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Autore: Lucy Farinelli    10/12/2008    2 recensioni
Bambole sono e bambole devono restare per compiacere in tutto la Regina Madre che le ha create. E se una di loro osasse ribellarsiper amore?
Genere: Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PRETTY DOLLS

Si dice che una ragazza con una bambola è una piccola mammina. È forse anche vero che la maggior parte delle madri sono ancora bambine con giocattoli.
Francis Herbert Bradley

Ifigenia era una bambola.
Una bellissima bambola dai lunghissimi capelli neri creata pezzo per pezzo dalla Regina Madre e che ogni sera si esibiva con le sue compagne nel teatro del Regno per il piacere della Sovrana e dei sudditi.
Ifigenia amava davvero la Regina come una madre; dopotutto, le doveva la vita e la sua straordinaria bellezza. Sapeva di essere una delle sue migliori creazioni, le era stato ripetuto spesso, e la Regina era solita condurla in una sala del castello rivestita completamente di specchi, dove Ifigenia poteva rimirarsi a suo piacimento e lasciarsi spazzolare i capelli dalla sua Creatrice.
Le altre bambole non erano gelose di lei: a modo loro, erano tutte stupende e non avrebbero comunque protestato contro questo favoritismo. Erano molto ubbidienti, a differenza di Ifigenia che spesso aveva l’ardire di dare voce a qualunque cose le passasse per la testa. Gli altri le scoccavano occhiate d’avvertimento, ma la Regina rideva e ordinava di lasciarla fare.
Le bambole erano state create a immagine e somiglianza di quelle che venivano chiamate ragazze in un altro mondo, molto distante e irreale come quello delle fiabe. Si favoleggiava addirittura che la stessa Regina, tantissimo tempo prima, ci avesse messo piede, ma tutti sapevano che aveva preso spunto per le sue creazioni dai libri di racconti per bambini che appartenevano al Regno dalla notte dei tempi.
Il passatempo preferito della Regina Madre era il teatro: ne aveva fatto costruire uno gigantesco e sfarzoso proprio al centro del Regno, in modo che ci fosse stato spazio anche per gli alloggi delle bambole, e ogni sera le sue protette si esibivano in spettacoli che comprendessero danza, canto e recitazione drammatica. Le bambole erano legate mani e piedi a nastri soprastanti, governati da schiavi umani della Regina appositamente addestrati, che ispiravano loro parole e movimenti, e le bambole si trasformavano così in tante marionette. Gli schiavi erano chiamati Guide e ognuno di loro aveva una bambola personale, che doveva vestire, truccare e pettinare prima di ogni spettacolo; dovevano inoltre fare attenzione a che la bambola fosse sempre in condizioni ottimali per poter salire sul palco: capitava, infatti, che qualcuna scivolasse accidentalmente a terra nei cambi di scena o che durante il giorno si esponesse troppo alla luce solare, ingiallendosi così il viso di porcellana. La Guida doveva allora cercare di rimediare al danno nei limiti del possibile e, se non ci riusciva, la bambola veniva immediatamente sostituita con una nuova e allontanata in un luogo non ben precisato, ma chiamato generalmente l’Oasi del Tramonto. Questo, tuttavia, era solo il nome ufficiale che non rendeva l’idea. Tutte quante sapevano infatti che quello era il posto dove sarebbero state finalmente libere e avrebbero condotto la propria vita a loro piacimento, dedicandosi alle attività che più erano loro adatte. Non che essere su quel palco ogni sera fosse un peso! Era un onore servire la Regina Madre, ma, quando avevano un attimo pausa, bambole e Guide si lasciavano andare a fantasticherie durante le quali si sussurravano a vicenda, quasi con tono cospiratorio, cosa avrebbero fatto una volta terminato il servizio e avessero raggiunto l’Oasi. A dire la verità, le Guide non avrebbero avuto il permesso di recarsi nell’Oasi, ma capitava a volte che tra quella strana coppia nascesse qualcosa di molto simile all’affetto e allora era la Regina per prima a proporre, purchè la Guida avesse ormai raggiunto un certo numero di anni di servizio, che i due se ne andassero insieme.
La Guida di Ifigenia si chiamava Joel. Era un ragazzo di circa vent’anni e aveva già avuto una bambola di nome Solaris prima di lei. Si era ritirata nell’Oasi un paio di anni prima perchè stava iniziando ad invecchiare. Le bambole, infatti, sebbene dimostrassero sempre la stessa età di quando erano state create – quindi giovani e bellissime – con l’andare del tempo tendevano ad opacizzarsi e a rallentare i movimenti. Solaris non era vecchissima, a detta di Joel, che l’aveva ereditata dal precedente proprietario, avrebbe avuto all’incirca sei o sette anni, ma i suoi capelli si erano stinti precocemente e la Regina l’aveva benevolmente congedata dopo la sua ultima apparizione teatrale, Prometeo. Solaris aveva magistralmente interpretato il ruolo di Pandora.
I capelli erano una cosa sulla quale la Regina non transigeva: dovevano essere sempre lucidi e ordinati, ma soprattutto non dovevano mai venire tinti nè tagliati. Vigeva la regola che dovessero essere lasciati del colore naturale e della lunghezza che la Regina aveva deciso per loro alla nascita; all’occorrenza, in teatro, potevano usare delle parrucche.
E così, Joel era diventato la Guida di Ifigenia. Dopo il loro primo incontro, il ragazzo allora diciottenne – la stessa età apparente di Ifigenia – le aveva raccontato un po’ la storia della sua vita: orfano, cresciuto in orfanotrofio, a quindici anni la Regina l’aveva reclutato a Palazzo e gli aveva dato un lavoro e un posto dove stare. Anche lui, in un certo senso, doveva la vita alla Regina Madre, ma non per questo la ammirava come Ifigenia.
“Tu sei pazzo,” era solita ripetergli scherzosamente lei quando capitavano in discorso.
“Quella donna non mi convince. I capelli di Solaris si sono stinti dopo un incontro privato con la Regina. Deve averle fatto qualcosa,” rispondeva meditabondo Joel.
“E per quale motivo la Regina Madre avrebbe dovuto farlo? Lei ci ama,” bisbigliava allora Ifigenia con fervore.
“Solo se voi continuata ad adorarla costantemente e siete devote solo a lei.”
“Non è vero. A volte noi e voi andiamo nell’Oasi insieme. Lei sa che ci vogliamo bene.”
“Io e Solaris ci amavano. E lei me l’ha portata via,” aveva concluso aspramente Joel una volta.
Ifigenia non capiva. Non conosceva la parola amore, non le era stata insegnata. Però sapeva che la Regina le voleva bene e lei era devota alla Regina.
A parte quegli sporadici screzi, Ifigenia e Joel andavano d’accordo e la Regina era molto soddisfatta dell’aspetto sempre più raggiante della sua protetta. Il giorno del compleanno della bambola, la Regina decise di mettere in scena il mito greco dove aveva preso ispirazione per il suo nome: Ifigenia, la figlia di Agamennone, sacrificata ad Artemide per placarne la collera prima della partenza dei Greci per Troia e salvata dalla dea stessa, impietositasi per la sorte della ragazza.
La mattina del suo compleanno, Ifigenia trovò il regalo di Joel ai piedi del suo letto a baldacchino. Aprì il pacchetto e le cadde in grembo il libro di racconti per bambini che parlavano di quelle strane ragazze da cui la Regina aveva preso spunto per le sue creazioni. Ancora in vestaglia di seta bianca, Ifigenia lo andò a cercare.
Era ancora presto, non c’era nessuno in giro per i corridoi del teatro. La bambola lo trovò dietro le quinte, intento a sistemare alcuni nastri che si erano aggrovigliati e rimase ferma a guardarlo lavorare. Joel si accorse di lei solo dopo un po’ e, alzando lo sguardo, le sorrise. Ifigenia gli sventolò il libro sotto il naso.
“Grazie. Mi piace molto.”
“Di nulla,” le rispose Joel.
Si alzò e le andò incontro, senza mai smettere di sorridere.
“Andiamo a prepararci,” aggiunse. “Oggi voglio farti diventare ancora più bella.”
Ifigenia annuì entusiasta e Joel le accarezzò delicatamente il viso, come per studiarne la consistenza, quindi tornarono nel camerino della bambola, dove la Guida la vestì, la pettinò e la truccò. Quando terminarono, il teatro era ormai in fermento: anche gli altri si erano svegliati e si erano dedicati alle loro operazioni quotidiane. Joel stava rimettendo in ordine le spazzole e i cosmetici, quando ad Ifigenia, che si stava ancora rimirando pensierosa allo specchio, venne un’idea.
“Joel?” lo chiamò, girandosi di tre quarti sulla sedia.
“Sì?”
“Ho voglia di cambiare. Oggi è la mia festa: tingimi i capelli di viola.”
Joel sbarrò gli occhi. “Sei pazza?”
“Solo per oggi. Domani mattina li faremo ritornare scuri,” lo implorò lei.
Joel scosse la testa. “La Regina si vendicherebbe su di me.”
“Non è vero, Lei ama il suo popolo, non ti farebbe mai del male.”
“A te, forse. Ma per quanto riguarda me, stai pur sicura che prenderebbe sicuramente qualche provvedimento.”
“Secondo me ti sbagli, ma se sei così preoccupato dille che ho fatto tutto da sola.”
“Ancora peggio: sosterrebbe che mi sono distratto.”
“Non se le dicessi che ho fatto tutto da sola minacciando di lanciarmi dalla galleria del teatro.”
Joel esitò. “Si seccherebbe molto.”
“Un motivo in più per assecondarmi,” replicò maliziosa Ifigenia.
Joel sogghignò e inarcò un sopracciglio.
“Non è leale,” disse, cominciando a prendere il necessario per la tinta che solitamente impiegavano per colorare le parrucche.

Impiegarono più del previsto a portare a compimento l’opera sacrilega perchè dovevano stare costantemente all’erta che nessuno li scoprisse. Poco prima dell’uscita quotidiana – la Regina voleva infatti che le sue bambole uscissero dal teatro e andassero a passeggiare per le vie del Regno, se non altro per lasciarsi ammirare – Ifigenia fu pronta. I suoi lunghissimi capelli corvini erano ora di un viola acceso, solo alcune ciocche attorno al viso erano rimaste del loro colore naturale. Joel aveva fatto davvero un ottimo lavoro, e sembrava pensarlo anche lui mentre ammirava il riflesso di Ifigenia allo specchio. Appena la bambola vide il risultato, cacciò un urletto di gioia e saltò al collo di Joel, scoccandogli un bacio sulla guancia, mentre lui rideva compiaciuto.
“Quando me ne andrò all’Oasi, mi tingerò ogni giorno i capelli di un colore diverso!” esclamò, guardandosi un’altra volta. “E tu verrai con me! Mi insegnerai ogni trucco! La mia Ifigenia stasera avrà i capelli viola!”
Si girò estasiata verso Joel, che la abbracciò e la baciò improvvisamente sulle labbra. Ifigenia lo respinse bruscamente: non riusciva a capire che intenzioni avesse Joel, ma di certo non le piacevano. Il ragazzo la guardò addolorato, ma non commentò. Le porse un enorme foulard con cui nascondere i capelli, ma lei optò per un cappellino, meno appariscente.
Uscirono, e nessuno fece caso a Ifigenia, che aveva raccolto la sua chioma sotto al cappello e aveva lasciato cadere fuori solo le ciocche nere. Rientrarono all’orario prestabilito e, un paio di ore prima dell’inizio dello spettacolo, quelle che dovevano essere dedicate allo studio, Ifigenia si ritirò in camera propria a leggere il libro che le aveva regalato Joel. Conteneva fiabe dai nomi strani come Hansel e Gretel, Pollicino o I vestiti nuovi dell’Imperatore, ma anche fiabe come Cenerentola, Biancaneve, La bella addormentata nel bosco in cui le eroine venivano baciate dal loro vero amore e vivevano per sempre felici e contente. Venivano baciate proprio come aveva fatto Joel con lei quella mattina. Si guardò allo specchio e, improvvisamente, davanti ad Ifigenia parve spalancarsi una voragine.
Ora capiva.
Ora capiva cosa intendeva Joel quando diceva che amava Solaris. Era una cosa del tutto diversa dal sentimento che Ifigenia provava nei confronti della Regina. Ugualmente forte, ma diverso. E scoprì con suo immenso stupore di ricambiare quella strana sensazione. Chiuse il libro, scese di sotto e andò a sistemarsi vicino alle quinte, in attesa che Joel venisse a legarle i nastri ai polsi e alle caviglie come ogni sera. Il ragazzo arrivò puntuale e Ifigenia non perse tempo: lo sospinse in un angolino appartato e lo baciò proprio come aveva fatto lui. Dopo un attimo di stupore, Joel ricambiò con tanto trasporto da sollevarla e farle fare un mezzo giro sul posto. Furono costretti a separarsi quando udirono la voce della Regina chiamare il nome della bambola per porgerle le sue felicitazioni.
“Ti amo,” bisbigliò Ifigenia prima di allontanarsi. Uscì allo scoperto e si inchinò al cospetto della Regina, quella sera avvolta in un abito di tulle blu e in una stola di pelliccia nera.
“Ifigenia, mia stella più preziosa, non credo che la tua antica omonima avesse i capelli di quel bel colore così acceso,” chiocciò radiosa appena la vide.
“La mia sì, Madre” ribattè spavalda Ifigenia, con il sorriso più candido che riuscì a trovare.
“Oh, mia cara...Joel, vieni qui, per favore, comincia pure a legare i nastri alla mia gemma mentre parliamo e falle levare quella parrucca, per cortesia,” comandò la Regina con un imperioso cenno della mano. Joel emerse dall’oscurità con i nastri in mano e Ifigenia diede uno strattone ai capelli, a dimostrare che non si trattasse di una parrucca. La Regina rimase spiazzata e un lampo di collera passò nei suoi occhi, mascherato all’istante da un sorriso zuccheroso. Joel cominciò a legare i nastri senza fiatare e lo sguardo della regina saettò dalla Guida alla bambola.
“Lui non ha colpa, Madre,” cinguettò Ifigenia. “Ho minacciato di gettarmi dalla balconata più alta se non mi avesse assecondata.”
La Regina perse ogni traccia di ira e rimase sinceramente scioccata.
“E per quale motivo, Ifigenia?”
“Volevo cambiare,” rispose semplicemente lei. “Domani rimetterò tutto in ordine.”
Si avvicinò una guardia.
“Regina, quando vuole noi siamo pronti.”
La Regina annuì e uscì. Joel terminò il proprio lavoro, baciò un’ultima volta Ifigenia a fior di labbra di nascosto, poi andò anche lui al proprio posto.
Ifigenia entrò in scena.

Il pubblico applaudì entusiasta quando Ifigenia si inchinò graziosamente a fine spettacolo e uscì. Stranamente, era riuscita a muoversi quasi senza l’ausilio dei nastri che la tenevano legata alla sua Guida, mentre prima, durante ogni spettacolo, ne era sempre stata completamente dipendente.
Sapeva che quella sera sarebbe stata l’ultima volta sul palcoscenico, o comunque, nella migliore delle ipotesi, l’ultima con Joel. Ora non era più così sicura che la Regina l’avrebbe lasciato impunito. Ma lei non avrebbe permesso che gli venisse fatto del male. Sbucò da dietro le quinte a testa alta, contemporaneamente a Joel, e trovò le guardie reali ad accoglierla. Senza una parola, fecero loro cenno di seguirle e i due vennero scortati fino a Palazzo. Ifigenia fu condotta nella stanza degli specchi e Joel giù per il corridoio principale in una densa oscurità. Prima di separarsi non parlarono, entrambi consapevoli della precarietà della loro situazione, si limitarono a scambiarsi uno sguardo carico di significati, poi le porte della stanza degli specchi vennero chiuse dietro le spalle di Ifigenia. La Regina era già lì ad attenderla, ancora in abito da sera, muta.
“Mia cara, davvero non ti saresti dovuta comportare così. Mi hai disobbedito, sono molto delusa,” disse dopo un po’ con tono serio.
“Solo perchè mi sono voluta distinguere dalle altre per un giorno?” chiese Ifigenia senza più cercare di mascherare il disprezzo nella voce dietro falsi sorrisi. La Regina parve oltraggiata come se fosse stata schiaffeggiata.
“Voi siete le mie bambole. Non potete disobbedirmi nè prendere iniziative autonome,” ribattè glaciale.
Per la prima volta, Ifigenia vide la Regina come Joel l’aveva sempre descritta: una despota meschina e malvagia. “Io vi ho create, voi siete mie.”
“Ci avrai anche create, Madre,” Ifigenia calcò volutamente sull’ironia della parola, “ma ognuna di noi appartiene solo a se stessa.”
“Tu non dovresti nemmeno pensare la metà di queste cose!” strillò la Regina. Anche il suo aspetto stava lentamente mutando. Da donna giovane e affascinante, si stava lentamente trasformando in quello che doveva essere il suo vero aspetto: una vecchia avvizzita e curva, dai capelli bianchicci e stopposi e gli occhi porcini.
“Una volta, venivo lodata per la mia acutezza,” replicò Ifigenia impassibile. Se rimaneva distaccata e non si lasciava spaventare, poteva vedere la Regina indispettirsi e inquietarsi sempre più.
“Solo perchè ti avevo creata a mia immagine e somiglianza, più di tutte le altre. Eri la mia favorita, ma ora pagherai ugualmente con la vita,” gracchiò la Regina, puntandole contro un dito adunco.
“Noi non possiamo morire,” ribattè Ifigenia.
“Oh, sì, invece,” ghignò orribilmente la Regina. Le erano rimasti solo pochi denti giallastri. “Dove credi che finiscano tutte le tue sorelle?”
Ifigenia spalancò gli occhi e il ghigno della Regina si allargò.
“È proprio una bella storia quella dell’Oasi, vero?” ridacchiò. “Farai la stessa fine di quell’altra sciocca bambola, Solaris. Stai pur certa che nemmeno Joel la passerà liscia, stavolta.”
“Non oserai - !”
“Silenzio! Oserò eccome, invece! Con te, è già la seconda volta che mi ritrovo costretta a distruggere volontariamente una di voi. Mi chiedo cos’abbia di tanto speciale quella Guida per rovinarvi così.”
“Ci fa sentire amate! Ci fa sentire uniche! Una cosa che tu non sarai mai in grado di fare!” le gridò contro Ifigenia. Ad un cenno della Regina, alcune funi germogliate dal pavimento le si strinsero addosso, immobilizzandola sul posto.
“Amore! Che cosa stupida,” scoppiò poi a ridere malevolmente la vecchia. “L’amore è capace di rovinare la vita di una persona, lo sapevi questo?”
Ifigenia si divincolò inutilmente.
“Io ti ho dato la vita, la bellezza, la giovinezza, l’intelligenza. Ti ho offerto una vita perfetta e tu ci hai sputato sopra!” sibilò la Regina.
“Intelligenza? Tu la chiami intelligenza, la nostra?” domandò sconvolta la bambola.
“Ognuna di voi ha la possibilità di studiare ogni giorno.”
“Le cose che vuoi tu! È quasi più dannoso studiare solo determinate cose che non studiarle affatto. Io ho imparato veramente solo leggendo un libro di favole per bambini!”
La Regina strizzò maligna gli occhietti.
“Cosa? Cosa hai imparato? Ad amare? Potevi diventare grande e hai gettato tutto alle ortiche per un uomo,” pronunciò l’ultima parola in tono di scherno.
“Una vita perfetta e grandiosa è vuota e senza senso senza la persona che ami al tuo fianco,” disse Ifigenia.
La Regina fece spallucce.
“Ne creerò altre come te, più obbedienti e meno rivoluzionarie. Non ti lascerò certo andare via ora che sai tutte queste cose. Ti aprirò il petto e mangerò il tuo cuore che non batte, la fonte vitale di ognuna di voi, così mi prenderò la tua giovinezza e tu invecchierai precocemente, mentre io tornerò ad essere bellissima. Entro un paio di giorni, cadrai a pezzi e morirai, e con te anche il tuo caro Joel.”
La Regina si avvicinò, le praticò un taglio sulle funi che le legavano il petto e iniziò ad incidere la pelle. Ifigenia gridò, ma la porta si spalancò prima che la vecchia potesse provocare seri danni e Joel comparve sulla soglia, il viso tumefatto e un po’ instabile sulle gambe, ma vivo. Stringeva una mazza tra le mani, rubata ad una guardia reale e, prima che la Regina si riprendesse dalla sorpresa, corse dentro e la colpì alla nuca, mandandola bocconi per terra. Lasciò cadere la mazza ai suoi piedi e iniziò a liberare Ifigenia più in fretta che poteva, controllandosi continuamente alle spalle che non arrivassero le guardie e che la strega non si rialzasse.
“Presto, presto!” bisbigliò, stringendo la mano di Ifigenia. “Saranno qui a momenti, mi sono liberato durante un attimo di distrazione che non si ripeterà mai più.”
“Joel!” esclamò Ifigenia, saltandogli al collo.
Joel la strinse brevemente, poi la allontanò gentilmente ma con fermezza e le indicò lo specchio più grande di fronte a loro, sulla parete opposta a quella della porta. Sembrava uguale a tutti gli altri pannelli di vetro che foderavano l’intera stanza.
“Quello specchio,” disse ad Ifigenia che lo guardava senza capire. “È la nostra unica via di salvezza. Passiamoci attraverso e fuggiamo da questo posto orribile, andiamo nel mondo reale di cui abbiamo sempre e solo sentito parlare.”
“Per sempre?” gli domandò Ifigenia.
Joel annuì. “Quello specchio è la porta che conduce al mondo degli uomini, me lo ha detto Solaris prima di morire. Voleva che un giorno io me ne andassi e portassi qualcuna con me. Qualcuna degna di andarsene, che avesse aperto gli occhi.”
“Anche lei aveva capito perchè si era innamorata?” chiese ancora Ifigenia con gli occhi pieni di lacrime, osservando lo specchio.
“Non lo so. Forse, forse no. Forse è qualcosa che era già insito in voi,” le rispose accarezzandole una guancia. “Sei disposta ad abbandonare tutto e fuggire con me?”
La Regina mugolò sul pavimento, agitando lentamente una gamba. Ifigenia le scoccò un’occhiata colma di apprensione, poi guardò Joel dritto negli occhi e annuì.
Sempre tenendosi per mano, Joel si bagnò la punta delle dita con qualche goccia di sangue che ancora cadeva sul petto di Ifigenia e disegnò una stella a cinque punte al centro dello specchio.
“Acqua, aria, terra, fuoco e divinità,” mormorò e lo specchiò diventò nero. Guardando meglio, tuttavia, si poteva scorgere una galleria al di là del pannello.
“Attraversalo, Ifigenia, e diventerai umana,” le disse Joel. Lei annuì e, proprio mentre le guardie arrivavano di corsa e la Regina si rialzava barcollante e urlante, i due amanti varcarono la porta.
Fu come passare attraverso un velo di acqua gelida, ma riemergendo qualche istante dopo alla fine del tunnel, si ritrovarono in una radura, lo specchio al centro a ridosso di un albero. Joel tracciò di nuovo il simbolo sul vetro e recitò ancora le cinque parole, facendolo tornare trasparente. Poi prese una pietra piuttosto grossa, con l’aiuto di Ifigenia, la lanciò contro lo specchio e lo frantumò in mille pezzi.
La bambola sedette ansante per terra e sentì improvvisamente il cuore batterle sotto le dita, mentre si portava con stupore una mano al petto. Joel le sorrise e la abbracciò.
“Incamminiamoci, dovrebbe esserci un villaggio non molto distante da qui, o almeno così mi ha detto Solaris.”
“È stata la Regina a raccontarglielo prima di ucciderla?” domandò Ifigenia, rialzandosi con lui.
Joel annuì. “A volte veniva lei stessa qui, altre mandava i suoi servitori per farsi portare tessuti e cibi che non riusciva a ricreare nel suo Regno. Ora nessuno riuscirà mai più a passare. Quello specchio era unico.”
“Siamo salvi, quindi?”
Joel sorrise più di prima e annuì ancora. Ifigenia scoppiò a piangere e lacrime vere le scorsero sulle guance. Testando ogni nuova sensazione, i due giunsero fino al villaggio e affittarono una stanza per la notte alla locanda. Alla luce soffusa delle candele, prima di andare a letto, Joel estrasse dalla tasca dei pantaloni i nastri di Ifigenia e glieli tese, lasciando a lei l’onore. La ragazza prese un paio di forbici e li tagliò uno per uno, poi li gettò tra le fiamme del caminetto e rimase a guardarli bruciare, conservandone solo un minuscolo pezzettino tra le pagine del libro che le aveva regalato Joel.      
  
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