Do
you miss
me? ‘Cause I miss you
Ovunque
il suo sguardo
si spostasse, trovava solo bianco su bianco; neve scintillante sotto i
raggi
del sole, neve che imbiancava le strade e i tetti e i fragili, sottili
rami
degli alberi.
Faceva
freddo,
nonostante tutte le finestre di casa fossero chiuse e il fuoco
scoppiettasse
nel camino. Gerard si strinse nel cappotto scuro e lanciò
un’ultima occhiata
fuori dalla finestra, prima di abbassare lo sguardo sui suoi fogli
stropicciati
e fitti di scrittura.
Stava
scrivendo da quasi
un’ora. Per la prima volta dopo molto tempo sentiva il
bisogno di scrivere, di
figurarsi nella testa ritmi e melodie accennate. Non che avesse mai
smesso
completamente di scrivere, certo; ma era da tanto che la sua mano non
si
muoveva così frenetica, in preda a un’ispirazione
febbrile. E forse, rifletté
Gerard mentre sorseggiava un po’ di caffè dalla
sua tazza, se fosse riuscito a
terminare e mettere a punto abbastanza canzoni avrebbe potuto persino
farne un
album da solista.
Adesso
però si era bloccato
su una dannata riga.
Gerard
poggiò la tazza
ormai vuota sul tavolo e mordicchiò distrattamente la penna,
mentre faceva
nuovamente vagare lo sguardo fuori dalla finestra. Si sentiva qualcosa
nello
stomaco, come una stretta ferrea, una sensazione indefinita, nostalgia
corrosiva come acido, e lui non voleva soffermarsi ad indagare sul
motivo di
quella nostalgia.
Si
girò per guardare
Bandit; la piccola si era addormentata sul divano e ora se ne stava
lì, con i
piccoli pugni stretti intorno alla coperta azzurra con cui Gerard
l’aveva
avvolta, i capelli rovesciati sul viso addormentato.
Gerard
sorrise nel
vederla. Sua figlia lo faceva sempre sorridere. Era la cosa
più bella della sua
vita e insieme a Lisndey lo rendeva felice, totalmente felice.
Non
voleva ammettere che
quella felicità aveva una crepa.
Riprese
a giocherellare
con la penna. Quando non riusciva a trovare l’ispirazione per
scrivere,
iniziava sempre a chiedersi cosa c’era dentro di lui in quel
momento. Che cosa
provava, che cosa stava succedendo nella sua vita.
Un’esperienza a cui
attingere. Qualcosa di cui scrivere.
Cosa
provo ora? Chi sono ora? Sono Gerard Way. Sono sposato con Lisndey, ho
una
figlia di nome Bandit, scrivo e disegno fumetti, sono un
cantante… ero un
cantante, il cantante dei My Chemical Romance. Ho sciolto i My Chemical
Romance
nove mesi fa e mi mancano, mi mancheranno sempre, e non vedo Frank da
mesi, mi
manca Frank, il mio Frank..
Lasciò
cadere la penna
sul tavolo. Ecco la nostalgia che gli stringeva di nuovo lo stomaco.
Faceva
così male e ormai era inutile continuare a mentire a se
stesso.
Aprì
il suo quaderno,
strappò altri fogli e afferrò di nuovo la penna,
e ora sapeva cosa dire, sapeva
di cosa parlare, le parole gli ribollivano dentro, scorsero come un
fiume in
piena quando la penna toccò il foglio.
“Mi
manchi, Frank.
Mi
manchi così tanto che
a volte mi sembra di tenere in mano il mio cuore e vederlo sanguinare,
o forse
sei tu ad averlo in mano, sei tu che continui a pugnalarlo e ferirlo e
a farmi
così male.
Sto
bene. Non posso dire
di non stare bene. Ma nonostante questo, nonostante i miei sorrisi,
nonostante
la felicità che cerco ogni giorno di conquistare e
mantenere, sento sempre che
in fondo c’è qualcosa che non va. E sei tu. Sei la
mia parte mancante, sei un
pezzo del mio cuore e una goccia del mio sangue e forse, anche se
adesso sto
andando avanti senza di te, forse non accetterò mai
completamente il fatto che
tu non sia più con me.
Eri
la mia metà. Eri la
cosa più bella della mia vita. Sai, tutti quegli stupidi
discorsi fatti
sull’anima gemella e l’amore della propria
vita… a volte un po’ ci credevo,
quando eravamo insieme.
Ho
passato tutta la mia
vita cercando una persona che fosse perfetta per me. Una persona simile
a me e
al contempo diversa e sfaccettata. Una persona che avrei incontrato
come se le
nostre vite fossero destinate a intrecciarsi. Una persona di cui avrei
potuto
dire: siamo solo noi due contro il mondo, e insieme questo mondo lo
conquisteremo.
Quella
persona eri tu.
Il banale “siamo fatti per stare insieme” non
sembrava poi così banale quando
tu mi baciavi. Avevo creduto che insieme fossimo eterni,
indistruttibili. Che
avremmo vissuto per sempre se tu avessi avuto il tempo.
Ti
vedevo come
perfezione, anche se perfetto non lo eri, ma tu eri bellissimo nella
tua
umanità e nelle tue imperfezioni. Erano quelle che ti
rendevano giusto per me. Fa male
perdere qualcosa
di così bello e importante che neanche tutte le parole di
questo universo
potrebbero descrivere.
Scivoli
via come
pioggia, come la neve qui fuori che svolazza leggera. È
stato bello illudersi
ma forse un po’ tutto è destinato a finire, forse
questo fantomatico vero amore
che dura tutta la vita non esiste.
A
volte mi chiedo perché
è finita, perché ora non sei qui accanto a me. A
volte mi chiedo come ho fatto
ad essere così fortunato da incontrarti, da vivere e
assaporare la cosa più
bella che sia mai capitata nella mia vita.
E
ricordo. Ricordo come
mi baciavi e mi toccavi e le tue mani nei miei capelli e il tuo respiro
sulla
mia pelle quando facevamo l’amore. Ricordo che insieme
ridevamo come pazzi e
parlavamo, parlavamo di tutto fino a consumarci la gola e io amavo
parlare con
te perché avevi sempre qualcosa da dire e idee da
condividere e pensieri da
esprimere. Ricordo le lacrime che ci siamo asciutti a vicenda, i
momenti che
abbiamo condiviso per dodici anni, i sorrisi e gli sguardi che ci
scambiavamo
in continuazione perché non potevamo fare a meno di
continuare a cercarci.
Ricordo
la musica sul
palco, le urla dei ragazzi quando ci baciavamo davanti a tutti e tu mi
toccavi
e ti muovevi contro di me, e io dovevo usare tutto il mio autocontrollo
per
fingere di rimanere tranquillo e impassibile.
Ricordo
che tenevi
insieme i miei pezzi quando ero sul punto di crollare e c’eri
sempre, ci sei
sempre stato anche quando toccavo il fondo e ora non ci sei
più e non sono
ancora riuscito a trovare un vero e proprio senso del perché
è finita.
Eri
tutto. Sei tutto. Vorrei stare con
te ora,
semplicemente noi due rannicchiati accanto al camino, io che ti bacio e
tu che
mi sorridi come facevi sempre.
Ora
non mi sorridi più,
non puoi vedermi. E mi manchi terribilmente.
Ti
amo, Frank. Mi
manchi. Mi viene da chiedermi se per te è lo stesso, se
anche tu in questo
momento magari sei disteso sul letto e stai ricordando me. Vorrei
averti
lasciato qualcosa, ricordi che bruciano, momenti che non riuscirai mai
a
lasciar andare. Perché io non lascerò mai andare
il passato, non riuscirò mai a
lasciar andare te. Semplicemente non posso perché sei stato
troppo importante.
E vorrei essere stato lo stesso per te.
Mi
manchi così tanto da
star male. È lo stesso per te?”
Rimase
fermo a leggere e
rileggere quelle parole per un tempo incalcolabile.
Si
sentiva di colpo
vuoto, leggero, come se si fosse appena liberato di un peso che
opprimeva ogni
centimetro del suo corpo. Quel peso forse erano quelle parole che
adesso
giacevano sulla carta, nero su bianco, la sua anima messa a nudo.
Lui avrebbe letto
quelle parole, decise
Gerard. Non poteva lasciarle lì a morire, a consumarsi nel
tempo e nel
silenzio. In qualche modo avrebbe ritrovato l’indirizzo di
Frank, avrebbe preso
quella lettera e gliel’avrebbe spedita.
Tornò
a guardare il
foglio dove stava scrivendo la sua canzone. Aveva cercato
l’ispirazione per l’ultima
riga e ne era nata una vera e propria lettera. Ma forse c’era
qualcosa che
poteva scrivere per concludere il testo della canzone.
Prese
la penna e
aggiunse quella frase, una semplice, piccola frase che non sarebbe mai
riuscita
ad esprimere tutto l’universo che lui aveva dentro, tutto
ciò che avrebbe
voluto dire a Frank, ma forse bastava a racchiudere un concetto. La
cosa più
importante.
Do you miss me? ‘Cause I miss you.