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Autore: bambi88    10/12/2008    10 recensioni
Prima classificata al contest Metal di Laly e Hipatya
Kankuro, una finestra spalancata e una porta sempre chiusa.
Kankuro e una famiglia che va in pezzi.
Kankuro e la debolezza di non volersi salvare.
L’anta della finestra sbatté di nuovo, ricordandogli, nonostante tutto, che era ancora marzo, e che a marzo era ancora inverno.
Riuscì a sollevare il braccio intorpidito, sfiorandosi la fronte sudata e i capelli sporchi.
Puzzava di fumo ed alcool e gli abiti della sera prima erano accatastati ai piedi del letto, gettati senza riguardo.
Se quella era diventata davvero la vita di Sabaku no Kankuro, posato fratello mezzano della ricca famiglia Sabaku, nonché promettente studente di ingegneria meccanica, allora aveva ragione a smettere di viverla.
E lui ci stava provando disperatamente da mesi.
La storia è stata divisa in piccole parti.
Spero di avervi incuriosito.
Un bacio
Roberta
Genere: Malinconico, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kankuro, Sabaku no Gaara , Temari, Altri
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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contest metal 1
Chop Suey!
I cry when angels [deserve to] die

I Atto
Here you go create another fable


Il bambino si guardò attorno, avanzando impaurito nel lungo corridoio davanti a sé.
Fece un passo, i piedi scalzi che tamburellavano leggeri sulla moquette colorata, mentre la luce soffusa della lampada – una sola lampada – illuminava le porte socchiuse.
Il ragazzino si grattò il naso, togliendosi  poi i ciuffi castani dalla fronte.
Se c’era una cosa che detestava era quella di trovarsi sempre Lì, e dover sempre ripetere quella scena.
-    Kankuro – si sentì chiamare, e, nonostante l’avesse sentita centinaia di volte ormai, il suo cuore mancò di un battito.
-    Mamma – rispose, con quella vocina infantile che non gli apparteneva da tempo.
Ma Lì gli apparteneva sempre.
Perché Lì  lui non poteva fuggire.
-    quante volte ti ho detto di non disturbare papà mentre lavora? – ripeté la voce gentile nell’oscurità, vicina a lui.
Ma in realtà fin troppo lontana.
Ma Lì tutto era creato per farlo impazzire.
-    Ma papà è tornato e non mi è venuto a salutare – rispose, il visino ancora infantile che si piegava in una smorfia.
E chissà perché quella porta anonima ora era lo studio del padre, e quel corridoio buio era la sua vecchia casa.
La voce di donna si incrinò, silenziosa.
Perché Kankuro sapeva che Lì tutto poteva accadere.
-    vieni a giocare con me? – disse poi – ma lascia stare il papà –
Kankuro sentì un dolore all’altezza del petto, e ricordò, vagamente, che da bambino aveva urlato e svegliato Gaara, che dormiva nell’altra stanza.
-    certo mamma – rispose invece, trascinandosi verso l’oscurità, cercando con gli occhi scuri il volto dell’altra.
-    Ma voi non andrete via vero? – si ritrovò a mormorare, afferrando una gonna [comparsa da dove, poi? ] che profumava di fiori.
Alzò lo sguardo verso l’alto.
Sempre più in alto.
Lì lui era pazzo.
-    andremo via quando ti sveglierai – e un volto chiaro, sottile, etereo gli sorrise.
E due occhi azzurri lo accarezzarono.
Lo sai benissimo che è Qui che devi tornare, sembrarono sussurrare.
E Kankuro maledì quel suo corpo da bambino, che non gli permetteva di stringere il corpo fragile della madre né, tanto meno, di sfondare quella porta socchiusa e urlare al padre che se avesse osato morire di nuovo  [E ancora una volta non per mano Sua] Lui sarebbe rimasto Lì per sempre.
-    e papà non partirà più, vero mamma? –
Lei sorrise
Perché era l’unica cosa che Kankuro ricordava di lei.
Un sorriso su una foto.
Una tenda che svolazzava.
E il telo che la copriva nella stanza d’ospedale.
- se tu rimarrai qui –
Kankuro le afferrò la mano, trattenendo un singhiozzo.
Perché sapeva che il suo incubo stava per finire.

E che la dose era stata troppo leggera.

Anche questa volta non era morto.

 [I, cry, when angels deserve to die]



II Atto

Wake up


Aprì un solo occhio, il corpo ancora intirizzito dalla droga.
Cercò invano di rotolare su un fianco, biascicando poi con le labbra sporche di bava un – dannazione-
Non era morto, questo sicuramente, dato il suo alito pesante che gli rimbalzava in faccia dal cuscino,  e se una parte di lui, quella che ricordava che, da qualche parte, almeno due occhi avrebbero pianto per lui, l’altra si malediva, chiedendosi perché tutto dovesse essere così complicato.
L’anta della finestra sbatté di nuovo, ricordandogli, nonostante tutto, che era ancora marzo, e che a marzo era ancora inverno.
Riuscì a sollevare il braccio intorpidito, sfiorandosi la fronte sudata e i capelli sporchi.
Puzzava di fumo ed alcool e gli abiti della sera prima erano accatastati ai piedi del letto, gettati senza riguardo.
Se quella era diventata davvero la vita di Sabaku no Kankuro, posato fratello mezzano della ricca famiglia Sabaku, nonché promettente studente di ingegneria meccanica, allora aveva ragione a smettere di viverla.
E lui ci stava provando disperatamente da mesi.
- che cazzo di ore sono? – si disse poi, mentre il suono di un clacson rompeva l’aria fredda e quello di una frenata brusca si aggiungeva nel silenzio.
Si sollevò, facendo oscillare la testa pesante, rimpiangendo di non avere i soliti analgesici sul comodino.
Chissà se facevano ancora effetto?
Accese l’abat jour e la luce rossastra si diffuse per la camera spoglia del lussuoso appartamento.
Era pur sempre un Sabaku.
E l’eredità dei suoi genitori non erano solo degli incubi in cui suo padre si chiudeva in una stanza e sua madre sorrideva.
- le quattro – sibilò poi, schiantandosi sul letto e facendo cigolare le molle usurate.
Il vento si infilò tra le ante socchiuse della finestra, trascinando l’odore muschiato della pioggia.
Kankuro chiuse nuovamente gli occhi, appena prima che il temporale iniziasse a scrosciare.



III Atto
Why have you forsaken me
In your eyes forsaken me
In your thoughts forsaken me
In your heart forsaken me


-    ridammi il mio pupazzo o chiamo mamma! – strillò il ragazzino, muovendo le mani verso la sorellina, distesa sul divano.
-    I giochi sono di tutti e due, scemo – rispose lei, sorridendo ad occhi socchiusi, mostrando le prime prove del suo famoso ghigno diabolico.
Il ragazzino si morse un labbro, scattando in piedi – e io chiamo mamma, Temari –
- e io chiamo mamma, Temari! – gli fece il verso l’altra, giocherellando con le braccia del vecchio pupazzo, per poi iniziare a tirare il bottone che gli faceva da occhio.
- non rompere Karasu! – piagnucolò Kankuro, mangiando le consonanti e ingurgitando la R.
Il suo nemico mortale, che osava sfidarlo persino quando si presentava e con la faccina concentrata sibilava un “KankuLo” decisamente poco elegante.
-    non lo sto rompendo, io ci gioco – rise Temari, passandosi tra le manine paffute il pupazzo – e comunque io sono la maggiore – ghignò – ho tanti anni così! –
Piegò, non senza qualche difficoltà, le dita a formare un tre incerto, negli occhi una vena sadica, la stessa che un giorno l’avrebbe resa famosa.
Kankuro abbassò gli occhi verdi, le guance gonfie di imbarazzo – un giorno saprò contare anche io -  biascicò con tono lagnoso –e allora vedrai che…-
Dlon.
Il ragazzino si voltò di scatto, seguito da Temari, che balzò seduta.
Conoscevano quel suono.
-    sono a casa – tuonò una voce maschile, abbandonando le chiavi sul tavolo d’ingresso.
Kankuro si sollevò da terra, inciampando nella palla di Temari, sorridendo.
-    papà!- urlò poi, la gola secca dalla gioia.
Temari lo sorpassò, fiondandosi nel corridoio ed incrociando lo sguardo di Karura, ferma sullo stipite della cucina, il grosso pancione che pendeva rigido sul corpo esile.
Il padre li guardò serio, togliendosi l’impermeabile zuppo – datemi il tempo di asciugarmi – disse poi, calmo – torno dopo due settimane e quello che trovo sono due selvaggi? – disse ancora, scrutando la stanza disordinata.
Temari abbassò colpevole lo sguardo e Kankuro, più semplice nei suoi due anni, gli rivolse un sorriso ancora sdentato.
-    al mio ritorno fatevi trovare come i miei bambini –
Karura ondeggiò la testa, rientrando in cucina.
E un lampo illuminò il viso raggiante di Kankuro, ancora preso a fissare la porta dello studio del padre, lì dove spariva sempre.
- un giorno diventerò come papà! Forte, bello e buono–

Bagnato, infelice ed egoista.



Prima classificata al contest Metal di Laly & Hipatya.
Grazie, semplicemente alle giudici, rapidissime e gentilissime (__)
Complimenti alle altre partecipanti, e alle mie colleghe di podio jess_elric e kymyt! ^^

N.B. La fic è una lunga oneshot. Ho deciso di dividerla in brani più brevi, per facilitare la lettura.
         Ci saranno diversi pairing di sfondo. Ma la fic è centrata più sul rapporto, qui estremizzato, trea i fratelli del deserto.

Fatemi sapere cosa ne pensate ^^

Roberta

  
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