Serie TV > Arrow
Ricorda la storia  |      
Autore: AliceDarling    28/02/2015    5 recensioni
Oliver agì d’istinto.
Prima che un qualsiasi pensiero vagamente coerente lo dissuadesse dal farlo, colmò la breve distanza tra i loro corpi. Accadde in un attimo. Un battito di ciglia e poi c’erano solo le loro labbra, le une contro le altre.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Finale alternativo alla 3x07 visto che l'originale mi ha spezzato il cuore come ad Oliver. Buona lettura :)

Draw back your bow

La mezzanotte era passata da un pezzo quando la ragazza, ancora in abito da sera, si trascinò sugli alti tacchi a spillo attraverso il vicolo, diretta al Verdant. Prese l'ingresso sul retro per evitare la folla del venerdì sera e, inserito il codice, entrò nel seminterrato del club. La luce era accesa, probabilmente il team stavano ancora lavorando sul caso.
 “Scusate, prima ho dimenticato la borsa. Ero di fretta. Ray mi stava aspettando...”
Si bloccò di colpo a metà della rampa di scale.
Il pavimento del covo era cosparso dei detriti di quelli che una volta dovevano essere gli oggetti che occupavano i banchi di metallo, ora vuoti. Uno dei computer era a terra, lo schermo in frantumi. Varie frecce, molti delle quali spezzate, giacevano anch'esse a terra, insieme ad alcune sedie rovesciate. Gli occhi di Felicity vagarono su quel disastro con uno sguardo a metà tra lo scioccato e il terrorizzato. Doveva essere successo qualcosa dopo che se ne era andata, qualcosa di grave: qualcuno aveva scoperto il loro nascondiglio? la Lega degli Assassini era forse tornata in città? E se i suoi amici fossero stati feriti, o peggio?
Incapace di muoversi, con la bocca semi aperta per lo stupore, il suo sguardo incontrò qualcosa che prima non aveva notato: Oliver Queen, illeso ed immobile, se ne stava in piedi
con le mani appoggiate ad uno dei banchi di metallo, dandole le spalle.
 “Cosa... Cosa è successo?” chiese la ragazza, ritrovando la voce e la forza di muoversi.
Nessuna risposta.
Felicity gli si fece più vicino, ancora spaventata, ma rincuorata nell’averlo trovato sano e salvo.
 “Stai bene? Qualcuno è ferito? Roy e Diggle…”
 “Stanno bene. Sono andati a casa” la voce di Oliver sembrava provenire da molto lontano.
 “Cos’è successo?” riprovò Felicity.
 “E’ stata una lunga notte” e solo in quel momento il ragazzo si voltò verso di lei.
Si fissarono a lungo, in silenzio, la ragazza tentando di leggere nella dura e fredda maschera che era la sua solita espressione una spiegazione.
 “L’abbiamo quasi persa stasera” fu lui infine a rompere il silenzio.
 “Chi? Cupid?”
 “Si, Cupid. E questo perché tu ti sei presa la serata libera”
Felicity ci mise qualche momento a registrare quell’affermazione: dove voleva andare a parare esattamente? Di cosa la stava accusando? Perché in mezzo a tutto quel casino, Oliver giocava al gioco delle colpe?
 “Ti avevo avvertito che stanotte non sarei stata disponibile. Non è la prima volta che fate a meno del mio aiuto e poi l’avete presa alla fine, no?”
 “Non è questo il punto. Quello che facciamo… siamo una squadra, Felicity, ognuno di noi deve impegnarsi al 110%, dobbiamo sempre essere concentrati… Tutti” e nell’aggiungere l’ultima parola il suo sguardo, fino ad un momento prima fisso su qualcosa alle spalle della ragazza, si concentrò su di lei.
Felicity cercò di rimanere calma; evidentemente Oliver era di cattivo umore e lei non aveva voglia di discutere, era stata una lunga giornata per tutti.
 “Mi dispiace, non accadrà più”
 “Ah, si? E cosa succederà la prossima volta che Palmer ti chiederà di uscire?” il suo tono era duro ora, non più piatto ed inespressivo come poco prima.
 “Oliver, era una cena di lavoro! Io ho un lavoro, ricordi?” ora anche la ragazza cominciava a scaldarsi.
 “Si be, non sembrava”  gli uscì di getto, mentre il ricordo di Felicity stretta all’uomo che si era preso l’azienda della sua famiglia, e ora anche la donna che amava, gli annebbiava per un momento la vista. Si pentì di averlo detto prima ancora di finire la frase.
 “E questo cosa vorrebbe dire?” era arrabbiata ora.
 “Dovresti andare a casa. È tardi” parlò senza guardarla.
 “Oliver> gli si avvicinò di qualche passo, la collera che montava dentro di lei. E poi capì. L’intuizione la sorprese, immobilizzandola.
 “Tu… Tu non l’hai fatto davvero”
Il ragazzo si voltò di nuovo verso di lei, la mascella serrata.
 “Mi hai spiata! Davvero Oliver? Ti credevo migliore di così”
 
Oliver sostenne il suo sguardo per quelli che parvero minuti interi, ma infine il senso di colpa, la vergogna per ciò che aveva fatto lo sopraffecero. Non sarebbe dovuto andare, lo sapeva, e se non lo avesse fatto, come la parte più fredda e razionale di lui aveva tentato invano di suggerirgli, ora il covo non sarebbe stato semi distrutto e lui non avrebbe perso il suo autocontrollo, quello che tutti credevano, lui per primo, essere incrollabile. Ma era così arrabbiato… Con Palmer certo, ma soprattutto con se stesso. Come aveva potuto permettere che succedesse? Quando l’aveva vista con lui, tutte quelle sue salde convinzioni sul dover rinunciare ad essere Oliver Queen in favore della sua identità segreta, Arrow, e di dover rinunciare quindi a lei, la donna che amava, sembrarono così fragili, così vane.
 “Non ti stavo spiando”
 
 “Tutto qui? Non sei molto convincente Oliver!” urlò questa volta, furiosa. Era stato lui ad allontanarla, che cosa pretendeva ora? Lei non intendeva rinunciare alla sua vita, non sarebbe stato giusto per nessuno dei due.
Il ragazzo fece un respiro profondo e quando tornò a parlare la guardava dritta negli occhi.
 “Mi dispiace, è stato un errore, ma ciò non cambia il fatto che tu stasera…”
 “Come hai potuto…”
 “…non eri qui e sarebbe potuta finire male, avevamo…”
 “…se ti dava fastidio che uscissi con Ray potevi dire qualcosa invece di…”
Si parlavano addosso, il tono sempre più alto per cercare di sovrastare la voce dell’altro e di imporre le proprie ragioni. Intanto, inconsciamente, si muovevano l’uno verso l’altra, sempre più vicini.
 “…Ero venuto a dirti che mi ero sbagliato” alla fine fu la voce di lui a prevalere.
Felicity tacque di colpo, sbigottita: su cosa si era sbagliato esattamente? Ma lui non aggiunse altro.
 “Be se avessi aspettato un secondo di più invece di venire qui a distruggere tutto, ora sapresti che l’ho respinto”
Ora era Oliver ad essere stupito, quasi una mano invisibile lo avesse schiaffeggiato.
Felicity lo guardò a lungo, aspettando, sperando, una qualche reazione da parte sua, ma il ragazzo continuava a guardarla in silenzio, l’espressione indecifrabile.
Quando infine parlò di nuovo la rabbia si era dissolta, la sua voce niente di più che un sussurro.
 “L’ho respinto perché non è lui che voglio”
 
Oliver agì d’istinto.
Prima che un qualsiasi pensiero vagamente coerente lo dissuadesse dal farlo, colmò la breve distanza tra i loro corpi. Accadde in un attimo. Un battito di ciglia e poi c’erano solo le loro labbra, le une contro le altre.
Non seppero mai per quanto tempo rimasero così, immobili, prima che un tardivo barlume di ragione, residuo dell’usuale autocontrollo che quella sera aveva mandato in frantumi insieme a metà del suo rifugio, gli desse la forza necessaria quel tanto che gli bastò ad interrompere quel bacio. Tuttavia non riuscì a separarsi da lei. Ancora stringeva il suo viso tra le mani e sentiva il corpo di lei contro il proprio, il suo respiro sul viso.
Rimasero così, le fronti vicine, gli occhi chiusi, entrambi temendo che nel momento in cui li avessero aperti sarebbe tutto finito, un altro sogno che gli concedeva ciò che la realtà gli negava.
Una parte di lui, una minuscola ed insignificante parte, sperava che lei lo respingesse, che se ne andasse come aveva fatto quella notte in ospedale.
 
Quando Oliver la baciò, i sensi di Felicity si spensero. Smise di avvertire qualsiasi cosa: il freddo banco di metallo che le sfiorava la schiena, i detriti sotto le scarpe, il dolore dei tacchi; Il mondo iniziava e finiva nell’istante di quel contatto. Il mondo bruciava nell’istante di quel contatto e sentiva che quel fuoco, che proveniva da dentro di lei, la stava consumando: flebili proteste e timori avvamparono nel suo cervello prima di essere inceneriti. Quando poi si separò da lei, quel fuoco si spense. Improvvisamente tutte le sue percezioni tornarono più forti di prima, ferendola. La luce del covo non era mai sembrata più intensa, anche attraverso le palpebre chiuse e poi c’era freddo, un freddo strisciante che sembrava esserle entrato nelle ossa. Un pensiero solitario si infranse nel nulla assoluto che era la sua mente in quell’istante ricordandole che tutta quella situazione era un errore, un grosso errore, che l’uomo che la stringeva non era solo Oliver Queen, ma anche Arrow e Arrow non poteva, non voleva tutto questo, era stato molto chiaro a riguardo. Ma quel pensiero si dissolse immediatamente lasciandola lì incapace di provare, di sentire qualsiasi altra cosa che non fosse il desiderio che quel fuoco tornasse ad avvolgerla, anche a costo di bruciare viva.
 
Ma Felicity non si mosse ed il barlume di ragione di poco prima si spense, soffocato dal desiderio di quel contatto tanto agognato e così a lungo rimandato. Le loro labbra si toccarono di nuovo, e questa volta era un gesto più deciso, più consapevole. Ed ora mentre una mano affondava nella chioma bionda con l’altra le cingeva la vita, stringendola a se quanto più possibile mentre assaggiava il suo sapore sempre più a fondo. E tuttavia si tratteneva, i gesti lenti e misurati, dolci, temendo che se si fosse lasciato andare del tutto l’avrebbe ferita con quello stesso desiderio che non gli permetteva di allontanarla. Ce n’era così tanto da fargli quasi male.
 
Il fuoco era tornato, più forte ed abbagliante di prima, ma questa volta Felicity percepiva anche tutto il resto. Sentiva il corpo di Oliver aderire al suo, una mano che gli cingeva la nuca, l’altra appoggiata sul suo ampio petto, in corrispondenza del cuore. Sentiva la vita di lui scoppiare sotto il proprio palmo. C’era così tanta dolcezza nei suoi movimenti, quella stessa dolcezza che traspariva per un secondo dal suo sguardo quando le sorrideva, quello sguardo azzurro che aveva sperato di vedere nell’aprire gli occhi dopo che Ray l’aveva baciata, incontrando invece, delusa, gli occhi scuri del suo capo.
 
E forse, forse ancora un altro bacio e poi l’autocontrollo di Oliver sarebbe tornato a separarli.
E forse, forse ancora un altro bacio e poi Felicity si sarebbe ricordata del perché tra loro non potesse funzionare e se ne sarebbe andata.
O forse, forse quella notte non sarebbero stati Oliver e Felicity, o il vigilante e la sua partner, ma solo un uomo e una donna e si sarebbero amati.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Arrow / Vai alla pagina dell'autore: AliceDarling