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Autore: aidith    28/02/2015    0 recensioni
Tra i 15 e i 20 anni, molte ragazze sviluppano disturbi alimentari. Questa è la storia di una delle tante ragazze che giorno dopo giorno combattono contro l'ossessione per il peso e la carenza di autostima, affrontando conflitti interiori e non solo. La mia storia di restrizioni ed eccessi, senza nessun filtro.
Tratto da una storia vera.
[Questa storia non vuole assolutamente romanticizzare i disturbi alimentari e mentali, ma raccontare la verità riguardo queste atroci sofferenze che moltissime giovani affrontano in silenzio]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Premessa
Salve a tutti. Come già accennato nell'introduzione, con questa storia non voglio assolutamente rendere i disturbi alimentari "poetici", né incitarli, fenomeno purtroppo molto diffuso sul web. La mia intenzione è quella di raccontare la mia storia personale nei dettagli, sia per poter essere completamente sincera riguardo gli eventi che ho vissuto negli ultimi anni, sia per raccontare la completa e dura verità riguardo questa tematica e perché no, anche dare conforto a chi si trova nella mia stessa situazione. Ho sofferto e soffro tutt'ora, anche se in maniera più lieve, di disturbi alimentari, quindi so di cosa parlo. Niente di quello che racconto è inventato o ingigantito, solo la mia storia, niente di che. Detto questo, spero che questa storia possa piacervi, e invito chiunque dovesse trovarsi nella mia situazione a contattarmi senza problemi, nel caso volesse fare due chiacchiere anonime.
Buona lettura. 




Capitolo 1

57




I primi quindici anni della mia vita erano trascorsi senza particolari problemi. Fino ad allora, la mia vita era stata piuttosto normale, ero una ragazza come tante altre, che si divideva tra scuola, sport, famiglia e amici, che non aveva la più pallida idea di cosa sarebbe successo in seguito. Il mio rapporto con i genitori era sempre stato tranquillo, così come quello con il cibo. Non avevo mai avuto grossi problemi di peso, se non un’estate in cui presi qualche chilo di troppo, che però non mi preoccupava minimamente, chili persi qualche mese più tardi senza nemmeno faticare. Non avevo mai dato troppa importanza al cibo, e prima d’ora non mi ero mai negata il piacere di un dolce o di cibo spazzatura. Sapevo che molte ragazze verso la mia età iniziavano a soffrire di disturbi alimentari, ma mi sembrava una cosa impossibile: come si poteva arrivare ad ammirare corpi scheletrici? L’idea di una vita controllata dall’ossessione per il cibo era assurda per me.
Ma durante il secondo anno del liceo tutto iniziò a cambiare, e ogni cosa che fino ad allora avevo dato per certo divenne instabile. Iniziai a vedere il mio corpo in maniera diversa, quel corpo che giorno dopo giorno assomigliava sempre di più a quello di una donna adulta, abbandonando le forme di quello di una bambina. Iniziai a preoccuparmi per il mio aspetto, iniziai a vedere i miei fianchi troppo larghi, le braccia e le cosce troppo grosse, le guance troppo piene. Iniziai a sentirmi in colpa se mi concedevo qualche sfizio, e iniziai a controllare l’alimentazione. Dapprima aumentai leggermente le ore dedicate allo sport, cercai di mangiare in maniera più salutare e di limitare il più possibile il consumo dei dolci. All’epoca pesavo cinquantasette chili per un metro e settanta di altezza, peso perfettamente nella norma. Eppure, iniziai a vedermi sempre troppo grassa, e iniziai a pesarmi regolarmente. Ogni volta che salivo sulla bilancia era una pugnalata al cuore: quella lancetta che si spostava velocemente verso un peso che ritenevo essere troppo alto, i sensi di colpa che mi opprimevano quando vedevo che quel numero non diminuiva, o addirittura aumentava. E per ironia della sorte iniziai ad apprezzare sempre di più i cibi che prima non mi avevano mai attirata granché. Giunta alla consapevolezza che i miei sforzi attuali non erano sufficienti a dimagrire, iniziai lentamente a sconvolgere tutte le mie abitudini alimentari. Dapprima saltando un pasto ogni tanto, convinta che questo sarebbe bastato a perdere quei fantomatici chili di troppo, per poi tentare soluzioni più estreme: di tanto in tanto provavo a vomitare ciò che avevo mangiato, ma non ci riuscivo. In tutto questo i sensi di colpa non fecero che aumentare, sia perché mi vedevo sempre più grassa, sia perché capivo che qualcosa stava cambiando in me: avevo sempre considerato ridicole quelle ragazze ossessionate per il proprio aspetto, che ricorrevano a soluzioni drastiche per migliorare, e ora non stavo forse diventando una di loro?
In più, durante quel periodo, il mio rapporto con i genitori iniziò a precipitare. Non avevo mai avuto un bel rapporto con mia madre, ma l’avevo sempre sopportato, perché in compenso avevo un bellissimo rapporto con mio padre. Invece i sentimenti negativi che provavo verso me stessa iniziarono ad influire anche sul rapporto con loro: cominciai a stare male per l’atteggiamento di mia madre nei miei confronti e iniziai ad incolpare mio padre per il più piccolo sbaglio che commetteva, anche per cose stupide. Tutto questo mi portò ad isolarmi sempre di più, arrivando anche a rovinare irrimediabilmente il rapporto con mio padre.
Non ero mai stata una ragazza popolare: avevo una ristretta cerchia di amici, avevo anche avuto qualche ragazzo, ma comunque non ero considerata “bellissima” come invece lo erano alcune ragazze che conoscevo, e iniziai a sentirmi una sfigata sia per questo, sia perché avevo pochi amici. Non ricevevo spesso complimenti, e iniziai ad attribuire questo fatto al mio peso: se fossi dimagrita, mi dicevo, sicuramente tutti mi avrebbero apprezzata di più. Contemporaneamente cominciai a preoccuparmi per quei pochi che mi stavano accanto: mi consideravano davvero un’amica? Mi volevano bene? Lentamente mi convinsi che non era così. Spesso passavo notti insonni a piangere, convinta che nessuno mi amasse, per poi sfogarmi su di loro. Dicevo cattiverie che non pensavo neanche, ma non mi importava. Iniziai inoltre a capire che qualcosa non andava in me: da un lato volevo che tutti mi apprezzassero, ma dall’altro gioivo segretamente per i fallimenti altrui, anche per quelli dei miei amici. Fu così che dopo poco mi ritrovai sempre più sola, prigioniera delle mie paranoie e delle mie ossessioni.
Ma i veri problemi non iniziarono prima dei sedici anni, quando tutto cambiò drasticamente. In quell’anno presi diversi chili, cosa che mi portò a provare vero e proprio disgusto verso me stessa. Ormai non avevo quasi più amici, e facevo praticamente un solo pasto al giorno, per poi sfogarmi sui dolci. Quello fu anche l’anno in cui non praticai nessuno sport, cosa che contribuì significatamene al mio aumento di peso.
Ormai mi sentivo persa, senza speranze verso il futuro, prossima alla depressione. Passai diversi mesi in preda alla frustrazione per l’incapacità di cambiare la mia situazione, mentre l’odio per me stessa cresceva di giorno in giorno. Gli attacchi d’ansia e di panico divennero sempre più frequenti, mentre continuavo ad isolarmi: chi mai poteva amarmi, inutile com’ero? Perché mai qualcuno avrebbe dovuto provare affetto nei miei confronti? Fidarmi di qualcuno era fuori discussione. Parlare con la mia famiglia del brutto periodo che stavo vivendo era un’opzione fuori discussione. Avrebbe significato ammettere la mia debolezza, cosa che ancora non riuscivo a fare nemmeno nella mia mente.
Però, mentre mi avvicinavo ai diciassette anni, iniziai a ridurre ulteriormente la quantità di cibo che mangiavo, limitando sempre di più il consumo di dolci. Così tornai a pesare cinquantasette chili, che comunque consideravo ancora essere troppi.
Alla fine della terza liceo decisi che mi ero stancata di vivere in quel modo: ripristinai i rapporti con gli amici che avevo perso e iniziai a dedicarmi alla vita sociale. C’erano stati periodi in cui avevo fumato, ma niente di serio; ripresi a fumare, sia per ridurre lo stress, sia per incrementare i rapporti sociali, ma soprattutto per reprimere il senso di fame. Sì, perché in quel periodo arrivai ad un regime alimentare ancora più ristretto. In quello stesso periodo scoprii le feste e l’alcol. Ogni sabato sera una festa diversa, ogni sabato una sbornia. In quelle poche ore settimanali dimenticavo tutti i conflitti interiori, e mi sembrava di essere felice: avevo di nuovo degli amici, stavo dimagrendo, mi divertivo. Non era forse questo il significato dell’adolescenza? Ma ben presto questo non fu più sufficiente. Con l’arrivo dell’estate mi liberai delle preoccupazioni scolastiche, per potermi dedicare interamente a ciò che interessava davvero: divertirmi con gli amici, ma soprattutto dimagrire. Passando la maggior parte del tempo a casa da sola ero libera di digiunare senza che nessuno se ne accorgesse, e ben presto tutto ciò che mangiavo in una giornata era un po’ di frutta e verdura, a volte nemmeno quello, e raramente superavo le 500 calorie giornaliere. Nonostante fossi a conoscenza di quanto tutto quello che facevo fosse dannoso non mi importava, il mio obiettivo era dimagrire, dimagrire, dimagrire. Fino alla perfezione. Quei corpi scheletrici che prima mi ripugnavano ora rappresentavano il mio ideale di bellezza, ed ero determinata a raggiungerlo. Ogni volta che toccavo le mie ossa sempre più sporgenti era una sensazione di piacere; sentire il mio stomaco vuoto che gridava per ottenere un po’ di cibo mi faceva sentire leggera; leggere il numero sulla bilancia che precipitava di giorno in giorno era una vittoria. Nel giro di poco tempo raggiunsi i cinquanta chili, ma ancora non era abbastanza.
I miei amici e i miei parenti iniziarono a dirmi che stavo esagerando, che dovevo mangiare di più. Ma io ridevo dinnanzi alle loro preoccupazioni, mi facevo beffa di loro. “Io anoressica, certo, ma fammi il piacere” dicevo ridendo, e mi giustificavo sostenendo di voler semplicemente avere un’alimentazione sana. I dolci, i grassi e i carboidrati ormai erano un ricordo lontano, persino le proteine erano ridotte al minimo; vivevo di frutta e verdura, e non mi rendevo conto della sofferenza cui stavo sottoponendo il mio corpo. “Ancora due o tre chili e poi mi fermo, davvero” assicuravo, mentre in realtà pensavo: ancora dieci, e poi forse mi fermo.
Passavo le mie giornate a leggere innumerevoli articoli sull’alimentazione, alla continua e disperata ricerca di nuovi trucchi per perdere peso facilmente, e ignorando tranquillamente quelli che denunciavano i disturbi alimentari. Diventai in poco tempo esperta su tutti i meccanismi alla basa del metabolismo, iniziai a tener conto di ogni singola caloria che ingurgitavo. In un quaderno, che tenevo ben nascosto, tenevo un diario alimentare: di giorno in giorno riducevo l’obiettivo di calorie quotidiane, scrivendo alla fine della giornata messaggi pieni di positività e complimenti verso me stessa, quando riuscivo a stare sotto l’obiettivo, oppure insulti pesanti nel caso sforassi anche di poco. Anche solo 50 calorie in più erano un fallimento. Dopo un po’ non riuscii più a sostenere questi ritmi estenuanti, e arrivarono inevitabilmente le abbuffate. Dopo mesi e mesi di restrizioni, mi ritrovai incapace di resistere davanti ad una fetta di pane, un piatto di pasta o una fetta di torta. I miei familiari logicamente erano ben felici di vedermi mangiare normalmente, e quindi mi incitavano a fare il bis, cosa che facevo senza pensarci due volte. Subito dopo, però, arrivavano i sensi di colpa. Continuavo a tenere il diario alimentare, e ogni volta guardavo con disperazione ai numeri delle calorie, come se fossero mostri che mi perseguitavano. Mi sentivo inutile, un fallimento, ma più di tutto mi sentivo grassa. Ripresi rapidamente qualche chilo, che contribuì significativamente alla mia disperazione. Iniziai a fare anche tre o quattro ore di intensa attività fisica, finché non riuscivo più a tenermi in piedi, tutto questo per compensare agli sfizi che di tanto in tanto mi toglievo. Spesso correvo anche due volte al giorno, correvo finché mi mancava il fiato, e tornata a casa poco dopo riprendevo con gli esercizi: tutto questo finché l’ammontare di calorie giornaliere non scendeva sotto le cinquecento, spesso anche meno. Tutto sommato ripresi a vedere la mia vita con positività: ero sempre ossessionata dall’idea di perdere peso, ma mi sembrava di aver trovato il giusto equilibrio.
Durante questo periodo non ci fu mai un sabato senza una festa, mai un sabato trascorso senza superalcolici, spinelli e sigarette. I rapporti con i miei amici diventarono decisamente migliori di quanto non fossero mai stati, iniziai a vedere qualche ragazzo, e i vestiti che qualche mese prima mi stavano stretti ora erano addirittura larghi. Tutto sommato ero felice nella mia disperazione.


 


Ringrazio chiunque si sia fermato a leggere queste righe, significa davvero molto per me. Ringrazio anticipatamente chi (e se) lascerà recensioni. Accetto ogni critica. 
A presto, 

aidith

 
   
 
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