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Autore: Arya Destiny98    03/03/2015    1 recensioni
La cittadina di Forks si poteva definire un luogo perfettamente sicuro. Lo sceriffo Clearwater godeva di un’ottima reputazione e si diceva che non avesse mai sparato un colpo in servizio. Tutti vivevano felici, sotto una quasi perenne coltre di nubi. Ma non era sempre stato così: c’erano tempi, dei quali nessuno osava più fare parola, in cui persino uscire di casa era pericoloso. Tempi in cui le storie dell’orrore iniziarono a sembrare sempre più veritiere. Ed io, con il mio arrivo, avrei riportato a galla quei tempi.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Capitolo uno

Trasloco

Era stata un’altra di quelle giornate. Io e mio fratello Max avevamo litigato, la mamma aveva strillato parecchio e niente si era risolto. Come al solito. Non avevo ancora finito di impacchettare le mie cose, ancora non volevo accettare l’idea del nostro imminente trasloco. Dovrai farci il callo, cara mia, mi disse la mia vocina interiore. Con uno sbuffo la misi a tacere e mi sdraiai sul letto privo di coperte. Totalmente, completamente infelice. Ecco come mi sentivo. Non ricordavo nemmeno cosa fosse la felicità. L’ultimo barlume di allegria lo avevo provato il giorno del mio sedicesimo compleanno, esattamente tre mesi prima. Era passato troppo tempo. “Ehi, musona, ti ho portato qualche scatolone” esordì la mamma, entrando nella mia stanza senza bussare e  reggendo una precaria pila di scatole di cartone. Alzai gli occhi al cielo ma l’aiutai comunque: non volevo scatenare nuovamente la sua furia omicida.  “Ecco, brava. Ricorda, uno per le cose che vuoi tenere e tutto il resto per quelle che vuoi buttare. E bada, devono essere belli pieni al mio ritorno.” Era ancora seccata. Le rivolsi un cenno indistinto che la convinse ad alzare i tacchi senza aggiungere altro. Sbuffai  di nuovo. Di tutti i posti in cui quella donna poteva decidere di trascinarmi… Iniziai a passare in rassegna le mensole con aria afflitta. Un vecchio diario, una cartolina d’auguri, un Nintendo Ds scassato e una ventina di libri andarono ad occupare lo scatolone della roba da tenere. Ficcai senza pensarci due volte le foto che mi ritraevano in una parvenza di euforia, strizzata fra quelle che una volta consideravo le mie migliori amiche, nelle scatole che sarebbero andate buttate. Se proprio dovevo cambiare aria l’avrei fatto come si deve, ricominciando tutto da zero. Una volta terminata l’operazione la mia camera era pulita e ordinata come mai prima d’allora. L’unica cosa fuori posto era il mio orsetto di peluche, Teddy, al quale mancava un occhio e gran parte dell’imbottitura. Lo presi in mano, soppesandolo, e poi lo lanciai nello scatolone dei rifiuti. Mi sentii immediatamente in colpa e andai a ripescarlo in fretta e furia. Forse non ero pronta per un taglio così netto. Il pupazzo parve lanciarmi un’occhiata di rimprovero. “Non guardarmi così, sai bene che non è mia la colpa!” esclamai a voce alta, schiumante di rabbia. Parlare con gli oggetti inanimati non è mai un buon segno. Uscii dalla stanza prima che gli oggetti potessero iniziare a rispondermi. “Hai riempito gli scatoloni?” abbaiò mia madre, con uno sguardo altamente sospettoso. “Sì. Adesso esco, più tardi li porto giù.” Mi chiusi la porta alle spalle, sbattendola, e mi ritrovai immersa in una calda giornata di fine agosto, croccante come una mela. Feci un respiro profondo e mi concentrai sul dolce aroma di frutti che impregnava l’aria. La California mi sarebbe mancata. Camminai senza meta e raggiunsi il vigneto di proprietà dei signor Parker, il mio rifugio preferito in assoluto. Non era la stagione dell’uva, quella sarebbe arrivata a fine ottobre con i suoi chicchi succosi che amavo piluccare illegalmente. In quel periodo le viti se ne stavano contorte, disposte su file lunghe centinaia di metri, così tristi e vuote da causarmi un groppo in gola. Oltrepassai la vigna con gli occhi che andavano riempiendosi di lacrime, sapendo che quella probabilmente sarebbe stata l’ultima volta che la vedevo. 
*
“Siamo arrivati?” chiese Max per la millesima volta. “Se me lo richiedi fermo la macchina e ti faccio scendere” ruggì la mamma, infastidita. Io roteai gli occhi con aria di sufficienza, alzando di una tacca il volume del mio ipod. Ero stufa di viaggiare, stufa marcia di sentire quei due battibeccare. Finalmente, dopo un’altra estenuante ora arrivammo a destinazione. “Era la casa dell’ex marito di una mia cugina di terzo o quarto grado … o qualcosa di simile. Era lo sceriffo qui, circa cinquant’anni fa. Dato che beh lui ci è rimasto non sapevano a chi dare la  casa e nessuno voleva comprare in questa zona. Perciò l’ho avuta praticamente gratis. Se non è fortuna questa…” I borbottii di mia madre mi infastidirono, ma ancor più lo fece quella sua solita espressione ‘ci è rimasto’. Bah. Non poteva semplicemente dire ‘è morto’ come tutte le persone normali?!No, lei era speciale.                                                                      La casa puzzava di persone anziane. Aveva degli inquietanti armadietti di un giallo smunto e delle tendine di pizzo che mi facevano pensare a carta igienica sporca. Nel salotto era parcheggiata una vecchia televisione e la spettrale sagoma di una sedia a rotelle spuntava dall’ombra. Repressi un brivido trascinando i miei bagagli su per la stretta scalinata che portava alle camere. “Ci sono solo due stanze” osservai, con una punta d’ansia. Avrebbe forse osato affibbiare lo scarafaggio a me? “Lo so, non sono mica stupida. L’altra camera è abbastanza grande da contenere un letto per me e uno per Max” spiegò la mamma , sbuffando come un mantice per la fatica di trasportare un bambino di quattro anni piuttosto grassoccio e un voluminoso zaino. Entrai in quella che sarebbe diventata la mia camera e rimasi piacevolmente sorpresa: il letto era coperto da lenzuola di un bel viola intenso e le pareti erano di un lilla chiaro, rilassante e anonimo. C’era una scrivania incassata contro la parete e sopra di essa… una mensola piena di libri! Mi lasciai andare ad un gridolino di gioia e li esaminai con cura. Sotto la polvere riconobbi la più consunta copia di Cime Tempestose che mi fosse mai capitato di vedere  e un’intera collezione di romanzi di Jane Austin. Dall’arredo sobrio dedussi che in passato potesse essere stata la stanza di una ragazza. Un armadio di legno scuro spiccava tra la scrivania e la parete della piccola finestra. Aprendolo  con prudenza mi assicurai che non fosse abitato da qualche creaturina che avrei ritenuto del tutto disgustosa. Quando mi sedetti sul letto alzai un notevole sbuffo di polvere. Sarebbe stato l’inizio di un lungo periodo di noia.
 

  
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