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Autore: Il_Capitano    02/03/2015    0 recensioni
Un soldato delle SS a Norimberga quante speranze può avere?
E se in realtà non fosse chi dice di essere?
Se questa realtà nascosta cambiasse in maniera subliminale il corso della Storia?
Genere: Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Norimberga, 1946
Quella mattina mi alzai presto…
Come se avessi avuto altra scelta, di li a due ore sarei stato processato per crimini contro l’umanità…
Io, Franz Guffeldorf, ex-membro del partito nazional-socialista e nobile Conte della Baviera ero accusato di una cosa così ignobile il cui solo pensiero mi causava sensi di nausea e vertigini…
La mia colpa? Essermi arruolato nelle SS e aver difeso la mia Patria versando sangue e lacrime amare…
Ciò di cui loro, questi finti  giudici moralisti, mi accusavano io non lo avevo mai fatto né avevo mai dato ordine di fare…
Una volta che mi fui seduto sulla mia sedia un avvocato Americano iniziò con le prime domande:
“Signor Guffeldorf,  qui c’è scritto che lei appartiene alle unità d’assalto Waffen SS… è vero?”.
In aula non c’erano, almeno per me, avvocati difensori o personale incaricato di aiutarmi, potevo contare solo sulla mia capacità di autoconservazione e sulla fortuna.
Risposi:
“Si, mi sono arruolato nel 1940, all’età di ventiquattro anni”.
L’avvocato continuò:
“Bene, ed è sempre vero che lei è stato impiegato sia sul fronte Orientale che, successivamente, in quello francese?”.
Una piccola parte di me aveva già capito dove sarebbe andato a parare con la prossima domanda, quindi mi affrettai a rispondere:
“Si, però sempre con compiti puramente legati alle operazioni di combattimento”.
Quell’uomo mi guardò storto, evidentemente scocciato da quelle informazioni che non tornavano utili all’accusa che precipitosamente si affrettò a pormi:
“Con questa dichiarazione cosa intende sottolineare? Che lei è innocente? Che è solo un soldato? Vuole sapere quanti di voi ci hanno ripetuto le stesse cose? Ora magari mi verrà a dire che temi come l’Olocausto o la pulizia etnica le sono completamente estranei!”.
A quelle parole mi alzai come una molla e inutili furono i tentativi della polizia militare per farmi rimettere a sedere. Feci qualche passo in direzione dell’avvocato, guardando bene dall’avvicinarmi troppo per non causare una reazione violenta da parte dei soldati che poco prima volevano rimettermi in riga.
Davo tranquillamente quindici o venti centimetri a quel paffuto Americano dalla testa calva e gli occhi scuri, e la cosa mi portava dentro una soddisfazione inimmaginabile; forse a ricordo di quando, al campo di addestramento, ci ripetevano che noi eravamo la razza superiore.
Scelsi con cura le parole che pronunciai subito dopo, senza staccare i miei occhi azzurri come il ghiaccio da quell’ometto che sembrava farsi sempre più piccolo ad ogni mia parola; dissi:
“Io sono Franz Guffeldorf, Conte di Baviera e Capitano delle Waffen SS, ho dato il sangue per il mio paese cosa che, a giudicare dalla sua pancia prominente, lei non ha evidentemente fatto.
Ho combattuto in Russia, quando noi tedeschi credevamo ancora di poter vincere la guerra, e poi in Francia, quando tutti sapevamo bene che ora mai era tutto finito…”.
A questo punto feci una pausa, per calmarmi un po’ e schiarirmi le idee, poi ripresi:
“Ho visto morire camerati in nome della Germania, così come ho assistito alla morte di Americani, Russi e Francesi le cui ultime parole erano per lo stato a cui appartenevano o per la donna amata.
Voi oggi vi erigete qui a giudici di un’umanità che non vi appartiene in quanto avete lottato solo per voi stessi… se vi fosse veramente importato qualcosa delle popolazioni europee sareste dovuti intervenire prima, quando avevamo attaccato la Cecoslovacchia oppure avreste dovuto difendere la Polonia, invece di lasciare questi stati al loro triste destino.”.
In quel momento sentivo su di me gli occhi di tutta la sala, centinaia di persone che senza rabbia, ma anzi con interesse, aspettavano che finissi il mio discorso per poi decidere cosa farne di me.
Avevo quasi finito le idee, dovevo chiudere con il botto altrimenti sarebbe sembrata solo un’esplosione di rabia e non un’accusa agli accusatori…
Conclusi:
“Io non so cosa sia accaduto in quegli orribili campi, né rispetto chi ha commesso tali azioni, però non posso nemmeno rimanere qua a lasciarmi paragonare a loro quando in realtà tutto ciò che ho fatto è stato offrire la mia vita per una causa in cui veramente credevo, quella di una Germania vittoriosa in una guerra in cui tutti, dal primo all’ultimo, abbiamo voluto trionfare.
Quindi scusatemi se ve lo dico così apertamente, ma smettiamola con questa recita, non appena avrò finito di parlare voi mi guarderete storto fingendo in esservi offesi, poi mi condannerete a morte ed in tempo di due settimane di me non rimarrà che il ricordo nella mente di mia moglie e di quella figlia che non ho fatto in tempo a conoscere.”.
Silenzio, nessuno osava fiatare, perfino il povero avvocato che fino a dieci minuti prima esibiva un’incredibile sicurezza si era seduto guardando con vergogna le proprie scarpe.
Il primo ad alzarsi dalla propria sedia fu uno sceicco arabo che, guardandomi con ammirazione, iniziò ad applaudire…
Ben presto lo scroscio delle mani che sbattevano fra loro si fece incessante e tutti, dagli Americani ai Russi,  erano in piedi a elogiare la mia figura.


Anni di addestramento mi avevano fornito tutti i mezzi per influenzare le masse e traviare le loro menti, fu così che io riuscì in poco meno di un mese dalla mia cattura a crearmi questa identità falsa che regalmente sfoggiavo dinnanzi a tutta la commissione di Norimberga e a salvarmi dalla pena di morte grazie ad un eloquente discorso che mirasse a far sentire in colpa i vari Capi di Stato.
Cosa ne sarebbe stato di me?
Sarei andato in Sud America a fomentare le lotte contro i guerriglieri comunisti che stavano lentamente prendendo il potere.
Chi ero in realtà?
Non penso che ve lo dirò, vi basti sapere che all’interno del Terzo Reich ero io a manovrare i fili che guidavano quel burattino di Hitler…
   
 
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