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Autore: Helmyra    28/02/2015    3 recensioni
Credevo di aver impostato le mie giornate sullo studio, sulla morigeratezza ed ore ed ore passate a ripetere la stessa formula magica... intanto, una tempesta di cenere s’è appena abbattuta sulla mia vita.
E l’ha resa... ridicola.
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Dorisa è l'ennesima dunmer che si ritrova a studiare magia al Collegio di Winterhold. Ad illuminare il grigiore della monotonia compare Sam, uno stregone che le offre un boccale di idromele e il futuro da lei desiderato. Purtroppo non può affatto immaginare che dietro il sorriso affabile dell'amico si nasconda Sanguine, per nulla disposto a lasciarsi sfuggire l'occasione di uno scherzo... e la sua nuova "ancella".
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dovahkiin
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Daedric Maidens'
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Si sentiva incredibilmente viva, in quei momenti. Vento e neve erano una costante a Winterhold, e le schiaffeggiavano il volto con una forza inaudita: non esistevano cambi di programma. Sembravano ben accetti dagli abitanti che, indolenti, se ne stavano rintanati in casa davanti al focolare.
“Il clima freddo rinvigorisce le membra;” le aveva detto lo Jarl alla prima udienza, con un sorriso sprezzante, “freddo, come una placca d’acciaio ben temprato. Inutile parlarne con una come te, comunque. Sei qui per entrare a far parte di quel branco di esaltati meglio conosciuti con il nome di maghi, vero? Una scelta da rimpiangere ben presto, te lo assicuro. Hanno raso al suolo questa città, quello che ne rimane è la prova lampante della loro noncuranza. Faresti meglio a spendere le tue energie mettendoti al servizio della gente, e non tentando di far saltare in aria i resti di lunghi sacrifici e dedizione”.
Non si sarebbe aspettata di certo un consenso, ma era rimasta perplessa quando l’attendente, un elfo oscuro in cui vedeva un possibile alleato, le aveva rivolto un’occhiataccia a dimostrazione di quanta simpatia nutrisse per gli adepti delle arti magiche.
“No, non conosco nessuno al Collegio di Winterhold, che gli Déi me ne scampino! Cosa ti fa credere che m’intrattenga con loro, le mie origini dunmer? Be’, non siamo tutti uguali. Sei venuta a sbatterci in faccia il tuo talento?  Allora, lascia che sia lo Jarl a metterti alla prova. Se non vedi l’ora di morire, meglio in battaglia e in nome di Korir, non per uno stupido errore di calcolo nel lanciare sfere incandescenti”.
Dorisa aveva piegato il capo, accettando i rimbrotti con rassegnazione. Quella sera, però, si sentiva avvampare da un entusiasmo contagioso, e non era la brezza gelida a darle la sferza alle gambe.
Si precipitò alla taverna, tornando improvvisamente bambina. Schiacciò  la schiena contro la porta, che non voleva saperne di chiudersi: nulla l’avrebbe distolta dall’incontro, da giorni non attendeva altro.
“Sam!” Esclamò, al settimo cielo. “Morivo dalla voglia di vederti. Sai, ho accennato a Mastro Tolfdir del bastone, quello da riparare. Be’, ha detto che posso lavorarci su, anche se ti toccherà fornirmi la materia prima per compiere l’incantesimo.”
“Quanta fretta,” sorrise, riscaldandole le mani gelide con le proprie, “ti ho già detto che ci vuole tempo, tempo ragazza! Sono appena tornato da un lungo viaggio e ho portato tutto l’armamentario, ma... non vorrai mica passare subito ai dettagli noiosi, quando possiamo trascorrere le poche ore a nostra disposizione con una bella ballata e un delizioso idromele?”
“Prima il dovere, poi il piacere...” Sbuffò Dorise, interdetta.
“Non è la mia filosofia,” Sam Guevenne scoppiò a ridere. “Io penso che dovere e piacere s’intendano benissimo, in un connubio perfetto. Posso offrirti un boccale, stasera? Brindiamo al successo del nostro progetto, alla magia, in barba allo Jarl e ai suoi seguaci biliosi!”
Non amava bere: Morrowind vantava un’antica tradizione di liquori e distillati, da far invidia alla controparte Nord; eppure preferiva utilizzare le erbe per creare nuove miscele di tè, anziché lasciarle morire tra i fermenti di un liquido alcolico.
Avrebbe rifiutato la bevanda, se non fosse stata una richiesta di Sam: si fidava di lui, da quando era giunta a Winterhold la sua compagnia l’aveva risollevata da fallimenti, solitudine e momenti bui. Era nata una strana alchimia tra loro; entrambi erano stranieri, eccentrici e un po’ fuori luogo nel contesto sobrio e stagnante di Winterhold.
“Te lo devo come favore a titolo personale, non per altro. Ho sempre rifiutato, Sam; e avrei continuato a farlo se non fosse che mi hai portato il bastone, aiutandomi così negli studi. Sono davvero curiosa di vederlo, è davvero bello come dici?”
Più di quanto immagini, pensò, pregustando sulle labbra l’innocenza dell’involontaria allusione. L’istinto gli suggeriva ben altro, non avrebbe però mandato all’aria ore ed ore di attenta pianificazione. Aveva atteso a lungo la persona adatta, per mettere in moto la girandola degli eventi.
“Sì, un manufatto elegante, cesellato da mani sapienti ed innamorate della propria arte. Un sogno, aggiungerei. Bevi, Dorisa; godiamoci il momento. Non so quando riuscirò a tornare, quindi fallo per me, per la nostra amicizia...”
“Amicizia...” Ripetè lei, ingollando il primo boccale.
“Ecco, ora sì che si ragiona!” Sogghigno Sam, dandole una pacca sulla spalla. “Buono, eh? Hai mai bevuto un liquore così prima d’ora?”
“In realtà sono astemia.” Tossicchiò un attimo prima di rispondergli. Bruciava da matti in gola, benché il sapore fosse delicato, dolce, di spezie e frutti di bosco. Intuiva che fosse un azzardo osare, volerne ancor di più. Era il sapore del liquore ad accompagnare quello dei suoi desideri reconditi.
“Sam, io...”
“No, non dire nulla. Scommetto che vuoi berne ancora un po’, è tutto tuo, ragazza.”
Si fidava di lui, ormai il dado era tratto. Al primo sorso le labbra della dunmer si arricciarono, in un lampante disgusto. Poi cadde in uno strano torpore,  abbassò le palpebre e cinse il mago in un abbraccio affettuoso, delicato.
“Sam, portami via. Non andare! Per te... farei qualsiasi cosa. Questa città è un buco, e lo Jarl è solo uno gradino più in alto rispetto ai suoi zotici abitanti. Voglio andare, partire per l’avventura...”
“Avventura? È ciò che avrai, bellezza.” Parole smorzate dietro una fila di denti aguzzi, bramosi di assaporare la sua carne.
 
“Ah, finalmente ti sei svegliata: Dibella ha deciso di privarti della quiete del sonno; meglio così, comunque. Hai molte spiegazioni da fornire, e tanto più da sistemare! Come hai osato profanare il tempio della Dea? Tu, dissacratrice! Ti sei presentata nel migliore dei modi, sembravi una di noi mentre danzavi con indosso un abito d’organza. Poi hai mutato atteggiamento, disseminando il caos. Avanti, ripara agli errori commessi!”
“Co... cosa? Organza, farfalle... cos’è successo?”
Si guardò intorno: davanti a sé aveva una sacerdotessa dall’aria arcigna, nonostante predicasse di solito bellezza e perdono. Avvertì improvvisamente un sentimento di solitudine e spaurimento, sebbene la nota predominante in tutto quel pastrocchio fosse l’assenza di Sam.
“No, io non dovrei essere qui, ma a Winterhold col mio amico. E poi non sono solita indossare abiti discinti, anche se... ah!”
Si coprì il petto con le mani, per nascondere la profonda scollatura. La sacerdotessa scosse la testa, in quel momento non rappresentava il lato più puro della compassione.
“So solo che ti ho trovata qui, sembravi una scimmia del deserto A’likr mentre tentavi di arrampicarti sulle statue per abbracciarle. Quanto abbiamo dovuto tollerare, io e le mie consorelle! Per fortuna, tutto è finito com’è iniziato, ed io ti sono stata accanto in attesa del risveglio.”
“Ti sbagli, non è possibile! Non sono quel tipo di persona...”
“Sarà, purtroppo è andata così. Puoi dimostrare il contrario aiutandomi a pulire il tempio, osservandoti all’opera sarò in grado di comprendere anch’io, fino in fondo...”
A Dorisa non restò altro che ubbidire, maledicendosi per aver accettato di bere il liquore in un eccesso di fiducia. Dunque, Sam l’aveva abbandonata a se stessa, o forse l’aveva accompagnata nel famoso viaggio assecondando ogni sorta di stranezza.
Basta poco, quindi, per sottrarsi ad ogni reticenza, a trasformarsi in ciò che non si è. Un attimo di distrazione e... puff! Tutto va in fumo. Oh, maledetto sia il Principe dei Daedra artefice di questo disastro, se ad esso bisogna imputare la mia rovina. Mehrunes Dagon, Molag Bal, Namira, Sangui...
Si piegò in  due dal dolore, se per la nausea o una fitta al cuore, questo non riuscì a stabilirlo. Con la reputazione a pezzi e la paura di essere additata come poco di buono cosa le restava, se non raccogliere i cocci di una brillante carriera al Collegio di Winterhold?
Ciò che non si può ricostruire va ricreato dal principio, ecco cosa farò! Rimedierò a tutti i guai che ho combinato, in questo modo riuscirò a rintracciare Sam e a dirgli quanto lo detesto per avermi raggirata, facendo leva sulla mia buona fede...
“Oh, mi sbagliavo sul tuo conto, e sei davvero dispiaciuta per l’accaduto. Tutti commettono degli errori, prima o poi, di proposito o involontariamente. Non ti condannerò più del dovuto, dopotutto, anch’io sono qui per rinnegare i peccati commessi in passato. Farneticavi nell’ubriachezza, di più non posso dirti: parlavi del tuo matrimonio, di una dote in bestiame e gioielli, del viaggio di nozze e delle meraviglie nascoste nel luogo in cui converrai a nozze col tuo sposo. Capisco, a volte abbandonare la vita da avventuriero può condurre a... risoluzioni azzardate, sii fedele alla decisione presa, e vedrai che dall’unione con la persona amata ne verrà solo bene.”
“Aspetta, io non intendo sposarmi.”
“Non mentire a te stessa.” La sacerdotessa posò un dito sulle labbra, con fare complice. “Intanto, segui la strada davanti a te. Quando si perde il controllo mentale è la verità sopita nel cuore ad emergere a galla. Scopri il sentiero nascosto, e rivela ciò che provi al tuo amico. Ah, ha lasciato questo biglietto; forse ti potrà tornare utile”.
 
Credevo di conoscere me stessa, invece la natura dei miei pensieri mi è totalmente oscura. A volte, la vita si trasforma in un cavallo imbizzarrito che sfugge alle redini della razionalità: è stupido pretendere di contare ogni singolo battito del cuore, o di mettere a nota i moti dell’anima come si fa con gli ingredienti di un filtro guaritore. No, non basta un rimedio immediato per sistemare le cose. Ho imparato bene la lezione. In realtà, quando sei solo, qualsiasi parola gentile è la benvenuta... dovrei valutare a peso d’oro la mia fiducia, o seguire i consigli di chi conosco da tempo. Credevo di aver impostato le mie giornate sullo studio, sulla morigeratezza ed ore ed ore passate a ripetere la stessa formula magica... intanto, una tempesta di cenere s’è appena abbattuta sulla mia vita.
E l’ha resa... ridicola.
M’è toccato uccidere un gigante per salvare una capra. Una capra! Forse è lei la principessa della storia, e non io. Oppure, io sono la capra e lei è più saggia di me... oh, non ci capisco più niente.
Per fortuna è finita bene: Ennis di Rorikstead mi ha ringraziata, nonostante sostenesse di non dovermi nulla, perché io stessa avrei rubato la bestia per venderla al gigante.
“Ti sbagli. Questa storia è troppo assurda per essere vera. Non farei mai una cosa del genere!”
Eppure è accaduto. Accaduto...
Al peggio non c’è mai fine, dicono. Almeno questo è vero: pare che nell’intera buffonata io abbia coinvolto anche una cara amica, Ysolda di Whiterun. Sostiene di avermi concesso un credito su un acquisto speciale, cedendo a numerose insistenze dopo averla impietosita con un racconto ancor più inverosimile.
“Perché non me l’hai mai detto?” Cinguettava. “Un bosco favoloso, Masser che tinteggiava d’argento le foglie degli alberi e voi due, mano nella mano, mentre vi dichiaravate eterno amore. Oh, non chiedo di conoscere tutti i tuoi segreti, Dorisa! Magari  aspettavi il momento giusto per farmi una sorpresa. Non si può negare l’amore a due anime destinate a condividere carne, sangue e respiri. Che Mara vi benedica!”
Non so se ho bisogno dell’aiuto di Mara, ben venga se può illuminare il buio di questo scherzo di cattivo gusto.
Un matrimonio... se tutto ciò fosse vero! Sarebbe meno imbarazzante della realtà. C’è solo il silenzio a colmare le lacune tra un pezzo mancante e l’altro. Da bambina,nonna mi raccontava sempre delle fiabe stupende. Il dispettoso mago Telvanni, la principessa di Mournhold, il guerriero Redoran... personaggi dal carattere ben definito, in cui avresti voluto immedesimarti totalmente. Invece, in questa fiaba perversa esistono solo paradossi, e si succedono l’uno dopo l’altro.
Cosa mi aspetta a Witchmist Grove? Forse mi toccherà affrontare la strega cattiva...
 
Le stelle splendevano limpide, incuranti dei tormenti mortali. Dorisa cercava di nascondere l’inquietudine dietro una falsa sicurezza, avanzando silenziosa tra i cespugli.
Tolfdir le aveva prestato un pugnale incantato, ormai la sua vita ruotava attorno a mezze verità e segreti inconfessati: gli aveva chiesto un aiuto per tirarsi fuori dai pericoli durante un viaggio molto rischioso, e lui le aveva lasciato l’arma senza chiedere altre spiegazioni.
Una strana carica elettrica aleggiava nell’aria, l’abitante del capanno sghembo le avrebbe dato di certo filo da torcere. Si sarebbe servita del pugnale solo in casi estremi, preferiva difendersi con la magia quando poteva, la considerava il mezzo più efficace.
Un coniglio le tagliò la strada, ed ebbe la cattiva idea di dirigersi verso l’abbaino.
Non ebbe neanche il tempo di elaborare la mossa sbagliata, ché subito fu trafitto da un artiglio acuminato, una via di mezzo tra il fendente di un falco e squame lucide.
“Oh, finalmente. Avevo un certo languorino!” La cosa trascinò la preda nel suo nascondiglio, un cacciatore con l’allodola impigliata nella rete. Dorisa voltò il capo, disgustata.
“Mh. Eppure questo odore mi è nuovo.  Per caso sei tu, o mio principe? Ti ho atteso a lungo!”
“Ehm... no, non sono Sam. Sono una sua... amica.”
“Ah, perciò non veniva più a farmi visita!” Lamentò l’essere, gracchiando. “Me l’hai rubato! Ti è bastato toglierti i vestiti e mostrarti nuda, il trucco funziona sempre perché non sa resistere.”
“Non farei mai una cosa del genere!” Quante volte aveva ripetuto quella frase? “Sono una persona rispettabile, e vengo a riprendere un anello.”
Un’ombra si profilò contro il legno roso dall’umidità, rivelando una figura curva, in preda ad un’ossessione secolare.
“L’anello, eh? Te lo darò solo ad una condizione, devi ammettere che sono bella... più bella di te.”
La strega uscì allo scoperto, e assieme a lei un ghigno annerito dalla carie. Sembrava un incrocio tra una donna invecchiata molto male ed una specie di arpia.
“Consegnami il gioiello e facciamola breve, niente scherzi...”
“Davvero?” La creatura emise un urlo penetrante, acuto. Dorisa fu sbalzata indietro da una potente folata di vento, e scoraggiata ad avvicinarsi a causa dell’alito pestilenziale che l’accompagnava. Le umiliazioni si sommavano l’una con l’altra, quando sarebbe cessato il delirio?
“Va bene, spiegami cos’è successo e magari potrei considerare la cosa.”
“Piccola smorfiosa,” rise la hagraven, con il tono di una matrona inviperita, “tu e il mio giovane amante avevate appena litigato. Ambivi a legarti a lui, per sempre, e ne reclamavi le attenzioni solo perché ti ha concesso un bacio, a cui aveva infuso la pallida caligine dell’aspettativa. Solo le fiamme dell’Oblivion sono infinite; in tal modo ha risposto e tu, piccata, lo hai gettato a terra... a pochi passi dalla mia dimora. Cosa cerchi, eterno amore, la comunione d’intelletti? Ah, no. Prende una donna, ne fa un’ancella – per lui è una Rosa, ed essa sboccerà allorquando tu sarai pronta a donarti, ad esser solo sua. Ho osato troppo, nel tentativo di rendermi simile all’Eletto mi sono spinta oltre le barriere dell’inammissibile, e il sacrificio ha avuto il suo prezzo. Ai suoi occhi sono detestabile!  Carni morbide, sguardi innocenti, totale sottomissione... cerca queste doti, ed io le ho perse tutte, tutte. Non ti avrà mai, perché ora troverai la morte!”
“Tu vai farneticando!” Era ormai stanca, e si preparava a renderla inoffensiva con una raffica di cristalli acuminati; e se non fosse bastato, ci sarebbe stata una tormenta gelida a ghiacciare ciò che ormai giaceva freddo, inerte, nella gabbia d’ossa che custodiva la sua anima.
La strega si trascinò macilenta, opponeva resistenza perché obbligata a farlo per rancore, mostrando all’avversaria l’ultimo barlume rimastole di amor proprio. Poi cadde a terra e le gambe, le braccia, divennero un tutt’uno con i rami scheletriti ed il legno decomposto della casa abbandonata.
Dorisa tastò il collo lungo, il volto dal naso a becco, contratto e spaurito durante l’ultimo respiro; poi scorse la prova lampante della sua ossessione all’anulare della mano destra.
Lì, a memoria di un’immensa devozione.
“Moira... allora questo era il tuo nome. Mi dispiace, ti chiedo scusa. Mi dispiace tanto.”
Prese con sé l’anello, e in quel momento i gufi intonarono un canto cupo, i lupi uggiolarono da lontano. La natura aveva ripreso il suo corso.
 
Ysolda accettò malvolentieri il piccolo gioiello: ormai lo considerava un dono fatto all’amica, un simbolo di buon auspicio per il futuro. La salutò indicandole la sede dello sposalizio: Morvunskar.
Conosceva già quel luogo: poco tempo prima aveva aiutato Onmund a riavere un cimelio di famiglia in cambio di un bastone incantato. I maghi dissidenti avevano difeso il santuario con tutte le loro forze, e la dunmer faticò non poco a raggiungere i recessi del forte. Avrebbe rischiato la pelle, se non avesse portato delle pozioni decisive per la sua salvezza, durante lo scontro con un anacoreta.
La buona volontà aveva vinto contro la spietatezza ed il terrore: l’antico negromante non si sarebbe posto molti scrupoli a fare a pezzi il suo corpo, per studiare gli effetti di chissà quale incantesimo. A darle man forte in battaglia, forse, era stata proprio l’avversione che l’elfa oscura provava verso i profanatori di tombe.
Un allegro chiacchiericcio la invitava a varcare una macchia argentea sospesa a mezz’aria, una sorta di portale dimensionale tra due mondi: indietreggiò d’un passo per timore di finire vittima d’un inganno, poi si fece forza e dimenticò ogni indecisione, ogni tentennamento.
Nel bosco illuminato da un lucore iridescente, alimentato dal riflesso delle lune sulle foglie umide, la natura e i convenuti esultavano festosi. Al centro della radura, dove gli alberi non crescevano e si piegavano al patto con l’entità lì sovrana, Sam l’attendeva mentre a tavola s’indugiava in ogni sorta di baccanale.
“Credevo di averti già persa, mia cara.” Ognuno smise di masticare, di bere, di parlare. Anche il vento tra le fronde delle querce cessò di spirare, nell’attimo in cui le si avvicinò.
L’elfa oscura notò la stranezza e chinò il capo, ignorando l’angoscia che la trapassava come un ferro arroventato.
“Mi hai lasciata sola. Ti sei divertito alle mie spalle, ora mi saluti da amico. Non ti perdonerò per ciò che hai fatto, mai.”
“Suvvia!” Odiava il modo in cui la stava sminuendo. Con un sorriso candido, suadente. “Era solo uno scherzo, da anni non mi divertivo così tanto. Adesso sono qui per rimediare, vivremo sempre insieme”.
Quel maledetto bastardo sapeva toccarla nei punti giusti, conosceva le parole adatte e l’effetto da esse sortito, per far sì che s’arrendesse.
Lo guardò sprezzante, con il volto imbrattato di fango e lacrime; i segni della vergogna.
“Avevi voglia di spassartela, eh? Lurido demone, egoista. Hai assecondato soltanto il capriccio di un istante, e nient’altro. Io... ho fatto tanto per essere accettata a Skyrim; lavorato, studiato,  per ottenere il rispetto altrui. Mi hai usata, mentre io... non aspettavo altro che tornassi a Winterhold, Sam. Per sperare che t’accorgessi di me, anche se non ho nulla di speciale. Hai smosso le fondamenta noiose del mio presente, avevo trovato qualcuno che mi rendesse felice, immensamente felice... mi hai ingannata.”
“Dove vuoi arrivare?” Il piano gli stava sfuggendo di mano: avrebbe dovuto rimandarla al Collegio, lasciarle il Dono e liquidarla con sciocchezze da quattro soldi. Fanne buon uso, non crederti un’eroina solo perché hai la bacchetta magica, impiegalo con saggezza... saggezza, bah.
Invece, stava appena facendo i conti con le brutte conseguenze. Troppo credulona, troppo coinvolta...
“Sam, io ti amavo. E sono stata talmente idiota da pensare che prima o poi m’avresti sposata veramente. Manda via questa gente, non voglio soffrire più di quanto non lo stia già facendo...”
“Vieni con me, allora.” L’aveva detto. A meravigliarlo, però,  era il fatto che lo pensasse sul serio. “Mi sono divertito alle tue spalle, è vero. Sono stato egoista, è vero anche questo. Posso rimettere le cose a posto, comunque. Una seratina insieme, un viaggetto un po’ più lungo. Ti accontenterò, vedrai, sono l’uomo della tua vita.”
“No, non fai al caso mio.” Le strinse la mano, di nuovo, e il sangue ribollì come vino speziato. Si preparava ad opporre una futile, flebile resistenza.
“Vieni a ballare.” Più che un invito, quello le sembrò un ordine indiscutibile.
“Nessuno mi ha mai insegnato.”
Fu letteralmente trascinata tra la tavola e l’altare: non vedeva e sentiva nulla, il suo volto aderiva alla lunga tunica di Sam, le narici fremevano per la fragranza di mele, mosto; per il profumo intenso di resina.
“Be’, non hai cambiato idea?” Rise lui, cingendole la schiena con le braccia. “Sei riuscita a sorprendermi, nessuno aveva detto di amarmi in modo così... goffo.”
“Goffo?” Dorisa gli affondò le unghie nella schiena, in una piccola vendetta personale. “Secondo me non sai nemmeno che significa. Ti credi un principe, ma sei un giullare. Anzi, sei davvero un demone. Avrei tutti i motivi per scappare via.”
“Non ti biasimerò se vorrai farlo, ma perderesti il tuo premio.”
Una rosa.
Delicata, splendente. I petali di metallo smaltato danzano anch’essi alla luce notturna.
Una cosa del genere non è di questo mondo. Tu... tu chi sei?
“Sono tutto ciò che hai detto. Un giullare, un demone, un principe. E pure un maledetto bastardo. Sì, non preoccuparti, è assolutamente normale. Posso leggere il pensiero.”
“Ma cosa?”
Ciò che toccò con le mai fu un metallo liscio, caldo, una seconda pelle. Era avvenuto un cambiamento, non a livello caratteriale – il modo in cui la stava baciando era lo stesso. La sua lingua, le sue labbra... erano diverse, dietro le spalle avvertiva la stretta possente di una tagliola.
Aprì gli occhi, e si ritrovò di fronte un volto scuro e tatuato, la sintesi di ogni epiteto scaturitole dalla mente nei momenti peggiori dell’improbabile pellegrinaggio, tra la rabbia e l’isteria. Un corpo forte e muscoloso, tenuto a bada dall’armatura daedrica.
“Tu sei... tu sei!”
“Chiamami zio Sanguine, è meglio. Attenta a farlo mentre ce la intendiamo nella camera di una locanda, comunque... ti imbarazzerebbe non poco! ”
Dorisa s’accasciò contro il petto della divinità, mentre lui aveva cominciato ad accarezzarle i capelli dolcemente. Quindi, Sam non era mai esistito: i mesi felici trascorsi con lui, le umiliazioni ed il disprezzo subìti a causa di quella notte di follia altro non erano che un tentativo del dissoluto principe oscuro per misurare la sua forza di volontà.
“Ehm... dai, non farla tragica. Pensa ai lati positivi della faccenda: ti sembrerà di stare a Morrowind, be’... a Morrowind prima dell’eruzione della Montagna Rossa. Una bella stanza con vista su un oceano di lava, abiti leggeri che non pizzicano sulla pelle e nessun problema con le pulci. Se lo desideri puoi rimanere qui, a giocare alla verginella felice nel bosco delle meraviglie... ehi, non guardarmi in quel modo. Sei diventata una principessa, e adesso hai di fronte il tuo principe...  purtroppo, non proprio quello che t’aspettavi.”
Improvvisamente le mancò persino la forza di piangere. Perché Sanguine aveva scelto proprio lei, perché?
“Il tuo cuore non conosce malizia.”
Le sfiorò le guance, dirigendo lo sguardo verso quegli occhi temibili, che la studiavano però con intensa curiosità.
Non sarebbe stato lo stesso, mai.
“Tieni il tuo regalo, non ne ho bisogno. Non ho bisogno nemmeno del tuo conforto, ti riserverò il trattamento che meriti, un’allucinazione non può farmi del male. Ero ubriaca, sì... lo sono tuttora. Lasciami andare, voglio andare via”.
Eppure era tiepido, inebriante; un vino dal carattere acidulo e corposo. Si sforzava a non berlo e al contempo ne bramava ancora, ma la risoluzione migliore per non sviluppare una dipendenza era fuggire, fuggire lontano.
Sanguine raccolse la Rosa sottraendola al dolce manto d’erba. Svanirono le musiche, i canti goderecci, i fiumi d’idromele e gli invitati a festa. Rimase solo ed accigliato nel boschetto da lui creato.
“Non rinuncio con tanta facilità alla mia ancella, soprattutto se è un’adorabile bugiarda.” Rise, non dandosi per vinto.
Una brutta sbornia si smaltisce solo col tempo, avrebbe lasciato che Dorisa venisse a patti con la propria.



Chi non muore si rivede, è proprio il caso di dirlo.
Mi dispiace per la lunga assenza, credo che delle scuse non siano troppo fuori luogo. :( Se state seguendo le mie storie, abbiate fede! Ho intenzione di completarle e ho interrotto la scrittura per cause di forza maggiore, anche se nel frattempo mi sono venute in mente tante nuove idee. Sorpresa, finalmente sto giocando anch’io a Skyrim. E non appena ho finito la quest di Sanguine, ho pensato: “Cavolo, devo scrivere una storia!”
Quello che avete letto è il risultato. :) Sono in vena di cose divertenti, quindi ho scritto queste pagine col massimo disimpegno. Spero che vi faccia piacere leggere qualcosa che non sia cupo o troppo contorto, almeno da parte mia. The Emerald Tower, A Slaughter of Hearts ed All About Second Chances saranno portate avanti contemporaneamente, anche se cercherò di finire prima le storie dalla trama più breve.
Questo racconto, invece, si concluderà col prossimo capitolo. Avevo programmato di scrivere una one-shot, ma come al solito sono prolissa. A presto! :)
  
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