchio e - a detta di Elle - anche abbastanza stupido, ma le piaceva comunque seguire le immagini che si muovevano sullo schermo.

La facevano ridere le facce seriose dei personaggi mentre si spostavano, in auto, su improponibili fondali di cartone, assolutamente immobili. In più - aveva notato - chi stava alla guida muoveva sempre il volante a destra e a sinistra nonostante procedesse in linea assolutamente retta. Suo padre le aveva spiegato che era impossibile, e se l'aveva detto suo padre, Elle sapeva che doveva necessariamente essere vero.

Paradossalmente, era l'unica cosa che rammentava prima che la sua vita cambiasse per sempre.

*

Il ricordo più nitido che aveva della sua infanzia era inscindibilmente legato al dolore più atroce che avesse mai provato. Il suo corpo si era contratto e piegato in preda a quegli spasmi improvvisi. Era sicura che i muscoli le si stessero spaccando a metà, che si sarebbe aperta, là in quel salotto che sapeva di aria chiusa e polvere e biscotti al burro, in un crescere di urla straziate e acute.

Elle non era che una bambina allora, ma il fuoco che inghiottiva le tende e avvolgeva il divano, che cancellava qualsiasi cosa incontrasse per la sua strada, lo ricordava benissimo.
Quando si soffermava a pensarci era sicura di poter sentire il calore delle fiamme lambirle le guance, prosciugare le sue lacrime, senza però poter metter fine a quell'estenuante agonia.

Era convinta che suo padre fosse l'uomo più buono del mondo, ma quando lui la guardò - alla fine di quell'eterna giornata - ne ebbe paura.

Della casa in cui aveva passato tutte le sue estati non rimaneva niente se non qualche mobile sbilenco, una cornice annerita, qualche foto dai volti sfigurati e scatole di metallo vuote su cui erano raffigurate bambine intente a servire il tè ai loro pupazzi.

Aveva solo sei anni, ma non le ci volle molto per realizzare che non avrebbe mai più rivisto la nonna.

Perché, comprese anni dopo, era stata lei ad ucciderla.

*

La Compagnia era tutto ciò che Elle conosceva.

Sarebbe stata capace di ridisegnare la mappa di quegli interminabili corridoi affidandosi soltanto alla sua memoria.

Le sembrava un ottimo posto per poter giocare a nascondino, ma in ventiquattro anni di permanenza in quel luogo, non trovò mai nessuno disposto ad assecondare i suoi capricci.

L'unico che le aveva rivolto la parola era uno di quegli uomini che suo padre teneva sotto chiave. Bob le aveva detto di non parlargli per nessuna ragione al mondo, ed Elle gli aveva assicurato che mai l'avrebbe fatto, suggellando la sua promessa disegnandosi un'immaginaria croce sul cuore.

(Sperò che suo padre non si rendesse conto che aveva sbagliato: se l'era fatta sulla destra, ma il cuore - realizzò poco dopo - era a sinistra.)

Per la prima volta, Elle sentì di avere una certa importanza. Bob si era fidato di lei, l'aveva trattata come un'adulta, come un vero membro della Compagnia, e le aveva dato un compito: tenere sotto controllo Adam Monroe, da lontano e in silenzio.

Per quasi dieci anni, aveva fatto avanti e indietro per quello stretto corridoio, convinta che quell'uomo dall'aria annoiata e i capelli biondi non fosse in realtà capace di vederla.
Al contrario, Adam era perfettamente consapevole della presenza di quella buffa ragazzina dall'altra parte del vetro. Sapeva qual era il suo colore preferito (il blu) perché indossava sempre vestiti di quella tonalità, che non amava particolarmente le gonne, che si legava i capelli soltanto il giovedì, perché li aveva sporchi, e li avrebbe lavati la sera. Il venerdì mattina, infatti, li portava di nuovo sciolti, ed era quasi convinto di poter sentire il profumo del suo shampoo alla vaniglia, nonostante fosse sigillato tra quelle quattro asettiche mura.

Man mano che diventava più grande, Elle sentiva crescere la curiosità per quell'individuo. Non tardò ad accorgersi che, mentre lei diventava più alta e il suo corpo cambiava forma, Adam restava sempre uguale, identico a se stesso, anno dopo anno.

Bob le spiegò che quell'uomo non invecchiava, che aveva ben quattrocento anni.
Quello stesso giorno si era assicurato, per l'ennesima volta, che non gli avesse parlato, ed Elle fu fiera di comunicargli che no, non l'aveva fatto.

Si aspettava un complimento, una parola gentile per ripagare i suoi sforzi, o una carezza sulla testa - ma Bob aveva semplicemente distolto lo sguardo, facendole cenno di uscire dal suo ufficio perché aveva troppo lavoro da sbrigare.

Fu costretta a far appello a tutte le sue forze pur di non mettersi a piangere. Tentò di pensare a qualcosa di bello, ma si rese conto di non aver nessun ricordo abbastanza felice da tirarla su di morale. Si limitò quindi a stringere i pugni, ed uscire dalla stanza.
Le mani avevano ripreso a pizzicare. Si mise a correre, percorrendo rapidamente quei corridoi che adesso le davano quasi la nausea, tanto erano familiari; varcò il grande portone d'ingresso e non si fermò fino a quando non fu sicura di essere abbastanza lontana da quella gabbia di cemento.

Poi si nascose in un vicolo, vicino ad un cassonetto, e mentre scoppiava a piangere, le scintille azzurre l'avvolsero, intensificandosi ad ogni suo singhiozzo.

Dopo qualche secondo, la luce dei lampioni iniziò a traballare, per poi arrendersi all'improvviso sovraccarico di tensione: l'intero isolato venne inghiottito dalla sera.

*

Il giorno del suo sedicesimo compleanno Elle aveva programmato di andare al parco con suo padre e dirgli quali erano i suoi piani per il futuro.

Si era stufata di dover seguire lezioni private in una qualche anonima aula della Compagnia, e le sembrava giusto poter parlare con gli altri ragazzi della sua età.

(Le poche volte in cui era riuscita a rimettersi davanti ad una TV senza lasciarsi sopraffare dai ricordi, si era resa conto che la sua vita non doveva essere così. Fino ad allora, però, non aveva trovato il coraggio di dirlo a suo padre.)

Nemmeno era arrivata davanti alla porta del suo ufficio, che Bob già l'aveva informata di non potersi proprio assentare. A nulla valsero le deboli proteste di Elle.

Le fece ripetere per filo e per segno i motivi per cui non poteva proprio frequentare una scuola pubblica e farsi degli amici ("sono instabile, sociopatica, voglio sempre stare al centro dell'attenzione, non riesco a controllare le mie emozioni, potrei essere pericolosa"). Se qualcuno si fosse accorto di ciò di cui era capace, le conseguenze sarebbero state assolutamente catastrofiche. Le chiese se le sembrava giusto mettere a repentaglio il lavoro di una vita e tutto ciò per cui la Compagnia continuava a combattere. Elle rispose che no, non le sembrava giusto, prima di chiedergli scusa e allontanarsi rapidamente per i corridoi.

Teneva la sguardo basso, seguendo le linee che si intersecavano sul pavimento. Prima che potesse rendersene conto, aveva preso a saltare, estremamente concentrata, proprio per evitare di toccare quelle linee coi piedi, così come era abituata a fare quand'era più piccola.

Dopo un paio di minuti, si ritrovò di fronte alla cella di Adam. I suoi passi l'avevano portata fin lì, ed un pensiero, rimasto annidato nella sua testa per anni e anni, la colpì improvvisamente. Pensò che non sembrava poi così pericoloso: stava sempre zitto, a volte fischiettava, dormiva, o leggeva dei libri che altri agenti della Compagnia gli portavano. Aveva l'aspetto di un uomo di trent'anni, non di più, eppure ne aveva ben quattrocento.

Elle si era avvicinata, e aveva appoggiato entrambe le mani sul vetro freddo.

Quel giorno gli parlò per la prima volta. Poi, attratta dal modo così spavaldo e sicuro con cui le si rivolgeva, entrò nella sua cella (perché le voleva rendere un libro, le aveva detto), aveva persino deciso che l'avrebbe baciato (proprio come facevano nei film) prima che la prendesse in ostaggio, e tentasse in qualche modo di soffocarla mentre chiamava a gran voce Bob.

Qualche attimo dopo, le grida di Elle si erano trasformate in uno sfrigolio d'elettricità dirompente. Le luci presero a tremare, Adam urlava dietro di lei: stava succedendo di nuovo, proprio come dalla nonna tanti anni prima.

L'allarme suonava e l'ultima cosa che vide prima di perdere i sensi era lo sguardo carico di disappunto e delusione che suo padre, quasi indifferente, le lanciò dall'altra parte del vetro.

*

Di Noah le piacevano gli occhiali che portava, spessi e bordati di tartaruga. Le ricordavano quelli che indossava il detective del telefilm di sua nonna, e forse era per quello che le sembrava sempre in grado di dare una risposta alle sue domande. Sapeva cosa fare, come reagire, come gestire le situazioni: le metteva addosso una confortante sensazione di sollievo.

C'era Noah, Noah sapeva come fare, Noah l'avrebbe aiutata.

Per questo, non appena ebbe girato la poltrona di suo padre, nel momento esatto in cui capì che non era in grado di risponderle perché il suo cranio era spaccato a metà; dopo essersi persa a fissare, inorridita, il sangue rappreso sulla sua fronte, capì che non aveva nient'altro che Noah.

Perché suo padre era morto e l'aveva lasciata per sempre.

Solo allora si rese conto della voragine che le si era aperta in petto, che la disorientava.
Scosse leggermente il corpo esanime di Bob, supplicando perchè aprisse gli occhi, e rimproverarla, come faceva sempre.

Aveva reagito come le avevano insegnato a fare. Recuperò due pistole, e uscì dall'ufficio: Sylar era nell'edificio, Noah le avrebbe detto cosa era necessario fare.

Arrivata al Livello 5, l'aveva informato dell'improvvisa intrusione, compiacendosi quasi del suo tono così professionale e distaccato, pensando che suo padre sarebbe stato fiero di lei, e poi - senza che potesse nemmeno accorgersene - Sylar l'aveva sbalzata contro la parete.

Si lasciò prendere dal panico, mentre una forza invisibile la teneva immobile sul pavimento, alla mercè di quell'uomo che aveva conosciuto mesi prima.
Ma di Gabriel Gray non c'era traccia. I suoi occhi erano pozzi di pece senza fondo.
Fu in quel momento che Elle comprese che ogni azione prevede anche una reazione, e che nessun crimine resta impunito. Quella, pensò, era la sua punizione.

Un dolore atroce, anestetizzato soltanto dal panico più totale, innescò quella tremenda reazione che conosceva fin troppo bene.

Sentì urlare (grida straziate e acute), e mentre l'elettricità l'avvolgeva nelle sue familiari spire, Elle capì che quella non era altro che la sua voce.

*

Quando riaprì gli occhi, capì di aver appena distrutto la Compagnia.

Il Livello 5: vuoto.

Elle aveva ventiquattro anni quando si ritrovò senza un lavoro, senza una famiglia, senza una casa, senza uno scopo (se non la vendetta) e per di più - e rabbrividì nel pensarlo - Noah era sparito nel nulla.

  
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