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Autore: Chevrefeuille    01/03/2015    5 recensioni
{ Decima classificata al concorso 'I mille volti dell'insicurezza' indetto da RosmaryEFP }
Questa è un po' la mia visione di quella che sarebbe potuta essere Pansy. Di come la vita, poi, non va sempre come uno se la immagina e di come il tempo ci segna inevitabilmente.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Pansy
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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Questa storia partecipa al contest ' I mille volti dell' insicurezza' di RosmaryEFP

 
Passava ore a guardarsi allo specchio, Pansy. Non per sciocca vanità o per compiangere la pelle liscia e ambrata che aveva lasciato spazio alle occhiaie e alle rughe d'espressione. Amava guardarsi allo specchio per godere del silenzio che quegli attimi le donavano, lo stesso silenzio che aveva ricercato in tutta la sua vita e che mai aveva trovato. 
Erano passati dieci anni dalla fine della II Guerra Magica ma nella testa le rimbombavano ancora il rumore delle bacchette e le grida acute dei feriti, il dolore di chi stava combattendo una guerra che non avrebbe dovuto combattere. 
Aveva sposato Draco in un momento in cui tutto sembrava finito, in cui la felicità sembrava non potesse più esistere per nessuno. Lei, tra tante avversità, forse l'aveva trovata.
Aveva una famiglia che credeva potesse renderla felice e che lei credeva di poter rendere felice.
Tuttavia non aveva mai pensato di poter essere una brava madre per i suoi figli: mai una carezza di troppo, mai un elogio, un bacio sulla guancia. Solo sguardi austeri e pieni di dolore per quello che sarebbe potuto essere e che mai più sarà. 
Non che non li amasse, sia beninteso, li amava più di qualsiasi cosa nella sua vita, ma aveva paura che un giorno o l'altro avrebbero potuto pagare le conseguenze di scelte sbagliate di chi prima di loro aveva portato un cognome troppo oneroso, per i tempi che correvano. A niente sarebbe valso dire che avevano un padre eccezionale che si era ribellato a tutti i cliché che la borghesia inglese aveva imposto e che aveva combattuto per difenderli. 
Mangiamorte sei e mangiamorte morirai, le avevano detto. 
Ed era vero, secondo lei. 
Guardava il suo braccio sinistro coperto malamente dal fondotinta e scorgeva le macchie nere ancora visibili, inorridendo al pensiero di come tutto ciò potesse renderla un giorno inaccettabile agli occhi dei suoi figli. 
Un mostro, come comunemente intendeva ancora la società quelli come lei. 
Ventisette anni ed una vita vissuta da cinquantenne, piena di rimpianti, di dolore, di attimi non vissuti. Quello era Pansy: svuotata di qualsiasi felicità, priva di qualsiasi interesse nel vivere una vita che con lei non era stata docile neanche per un momento. Sopravviveva per i suoi due figli, nient'altro. 
Eppure le era sembrato di vedere la luce infondo al tunnel, le era sembrato quasi che un raggio di luce avesse illuminato la sua vita rendendola all'altezza delle sue aspettative. 
E dopo il raggio di luce, solo un raggio di luce verde.
'AVADA KEDAVRA'.
Un incantesimo. Due parole. Quattro vite distrutte. 
La sua, che non sapeva come andare avanti, quella dei suoi figli che sarebbero cresciuti orfani e quella di Draco, stroncato nel fiore dei suoi anni da qualcuno che non gli aveva perdonato i crimini (non) commessi.
Ma se quel maggio di due anni fa Draco non fosse stato ucciso, come sarebbe cambiata la sua vita? 
La domanda più ricorrente della sua vita: 'E se..?'
E gliel'avevano insegnato che la storia non si fa con i se e con i ma, eppure da che ne aveva memoria aveva desiderato essere qualcun altro.
 
Guardava i suoi figli giocare e ricordava se stessa da bambina cercare consensi in un Draco troppo sicuro di se, troppo più nobile nei lineamenti, troppo regale anche nel modo di declinare i suoi inviti a cogliere le viole 
'Ho il nome di una costellazione, non di un fiore, mia cara Pansy'
Aveva sette anni e già sapeva che quello che c'era di diverso in loro era che lui aveva la bellezza dell'eternità e lei dell'anelito di qualche settimana di primavera. 
 
Guardava il viso troppo schiacciato di sua figlia, contornato però da lunghi capelli biondissimi, quasi bianchi, che mal si sposavano con dei tratti così poco gentili troppo simili ai suoi.
Pensava a lei adolescente, con la variante dei suoi capelli corvini tagliati a caschetto, che provava a fronteggiare la bellezza eterea della sua amica Daphne per la sola sciocca vanità di sentirsi invitata a qualche stupida uscita fuori porta ad Hogsmade. Ricordava di aver passato ore allo specchio pur di sentirsi più bella, più apprezzata, più invidiata. Invece risultava solo insulsa. Non lo aveva mai detto a nessuno, perché nessuno avrebbe voluto sentire le vacue parole di una sedicenne in piena botta ormonale che non apprezza il suo corpo, ma lei ricordava benissimo quando accarezzava lo specchio toccando tutte le sue imperfezioni, quando sognava labbra più carnose o un seno più grosso, ricordava benissimo quando pensava di essere troppo bassa, di avere gli occhi troppo grandi e troppo verdi ed i capelli maledettamente spenti.
 
Sorrideva bonariamente a se stessa, quando ricordava della Pansy più giovane, perché se fosse potuta tornare indietro avrebbe azzerato tre quarti delle sue insicurezze.
Stupidaggini, questo erano. Nient'altro che capricci di una bambina viziata che voleva solo essere accettata. 
Guardò il suo braccio e ricordò di quando Draco fu marchiato per primo: la paura di sfiorarlo, di fargli del male, la voglia di stargli vicino e di fargli sentire il suo affetto. I suoi sbalzi d'umore, la sua freddezza, tutto di lui le provocava angoscia. Iniziò a regalargli delle Viole, come quando erano bambini, perché quello era il suo modo di fargli capire che dovevano ricominciare lì dove tutto era iniziato tanti anni prima. 
 
Negli occhi di suo figlio Scorpius rivedeva Draco, la loro storia, le mani tremanti quando avevano capito di amarsi, le parole strozzate in gola, la paura di dire qualcosa di sbagliato, la paura di fare qualcosa di ingiusto. 
Perché per loro non c'era giustizia a quel mondo, perché anche loro portavano addosso dei nomi troppo pesanti che li punivano per delle colpe che non avevano, per delle scelte che erano state fatte da chi prima di loro si era affidato alla mente di un mezzosangue che voleva conquistare l'immortalità nutrendosi di vite altrui. 
 
Guardava ancora gli occhi dei suoi figli, di Scorpius e di Absentia e vedeva una luce nuova nei loro occhi, che mai aveva pensato di poter vedere: c'era speranza e spirito di rivalsa. Ma se lei non fosse riuscita ad essere una buona madre? Magari avrebbe dovuto portarli al mare, qualche volta, avrebbe dovuto prendere un elfo domestico o comprare un cane; o magari avrebbe dovuto fare dolci con loro, impiastricciarsi le mani e le guance di farina e poi giocare agli indiani. 
Ma lei non lo sapeva come si faceva la madre, non lo aveva mai saputo e sono cavolate quelle che 'lo impari quando partorisci come si crescono i figli' perché o lei era terribilmente anormale o c'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò. 
Non te lo insegna nessuno ad essere madre, a vedere il tuo corpo cambiare, ad avere altre vite sulla coscienza; non te lo insegna nessuno come proteggere qualcun altro e come privarlo delle più insulse ed effimere delle felicità di cui solo i bambini hanno bisogno solo per evitare che il peggio avvenga. 
Non aveva un modello di riferimento e per questo aveva comprato un sacco di libri che le spiegassero come diventare una buona madre, ma la verità è che quando diventi madre per la prima volta a ventidue anni, non riesci ad essere una buona madre.
Questo era l'alibi che si era sempre creata Pansy per sopperire al suo senso di inadeguatezza: troppo giovane, troppo incapace di provvedere a se stessa per poter provvedere al benessere di qualcun altro.
E poi dopo il primo, anche il secondo,  in quel periodo in cui lei e suo marito facevano l'amore per paura, per tenersi vicini quando il mondo li voleva allontanare, quando ogni istante sarebbe potuto essere l'ultimo. Si stringevano in un 'furore un po' panico'* e si scambiavano le anime, in gesti più vicini alla bellezza furtiva di due amanti che si scambiano i respiri piuttosto che a qualcosa di meccanico. 
Era arrivata Absentia ed il peso della sua vita si faceva sentire sempre, costantemente. 
Non era la nuora che i coniugi Malfoy si aspettavano di avere: non era regale, non era raffinata, aveva dei modi buffi - per non dire inadeguati - di cercare di mettersi al centro dell'attenzione. Eppure lei mai aveva detto una parola di troppo in loro presenza, era sempre stata discreta e taciturna, cercava silenziosamente di farsi accettare, come anni prima aveva fatto con Draco quando aveva comprato un vestitino rosa cipria per il ballo del ceppo.
'Sembri un confetto, sei orrenda'
Più o meno era la stessa reazione che  vedeva negli occhi pieni di disgusto di Lucius Malfoy e Narcissa Black - perché in quello sguardo c'era il sangue dei Black, non dei Malfoy. 
 
'Vivere, si disse, è un mestiere gramo*, non c'è che fare e da quando anche il suo unico barlume di felicità le era stato portato via da una luce verde che non perdona e non ha pietà di nessuno, la sua vita era piena di vuoti incolmabili.
Avrebbe provato ad essere una buona madre, certo. Le avrebbe provare tutte ma con l'unico grande interrogativo che i suoi figli, un giorno, avrebbero potuto rimpiangere una madre più capace di fare la madre e meno la padrona, una vera madre, insomma.
Questo non se lo sarebbe mai perdonato. 




Autrice: Innanzitutto vi ringrazio per aver impiegato un po' del vostro tempo nel leggere la mia storia. Se vi è Piaciuta, ne sono felice. Vi chiedo, in ogni caso, di lasciarmi una recensione in modo da poter capire dove e perché sbaglio. È la prima volta che pubblico qualcosa, mi farebbe piacere avere un vostro parere :) Un abbraccio!



* Chieso scusa ad Alessandro Baricco per aver scomodato le sue parole in questa storia da 4 soldi
   
 
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