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Autore: chicca2501    04/03/2015    3 recensioni
Paring: Leonetta, Diecesca, Naxi e Fedemilla.
Dal testo: "Era una brutta giornata, brutta ma adatta a quello che stava per accadere. Le nuvole grigie nascondevano il cielo e il sole, mentre le tenebre stavano cominciando a invadere la pianura ghiacciata.
Tra gli spuntoni di roccia calcarea e di detriti inumiditi dal ghiaccio, la folla si stava accalcando verso un piccolo palchetto di legno fatto alla bell’e meglio che si reggeva a stento.
Sopra quella piattaforma c’era una ragazza slanciata, dal fisico magro e dai capelli lunghi e rossi e con gli occhi castani, i quali scrutavano tutte quelle persone ammassate lì solo per vedere lei, la grande Camilla Torres. "
Un'isola perduta in un mondo caratterizzato da guerre e carestie.
Un popolo magico in attesa di essere liberato.
Un capo dei ribelli pronto a tutto.
Quattro ragazzi diversi, ma uniti da un grande potere.
Amori che superano ogni confine del tempo e dello spazio.
I quattro elementi faranno tremare il suolo.
Acqua, fuoco, terra e aria si dovran temere!
C'è una terra da salvare,
Una battaglia da affrontare.
And I'LL WIN!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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~~10

Possibili disastri

- Allora Fran, me lo dici cosa succede? – sussurrò dolcemente Diego, mentre accarezzava dolcemente la schiena della ragazza in lacrime.
- N…no. – singhiozzò la mora, affondando ancora di più il viso nel petto dell’altro.
- Io ti posso aiutare. – mormorò il ragazzo, dandole un bacio sul capo e sollevandole il mento con due dita in modo che potesse specchiarsi nei suoi occhi; non sapeva da dove veniva tutta quella dolcezza spontanea, quel senso di protezione nei suoi confronti che non aveva mai sentito per nessuno.
La fissò dritta negli occhi: erano dei normalissimi occhi castani, ma lui se ne sentiva attratto, non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle iridi così magnetiche.
Cercò di non fissarla, ma non ci riuscì, era come se fosse legato a una catena invisibile che lo legava a quel viso così dolce, così raffinato.
Istintivamente, poggiò la fronte sulla sua: - Di me ti puoi fidare. – in quelle parole infuse tutta la fermezza e la fiducia che aveva.
La ragazza non sapeva se fidarsi o meno: conosceva Diego da poco più di un mese, non poteva rivelargli i suoi segreti e le sue paure; ma, a contraddire quell’affermazione, c’era il fatto che lei si sentiva sicura con lui, protetta e quando lo guardava provava una strana sensazione che le si formava alla bocca dello stomaco, come se mille farfalle danzassero dentro di lei al ritmo di una musica vivace e pimpante. E poi, aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno, e Diego era la persona più adatta.
Lo guardò ancora qualche istante, poi decise: - Ok, ma mi devi promettere che non lo dirai a nessuno. – il ragazzo annuì e sorrise; non uno dei suoi soliti ghigni derisori, ma un sorriso aperto e sincero che su quel volto si era visto in rare occasioni.
Iniziarono a camminare, mentre la mora raccontava. In poco tempo Diego era a conoscenza del suo ruolo nei Quattro e dei suoi sentimenti.
L’altro ascoltò con attenzione, non si perdeva niente e pendeva letteralmente dalle sue labbra.
- E così sono ridiventata la piagnucolona di sempre. – concluse Francesca appena arrivarono ai confini dell’accampamento e si accorsero che lo avevano percorso tutto.
- Non sei una piagnucolona, Francesca. È normale piangere. – la consolò il ragazzo.
- Tu non piangi. – constatò la Cauviglia, guardandolo di traverso.
- Ma io sono un bastardo. – ribatté lui, facendo un mezzo sorriso.
- Si è vero. – rise la mora. - Cambiamo argomento, per favore. -
- Ok, e di cosa vorresti parlare? – domandò l’altro.
- Boh, non so, ma qualunque cosa sia non deve riguardare la magia. -
Diego quasi non sentì quelle parole; un ricordo gli era affiorato alla mente: il loro primo bacio, quella ventata di passione che lo aveva fatto ardere di un’emozione sconosciuta ma bellissima; così, si avvicinò al suo orecchio, e mormorò sensualmente: - Forse vorresti parlare di quello che c’è stato tra di noi l’altro giorno. –
La ragazza arrossì violentemente e chinò il capo: se lo ricordava benissimo quello che era successo, le emozioni che aveva provato, il contatto con le labbra dell’altro…
Era stato il suo primo bacio, un bacio dolce, ma passionale e carico di desiderio, una cosa che lei non aveva mai sentito per un’altra persona.
Il moro le sollevò il mento con una mano, facendo incrociare i loro sguardi. Non capiva più niente, né cosa stava facendo, né il perché lo stesse facendo.
Fatto sta che iniziò ad avvicinarsi sempre di più, fremendo dalla voglia di poggiare le sue labbra su quelle morbide e carnose dell’italiana, quelle labbra che sapevano di dolcezza. Anche Francesca si alzò sulle punte, decisa e desiderosa.
Il corno delle emergenze suonò, facendoli sobbalzare. Il rumore continuava insistentemente.
- Stanno attaccando. – mormorò Francesca, prima di correre verso l’armeria, seguita a ruota da Diego.

Maxi era accasciato sulla sua branda, morto di stanchezza; quel giorno non era morto per un pelo.
Non era mai stato gran che con le armi, in quello eccellevano persone come Leon o Diego, ma non come lui, che si dilettava con il teatro, le mappe e lo studio degli insetti.
Sbuffò; a volte gli sarebbe piaciuto essere più virile, più autorevole o solamente avere un minimo di forza in più nei muscoli. Invece no: era basso, magrolino e l’unica qualità che aveva era una spiccata intelligenza che molte volte non sapeva come utilizzare. Infatti, la mente non ti aiuta granché in battaglia, se non hai un corpo possente.
Improvvisamente, gli tornò alla mente un ricordo.
* Flashback *
- Forza Maxi, concentrati! – la voce di Diego suonava quasi esasperata.
- Ci sto provando! – ribatté il più piccolo, guardandolo male. Ok che era il suo migliore amico, ma lo stava trattando veramente da schifo. Cosa ci poteva fare lui se non era esperto di armi e combattimento come lui?
L’altro sembrò comprendere i suoi pensieri e addolcì lo sguardo: - Dai, scusa. È facile: affondo, tondo e ritorni indietro alzando la spada per parare un colpo. – detto questo, diede una dimostrazione visiva dell’esercizio. Maxi lo fissava, strabiliato: anche se aveva solo dodici anni, Diego Casal era davvero bravo, per non dire il migliore.
- Ora tocca a te. – disse quest’ultimo, porgendo la spada all’amico. Il bambino la prese tra le sue mani e provò la sequenza; l’affondo e il tondo erano passabili, ma al momento della parata cadde all’indietro, finendo proprio in una pozzanghera.
Sentì Diego sghignazzare. Si voltò verso l’altro e lo fulminò con un’occhiataccia. Non osava lagnarsi, nonostante la sua giovane gli permettesse questo piccolo sgarro. Si rialzò in piedi a fatica, i vestiti appesantiti dall’acqua mista a fango.
Squadrò l’amico con uno sguardo di fuoco, per poi gettarsi contro di lui, urlando.
L’altro era più forte fisicamente, ma venne colto di sorpresa, perciò finì a terra, l’amico sopra di lui.
- Ta dan. – rise Maxi.
- Ta dan un cavolo, Ponte, vieni qui! – gridò Diego, mettendosi a rincorrerlo. Nell’aria risuonavano le loro risate felici.
* Fine Flashback *
Maxi sorrise, non sapeva perché stava pensando alla sua infanzia in quel momento; forse quel ricordo gli era tornato in mente perché era uno degli ultimi giorni felici prima della morte del padre. A quel pensiero, non riuscì a trattenere un singhiozzo, sentiva gli occhi che pungevano, segno che le lacrime stavano per arrivare.
Le lasciò scorrere silenziosamente, tanto non c’era nessuno.
- Maxi, che succede? – il ragazzo per poco non scivolò giù dalla branda. Alzò lo sguardo e vide il volto preoccupato di Nata che lo fissava.
- Nata. – la chiamò, mentre si asciugava le lacrime con le mani, nel vano tentativo di nasconderle – che ci fai qua? – le domandò.
- Camilla ha indetto una riunione di emergenza e sono venuta a chiamarti. – gli rispose candidamente la riccia. – Però vedo – continuò – che non stai affatto bene. –
- Sto benissimo, tranquilla. – rispose il ragazzo, mettendosi a sedere.
- Si, se tu stai bene, io sono ricca sfondata. – commentò l’altra sarcasticamente. – Sul serio, cosa c’è? – continuò poi, addolcendo il tono della voce.
Maxi la guardò, incerto; era stato molto tempo con Nata, in quei giorni, e ormai lei lo conosceva bene e lo capiva, ma lui era abituato a tenersi i suoi sentimenti dentro. Ma a quella ragazza lui poteva dire tutto, lei l’avrebbe ascoltato, ne era certo, senza pregiudizi e non l’avrebbe considerato un vile e un pavido perché stava piangendo per la morte di suo padre.
- Stavo pensando a lui. – mormorò. La riccia per un attimo sembrò spaesata, ma poi il suo viso si illuminò, segno che aveva compreso.
- Maxi… oh Maxi! – disse, per poi abbracciarlo. Sentì che anche l’altro ricambiava la stretta e si lasciava andare alle sue cure.
Quando sciolsero l’abbraccio, si guardarono negli occhi: - Non devi farti abbattere Maxi. –
- Ma è così difficile, non ci riesco. Senza mio padre non sono nulla. Lui era la mia roccia, il mio sostegno, uno dei pochi che mi capisse sul serio. Invece, ora che sono solo posso essere considerato tranquillamente una merda! – esplose il ragazzo.
- Maximiliano Ponte non è una merda! – ribatté la riccia. – Lui è dolce, gentile, simpatico e intelligente. Certo, non sarà imponente o molto bravo con le spade, ma è la sua forza morale e intellettuale l’arma che deve usare. È il ragazzo migliore del mondo e… credo di essermene innamorata. – quando concluse il discorso, Nata distolse lo sguardo, imbarazzata da quella confessione.
Quando lo rialzò, l’espressione di Maxi trasudava sorpresa. – Scusa. – sussurrò – era meglio se non dicevo niente e mi dispiace tanto per… - non riuscì a terminare la frase, che il ragazzo le prese il viso tra le mani e la baciò.
Non era un bacio passionale, no, era un semplice contatto di labbra, dolce, delicato, morbido, ma fece comunque venire brividi lungo la schiena a entrambi. Le mani di Nata si posarono sulla vita del ragazzo, mentre prolungava il bacio.
Quando, infine, si staccarono, si sorrisero, emozionati.
- Sai, anche io mi sono innamorato di te. – ammise Maxi, dopo qualche secondo.
La riccia arrossì e lo abbracciò, finalmente felice dopo molto tempo.

- Chi manca? – chiese Camilla, impaziente. Davanti a lei, seduti su sgabelli di legno consumato c’erano Leon, Diego e i Quattro che si guardavano attorno, confusi e stanchi. Beh, erano le due del mattino e avevano finito di combattere solo da poche ore, si capiva.
La rossa batté nervosamente il piede per terra sbuffando; nonostante i vari anni di autorità, prima al fianco di suo padre e poi da sola, il suo carattere così impulsivo e impaziente non era ancora abituato ai ritardatari.
- Nata e Maxi non sono ancora arrivati. – le rispose Violetta dopo pochi istanti, scatenando un altro sbuffo del capo dei ribelli. Il suo stratega, colui che avrebbe dovuto essere il primo ad arrivare, non c’era.
- Siamo qui. – chiamarono due voci affannate, entrando nella tenda. Tutti si voltarono e sorrisero sollevati quando videro entrare Maxi e Nata. Federico notò anche che avevano le mani intrecciate, ma decise di non dire niente, non era quello il momento di fare l’amico geloso.
- Come mai questo ritardo? – domandò Camilla, alzando un sopracciglio. I due ragazzi diventarono improvvisamente agitati, ma, alla fine, Maxi riuscì a balbettare: - Ero andato a fare una passeggiata notturna e… ehm… Nata non è riuscita a t-trovarmi. – dopodiché abbozzò un sorriso dolce e pentito. Il capo lo fece sedere, scusandolo.
- Bene, ora ci siamo tutti? – chiese, esasperata, e per fortuna ricevette una risposta positiva.
- Di cosa ci devi parlare? – intervenne poco dopo Leon, con voce assonnata, riuscendo a stento a trattenere uno sbadiglio.
- Innanzitutto, mi scuso per l’ora, ma è importante. Dovete vedere questi. – detto questo, tirò fuori dalla bisaccia di pelle di cervo due fogli e li mostrò agli altri: erano due disegni rappresentanti una mappa del tesoro e una montagna da cui partiva un fiume dei colori dell’arcobaleno. Tutti si accigliarono immediatamente: Camilla li aveva svegliati per far vedere loro dei disegni?
- Ora so che state pensando: “Camilla è rimbambita”, ma non è così. Leon, Diego, riconoscete questi disegni? -. All’inizio, i volti dei due ragazzi mostrarono confusione, ma dopo pochi attimi i loro volti si accesero e annuirono prontamente.
- Sono i disegni che hai fatto tu quando eri bambina. – disse Leon, lentamente. - Mi ricordo che avevi disegnato la mappa per arrivare alla Fon… - il ragazzo scattò improvvisamente in piedi, buttando a terra la sedia nella furia del movimento.
- Leon, cosa succede?  – chiese una Violetta preoccupata, alzatasi a sua volta.
- Cosa succede? Succede che Camilla vuole condurci verso la morte! – sbraitò nervosamente l’altro.
- Ma perché dici questo? – domandò un’altra volta la ragazza, la quale si stava spaventando per l’atteggiamento del suo amico. Non lo aveva mai visto comportarsi così, nemmeno quando Camilla aveva dichiarato che sarebbe arrivata la Stregona degli Animali, e li era giustificato.
- Per la prima volta nella mia vita, sono d’accordo con Vargas. Camilla, lo capisci che così facendo diminuiscono le possibilità di sopravvivere? – concordò Diego, alzandosi e raggiungendo gli altri due.
- Perché, qui ne abbiamo molte di più? Non stiamo facendo niente, siamo fermi qui, senza una ragione precisa, a girarci i pollici in attesa di un nuovo attacco che ci decimerà! Seguendo il mio piano, avremo magari meno probabilità di sopravvivere rispetto a quelle che abbiamo qui, ma almeno faremo qualcosa! – ribatté con fervore la rossa.
- Io non ti seguirò in questa pazzia. Basta, me ne vado! – gridò Leon, andandosene di corsa dalla tenda.
- Leon! – urlò Violetta, prima di seguirlo.
Quando anche quest’ultima sparì, un silenzio carico di tensione si impossessò dei presenti.
- La riunione è terminata. – sentenziò il capo dei ribelli alla fine. – Ne riparleremo domani. –
Tutti incominciarono ad uscire, stanchi e spaesati. Solo Federico non si mosse; al contrario, si avvicinò a Camilla.
- Che succede? – gli chiese lei in tono scocciato.
- Ti volevo parlare. Ho scoperto una cosa che dovresti sapere. –

- Leon! Leon, aspetta! – Violetta non riusciva a tenere il passo del ragazzo, il quale, al contrario, aumentava la velocità della sua camminata, cercando di seminarla.
- Vattene, Violetta! – le urlò per risposta lui, senza fermarsi.
- Ma io ti posso aiutare! – ribatté la ragazza, riuscendo ad avvicinarsi. – Dimmi che succede. Perché non possiamo spostarci? –
Vargas si fermò di colpo, senza preavviso, e per poco l’altra non cadde in avanti, tanto era stato lo slancio con cui aveva compiuto quegli ultimi passi.
Il ragazzo guardava l’orizzonte, immerso in chissà quali pensieri; Violetta si ritrovò a pensare che con quell’aria persa era ancora più bello; una strana luce riluceva in quegli occhi smeraldo, una luce che non gli aveva mai visto. La ragazza gli appoggiò una mano sulla spalla destra e la accarezzò lentamente. – Ricordati che a me puoi dire tutto. – sussurrò. L’altro girò la testa e posò le labbra su quella piccola mano, inspirando quel profumo al nontiscordardime che la caratterizzava.
Rimasero in questa posizione per vari minuti, prima che Leon alzasse la testa e la guardasse dritta negli occhi. Nocciola e verde si scontrarono, una combinazione di colori perfetta, unica. Si sorrisero dolcemente e si abbracciarono.
- Grazie. – mormorò il ragazzo contro la sua spalla.
- Ora sei più calmo, è questo che conta. – rispose Violetta, dandogli un leggero bacio sulla guancia.
- Prima mi sono arrabbiato per un motivo. – continuò lui, sciogliendo l’abbraccio. – La missione di Camilla è suicida. –
Castillo lo guardò stupita, ponendogli una domanda muta al quale l’altro rispose prontamente: - Vuole andare a cercare una fonte, una fonte magica, che può aiutare i quattro elementi ad unirsi veramente. –
- E cosa c’è di male. -
- Cosa c’è di male? Violetta, lo sai che per raggiungerla dovremmo rischiare la vita. Non è una scampagnata così tanto per fare, no! È un viaggio lungo e faticoso dove i pericoli che affronteremo saranno molti e io non voglio che ti… che vi succeda qualcosa. – dette quelle ultime parole, deglutì.
La ragazza, per un attimo, restò basita. Camilla che li incoraggiava a compiere un’operazione suicida? Le sembrava impossibile. Lei si fidava del capo dei ribelli, e l’avrebbe continuato a fare, e anche Leon ci avrebbe provato.
Così, gli prese una mano e la strinse: - Non dire così. Mi credi ancora una bambina? Pensi che non sia in grado di cavarmela. Sono qui da poco tempo, ma di sicuro l’ultima cosa che farò sarà fuggire alle avversità, e tu, caro mio, farai come me, ok? –
Ora fu Leon quello che rimase sorpreso. La determinazione e la forza di quella ragazza la sconcertavano sempre di più.
La abbracciò di nuovo: - Sei incredibile. – mormorò.
- Lo so. – ribatté lei, scatenando la risata dell’amico. Si, potevano farcela.

Si trovava nel bosco, tra quegli alberi tanto amati che avevano dato un tocco di colore  alla sua infanzia. Era vicino alla quercia dove aveva imparato ad usare la spada; ricordava bene quel giorno: lui, suo padre e suo fratello erano andati là, con delle armi di legno e avevano giocato, riso e si erano divertiti un mondo.
Ma lì era anche il luogo dove sua moglie aveva trovato qualcosa di peggio della morte; rabbrividì al pensiero di quelle mani viscide e unte, quel calderone, i fanatici…
Si sedette, poggiando la schiena contro la corteccia ruvida di quell’albero secolare e inspirò profondamente, godendosi quell’atmosfera così familiare.
All’improvviso, avvertì un formicolio alla testa, un fastidioso prurito che, dalla nuca, si stava diffondendo in tutto il corpo. Incominciò a grattarsi ed era così preso da questa operazione che non sentì dei passi felpati che si avvicinavano.
Qualcuno sibilò alle sue orecchie con voce roca e familiare: - Buonasera, German. –
L’uomo si alzò di scatto e incontrò quei pozzi neri e profondi: - Tu. – ringhiò.
- Oh, per favore, è così sorpreso. – sghignazzò l’altro – Credevo che lei fosse un po’ più furbo. -
- Piccolo bastardo. – venne fermato da una mano coperta da un guanto posatasi sulla sua bocca.
- Ha ragione, ma non tollero le parolacce a casa mia. – furono le ultime parole che sentì.


Angolo dell’autrice: Hola a todos *sbuca dalla torre di libri, scartoffie e dvd* come va? Vi sono mancata? Probabilmente no, ma pazienza, dovete sopportarmi.
Innanzitutto mi scuso per l’immenso stratosferico ritardo, ma ci sono stati degli impedimenti: tra scuola, basket, computer rotto, il mio compleanno, e il drogarmi di once upon a time *occhi a cuoricino per quella serie meravigliosa* non sono riuscita a scrivere molto.
In più mi è venuto il “blocco dello scrittore” (se così mi posso definire) e l’ispirazione è andata a farsi friggere insieme ai cavoletti di Bruxelles.
Va beh comunque, a me questo capitolo non mi piace molto, non apporta grandi cambiamenti alla storia ed è quello in cui ho dovuto correggere più cose.
Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto, accetto anche critiche e consigli.
Un bacione da Chicca2501
 

   
 
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