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Autore: darkrin    09/12/2008    5 recensioni
Hanabi, nel buio della sua stanza strinse la mano intorno al collo di porcellana di Hinata, che scricchiolò cupamente, senza spezzarsi.
Non ancora. Non ancora.
[Voglio giocare ancora. Apri gli occhi e danza per me, bambolina.]
[Hanabi/Neji/Hinata as usual :3][ Triste ~ Horror ~ Introspettivo]
[Prima classificata al Naruto Horror Contest]
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“ Elaborò il piano con tanto odio che rabbrividì all’idea che non ci avrebbe messo meno cura se lo avesse fatto per amore, ma non si lasciò stordire dalla confusione, e invece continuò a perfezionare i particolari così minuziosamente che giunse ad essere più che una specialista, una virtuosa nei riti della morte.“
“Cent’anni di solitudine” – Gabriel Garcia Marquez



Hanabi aveva sempre odiato le bambole.
E i loro occhi troppo bianchi [come i suoi. Nulla, il nulla negli occhi].
Non aveva mai pensato che sarebbe diventata come loro.


Amaranta
[ solo tanto, vuoto rancore ]


La notte era stellata, nessuna nube a coprire quell’immensa oscurità punteggiata di piccole luci.
Parevano lucciole inchiodate con piccoli spilli ad un lontano soffitto.
La luna piena splendeva alta e benevola nel cielo, ma non era l’unica ad illuminare le strade di Konoha.
Tante luci erano accese ed i negozi erano tutti aperti, spalancati, così come i ristoranti.
C’era una festa, sì, ma non lì, non a villa Hyuuga.
Hanabi, nel buio della sua stanza strinse la mano intorno al collo di porcellana di Hinata, che scricchiolò cupamente, senza spezzarsi.
Non ancora. Non ancora.
[Voglio giocare ancora. Apri gli occhi e danza per me, bambolina.]
Gli occhi di Hinata erano spalancati, bianchi e vuoti [come i suoi, come dovevano essere da sempre]. Il capo era riverso all’indietro e le membra abbandonate sul pavimento.
Hanabi rideva mentre le bambole, su una mensola, la osservavano sorridendo fameliche e voci di fantasmi le sussurravano i loro complimenti.


Hinata non camminava come le persone normali: lei danzava. Con indosso uno yukata bianco danzava per le polverose strade di Konoha con i capelli scuri ad incorniciarle il volto niveo.
Non c’era nessuno più luminoso di lei, quella sera.
Non c’era nessuno che se ne rendesse conto meno di lei.
Neji, la seguiva a qualche passo di distanza – << Il rispetto, Neji. Devi portare rispetto a chi ti è superiore, Neji. >> –, con indosso la solita tunica, sulla pelle ancora l’odore del corpo di Hanabi ed il suo calore.
Hinata si voltò verso di lui, con una giravolta allegra. Per un attimo a Neji parve di vedere spiccare in volo le farfalle viola, tessute sullo yukata della cugina, ma non accadde nulla.
Non accadeva mai nulla.
Non ad uno Hyuuga.
Il villaggio era, dunque, pieno di luci e di un colore che di giorno non possedeva, perso nella frenesia delle missioni. Quella luce si concentrava sul volto di Hinata su cui spiccava un tenero sorriso.
Le strade, poi, erano piene di colori, di stoffe vistose e di ricercatezza.
<< Hinata-chan! >> esclamò Kiba raggiungendoli di corsa, seguito da Shino; << Hai visto com’è bella la festa? >>.
<< S-si. >> rispose lei, imbarazzata; << Tsunade-hime ne sarà molto contenta. >>.
<< Pare che ad organizzare tutto siano stati Sakura e Naruto. A proposito, l’avete visto? >> chiese Kiba.
<< Sarà molto impegnato. È appena stato nominato sesto Hokage. >> notò Neji con la solita flemma.
Kiba annuì, lanciando un’occhiata a Hinata, che non mostrava alcuna espressione particolare; nessun turbamento.
Il ragazzo tirò un sospiro, di sollievo e sorrise.
<< Hanabi-san, non è venuta? >> comandò ancora, curioso, guardando oltre alle spalle degli Hyuuga, alla ricerca di qualcuno che, evidentemente, non c’era.
<< N-no. Si sentiva poco bene. >> rispose Hinata.
<< Peccato! Non sa davvero cosa si perde. >> affermò Kiba.
Hinata sorrise, con dolcezza.
<< A Hanabi non piacciono molto le feste. >> disse, scuotendo piano il capo.
Kiba dubitava che alla minore degli Hyuuga piacesse qualcosa che non riguardasse l’allenamento e la carriera da ninja ma questo se lo tenne per sé.
La luce della luna illuminava tutto dall’alto, promettendo nuovi cambiamenti, che nessuno sospettava e risvegliando anime dormienti.
E si sa, le anime che dormono per tanto tempo al loro risveglio vogliono un sacrificio.
Così, mentre a Konoha si festeggiava con una gaiezza quasi innaturale, altrove si tramava. Senza farlo davvero.
Erano solo gli istinti che si risvegliavano, trasformando un uomo in lupo.


Hinata si sedette su una panchina, con in mano – non sapeva bene perché – un sacchetto di plastica con dentro un allegro pesce rosso.
Sedeva e guardava.
Semplicemente.
Guardava la vita, in tutte le sue forme e i suoi aspetti e l’amava, totalmente.
Non c’era nessuno che amasse la vita quanto lei. Ne’ nessuno che la temesse tanto.
Neji le si sedette accanto e lei gli sorrise, imporporandosi un po’.
<< Neji, nii-san… >> lo chiamò.
Lui si voltò a guardarla.
<< Non si diverte Hinata-sama? >> chiese.
<< Oh, no. Affatto. Cioè… si. Mi diverto. >> affermò di corsa, mangiandosi le parole e facendole inciampare, mentre le uscivano dalle labbra.
Lui sorrise.
<< Ho capito. >>
Hinata arrossì ancora di più.
<< E a te, Neji, nii-san, diverte la festa? >> chiese, stropicciando l’orlo delle maniche del kimono.
<< Si, certo. >>
<< Anche se non c’è Hanabi-sama? >>chiese.
Neji s’irriggidì.
Hinata, ormai con le gote completamente rosse, scosse il capo.
<< Scusa. >> mormorò.
<< Nulla, Hinata-sama. >> rispose lui, rimanendo, però, rigido sul posto.
Il suo atteggiamento smentiva le sue parole e Hinata si pentì della sua impertinenza. Lo sapeva. Lo sapeva bene che c’erano cose che non andavano dette e domande che non dovevano venir pronunciate.
Erano come dei tabù, tra di loro.
<< Hinata-sama … > cominciò lui, ma venne interrotto dall’esuberante arrivato di un Naruto più felice che mai, seguito da Sakura che sorrideva serena. Ancora una volta Neji lasciò che le parole tornassero nel suo stomaco, a far compagnia a sentimenti che vi riposavano da troppo tempo.


Hinata danzava, e lui sedeva. E Hinata danzava, illuminata dalla luce e sembrava dovesse durare per sempre. E lui la guardava, quella luce, e se ne beava e avrebbe voluto possederla per sé. E Hanabi seduta dietro di loro, stringeva tra le mani una tazza incrinata e si lasciava tentare da un amore che era solo porcellana.



Hiashi si accorto che c’era qualcosa che non andava. Non perché fosse un padre particolarmente attento, ma certe cose le notava. Soprattutto se l’Hokage in persona andava a comunicargli di certe stranezze avvenute durante le missioni della figlia.
Hashi, quindi, seduta nella stanza di villa Hyuuga adibita a suo studio, rifletteva.
Gli ritornavano in mente le parole di un mendicante che aveva incontrato anni prima.
Era passato tanto di quel tempo che aveva finito per seppellire quell’episodio tra i tanti ricordi più importanti e ora gli tornava in mente, senza un vero motivo.
Lui stava tornando a casa con Hanabi che aveva appena cominciato l’Accademia, quando l’aveva visto: un vecchio cencioso, col volto butterato e rugoso.
L’uomo aveva un grande e logoro cappello, calato sulla testa, da cui spuntavano lunghi e unti capelli grigi. Era vestito di stracci e gli aveva osservati da sotto il suo copricapo.
Aveva occhi penetranti.
Hanabi gli era passata accanto, con aria sprezzante. Quell’uomo le era terribilmente inferiore e lei n’era conscia. Hiashi ringraziò di non essere in compagnia di Hinata che l’avrebbe messo, lo sapeva, in imbarazzo con la sua bontà e la sua inutile pietà.
Qualcosa guizzò negli occhi del vecchio che sollevò il capo.
<< Sa, Hyuuga-sama, il Demonio era considerato il più luminoso di tutti, prima che si rivelasse. Nessuno poteva precedere quello che sarebbe accaduto. Ma io posso. Quindi, le darò un avvertimento: lei ha generato un demonio, un figlio dell’odio e ne è felice. Stia attento. >>
Il vecchio aveva una voce strana: ricordava lo sfregarsi tra due pietre. Era aspra. Come le sue parole che sapevano di minaccia.
<< Un uomo costretto ad elevarsi al di sopra della sua condizione mortale non può far a meno di fallire. >>
<< Come osa? >< aveva chiesto Hiashi, indispettito. Il mendicante in tutta risposta era scoppiato a ridere, come un pazzo e padre e figlia si erano allontanati, come se niente fosse.


Tsunade, seduta nel suo studio, lanciò un’occhiata fuori dalla finestra, alle luci e al brusio del villaggio e sospirò.
<< Tsunade-hime. >> la richiamò Shizune.
<< Da domani fai mettere la Hyuuga sotto sorveglianza. >> affermò la godaime.
<< Pensa che sia stata lei a… >> cominciò Shizune, preoccupata.
<< Non lo so. Ma è l’unica ad essere sopravvissuta ad ogni sterminio. E se è lei temo che stia solo provando la sua forza. >> concluse l’Hokage; << Dobbiamo essere pronti a tutti. >>.


Ma non si può esserlo.
Non si può essere sempre pronti a tutto.
Hinata non era pronta a quella vita, che tentava di ubriacarla; eppure si era preparata a lungo, prima di uscire di casa, col cugino. Non bastava mai. La vita era sempre troppo forte.
Così come la morte.
Gli esseri umani invece erano terribilmente fragili. E influenzabili.
<< Hinata, perché non vieni con noi? >> domandò ancora Naruto, sorridente.
Alle sue spalle Sakura, Ino, Shikamaru e Kiba aspettavano una risposta.
L’avevano invitata a fare un giro con loro e a lei sarebbe piaciuto,m davvero molto, ma davvero non poteva.
<< N-non posso. M-mi dispiace. Davvero. > mormorò a testa bassa; << Devo stare un po’ con Hanabi. >>.
Naruto annuì, dispiaciuto.
<< Allora saluta Hanabi anche per noi. >> esclamò.
<< C-certo. >> rispose Hinata.
Neji, rimasto al suo fianco la guardò sorpreso.
<< Perché non vai con loro? >>
<< Per Hanabi. >>
<< Lo sai che non ti ringrazierà … >>
Hinata scosse il capo, piano; non le interessava, davvero.
<< Tu rimani pure. Ho visto Lee e Tenten, poco distanti. >> affermò, scivolando poi, tra la folla.
Neji la perse presto di vista. Perché entrambi volevano che ciò accadesse.


Villa Hyuuga era buia, come sempre e abbandonata ad una lenta decadenza.
Hanabi, chiusa nella sua stanza sussurrava.
Hinata, per un attimo, rimase fuori dalla porta, indecisa se entrare o meno.
Il sussurro della sorella, il buio dei corridoio e il sibilo dell’aria le facevano tornare in mente vecchie paure che ebbero il potere di ghermirla, ancora.
Chissà se dal corridoio sarebbe arrivato l’uomo nero a prenderla.
Tremò, senza rendersene conto, mentre il battito del cuore accelerava. Le era sembrato di sentire la voce di vecchi fantasmi.
Hinata scosse la testa per scacciare la paura – era una ninja. I ninja non temono nulla –, ma fu inutile.
Fu il terrore insensato del buio a spingerla a bussare alla porta e ad andare a rifugiarsi nella stanza della sorella.
Alla luce.
Come una falena.
Hanabi si voltò, verso la sorella, continuando a pettinare la bambola di porcellana che teneva in mano e a sussurrare. A quella vista Hinata ebbe voglia di fuggire, ma si diede della sciocca.
Era solo Hanabi [con i suoi occhi vuoti e le sue bambole e il suo rancore].
<< Hanabi… >> mormorò, preoccupata.
<< Hanabi, ci chiama. Hanabi. Chissà cosa vuole, ora. Ci ha già preso tutto. >> sussurrò Hanabi alla bambola, abbastanza distintamente perché Hinata potesse sentirla e rabbrividirne.
<< Hanabi? >> la chiamò ancora, indietreggiando.
La minore delle Hyuuga si alzò in piedi con un ghigno sbilenco a piegarle le labbra.
<< Ora cerca di scappare. Povera, piccola, fragile Hinata. >> canticchiò avanzando verso la sorella.
Hinata avrebbe voluto fuggire ma le gambe non le rispondevano. Nessun arto le rispondeva-
Quella non poteva essere Hanabi.
Sua sorella.
Riuscì a fare un altro passo indietro; ma era tardi.
Hanabi le era già addosso.
Hinata urlò.
Hanabi le posò la bambola sulle labbra per farla tacere.
<< Sssh. Piccola Hinata o sveglierai l’uomo nero. >> le sussurrò la sorella all’orecchio.
Hanabi era seduta su Hinata che, nella breve colluttazione era caduta a terra.
Fuori dalla finestra vedeva la luna, piena. Hanabi, con l’anima sul volto e i denti scintillanti sembrava un lupo mannaro pronto a divorare la sua preda. E a dannarla. Com’era stata dannata lei.
Sogghignava ancora, la minore.
<< Sai, sorellina? >> cantilenò; << Non sarei voluta arrivare a tanto. No, davvero. Ma sono stata costretta da Loro. >>.
<< Loro chi? >> alitò Hinata, sentendo le mani della sorella premerle sulla gola.
Sembravano le mani di una bambola.
<< Loro. >> affermò Hanabi indicando, con un gesto della mano, la mensola alle sue spalle, su cui erano disposte con ordine, quasi maniacale, le sue bambole.
Incontrando i loro occhi vuoti Hinata tremò.
Come aveva fatto Hanabi a sopportarlo?
Hanabi scosse il capo come a voler scacciare un pensiero molesto e strinse la presa sulla gola della maggiore.
<< Sai, mi sono preparata a lungo per questo momento. Ho provato su molte persone il mio discorso e quello che ti avrei fatto. Perché, sai? Io ti odio. >> affermò con candore.
Gli occhi: vuoti.
Hinata sentì il fiato cominciare a mancarle. Tutte le parole che avrebbe voluto dire ad Hanabi in una vita intera, le si bloccarono all’altezza della gola, che ora sentiva in fiamme.
<< Sc… scu … scusa. >> riuscì a mormorare, a fatica.
Il volto di Hanabi si contrasse a quelle parole.
Scusa per non essere stata l’erede giusta, ne’ la sorella che meritavi. Scusa per non averti protetto ma, anzi, essere stata la tua rovina. Scusa per averti rovinato l’infanzia con la mia inettitudine. E scusa, infine, perché nonostante tutto sono stata amata da Neji.
Scusa, Hanabi.
Perché sono me stessa. Perché sono Hinata.
Hanabi sentì l’osso rompersi sotto la sua presa e scoppiò a ridere, aspramente.
Prese la bambola, che era caduta accanto a lei durante la colluttazione – la più bella di tutte, la sua Hinata –, e la scagliò contro la parete.
La bambola andò in frantumi e Hanabi, cominciò a piangere tra le risa.
Si avventò con una nuova furia sulle bambole che caddero, una dopo l’altra sotto i suoi colpi incessanti. Alla fine, Hanabi, in piedi in un cimitero di cocci rotti si portò una mano alla gola e si stupì di vederla macchiata di sangue.
Una scheggia di porcellana le aveva perforato la carotide.
Hanabi ridacchiò, piano.
Lo sapeva: le bambole muoiono sempre tutte insieme.
Nell’ombra il volto spezzato di Hinata sembrava ghignare, soddisfatta.
Scivolando al suolo Hanabi mormorò:
<< Scusa, sorellina. >>
Per non essere stata abbastanza forte.





~oOo~

Ebbene, sì, Amaranta è arrivata prima all'Horror Contest indetto da kiara_chan e HopeToSave – che ringrazio per i giudizi molto esplicativi e dettagliati e faccio i miei complimenti alle altre partecipanti –, sono la prima che ancora non ci crede, ma ne sono tanto, tanto contenta. :3
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Quando ho cominciato a scrivere questa storia sono partita dall'idea di provare a scrivere qualcosa sulla follia e sugli Hyuuga e questo è quello che alla fine ne è venuto fuori. Il punto è, che per me, un horror per potersi considerare tale non deve avere splatter & compagnia bella, o almeno non sono gli elementi principali, secondo me l'orrore vero è quello psicologico, più sottile e pericoloso ed è quello che ho tentato di mettere in scena qui.
Ovviamente la Hyuuga di cui parla Tsunade a Shizune e a Hiashi è Hanabi, non Hinata.
Amaranta, è ovviamente Amarana di "Cent'anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez che mi ricorda terribilmente Hanabi. O almeno, l'Hanabi che immagino io. Così come Remedios la Bella mi ricorda Hinata.
Disclaimers: I personaggi non sono miei ma di Kishimoto – che peccato, ne? XD –, la citazione iniziale è tratta dal libro "Cent'anni di Solitudine" di Gabriel Garcia Marquez e questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

- darkrin

   
 
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