Anomalo
"E...
se ti
dicessi che, se mi studiassero, troverebbero qualcosa di più
raro di un
Ordinale?"
John
registrò lontanamente la dottoressa Hooper lasciare la
stanza. Sherlock aveva detto quella frase eludendo il suo sguardo, in
tono
leggero, come se stesse parlando del tempo. Le mani serrate sul bordo
del
tavolo e le nocche quasi bianche per lo sforzo, però,
tradivano la sua
tensione.
Quell'affermazione
non aveva senso, e John lo sapeva bene.
"Non
esiste niente di più raro di un Ordinale."
Sherlock
si girò lentamente fino ad incontrare il suo
sguardo.
"Ti
sbagli."
Sherlock
Holmes era
sempre stato un bambino solitario. Quando aveva dieci anni sua madre
decise che
era arrivato il momento di fare in modo che quel ragazzino scorbutico e
incredibilmente geniale facesse amicizia con qualcuno della sua
età.
Mamma
Holmes pensò
quindi di iscrivere il figlio a un corso di nuoto ma ovviamente emerse
quasi subito
che Sherlock non sarebbe riuscito ad integrarsi nemmeno quella volta:
la sua
capacità di dedurre i compagni non lo mise in buona luce e
nel giro di una
lezione si vide spinto a tradimento nella piscina degli adulti
rischiando di
annegare.
A
quel punto sua madre,
dopo anni di tentativi, accolse di buon grado la sconfitta decidendo
che non
avrebbe più obbligato il figlio a "tediosi scambi sociali",
come
amava definirli lui. Dal canto suo, invece, Sherlock decise che non le
avrebbe
mai detto che l'episodio in piscina gli aveva lasciato molto di
più che il
semplice ricordo di una brutta esperienza.
Era
risaputo che
episodi traumatici potessero innescare la visione dei numeri. Quel
giorno, dopo
essere stato salvato dal bagnino, in infermeria Sherlock, guardando il
suo
riflesso, si ritrovò davanti all'impossibile: c'era un
numero sulla sua testa.
"In
che senso 'c'era un numero sulla tua testa'?"
chiese John incredulo.
"Esattamente
quello che ho detto. - rispose Sherlock
col piglio spazientito che John aveva già imparato ad
associare a lui - Vedo
un solo numero, il mio."
"Ma
questo non è possibile…ti avrebbero scoperto. Le
macchine dell'anagrafe sono programmate per individuare solo le quattro
categorie di Numerali, una cosa del genere verrebbe sicuramente
identificata
come anomala."
"Ovviamente.
Dato che non potevo rischiare che
scoprissero la mia 'anomalia', per dirla a tuo modo, a vent'anni,
quando sono
venuti a cercarmi, mi hanno fatto registrare nell'elenco degli
Ordinali."
"E
allora perché non sei nei laboratori a fare da
cavia, come hai detto prima?"
Sherlock
fece un sorrisetto. "Quando ho detto che
Mycroft mi proteggeva, non mentivo del tutto. Mio fratello, per quanto
mi
dispiaccia ammetterlo, è stato uno strumento utile alla mia
libertà. Ha fatto in
modo che William Holmes, il nome con cui ero registrato, risultasse
morto a
ventun anni a causa di un disgraziato incidente sulle Alpi Svizzere. In
questo
modo ho potuto vivere per alcuni anni fra i senzatetto di Londra sotto
il nome
Sherlock in attesa che mio fratello facesse carriera e riuscisse a
convincere
qualcuno di abbastanza potente per fare in modo da registrare me,
Sherlock
Holmes, come suo terzo fratello Geminato."
"Quando
dici 'convincere' intendi corrompere,
vero?"
"Ti
lascio alle tue deduzioni. -rispose Sherlock con
indifferenza- Non
ho mai saputo a chi si
sia rivolto, ma so che gli è costato parecchi favori, cosa
che non si risparmia
mai di ricordarmi almeno una volta a settimana." Il suo tono faceva
chiaramente capire che non si trattava di un eufemismo.
John
era senza parole. Sapeva che c'era ancora una domanda,
quella più importante, da rivolgere al suo coinquilino.
Mentre riorganizzava le
idee e cercava le parole giuste, si rese conto di avere il cuore in
gola.
"Il
numero che vedi…cosa rappresenta?"
Sherlock
prese fiato, provò a parlare ma non uscì niente.
John lo conosceva da poco, ma aveva già capito che se
qualcosa riusciva a
lasciare Sherlock Holmes senza parole doveva davvero essere molto
vicino allo
sconvolgente.
"Non
l'ho capito per molto tempo. Il numero cambiava,
continuamente. Per settimane diminuiva progressivamente per poi salire
a un
numero spropositato, nell'ordine della decina d'anni. A ventiquattro
anni ho
iniziato a tenere un diario: ogni giorno scrivevo quello che vedevo,
cercando
di trovare un pattern, un qualcosa che mi aiutasse a capire cosa
indicasse e
perché fosse sulla mia testa al posto che su quella degli
altri. - Sherlock si
era alzato dalla sedia e aveva preso a camminare avanti e indietro,
senza
incontrare lo sguardo di John, come se lui in effetti non fosse
lì - Non sapere
mi tormentava. Iniziai a coprire tutti gli specchi e qualunque cosa
potesse
restituire il mio riflesso. Riuscire a risolvere gli enigmi
più impossibili e
non riuscire a venire a capo del mio era il mio inferno personale."
Si
fermò di scatto, riprese fiato e ritornò a
guardare
verso John. Nei suoi occhi c'era un tormento che lo fece quasi sentire
male.
"Era
diventata la mia ossessione e la noia che
continuamente mi perseguitava mi spinsero verso la cocaina. Poi un
giorno, il
calcolo errato di una dose mi ha fatto quasi andare all'altro mondo.
L'ultima
cosa che ricordo prima di svenire è il mio riflesso sul
forno della cucina e il
numero sulla mia testa: infinito.
Mentre stavo per morire, il numero era infinito,
John! Pensai che indicasse qualcosa che riguardava la mia morte, ma
sicuramente
non potevo essere un caso strano di Moirente perché
altrimenti avrei dovuto
vedere zero."
Sherlock
si era fermato, le labbra serrate che si
tendevano. Sembrava che ci fosse qualcosa a bloccarlo, una confessione
troppo
grande da ammettere. In un'altra situazione, John gli avrebbe detto che
poteva
parlargliene quando se la sentiva, ma la verità era che
pensava di essere stato
tenuto troppo sul filo per non meritare una risposta.
"Quindi?
L'hai mai capito?" chiese senza
preoccuparsi di non far trasparire la sua curiosità.
"Sì,
e devo ammettere che la soluzione di questo
mistero è veramente terribile, da film romantico di terza
categoria. Come se la
vita fosse veramente così." rispose Sherlock con evidente
disappunto. Poi
prese un respiro profondo e ricominciò a parlare come se
stesse confessando
chissà quale peccato mortale: "È successo che,
qualche giorno prima di
conoscerti, il numero è di nuovo schizzato a infinito. Era
capitato un'altra
volta qualche mese prima e in una situazione in cui io non ero in
pericolo di
vita, quindi avevo iniziato a pensare che il mio numero fosse collegato
a
un'altra persona. Guarda caso, e per la prima volta nella mia vita, il
giorno
prima di conoscerti mi ero ritrovato un 1
fosforescente sulla testa. Quella mattina, al Barts, stavo facendo
esperimenti
con la consapevolezza che, dopo anni, ero arrivato a zero
e che avrei trovato la risposta al mio mistero personale. E
poi sei arrivato tu."
John
stava giusto iniziando a capire dove Sherlock stava
andando a parare e rimase sorpreso dal sentire il disprezzo che
Sherlock aveva
inserito nell'ultima frase.
"Non
essere troppo entusiasta, eh?"
"Ma non capisci John? Ho passato la vita a impazzire dietro a questa
cosa
e alla fine scopro che ha a che fare con i sentimenti!
Proprio a me, dico? Ci può essere più ironia in
tutto questo? È così…banale.
È un cliché." Sherlock
sembrava seriamente in crisi per la situazione.
John
dal canto suo stava cercando di capire quale dei due
stati d'animo fare prevalere: se quello offeso per essere stato
classificato
senza molti giri di parole come ‘banale’ o quello
sconvolto che voleva capire
meglio la situazione.
"Tanto
per essere assolutamente chiari e trasparenti:
mi stai dicendo che il tuo numero ha sempre indicato i giorni che
mancavano a
incontrarci?" Cercava di mantenere un tono calmo e ragionevole davanti
all'assurdità della situazione, ma era quasi sicuro di non
riuscire a
convincere l'altro.
"O,
per metterla in termini di film romantico di terza
categoria, apparentemente 'è una
vita che
ti aspettavo'." rispose Sherlock con un'alzata di occhi
talmente
potente che John per un secondo temette di vedergli i bulbi oculari
uscire
dalle orbite.
John
avrebbe potuto esprimere pensieri elaborati, come ad
esempio il fatto che c'erano davvero troppe ma troppe variabili in
gioco per
pensare seriamente in termini di coinvolgimento romantico, tuttavia
l'unica
cosa che riuscì a dire fu un atono "Ah".
Evidentemente
Sherlock lo interpretò come un cattivo segno
e si affrettò subito a chiarire: "Io non so cosa
effettivamente voglia
dire tutto questo, ma è un dato di fatto che per qualche
motivo noi siamo
destinati a incontrarci. Questo non vuol dire che non possiamo
stringerci la
mano adesso, salutarci e decidere di non vederci più per il
resto delle nostre
vite, John, è importante che tu lo capisca. Sono solo
numeri, siamo noi a
decidere."
Mentre
le sue parole dicevano una cosa, la sua espressione
tradiva i segni di un dolore sempre tenuto a bada: la sensazione di
essere
diversi ma la volontà, allo stesso tempo, di essere normali
e di passare
inosservati. L'impossibilità di ottenere questa cosa aveva
spinto quell'uomo
eccezionale a rimanere solo tutta la vita. Anche John aveva portato con
sé
quella paura, dal momento in cui, per essere precisi, il dottore
dell'Anagrafe
gli aveva confermato di essere un Moirente. Forse era per quello, si
disse in
un momento di incredula lucidità, che per qualche strano
motivo loro due 'si
stavano cercando'.
"Certo,
possiamo decidere. - rispose John fissandosi
le scarpe - Però al momento non siamo abbastanza impegnati?"
Sherlock
lo guardò con un'espressione interrogativa e anche
un po' speranzosa.
"-
Abbiamo un caso da risolvere. Dobbiamo davvero parlare
dei massimi sistemi adesso? Ci conosciamo da meno di un settimana, mi
sembra un
po' presto per i programmi a lungo termine." John stava sorridendo e
Sherlock, dopo avergli scoccato un'occhiata sollevata e incredula,
prese il suo
cappotto e lanciò a John il suo.
"Vera
Deyong - prese ad elencare il detective
riassumendo i fatti - Politica di spicco e difensore dei Moirenti che
sparisce
nella notte da una casa senza passare né dalla finestra
né dalla porta. Direi
che sì, abbiamo un caso molto interessante e non dovremmo
stare qui a perdere
tempo. Sei pronto?" gli chiese con un sorriso e uno strano luccichio
negli
occhi.
"Il
gioco è iniziato." rispose John, rubandogli
la battuta.
Mentre salivano in taxi, John con un po' d'ansia si ripeté che in effetti non era decisamente il momento di fare piani a lungo termine perché, se proprio doveva dare retta al numero che vedeva sulla testa di Sherlock - sempre un 6- , probabilmente il lungo termine avrebbe potuto non diventare mai un loro problema.
Ci ho messo un po', lo so! è stato un periodo abbastanza stressante e la voglia di scrivere era proprio pari a zero.
Sono un po' nervosa per questo capitolo, è una sorta di "giro di boa" nel rapporto tra i personaggi, spero vi sia piaciuto.
Ringrazio ancora Sara, che è la mia editor e fangirl numero uno <3
V.