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Autore: Hotaru_Tomoe    02/03/2015    8 recensioni
Raccolta di oneshot ispirate dalle fanart o prompt che ho trovato in rete su questa bellissima serie. Per lo più Johnlock centriche, con probabile presenza di slash.
Aggiunta la storia I'll be home for Christmas:Sherlock è lontano da casa per una missione, ma durante questo periodo il legame con John si rinforza. John gli chiede di tornare a casa per Natale, riuscirà Sherlock ad accontentarlo?
Questa storia, in versione inglese, partecipa alla H.I.A.T.U.S. Johnlock challenge di dicembre.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa shottina è per il compleanno di Mendax Meraxes ed è ispirata a due annunci comparsi veramente su Metro.
E’ stata una corsa contro il tempo, ma avevi espresso il desiderio e ci tenevo ad accontentarti. Auguri e un abbraccio fortissimo ♥ Ti voglio bene.



RUSH HOUR BROUGHT ME LOVE


La prima volta che John lo vede l’unica cosa che riesce a pensare è: “Mio dio, è bellissimo.”
Dovrebbe essere strano, perché non ha mai pensato questo di un uomo, ma non lo è.
Quel tale è bello per davvero e spicca come non mai in mezzo alla folla dell’ora di punta del mattino. Non solo perché è decisamente più alto delle persone che lo circondano, ma per la compostezza ed il distacco con cui osserva tutto ciò che lo circonda, quasi sia un dio sceso sulla terra per giudicarne gli abitanti e gli sembra quasi che gli altri si tengano a una certa di stanza da lui, come intimoriti. Sarà per quegli zigomi taglienti che conferiscono al suo viso un’aria aristocratica, per gli occhi chiari di cui John non riesce a capire il colore o il portamento fiero.
John non lo sa, sa solo che è bellissimo.
L’uomo ruota su se stesso, quasi a fare una panoramica della folla che lo circonda. Anche lui rientra nel suo campo visivo, ma l’altro non vi si sofferma.
D’altronde, perché mai dovrebbe dedicare attenzione ad uno zoppo seduto sul bordo della panchina di marmo?
John è sempre seduto quando aspetta il treno: agli altri basta un’occhiata al suo bastone per alzarsi e cedergli premurosamente il posto. In quel momento la mano di John si stringe più forte attorno all’impugnatura del bastone ed è pervaso da una gran voglia di scaraventarlo in mezzo ai binari.
Il cellulare dell’uomo avvolto nel cappotto scuro suona, lui legge un messaggio e abbandona la stazione, proprio nel momento in cui il treno sta arrivando.
John nemmeno si è accorto di essere balzato in piedi e gli ci è voluto un attimo per fermarsi.
Cosa voleva fare, esattamente?
Rivolgergli la parola? E con quale scusa?
Come minimo l’avrebbe creduto un pazzo o un maniaco.
La marea umana che lo circonda lo spinge verso la carrozza e, con un sospiro di rammarico, John zoppica sul treno.

La seconda volta che lo vede, il mattino successivo, John pensa: “E’ destino.”
Lo sa che è un pensiero stupido, che il Fato non esiste, esistono solo gli uomini, con le loro azioni e le conseguenze che ne derivano, però quante possibilità c’erano di incontrare lo stesso uomo nell’ora più affollata del mattino alla fermata di Southwark?
Per un istinto che non sa spiegarsi, John si alza in piedi dalla panchina dove una signora l’ha lasciato sedere. L’uomo dal cappotto scuro non sta guardando nella sua direzione, ma se accadesse, John non vuole farsi patetico e sconfitto.
Non da lui.
Questo in realtà serve solo a farlo sentire più patetico del solito, perché non ci sono speranze che noti proprio lui, reduce zoppo povero in canna?
Eppure, nel momento in cui il treno si ferma nella stazione, ha l’impressione che gli occhi dell’uomo si soffermino un attimo su di lui, ma poi scuote la testa: impossibile, è solo la sua speranza a farglielo credere.
Ignora le persone che vorrebbero cedergli il posto e si sistema in un angolo del vagone, guardandolo di sottecchi, ma l’altro è impegnato a mandare messaggi a raffica sul cellulare a qualcuno che lo sta esasperando, a giudicare dall’espressione contrariata del suo viso.
John dovrebbe scendere a Green Park e cambiare sulla Piccadilly, ma giunto alla sua fermata, le porte del treno si aprono e si richiudono, e lui è ancora lì, a guardare quell’uomo da lontano e a chiedersi che diavolo stia facendo: ha un colloquio di lavoro come guardia medica in un albergo. Il lavoro non lo entusiasma (più nulla lo entusiasma a dire il vero), ma sarebbe il primo dopo mesi e sa che non dovrebbe arrivare in ritardo perché fa una pessima impressione, dovrebbe essere altrove, a pensare al suo futuro (grigio) e non a fantasticare su qualcuno che non lo noterà mai.
L’uomo scende alla fermata di Baker Street senza guardarsi intorno.
Ovviamente.
Alla stazione successiva, John torna indietro, chiamando l’albergo e scusandosi per il ritardo.
Non ha avuto il coraggio di avvicinarlo, non avrebbe saputo cosa dirgli, ma possibile che non ci sia modo di contattarlo senza sembrare uno psicopatico?
Il passeggero seduto di fianco a lui si alza, abbandonando sul seggiolino di plastica consunta una copia di “Metro”. John la prende e la sfoglia svogliatamente, tanto per ingannare il tempo, finché l’occhio non gli cade sugli annunci dell’ora di punta.
Ha sentito parlare di quella rubrica: la sua vicina di casa la giudica ‘incredibilmente romantica’, ma secondo il barista del pub dove va di tanto in tanto, è il modo più rapido per cacciarsi nei guai e incontrare gente armata di cattive intenzioni, eppure, John prende il cellulare dalla tasca e apre la app della mail: non ci sono garanzie che un suo eventuale messaggio venga letto e pubblicato… chissà quanti ne arrivano alla redazione ogni giorno!
Tuttavia non c’erano nemmeno molte possibilità di incontrare la stessa persona per due giorni di fila su una metropolitana carica di gente e, per una volta, vuole provare a vedere il bicchiere mezzo pieno: non gli va di rinunciare a parlare con quell’uomo senza aver fatto almeno un tentativo.
Per la prima volta da quando è stato rimpatriato dall’Afghanistan, John Watson sente di volere qualcosa e vuole lottare per averlo.
“All’uomo con il cappotto lungo, i capelli scuri e gli zigomi fenomenali che è sceso a Baker Street alle 6 di martedì mattina. Un caffè?
Il tizio biondo che non riesce a smettere di guardarti.”
Così scrive, ed invia la mail.
Il suo messaggio non è molto diverso dagli altri, forse solo la sua firma tradisce il suo stato d’animo e le sue intenzioni, ma ormai è andato ed è tardi per pentirsi.
Ma comunque, con la fortuna che si ritrova, non lo pubblicheranno mai.
Il giorno dopo non deve prendere la metropolitana, ha appuntamento con la sua psicologa, ma si allunga lo stesso alla fermata della Jubilee a recuperare una copia del giornale.
Il suo annuncio non c’è e John racconta a se stesso di non esserne deluso: sapeva già che sarebbe stato un tentativo del tutto infruttuoso.
Nemmeno il secondo giorno il suo annuncio c’è, ma il terzo, quando ormai John ha preso il quotidiano solo per forza di abitudine, è lì, secondo annuncio nella prima colonna, nero su bianco, la sua mano tesa in mezzo a milioni di persone.
L’annuncio è lì, e sul marciapiede John si ritrova a stringere il giornale e a pregare con tutto se stesso, come quando pregò di non morire.
“Dio, fai che lo legga. Fai che legga e che mi risponda. Voglio solo avere l’occasione di parlargli.”
E qualcuno lo ascolta, o forse si è semplicemente stufato di vederlo pellegrinare ogni mattina fino alla stazione della metro e scrutare la pagina degli annunci con aria mesta, perché il secondo giorno, al centro della pagina, campeggia la risposta al suo messaggio.
Inizia a piovere e John ha dimenticato l’ombrello a casa, ma lui non se ne accorge affatto e resta immobile con il giornale spalancato.
Boccheggia e deglutisce a vuoto un paio di volte, poi rilegge quelle poche righe per l’ennesima volta.
“Tizio biondo che non riesci a smettere di guardarmi, non sembri così noioso come tutti gli altri. Vediamoci all’ospedale Barts. Prendo il caffè nero con due zollette di zucchero.
Zigomi fenomenali”

Non c’è ombra di dubbio, è proprio la risposta al suo messaggio e dice che non sembra noioso come le altre persone, quindi non è stata solo la sua impressione: mentre osservava la folla, in mezzo alla marea di giacche e cappotti, quell’uomo aveva notato proprio lui, altrimenti perché scrivere una cosa del genere?
“Non sei noioso.”
John piega la pagina del giornale e la ripone con cura all’interno della giacca e si dirige verso l’ospedale senza pensarci sopra nemmeno un istante.
Compra due caffè in un bar lì vicino e poi si volta a guardare l’edificio di quattro piani, lo stesso dove ha fatto il tirocinio da ragazzo (un’altra incredibile coincidenza - gliene parlerà, se ne avrà l’occasione) e, tenendo i due bicchieri in equilibrio contro il petto, si appoggia al bastone e cammina in direzione dell’ingresso del pronto soccorso.
Zigomi Fenomenali non gli ha scritto esattamente dove si sarebbero incontrati e l’ospedale è grande, ma difficilmente gli ha dato appuntamento in un reparto (le infermiere li avrebbero cacciati immediatamente) e, in un’altra giornata, lo aspetterebbe davanti all’ingresso anche tutto il giorno, ma continua a piovere con insistenza e il suo giubbino è già zuppo, quindi si sposta verso il parcheggio delle ambulanze, che è protetto da una pensilina, ma da dove si può comunque vedere l’ingresso, e nel frattempo pensa come presentarsi.
“C-ciao, io sono John…” balbetta a bassa voce, poi si passa una mano sul viso: divina misericordia, è un ragazzino di tredici anni?
“Piacere, il mio nome è John.” No, nemmeno così va bene, troppo formale.
D’improvviso una porta di servizio si spalanca ed un uomo che indossa la tuta da inserviente corre fuori puntando nella sua direzione e, pochi secondi dopo, anche Zigomi Fenomenali esce di corsa dalla stessa porta, e ancor prima che John abbia modo di indirizzargli un cenno di saluto, l’altro urla: “Fermalo!”
Sarà stata la sua voce, dal timbro così profondo che a John sembra di venirne colpito fisicamente, ma John non si è posto domande ed il suo corpo ha reagito da solo: lascia cadere a terra i due caffè ormai freddi, scatta in avanti per fermare la corsa dell’inserviente e, resosi conto che non riuscirebbe a placcarlo, gli getta il bastone in mezzo alle gambe, facendolo cadere rovinosamente a terra, poi lo blocca con il suo peso, torcendogli un braccio dietro la schiena per impedirgli di rialzarsi.
In un attimo l’uomo col cappotto si inginocchia al suo fianco con gli occhi chiari che brillano di eccitazione.
“Una presa perfetta.”
“Uh, grazie.”
“Ma dopo tutto non mi aspettavo niente di meno da un ex soldato.”
John spalanca gli occhi e, per la sorpresa, rischia quasi di farsi scappare l’uomo che tiene bloccato.
“E tu come fai a saperlo?”
Zigomi Fenomenali non ha modo di rispondere, perché i due vengono raggiunti da un terzo uomo, brizzolato, rosso in viso e con il fiatone.
“Alla buon’ora, Lestrade.”
“Taci!” lo ammonisce l’ultimo arrivato, minacciandolo con un dito, poi prende un paio di manette dalla cintura e le chiude attorno ai polsi dell’uomo a terra. Solo a quel punto sembra accorgersi di John.
“Lui chi è?”
“E’ con me.” risponde sbrigativamente l’uomo col cappotto alzandosi, e invitando John a fare altrettanto sfiorandogli il gomito con la mano.
“Okay, ma chi-”
“Ho detto che è con me. Ora che ne dici di fare il tuo lavoro, portare Mass in centrale e fargli firmare una confessione?”
Lestrade scrolla le spalle, come se fosse fin troppo abituato al tono brusco dell’altro, e si allontana con l’uomo ammanettato. A quel punto Zigomi Fenomenali si gira verso di lui, si sfila un guanto e porge la mano a John.
“Sherlock Holmes.”
Il suo nome è particolare al pari del suo aspetto e mentre John gli porge la sua mano, pensa che gli si addica parecchio.
“John Watson… uh - mormora John non appena l’uomo chiamato Lestrade si è allontanato - cosa è appena successo?”
“Mi hai aiutato ad arrestare un uomo che rubava antidolorifici dall’ospedale per rivenderli al mercato nero.”
“Quindi sei un poliziotto?”
Holmes arriccia il naso con disgusto.
“Nemmeno per idea: io sono un consulente investigativo e do una mano a Lestrade ogni quel volta che brancola nel buio, cioè quasi sempre.”
“Aspetta - John aggrotta la fronte, perplesso - mi hai dato appuntamento nel bel mezzo di una indagine?”
“Sì. Problemi?” domanda Sherlock in tono serafico.
John non sa cosa rispondere: quella è la situazione più bizzarra che gli sia capitata in vita sua e alla fine si limita a ridere e a scuotere la testa.
“No, assolutamente no.”
“Perfetto, possiamo tornare al nostro appuntamento?”
“Ah, ecco… ti avevo portato il caffè, come mi avevi chiesto, ma… - allunga il braccio verso i due bicchieri caduti a terra - non è proprio un buon esordio, questo.”
“Ti sbagli. E poi questo non è un esordio.”
“Come?”
“Io ti ho notato subito in metropolitana, ma ammetto che il tuo annuncio mi ha sorpreso e, credimi, non sono molte le cose in grado di stupirmi.”
“C’è un bar qui vicino, possiamo sederci lì, così mi dirai come hai capito che sono un medico e anche - si morde le labbra - cosa hai visto in me.”
Sherlock apre la bocca per spiegarsi, ma all’ultimo sembra cambiare idea e invece rivolge a John una domanda: “Cosa ne pensi del violino?”
“Mi piace.”
I due si allontanano verso il bar ed il bastone di John è rimasto a terra davanti all’ospedale, dimenticato.

*****
Sette anni dopo
*****

Lucy ha gli stessi capelli biondi e lisci di Harry e l’identica irruenza che aveva sua sorella quando aveva anche lei cinque anni.
Basterebbe distrarsi un secondo e Lucy avrebbe probabilmente già acceso i fornelli e cercato di ficcare una forcina per capelli dentro la presa della corrente. Così, mentre Sherlock intrattiene con stoica sopportazione Harry e Clara, John sorveglia la nipotina mentre compie un giro di esplorazione del 221B.
Lucy apre la porta della loro camera, ride dei travestimenti di Sherlock che trova nell’armadio e si arrampica sul letto per osservare più da vicino i quadri appesi alla parete sopra la testata, finché due ritagli di giornali incorniciati non attirano la sua attenzione.
“Zio John, cos’è questo?” chiede, schiacciando una manina contro il vetro.
“Questo, Lucy, è come ho incontrato zio Sherlock.”

   
 
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