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Autore: allonsy_sk    03/03/2015    3 recensioni
Un diverso 'lieto fine' per ognuno dei capitoli di Protect me from what I want o in altre parole, come la storia sarebbe finita se una certa decisione fondamentale fosse stata presa in ognuno dei capitoli iniziali.
Ognuno di questi capitoli è un diverso possibile finale della storia che sto scrivendo. Non vanno trattati come una storia continuativa (anche perché non avrebbero senso come tale).
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Come Home'
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1 - Domenica 28 Febbraio 2016 (versione alternativa)

 

 

Dopo il terzo o quarto biscotto e mezza tazza di tè, John rialza lo sguardo. Sherlock, voltato in parte verso la tv muta lo sente scivolare sul suo viso, quasi un tocco palpabile. Rabbrividisce impercettibilmente.

Vuoi ancora darmi quella rivincita?” offre, allungandosi senza aspettare una risposta per rimettere tutti i pezzettini del gioco nei loro alloggiamenti.

Certo,” risponde Sherlock, “inizia tu. Sappi che non avrò pietà.”

Ovviamente,” ribatte John, un po' asciutto e senza sorridere. Sembra voler aggiungere qualcosa, con una strana espressione che Sherlock non riesce a leggere. Per un attimo John sembra... commosso, come se i suoi occhi fossero troppo caldi e lucidi per poter trattenere quello che pensa, e la sua bocca si muove impercettibilmente come per dire qualcosa che viene trattenuto all'ultimo momento.

Sherlock non teorizza senza indizi sufficienti, quindi archivia l'informazione per quando gli tornerà utile.
Tornano a giocare senza scambiarsi troppe parole, incapaci di trovare la via del ritorno dai rispettivi pensieri.

 

-

 

Alla fine della partita John si alza senza dire niente. Sherlock lo guarda allontanarsi incerto, come se non sapesse neanche lui cosa vuole o cosa crede di dover fare.

John è molte cose diverse, e anche se Sherlock ama definirlo stupido, non si può dire che sia un idiota, o che sia veramente stupido o lento.

Il fatto è che ama rimuginare ben bene sulle cose prima di prendere una decisione, ne siano prova i tentennamenti all'idea di prendere in affitto con Sherlock il 221b. Va anche detto che quel giorno i tentennamenti sono stati ben sbriciolati dalla follia e dall'euforia del caso del tassista, e forse quell'episodio non fa testo.

Sherlock si alza a sua volta, facendo uno sforzo per spegnere la tv e raccogliere almeno tutti i pezzi del gioco. Prevede numerose partite nel loro futuro e perdere i minuscoli pezzi del paziente non sarebbe una cosa buona.

Sherlock si aspetta di sentire i passi di John che salgono le scale fino in camera sua, per poi tornare giù e sparire nel bagno. Non è mai stato un comportamento logico, quello di fare due volte le scale prima di andare a letto, ma in condizioni normali John ama essere in pigiama prima delle sue faccende serali.

Sherlock non è certo di che condizioni siano quelle attuali, ma 'normali' non gli sembra proprio la definizione corretta.

Esita a sua volta, poi con un sospiro si dirige verso camera sua.

Almeno John è tornato a casa, certo più scuro e più sbattuto e silenzioso di quanto non sia mai stato. Persino quando Sherlock è morto - un momento di silenzio stampa anche nei suoi pensieri, persino nel suo Mind Palace, per zittire il senso di colpa che gli azzanna il cuore – John non è stato così.

Forse Sherlock potrebbe sentirsi geloso della profondità di questo dolore, e forse no. Forse persino lui è in grado di capire che niente può superare quello che ha appena sofferto John.

Non fa niente. A Sherlock non importa sedere con lui in silenzio per tutto il tempo necessario, come non gli importa, se è fortunato, sentirlo lamentarsi di malavoglia del disordine in soggiorno e delle parti umane lasciate a decomporsi accanto alla confezione del bacon.

Ora come ora, quelle svogliate lamentele valgono più di oro e diamanti.

È strappato alle sue elucubrazioni proprio da John, in piedi sulla porta della stanza di Sherlock con aria un po' rigida e un po' concentrata. Sherlock per poco non gli va a sbattere addosso, accorgendosene appena in tempo e passando subito alla modalità 'piena preoccupazione'.

Questo non corrisponde a nessun parametro noto, ed è pertanto allarmante.

“John?”

Al richiamo John esita un istante. Sherlock riesce quasi a vedere il ragionamento che termina di comporsi dietro la sua fronte corrucciata, il momento in cui subentra il coraggio, costringendo John a squadrare un po' le spalle e rialzare la testa con aria decisa.

C'è ancora esitazione, però, e quando il suo sguardo incontra quello perplesso, curioso e preoccupato di Sherlock, questi inizia ad avere il timore che si tratti di qualcosa di grave.

Sherlock aspetta senza dire niente, con le mani che gli prudono dal desiderio di giocherellare con qualcosa, le dita incapaci di stare ferme. Il senso di irrequietezza gli fa prudere il cuoio capelluto e gli torce lo stomaco. Qualsiasi cosa John stia per dire, è qualcosa di importante, carico di significato e potenzialmente potrebbe cambiare il corso delle loro vite.

Ne è certo, deve essere così.

John non parla, almeno non subito. Tira un respiro un po' tremante, un po' troppo forte, e allunga entrambe le mani per afferrare quelle di Sherlock.

“J-...”

Cosa sta succedendo? Non c'è un singolo parametro che sia in linea con le osservazioni precedenti di Sherlock. Nulla di tutto questo è territorio esplorato prima. Neanche l'espressione di John, tormentata e determinata e tuttavia riscaldata dall'ombra di un minuscolo sorriso.

Men che meno il tocco delicato con cui le sue mani stringono quelle di Sherlock, muovendo appena appena i pollici per accarezzargli i palmi.

Sherlock non ritira le mani, non parla, non si muove, a stento respira. È sicuro che il battito del suo cuore sia talmente forte da sentirsi anche giù in strada, forse anche fuori Londra.

Non è in grado di fare neanche una supposizione, e all'interno della sua volta cranica echeggia il più squisito ed etereo silenzio.

John annuisce tra sé e sé un'ultima volta, si schiarisce la gola. Il suo viso un po' sciupato ha preso un un velo di rossore e quando parla la sua voce traballa in un modo che ha il potere di far fare le capriole allo stomaco di Sherlock.

“Io- io lo so, Sherlock. Se non mi sbaglio di grosso... ecco, ho capito.”

Una piccola pausa esitante, forse per lasciare a Sherlock la libertà di ritirarsi con dignità. Sherlock non si ritira. Vorrebbe dire che non si sbaglia, ma le frasi non riescono a condensarsi nella sua mente e sulla sua lingua.

Il logorroico detective è senza parole.

“E insomma, per me,” prosegue John, sempre il coraggioso soldato, “per me potrebbe essere lo stesso. Ma... non adesso. Non subito. Quello che voglio dire è... mi aspetteresti? Avresti questa pazienza, per me?”

Cristo, è ingiusto. Quanto tempo ha aspettato di trovare il momento giusto, le parole giuste? Quanto tempo ha aspettato anche solo prima di rendersi conto di quello che prova, di capirlo, di accettarlo. Ha deciso di essere uno stoico martire e ora che la grazia gli viene consegnata su di un vassoio d'argento, non è in grado di accoglierla neanche con una parola sforzata.

“È che... lo sai. Lo so che lo sai. Tra la storia di Mary e...” John si interrompe, si schiarisce di nuovo la gola, e quando parla chiude gli occhi, perdendo per la prima volta il contatto visivo con Sherlock da quando ha iniziato a parlare. “...e Billie. Io non credo di- ora non sono sicuro di-”

Si interrompe di nuovo, riapre gli occhi e prende un altro po' di colore. La sua espressione contratta si addolcisce quando il suo sguardo scivola sul viso di Sherlock, che lo fissa sconvolto e incredulo.

“Ma... se tu vuoi. Io- beh, io voglio. E tanto.”

Le parole sono ancora assenti senza giustificazione. Sherlock si limita ad annuisce lentamente, sentendosi le guance pungere e bruciare di un profondo rossore e gli occhi stranamente caldi e liquidi.

È una fortuna che John sia così bravo in queste cose, anche ora che è un rottame alla deriva. Gli ci vuole poco per avvicinarsi di un passo e afferrare Sherlock, stringerlo in un abbraccio ad un tempo feroce e terribilmente caldo.

Sherlock sospira di sollievo, libero da una tensione che l'attanaglia da molto più tempo di quanto non possa calcolare, e si stringe a sua volta. Vorrebbe dire qualcosa, vorrebbe essere lui a rassicurare, per una volta, vorrebbe rispondere alle parole di John, spezzate e esitanti e speranzose e così preziose e attese.

Ma non può, e allora tace, stringendosi più forte e cercando di comunicare con la forza del suo abbraccio tutto quello che le sue stupide parole non sono mai state in grado di dire.

 

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