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Autore: Alethe    10/12/2008    0 recensioni
Colpa dell'insonnia, o della mia inveterata follia: a questi due problemi insormontabili è legata la nascita di questa fanfiction. Protagonista è lo splendido, ma purtroppo troppo poco discusso, Generale Cross Marian. La fic si colloca immediatamente dopo la Night 169. Enjoy!
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Colpito.
Era stato colpito, lui che per anni era stato inafferrabile, introvabile.
Colpito senza potersi in alcun modo opporre.
E mentre il sangue sgorgava dalla sua ferita aperta, non poteva impedirsi di pensare ciò che, tanto tempo prima, aveva detto al suo allievo: “Odio quel posto…”
Le due guardie spalancarono la porta. Forse era stato lo sparo a svegliarle, e neppure se ne rendevano conto.
Perché quelle facce? Mai visto un po’ di sangue?
Il Generale giaceva accasciato su una spalla, la testa penzoloni, sul davanzale della propria finestra.
Le guardie si allontanarono per chiamare soccorso.
“Non è possibile” avrebbero detto poi, interrogate, “non avrebbe dovuto essere in grado di muoversi!”
Perché, al loro ritorno, la stanza era vuota.
L’ultimo atto del Generale era stato l’abbandono della propria arma e della propria maschera, quasi a voler infine rompere ogni legame con il suo passato di Esorcista. Quello che camminava lungo le strade di Londra era Cross Marian, comune cittadino- niente distintivi, niente uniformi.
Ma come era potuto accadere?
Le lacrime, le lacrime dovevano averlo distratto. Si stava rammollendo, o forse questi erano segni della vecchiaia incipiente.
Da tanto tempo non gli succedeva di piangere.
Ne aveva viste troppe per potersi permettere il lusso di farlo… Forse era per questo motivo che le sue lacrime non potevano non essere accompagnate dal sangue.
Ora è finita, è finita per davvero.
Ma per loro, sarebbe mai finita? Per quelli che non scappavano, per colui che aveva cresciuto in nome di una promessa, la pace era un’illusione effimera e labile.
Allen si è fatto grande.
Ed era diventato forte.
Di lui, non c’era più bisogno…
Eppure, proprio per Allen erano state quelle lacrime, per quel bambino che nella sua vita aveva avuto solo un anelito di libertà (quella libertà che lui, Cross Marian, capiva e aveva tanto cara), ed anche quello gli era stato tolto.
A quel bambino, no, a quel ragazzo, cosa restava?
Ho mantenuto la promessa, Mana, diceva intanto tra sé e sé, E con tutte le promesse che ho rotto, chissà perché alla tua ho prestato ascolto…!
Coppiette passeggiavano sulle rive del Tamigi.
Il fiume sporco scorreva lento sotto i tanti ponti… Il volto di Anita fece capolino tra i suoi ingarbugliati pensieri. Già, lei dormiva in fondo al mare, povera creatura coraggiosa, giovane donna ardita. E quanti con lei, vittime di questa guerra infinita!
Ma no, non doveva pensare a lei, non ora.
Con calma, forse, più tardi.
Per distrarsi, si immaginò il volto di quell’idiota di Leverrier (credeva di sapere tutto, ma non sapeva niente, niente): avrebbe detto che era stato suicidio; gli avrebbero fatto notare che “Il Generale era ancora vivo, signore”- tutti sapevano che Cross Marian non sbagliava un colpo- e poi? Poi sarebbe stata l’ennesima fuga…
Solo che da questa non ci sarebbe stato alcun ritorno.
Il generale era servito al suo scopo, ed alle alte sfere non importava nulla dell’uomo.
Trovare chi ha sparato... Vendetta…
Ma intanto entrò in un locale, si sedette al bancone, ordinò qualcosa di forte.
Era solo il fumo dei sigari, quello che oscurava la stanza e gli annebbiava la vista? Ricordò vagamente di aver perso del sangue… Molto sangue…
Gli servirono un qualche beverone di dubbia provenienza, Marian Cross ne trangugiò un sorso. Sapeva di acqua sporca, che forse era anche la sua componente principale.
“Questa roba la chiami forte? Lo sarà solo per il sistema immunitario!”
L’oste si rese conto di avere a che fare con un cliente esperto: da sotto il bancone tirò fuori una fiaschetta e ne riempì abbondantemente un bicchiere.
“Tieni, amico, sembri un po’ pallidino… Questo ti ridarà colore!”
Il cliente beveva lentamente… Distrattamente l’oste si chiese se aveva i soldi per pagare la vodka, che costava cara perché importata di contrabbando. Del resto, il problema dei soldi non sembrava preoccupare eccessivamente l’avventore.
Guardava il fondo di vetro sbreccato e pensava vagamente alle fredde terre russe. Era passato da quelle steppe interminabili più di una volta, poteva dire di conoscere Mosca meglio dei suoi stessi abitanti.
Eh, le belle donne di Mosca, avvolte nelle loro pellicce e nei manicotti, i piedini stretti negli stivaletti…
Camminavano, le belle donne di Mosca, nella neve candida. Degli stermini perpetuati nelle gelide notti invernali dagli Akuma, non sapevano nulla- del resto i cadaveri rimasti sulle strade venivano fatti sparire in fretta, e il candore della neve copriva anche lo sporco più nero. Ingoiò le ultime gocce di vodka.
Gli si avvicinò la figlia dell’oste, una donna non alta, non bella (ma forse sembrava tanto brutta solo per il contrappunto creato dal ricordo di quelle altre donne), per chiedergli se voleva prenotare una stanza. Fu tentato di rispondere che no, era solo di passaggio, quando gli tornò alla mente la chiazza di sangue, il suo sangue, che macchiava la sua stanza all’Ordine Oscuro. Accettò, ed andò a coricarsi.
Sdraiato sul letto supino, senza più maschere che ne alterassero il viso, Cross Marian pregò.
Ma, come aveva fatto quando ancora era un Esorcista, lo fece a modo suo…
Non cercatemi… Fatemi riposare, riposare in pace.
  
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