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Autore: luna_storta    04/03/2015    1 recensioni
Harry Potter dopo due anni dalla morte di Tom Riddle si catapulta nel mondo dei suoi genitori e amici, avendo così piacevoli e spiacevoli rivelazioni su di loro. C'è ancora qualcosa che alla fine non quadra ma sfortunatamente sono tutti morti, quindi nessuno può dargli delle spiegazioni...o quasi.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, I Malandrini, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny, James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Dopo la II guerra magica/Pace
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Harry era molto nervoso per il colloquio che lo aspettava il giorno dopo, il suo colloquio per diventare Auror. “28 marzo... 28 marzo...” si continuava a ripetere “Dolores, domani vedremo chi aveva ragione, se tu, o la McGranitt”.
Non sembrava passato tutto quel tempo, lo ricordava come il giorno precedente ma in realtà, era successo molti anni prima. La vita di allora era del tutto diversa e mai se la sarebbe aspettata così.
Pensò, per un breve momento a Sirius, che era stato un padre fantastico per quei due lunghi anni e sarebbe stato con lui perfino il giorno prima del suo primo colloquio. Con un pizzico di amarezza ricordò l’ultimo anno che aveva trascorso con la compagnia del suo amato padrino. Passò lentamente una mano sulla tasta del divano beige del suo salotto e socchiuse gli occhi, immergendosi brevemente in un mare di ricordi. Quando li riaprì, decise che sarebbe andato in quella che era stata la casa di Sirius. Uscì frettolosamente dalla casa e con un sonoro CRAC si materializzò davanti al numero 12 di Grimmauld Place. Una leggera ondata di vento gli scompigliò dolcemente i capelli.
Aprì meccanicamente la porta e, senza ricordarsi del porta-ombrelli, v’inciampò facendo aprire le tende del riquadro della madre del padrino.
«Sbadati mezzosangue!» disse una voce dal ritratto.
«Buon giorno anche a te.» disse, ormai abituato al delicato comportamento di Walburga.
«Come osi, lurido mezzosangue, traditore del mio sangue, sudicio ibrido…» non volendola ascoltare, richiuse rapidamente le tende. Almeno era certo di non aver sbagliato casa!
Era rassicurante sapere che, se qualcuno fosse entrato in quella casa, ne sarebbe uscito credendo di essere completamente pazzo.
Rimise a posto il porta-ombrelli e con un rapido Reparo ricucì i jeans che aveva sdrucito nel frattempo e andò nella camera di Sirius, la sua stanza preferita in tutta l’abitazione.
Di solito si soffermava a vedere quelle strane foto di babbane in bikini e di quelle assurde motociclette, oppure si prendeva del tempo per rileggere le lettere tra Sirius e i suoi genitori ma quel pomeriggio non aveva per niente voglia di fare nessuna di queste cose, così si buttò semplicemente sul letto. Era diventata ormai una consuetudine recarsi lì, era come una nuova casa tutta sua.
Andava tutto bene; la sua vita sembrava perfetta a quel punto: possedeva una casa, una moglie e a breve forse avrebbe avuto un lavoro. C’era sempre qualcosa da fare e i suoi pensieri non la finivano mai di tormentarlo, era questo ciò a cui ormai Grimmauld Place numero 12 serviva, in fin dei conti: allontanarlo per il giusto lasso di tempo dalla realtà. Con un’infinità di pensieri in testa buttò gli occhi su un angolo della stanza e vide, qualcosa che prima d’ora non aveva mai notato. Si riaccese in lui quel senso di entusiasmo davanti ad un mistero che ormai aveva dimenticato nonostante l’avesse accompagnato per ogni singolo anno ad Hogwarts.
Decise di andare più vicino per scoprire cosa fosse. Una volta vicino, vide dei simboli eleganti disegnati sulla parete, erano dipinti in un angolo della stanza, un po’ come per essere visti e un po’ per non esserlo. Non si stupì di non averlo mai notato: era delle dimensioni di una scatola molto piccola, grande quasi quanto una Ricordella.
Avvicinandosi sempre più capì che era una scrittura, una scrittura elegante, sicuramente femminile. Per quanto vicino fosse ancora non riusciva a capire cosa ci fosse scritto a causa della piccolezza del tutto. Tirò fuori la bacchetta, deciso in tutto e per tutto a leggere cosa ci fosse scritto e recitò Engorgio. Fortunatamente il punto s’ingrandì fino a raggiungere una grandezza ragionevole.
Sorrise. Si girò eccitato verso la sua destra, dove di solito c’era sempre Ron, ma Ron non era lì. Per un attimo il sorriso del ragazzo si spense, ma riprese presto a rianimarsi.
Harry lesse velocemente le parole che vi erano scritte:
Eccoti qui, presentata al tuo cospetto la stanza dei segreti più segreti. La stanza delle memorie più dimenticate.
Oh tu, mago così brillante, riuscirai mai ad entrarvi? Per farlo devi sapere che,
sono pochi gli alberi tanto ramosi,       
poche le lune così storte,
pochi i peli così folti e silenziosi nella notte,
e poche le code lisce come quelle appena uscite da un barbiere.
Bisogna vivere nel giusto, anche se questo vuol dire non avere buone intenzioni.” 
Sembrava una dolce e familiare filastrocca.
Apparentemente erano parole vuote, senza nessun senso. Non avendo voglia di risolvere quello che sembrava un indovinello, puntò la bacchetta contro le scritte e provò con una serie di Alohomora, o altri tipi d’incantesimi simili ma nessuno parve funzionare. Forse l’assenza di un’ipotetica serratura ne rendeva impossibile l’apertura.
Rassegnato e incuriosito pensò molto, come nemmeno ai G.U.F.O. aveva fatto. Non era un Corvonero ma non era nemmeno così stupido da non poterlo indovinare! Sembrava così facile…eppure era certo che gli sfuggisse qualcosa…qualcosa di facile, la chiave di tutto. Lo rilesse tante volte, fino a perdere completamente la cognizione del tempo. Ormai era completamente concentrato su quelle parole tanto da essersi dimenticato del colloquio; al momento non esisteva altro se non quelle poche righe così intriganti. Si chiese cosa Hermione avrebbe fatto perché lei sì, ne era certo, avrebbe saputo cosa fare. Si sedette per terra incrociando le gambe, sentendosi finalmente comodo. Si passò distrattamente una mano sui capelli e si sistemò gli occhiali sul naso.
Ad un certo punto capì che esclusi alcuni versi, gli altri alludevano ognuno ad un Malandrino diverso: sono pochi gli alberi tanto ramosi alludeva a Ramoso; poche le lune così storte a Lunastorta; pochi i peli così folti e silenziosi nella notte a Felpato; e poche le code lisce come quelle appena uscite da un barbiere a Codaliscia. Era un ragionamento assai contorto e strano, sempre volendolo considerare corretto! Proprio per questo però, era certo che fosse dei Malandrini.
Era assolutamente certo di aver capito le parole chiave e ora tutto poteva essere più facile, poteva finalmente venirne a capo. Si chiese perché non l’avesse capito subito, dal momento che tutto si basava su un elementare gioco di parole. La probabile stanchezza fu per l’ennesima volta la scusa.
Ricapitolando (forse) i Malandrini avevano scritto quelle frasi, alludendo in quattro di queste ad ognuno di loro quattro. Bene, non era poco, era moltissimo. Non avere buone intenzioni gli ricordò a quel punto la frase Giuro solennemente di non avere buone intenzioni!”.
Quasi quasi Harry non ci credette: era fantastico! Ora tutto aveva un chiaro e limpido senso! Sorrise: quella era pura genialità. Si sentì nuovamente come colui che poteva, come colui che osava sempre e che sempre vinceva, proprio come negli anni del Quidditch. Per una volta, si sentì alla pari di Hermione e fu davvero una bella sensazione. Lo ammise: si sarebbe volentieri pavoneggiato.
Tornò alla realtà e assieme ad essa, a casa.
Non raccontò nulla a Ginny e lei gli fece ricordare un fatto molto importante che aveva dimenticato: il colloquio! La sua preoccupazione per esso era diminuita, tanto era entusiasta.
Il mattino dopo, si alzò, si vestì in giacca e cravatta, fece una colazione di cui sicuramente Ron sarebbe andato fiero e prima di entrare nel gabinetto (nonché via di accesso al Ministero) non dimenticò i fogli in cui aveva brevemente spiegato le sue competenze. Ginny era stata premurosa a volerlo accompagnare e aveva anche fatto bene: sapeva quanto Harry avesse bisogno di lei. Il colloquio non aveva un orario preciso e non c’era nemmeno un ordine ben preciso, chi arrivava prima aveva prima la chiacchierata infernale. A loro disposizione era dedicata una intera mattinata.
Quando i due arrivarono Harry si guardò in torno, infantilmente stupito per ciò che era il cuore dell’amministrazione magica. Ginny sapeva orientarsi molto bene e riuscì presto a trovare lo stretto corridoio brevemente improvvisato come sala d’attesa. Non c’erano molte altre persone in attesa di entrare e Harry tremava come una foglia.
Sua moglie lesse più volte il suo curriculum, accertandosi che non vi fossero errori di scrittura e che le capacità e i meriti di suo marito fossero ben illustrati uno ad uno. L’aria era molto calda, o almeno, questo fu ciò che parve al mago. Sentì le orecchie scottargli e allentò lievemente il nodo della cravatta. La vista gli si offuscò lievemente ma riprese ad essere normale con qualche battito di ciglia.
Conosceva poche canzoni ma riprodusse fedelmente il ritmo di ciascuna di esse sulla sua gamba, servendosi di entrambe le mani: la cosa lo calmava. Quando si rese conto che alcune persone avevano iniziato ad osservarlo, smise.
«Rilassati» gli disse Ginny, notando il suo nervosismo. Harry le sorrise appena.
L’attesa parve straziante e lacerante tanto che avrebbe di gran lunga preferito sentire il canto di una Mandragora. Si rigirava le mani fra di loro, consumandole d’ansia.
Arrivò anche il suo turno. Con una velocità indicibilmente lenta Harry percorse lo stretto e anonimo corridoio, fino a giungere davanti ad un portone di legno che aprì velocemente.
Per colui che aveva sconfitto Lord Voldemort, cosa doveva essere un colloquio?
Entrò in una stanza ampia e luminosa. Dovette percorrerla tutta su un soffice tappeto per arrivare alla scrivania dove un uomo di mezza età lo attendeva comodamente seduto su una poltrona e le braccia incrociate sul mobile. Sia a destra che a sinistra c’era una sedia, Harry scelse quella di sinistra. 
«Buongiorno» disse l’uomo. Assomigliava terribilmente a suo zio Vernon. Entrambi avevano una corporatura cicciottina e parevano avere entrambi quello strano amore per quegli orrendi baffi.
«Buongiorno» disse Harry dopo quella che sembrava un’eternità.
Dovette sembrare parecchio spaventato, perché l’uomo disse:
«Vorresti diventare un Auror e hai il timore di una semplice chiacchierata? Forse le voci che circolano su Harry Potter non sono poi così vere» lo stuzzicò «Ad ogni modo sappia che non ci sarà nessun favoritismo nei suoi confronti. Il grande Harry Potter verrà trattato nella medesima maniera di tutti gli altri»
Quelle parole lo fecero tremare ancora di più. Riacquistò un po’ di coraggio e prese il controllo della situazione.
«Non mi aspetto affatto che voi mi assumiate perché ho sconfitto Tom Riddle o perché io sia sfuggito alla morte in tenera età. Mi aspetto che voi mi assumiate per le mie capacità e non per ciò che ho saputo fare con il mio sangue freddo»
«Bene signor Potter. Vedo che la differenza fra lei e suo padre è sottile, proprio come mi avevano detto. Ha parlato delle sue capacità che, come lei dovrebbe sapere, devono tutte essere elencate per iscritto nel curriculum e nessuna può essere aggiunta a voce. Vorrei prima vedere i suoi punteggi di G.U.F.O. e M.A.G.O., gentilmente»
Harry sapeva bene che i punteggi di M.A.G.O. non erano fondamentali per essere assunti. Portavano con sé dei punti in più ed erano quello che nel mondo babbano poteva essere associato all’avere una laurea, anziché solo un diploma. Porse all’uomo solo il foglio che attestava i suoi punteggi del G.U.F.O. e lo scrutò attentamente.
«Astronomia, accettabile. Cura delle creature magiche, oltre ogni previsione. Incantesimi, oltre ogni previsione. Difesa contro le Arti Oscure, eccezionale. Erbologia, oltre ogni aspettativa. Pozioni, oltre ogni previsione. Trasfigurazione, oltre ogni previsione. Divinazione, scadente. Storia della magia, desolante. È evidente che il signor Potter non sia portato per le materie di solo studio e Divinazione. Vorrà dire che avremo un occhio interiore di meno» disse sorridendo. Era il primo sorriso che gli rivolgeva e si rivelò piuttosto inquietante.
Ora era calmo e mentre l’uomo leggeva il resto delle scartoffie, si soffermò a osservare meglio la stanza. Sul soffitto c’erano quattro quadri e ognuno di essi sembrava raccontare una storia a sé stante. Era tutto molto bello, era tutto molto raffinato. Tutti avevano sicuramente più di duecento anni. Sulle pareti laterali erano state dipinte molte porte e sopra ad ognuna di esse era stato scritto il nome di ogni Ministro della Magia assieme agli anni per cui ognuno era stato in carica. Harry lesse alcuni nomi come Faris Spavin, Millicent Bagnold, Pius O’Tusoe…ne conosceva qualcuno ma onestamente ammetteva di non essersene mai interessato anzi, spesso erano stati interessati loro a lui, come nel caso di Rufus Scrimgeou.
«Bene signor Potter, di lei leggo un ottimo profilo. Deve comunque sapere che la sua concorrenza è piuttosto ampia e valida, spero che lei riesca a convincere gli altri come ha convinto me oggi...» fece una breve pausa, come per assicurarsi che Harry stesse seguendo e poi riprese «Conoscevo suo padre, James. Mi diede un grande aiuto quando io tentai di entrare qui dentro, svariati anni fa, cercherò di restituire il favore. Siete l’unico in tutta la giornata di cui ho letto il profilo, gli altri erano talmente intimoriti da non essere probabilmente nemmeno in grado di dire il proprio nome.» sorrise, nuovamente. Pensò a sé e a quanto impaurito si fosse sentito e si stupì nel credere che c’erano state persone più spaventate di lui.
Il tono dell’uomo mutò:
«In tutta sincerità, Harry, dovresti cercare di migliorare l'Occlumanzia e di imparare la Legilimanzia: qui al Ministero sono molto importanti e ricercate. Un Auror oltre che capacità pratiche ha bisogno di un aiuto che nessun’altro potrà mai dargli: l’autocontrollo. Autocontrollo inteso come “gestione delle proprie emozioni” quali rabbia, paura e molte altre. Ci saranno dei test in cui il tuo controllo verrà messo a dura prova ma per te, che sei decisamente sulla buona strada, non dev’essere sicuramente un problema. Non mi è permesso dirtelo, tecnicamente, ma devi sapere che hai buonissime probabilità di venire assunto. Buona fortuna, Harry.»
 
Tutto era andato bene. Quando Ginny gli chiese come fosse andata, lui le raccontò tutto molto minuziosamente.
A cena, quella sera, la donna aveva superato se stessa.
«Ginny» bofonchiò Harry, intento a masticare «quando ci siamo sposati…non sapevo sapessi cucinare!» Ginny sorrise ma non disse nulla.
«É messa molto male la casa di Sirius?» chiese improvvisamente.
«No…ma se vuoi, potremmo andarci durante le vacanze per risistemarla» rispose lui.
«Potremmo prendere seriamente in considerazione l’idea…»  ma quando lei lo disse, Harry era perso, era tornato nella casa, a quella strana frase…
«Devo andare» sentenziò infine, una volta finito di mangiare. Si catapultò fuori di casa, preso dalla curiosità. Non sentì nemmeno sua moglie che gli chiese, leggermente preoccupata «dove vai?».
Era di nuovo lì, al numero 12 di Grimmauld Place, con la soluzione ben chiara. Non cadde nel portaombrelli –era stato attento- e corse nella camera di Sirius, ritornò nell’angolo a fissare ancora una volta quella parete. La scritta era ancora lì. 
«Giuro solennemente di non avere buone intenzioni» disse.
A quelle parole, il riquadro in cui la scritta era dipinta s’ingrandì, fino a diventare delle fattezze di una comunissima porta. I lati del quadrato presto divennero le fessure di una porta e puntualmente, a sinistra, comparve il pomello. Harry non stava più nella pelle e aprì la porta.
 Quello che trovò dentro non fu che oscurità, nient’altro che oscurità.
«Lumos!»
Subito la bacchetta produsse un lieve bagliore che diede un’ottima visibilità di quella che era la stanza. Harry si guardò attentamente attorno, davanti a sé vide degli scrigni, decorati con serpenti che si rigiravano su loro stessi di color nero e argento. Vi erano dei nomi color oro uno su ogni contenitore: Arcturus Black, Cygus Black, Cassiopea Black, Lycoris Black, Orion Black, Regulus Arcturus Black, Walburga Black, Regulus Black, Phineas Black, Pollux Black, Alphard Black e tante altre persone il cui cognome era Black. Gli scrigni andavano avanti sino a oltre il soffitto che sembrava non aver mai fine. Quando aprì bocca per lo stupore alla sua destra vide altri scrigni, che a dire il vero assomigliavano molto di più a scatole da scarpe.
Si avvicinò per leggere meglio e notò dei leoni oro e rosso finemente disegnati con delle scritte fatte evidentemente con un pennarello nero. Lesse mentalmente i nomi, partendo dal basso:
 James Potter, Sirius Black, Remus Lupin e per ultima Maya Rosier. Non fece nemmeno in tempo a chiedersi chi fosse Maya Rosier che notò un grosso libro appoggiato sopra quella pila di scatole, evidentemente dei grifoni.
Quella stanza, delle dimensioni di un ripostiglio per scope, pareva essere piena di sorprese.
Buttò il libro per terra, il quale fece un gran tonfo. Mise una mano sul coperchio della prima scatola e la aprì. Subito ne uscì un bagliore azzurrastro che costrinse Harry a spegnere la bacchetta e a chiudere gli occhi; poi quando il bagliore si affievolì, potè notare cosa vi era dentro: delle provette con un liquido, una specie di nebbiolina opaca color azzurro. Pian piano la sua mente tornò indietro, sino al sesto anno a Hogwarts, quando Silente gli mostrava i suoi ricordi. Ecco cos’erano, ricordi! Centinaia e centinaia di ricordi datati, assieme a una scritta “pag.” accompagnata da un numero e da un altro, separati da un trattino. Aprì tutte le scatole ed in ognuna di esse vide lo stesso contenuto. Si sedette per terra e restò lì a fissarle per un bel po’ quando si ricordò del libro. Lo tirò su e se lo mise sulle ginocchia. Era rilegato da una copertina rigida e le pagine sembravano essere state bagnate, data la loro strana consistenza. Lo aprì, ed iniziò a leggerne la prima pagina.   
  
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