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Autore: isteria    02/03/2015    6 recensioni
In un mondo dove le persone hanno dei poteri speciali, John Watson si trova nella situazione più sfortunata di tutte: può vedere quanti giorni mancano alla morte di chi gli sta intorno e per questo motivo è certo che la sua vita farà sempre abbastanza schifo.
Questo almeno fino a quando non incontra Sherlock Holmes e ha l'occasione di salvare Londra e quelli come lui dal loro destino.
Genere: Sentimentale, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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cap4

Anomalo

 

"E... se ti dicessi che, se mi studiassero, troverebbero qualcosa di più raro di un Ordinale?"

 

John registrò lontanamente la dottoressa Hooper lasciare la stanza. Sherlock aveva detto quella frase eludendo il suo sguardo, in tono leggero, come se stesse parlando del tempo. Le mani serrate sul bordo del tavolo e le nocche quasi bianche per lo sforzo, però, tradivano la sua tensione.

Quell'affermazione non aveva senso, e John lo sapeva bene.

"Non esiste niente di più raro di un Ordinale."

Sherlock si girò lentamente fino ad incontrare il suo sguardo.

"Ti sbagli."

 

 

Sherlock Holmes era sempre stato un bambino solitario. Quando aveva dieci anni sua madre decise che era arrivato il momento di fare in modo che quel ragazzino scorbutico e incredibilmente geniale facesse amicizia con qualcuno della sua età.

Mamma Holmes pensò quindi di iscrivere il figlio a un corso di nuoto ma ovviamente emerse quasi subito che Sherlock non sarebbe riuscito ad integrarsi nemmeno quella volta: la sua capacità di dedurre i compagni non lo mise in buona luce e nel giro di una lezione si vide spinto a tradimento nella piscina degli adulti rischiando di annegare.

A quel punto sua madre, dopo anni di tentativi, accolse di buon grado la sconfitta decidendo che non avrebbe più obbligato il figlio a "tediosi scambi sociali", come amava definirli lui. Dal canto suo, invece, Sherlock decise che non le avrebbe mai detto che l'episodio in piscina gli aveva lasciato molto di più che il semplice ricordo di una brutta esperienza.

Era risaputo che episodi traumatici potessero innescare la visione dei numeri. Quel giorno, dopo essere stato salvato dal bagnino, in infermeria Sherlock, guardando il suo riflesso, si ritrovò davanti all'impossibile: c'era un numero sulla sua testa.

 

"In che senso 'c'era un numero sulla tua testa'?" chiese John incredulo.

"Esattamente quello che ho detto. - rispose Sherlock col piglio spazientito che John aveva già imparato ad associare a lui -  Vedo un solo numero, il mio."

"Ma questo non è possibile…ti avrebbero scoperto. Le macchine dell'anagrafe sono programmate per individuare solo le quattro categorie di Numerali, una cosa del genere verrebbe sicuramente identificata come anomala."

"Ovviamente. Dato che non potevo rischiare che scoprissero la mia 'anomalia', per dirla a tuo modo, a vent'anni, quando sono venuti a cercarmi, mi hanno fatto registrare nell'elenco degli Ordinali."

"E allora perché non sei nei laboratori a fare da cavia, come hai detto prima?"

Sherlock fece un sorrisetto. "Quando ho detto che Mycroft mi proteggeva, non mentivo del tutto. Mio fratello, per quanto mi dispiaccia ammetterlo, è stato uno strumento utile alla mia libertà. Ha fatto in modo che William Holmes, il nome con cui ero registrato, risultasse morto a ventun anni a causa di un disgraziato incidente sulle Alpi Svizzere. In questo modo ho potuto vivere per alcuni anni fra i senzatetto di Londra sotto il nome Sherlock in attesa che mio fratello facesse carriera e riuscisse a convincere qualcuno di abbastanza potente per fare in modo da registrare me, Sherlock Holmes, come suo terzo fratello Geminato."

"Quando dici 'convincere' intendi corrompere, vero?"

"Ti lascio alle tue deduzioni. -rispose Sherlock con indifferenza-  Non ho mai saputo a chi si sia rivolto, ma so che gli è costato parecchi favori, cosa che non si risparmia mai di ricordarmi almeno una volta a settimana." Il suo tono faceva chiaramente capire che non si trattava di un eufemismo.

John era senza parole. Sapeva che c'era ancora una domanda, quella più importante, da rivolgere al suo coinquilino. Mentre riorganizzava le idee e cercava le parole giuste, si rese conto di avere il cuore in gola.

"Il numero che vedi…cosa rappresenta?"

Sherlock prese fiato, provò a parlare ma non uscì niente. John lo conosceva da poco, ma aveva già capito che se qualcosa riusciva a lasciare Sherlock Holmes senza parole doveva davvero essere molto vicino allo sconvolgente.

"Non l'ho capito per molto tempo. Il numero cambiava, continuamente. Per settimane diminuiva progressivamente per poi salire a un numero spropositato, nell'ordine della decina d'anni. A ventiquattro anni ho iniziato a tenere un diario: ogni giorno scrivevo quello che vedevo, cercando di trovare un pattern, un qualcosa che mi aiutasse a capire cosa indicasse e perché fosse sulla mia testa al posto che su quella degli altri. - Sherlock si era alzato dalla sedia e aveva preso a camminare avanti e indietro, senza incontrare lo sguardo di John, come se lui in effetti non fosse lì - Non sapere mi tormentava. Iniziai a coprire tutti gli specchi e qualunque cosa potesse restituire il mio riflesso. Riuscire a risolvere gli enigmi più impossibili e non riuscire a venire a capo del mio era il mio inferno personale."

Si fermò di scatto, riprese fiato e ritornò a guardare verso John. Nei suoi occhi c'era un tormento che lo fece quasi sentire male.

"Era diventata la mia ossessione e la noia che continuamente mi perseguitava mi spinsero verso la cocaina. Poi un giorno, il calcolo errato di una dose mi ha fatto quasi andare all'altro mondo. L'ultima cosa che ricordo prima di svenire è il mio riflesso sul forno della cucina e il numero sulla mia testa: infinito. Mentre stavo per morire, il numero era infinito, John! Pensai che indicasse qualcosa che riguardava la mia morte, ma sicuramente non potevo essere un caso strano di Moirente perché altrimenti avrei dovuto vedere zero."

Sherlock si era fermato, le labbra serrate che si tendevano. Sembrava che ci fosse qualcosa a bloccarlo, una confessione troppo grande da ammettere. In un'altra situazione, John gli avrebbe detto che poteva parlargliene quando se la sentiva, ma la verità era che pensava di essere stato tenuto troppo sul filo per non meritare una risposta.

"Quindi? L'hai mai capito?" chiese senza preoccuparsi di non far trasparire la sua curiosità.

"Sì, e devo ammettere che la soluzione di questo mistero è veramente terribile, da film romantico di terza categoria. Come se la vita fosse veramente così." rispose Sherlock con evidente disappunto. Poi prese un respiro profondo e ricominciò a parlare come se stesse confessando chissà quale peccato mortale: "È successo che, qualche giorno prima di conoscerti, il numero è di nuovo schizzato a infinito. Era capitato un'altra volta qualche mese prima e in una situazione in cui io non ero in pericolo di vita, quindi avevo iniziato a pensare che il mio numero fosse collegato a un'altra persona. Guarda caso, e per la prima volta nella mia vita, il giorno prima di conoscerti mi ero ritrovato un 1 fosforescente sulla testa. Quella mattina, al Barts, stavo facendo esperimenti con la consapevolezza che, dopo anni, ero arrivato a zero e che avrei trovato la risposta al mio mistero personale. E poi sei arrivato tu."

John stava giusto iniziando a capire dove Sherlock stava andando a parare e rimase sorpreso dal sentire il disprezzo che Sherlock aveva inserito nell'ultima frase.

"Non essere troppo entusiasta, eh?"
"Ma non capisci John? Ho passato la vita a impazzire dietro a questa cosa e alla fine scopro che ha a che fare con i sentimenti! Proprio a me, dico? Ci può essere più ironia in tutto questo? È così…banale. È un cliché." Sherlock sembrava seriamente in crisi per la situazione.

John dal canto suo stava cercando di capire quale dei due stati d'animo fare prevalere: se quello offeso per essere stato classificato senza molti giri di parole come ‘banale’ o quello sconvolto che voleva capire meglio la situazione.

"Tanto per essere assolutamente chiari e trasparenti: mi stai dicendo che il tuo numero ha sempre indicato i giorni che mancavano a incontrarci?" Cercava di mantenere un tono calmo e ragionevole davanti all'assurdità della situazione, ma era quasi sicuro di non riuscire a convincere l'altro.

"O, per metterla in termini di film romantico di terza categoria, apparentemente 'è una vita che ti aspettavo'." rispose Sherlock con un'alzata di occhi talmente potente che John per un secondo temette di vedergli i bulbi oculari uscire dalle orbite.

John avrebbe potuto esprimere pensieri elaborati, come ad esempio il fatto che c'erano davvero troppe ma troppe variabili in gioco per pensare seriamente in termini di coinvolgimento romantico, tuttavia l'unica cosa che riuscì a dire fu un atono "Ah".

Evidentemente Sherlock lo interpretò come un cattivo segno e si affrettò subito a chiarire: "Io non so cosa effettivamente voglia dire tutto questo, ma è un dato di fatto che per qualche motivo noi siamo destinati a incontrarci. Questo non vuol dire che non possiamo stringerci la mano adesso, salutarci e decidere di non vederci più per il resto delle nostre vite, John, è importante che tu lo capisca. Sono solo numeri, siamo noi a decidere."

Mentre le sue parole dicevano una cosa, la sua espressione tradiva i segni di un dolore sempre tenuto a bada: la sensazione di essere diversi ma la volontà, allo stesso tempo, di essere normali e di passare inosservati. L'impossibilità di ottenere questa cosa aveva spinto quell'uomo eccezionale a rimanere solo tutta la vita. Anche John aveva portato con sé quella paura, dal momento in cui, per essere precisi, il dottore dell'Anagrafe gli aveva confermato di essere un Moirente. Forse era per quello, si disse in un momento di incredula lucidità, che per qualche strano motivo loro due 'si stavano cercando'.

"Certo, possiamo decidere. - rispose John fissandosi le scarpe - Però al momento non siamo abbastanza impegnati?"

Sherlock lo guardò con un'espressione interrogativa e anche un po' speranzosa.

"- Abbiamo un caso da risolvere. Dobbiamo davvero parlare dei massimi sistemi adesso? Ci conosciamo da meno di un settimana, mi sembra un po' presto per i programmi a lungo termine." John stava sorridendo e Sherlock, dopo avergli scoccato un'occhiata sollevata e incredula, prese il suo cappotto e lanciò a John il suo.

"Vera Deyong - prese ad elencare il detective riassumendo i fatti - Politica di spicco e difensore dei Moirenti che sparisce nella notte da una casa senza passare né dalla finestra né dalla porta. Direi che sì, abbiamo un caso molto interessante e non dovremmo stare qui a perdere tempo. Sei pronto?" gli chiese con un sorriso e uno strano luccichio negli occhi.

"Il gioco è iniziato." rispose John, rubandogli la battuta.

Mentre salivano in taxi, John con un po' d'ansia si ripeté che in effetti non era decisamente il momento di fare piani a lungo termine perché, se proprio doveva dare retta al numero che vedeva sulla testa di Sherlock - sempre un 6- , probabilmente il lungo termine avrebbe potuto non diventare mai un loro problema.


Ci ho messo un po', lo so! è stato un periodo abbastanza stressante e la voglia di scrivere era proprio pari a zero.

Sono un po' nervosa per questo capitolo, è una sorta di "giro di boa" nel rapporto tra i personaggi, spero vi sia piaciuto.

Ringrazio ancora Sara, che è la mia editor e fangirl numero uno <3

V.

 

  
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