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Autore: KikiShadow93    04/03/2015    7 recensioni
Durante una tranquilla giornata di navigazione, Barbabianca e la sua famiglia trovano qualcosa di incredibile in mare: una bambina, di cui però ignorano la vera natura.
Decidono di tenerla, di crescerla in mezzo a loro, ovviamente inconsapevoli delle complicazioni che questa scelta porterà, in particolar modo per l'arrogante Fenice.
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'allegra combriccola di mostri.'
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Il clangore della battaglia arriva fino alle sensibili orecchie dei due guerrieri, ma non li distrae minimamente. Restano fermi ad osservare come il tempo ha superficialmente influito l'uno sull'altra, e Peter rimane sconvolto dal turbinio di emozioni che gli sconvolgono la mente. È lieto di poter rivedere l'uomo che gli ha fatto un dono tanto grande come l'immortalità e al tempo stesso è furioso perché si è rifatto una vita, ha avuto due figli che ha riconosciuto come suoi eredi, mentre lui vagava da solo come un reietto. Nella sua mente devastata lui è l'unico erede legittimo e l'essere stato surclassato dai due giovani principi è un affronto pari all'esilio.
Sbatte la spada che teneva poggiata sulla spalla per terra, sollevando un poco di polvere.
«Il tuo attaccamento nei confronti di questi umani è rivoltante.» sibila nervoso, assottigliando lo sguardo.
Fenrir non ha alcuna intenzione di perdersi in chiacchiere e, buttata la pistola a terra, sguaina la spada e gli si lancia contro.
Peter scatta a sua volta brandendo l'imponente lama e subito prova a ferirlo, mandando però il colpo a vuoto.
Per quanto Fenrir possa essere provato, non si lascerà mai sopraffare così facilmente; ne va della sua famiglia e del suo onore.
Contrattacca subito, allontanandolo da sé e fissandolo con astio e angoscia. Non avrebbe mai pensato che un giorno sarebbe arrivato a combattere contro suo figlio.
Quando Peter prova ad attaccare di nuovo, furioso per lo smacco appena subito, viene afferrato con forza per i capelli dietro la nuca, con il braccio bloccato da quello dell'Imperatore, e in una frazione di secondo sente il setto nasale scricchiolare sotto la pressione esercitata dalla potente testata ricevuta.
«Era un movimento troppo prevedibile.» sibila Fenrir, osservandolo con attenzione mentre vacilla all'indietro.
Non fa però in tempo ad attaccarlo nuovamente che Peter gli è di nuovo addosso: un movimento veloce di lato, una finta che non aveva previsto, seguito poi da un forte dolore al fianco dopo la sua ginocchiata.
Si allontana di scatto, senza mai togliergli gli occhi di dosso.
«Anche questo era troppo prevedibile?» sfotte prontamente Peter. Vuole ucciderlo velocemente, fare rotta ad Helheimr per sbarazzarsi dei due piccoli ostacoli che si frappongono tra lui e il trono.
Fenrir si rialza velocemente e gli si scaglia di nuovo contro, deciso a chiudere la questione come avrebbe dovuto fare secoli prima.
Affondi e parate, colpi senza sosta.
Nelle loro orecchie risuona solo il suono metallico delle lame che si scontrano ritmicamente, mentre i loro cuori cominciano a battere sempre più forte nel petto.
Peter è veloce come Fenrir ricordava, anzi, pare essere riuscito a migliorare. Da quel poco che ha visto, è sicuro che adesso neanche Killian riuscirebbe ad eguagliarlo.
Oltre a padroneggiare con maestria la spada, sta dimostrando un'agilità e dei riflessi davvero straordinari, molto superiori alla media. Riesce a colpire di spada e far ruotare allo stesso tempo il bacino così da poterlo calciare simultaneamente; riesce a parare un colpo e spiccare contemporaneamente un salto per poterlo raggirare; riesce quasi a prevedere le sue mosse.
Per sua fortuna pare non essere ancora capace di ferirlo. Il problema nasce dal fatto che neanche lui, per quanto impegno stia mettendo nel combattimento, non c'è ancora riuscito.
Pianta con forza la spada a terra, Fenrir, e vi poggia il peso per potersi dare lo slancio necessario per sferrare un calcio, sorprendendo il ragazzo che si aspettava l'ennesimo affondo.
Lo sbalza all'indietro, facendolo sbattere con violenza contro la parete che quasi cede sotto al suo peso.
«Drittsekk...» sibila furioso, scansando con agilità il pugno che distrugge la parete a cui si era momentaneamente appoggiato. Atterra a pochi metri di distanza e di nuovo salta, evitando con maestria ogni nuovo attacco.
Prova in più di un'occasione a riprendersi la spada che ha involontariamente abbandonato, ma Fenrir glielo impedisce sistematicamente. Anzi, quando riesce finalmente a sfiorarla con la punta delle dita, l'Imperatore si lancia a terra e ruota su una mano, così da poterla calciare di sotto.
Dopo questo abile movimento, Peter si rende finalmente conto di aver sottovalutato l'avversario, dovendo ammettere, almeno con sé stesso, che durante quei secoli non si è affatto rammollito come pensava.
Si lancia con tutta la forza che ha contro di lui, e subito gli mostra che no, non ha mai dimenticato i suoi insegnamenti: blocca improvvisamente un piede a terra a poca distanza dall'avversario, e subito alza l'altra gamba così da potergli sferrare un calcio in pieno petto che lo sbalza di qualche metro all'indietro. Ne approfitta per provare a trafiggergli il cuore con il pugnale che porta attaccato alla coscia, ma riesce solo a trafiggergli l'avambraccio con cui si è parato e si ritrova a sua volta buttato nella polvere.
L'odore del suo sangue lo inebria, accendendo il suo istinto predatorio, e d'impulso snuda le zanne, mostrandogli i suoi occhi rossi.
Fenrir non è tipo da tante parole a cose normali, ha sempre preferito i fatti, ma non può trattenersi dal chiedergli come li abbia ottenuti.
«Sei stato tu a donarmeli» risponde beffardo il ragazzo, rialzandosi da terra «Quando mi hai condannato a morte!»
Estrae a fatica la lama conficcata nell'osso, Fenrir, trattenendo a stento un urlo carico di dolore, e subito dopo ferisce con la lama semi-corrosa il viso pallido del figlio, bloccando così il suo attacco e costringendolo ad indietreggiare.
Ma ci vuole ben altro per bloccare la follia di Peter, per metterlo in fuga o costringerlo ad arrendersi. Quando una creatura come lui è guidata solo dal rancore e dalla furia, niente può fermarla.
Con uno scatto fulmineo riesce ad afferrarlo per i capelli e a sferrargli una ginocchiata in pieno volto, così da stordirlo, per poi rigirarselo tra le braccia e portarselo alle spalle, schiena contro schiena. Gli afferra con decisione il collo, e Fenrir prova immediatamente ad opporre resistenza.
Peter non riesce a centrare la gola con gli artigli, ma non ha la possibilità di estrarli e riprovare, così tenta di ucciderlo per soffocamento, rafforzando la presa e sforzandogli l'osso del collo.
Fenrir, messo alle strette, calcia all'indietro colpendolo nel ginocchio, facendo poi leva sulle gambe per poterselo caricare in spalle e ribaltarlo davanti a sé.
Peter però atterra in piedi e lo calcia di nuovo, facendolo indietreggiare e costringendolo a sferrare colpi alla cieca pur di tenerlo a distanza. Ma questo non è sufficiente: Peter colpisce dove può con calci e pugni, mettendolo velocemente alle strette.
Con un calcio ben piazzato nel torace riesce a buttarlo a terra e battere una testata, tanto forte che avrebbe tranquillamente ucciso il più forte e tenace dei Dragoni.
Deve muoversi se vuole vincere, se vuole alzare la sua testa decapitata al mondo per provare a tutti che è il migliore, e per questo raccoglie frettolosamente il pugnale da terra e si butta con furia sul genitore, mirando all'occhio.
Fenrir però riesci a bloccarlo prima che la lama si avvicini troppo, e ferma anche il pugno che Peter prova a dargli per fargli mollare la presa. Si sta sforzando come poche volte in vita sua per evitare di perdere la presa, ma Peter lo frega imprimendo improvvisamente più forza nell'altro braccio, riuscendo così a far scivolare la mano quel tanto che basta da graffiare la guancia di Fenrir.
Sgrana l'occhio per la sorpresa, Fenrir, e comprende che adesso non può più scendere a compromessi con sé stesso, che deve lasciarsi totalmente andare.
Gli spinge lontano una mano così da poterlo sbilanciare all'indietro e lo colpisce di tacco dritto nel mento, spingendolo indietro il tanto che gli basta per poter sgusciare via.
Si accuccia a terra, il respiro diventa insopportabilmente irregolare.
Le ossa cominciano a spezzarsi e rimodellarsi, la pelle tendersi all'inverosimile fino a strapparsi.
Ci sono vari tipi di trasformazioni per i lupi mannari, come diversi livelli da superare per diventare completo. Fenrir ha avuto la sfortuna, settemila anni fa, di saltare tutte quante le fasi e spassare direttamente a quella molecolare: la più spettacolare e pericolosa. Lo spirito del lupo prede totalmente possesso della materia del corpo. Non è una trasformazione graduale, ma un istantanea riorganizzazione delle molecole della forma umana e quella di lupo. Talvolta è così veloce da creare un boom sonico attorno al corpo del mannaro!
È un processo doloroso che tutti hanno dovuto affrontare, e che affrontano ogni volta che devono cambiare forma.
Un lupo mannaro che subisce questa mutazione dovrebbe trovarsi, per almeno qualche minuto, in un luogo isolato e buio, così da potersi sentire a proprio agio e fare mente locale. Ma Fenrir non ha questo vantaggio: c'è Peter davanti a lui, che pianta il pugnale a terra e si prepara a mutare a sua volta; c'è la guerra, dove sua nipote sta morendo e il suo amato fratello sta versando il proprio sangue per colpa sua... è tutto sbagliato!
È spaventato, Fenrir. Ha paura di perdere completamente il lume della ragione e combattere come un animale rabbioso e ferire pure le persone che ama, ma sa bene che non c'è altra soluzione.
Ed è così, che dal sangue e la polvere, riemerge il più grosso e potente lupo mannaro mai esistito al mondo: Fenrir, figlio del dio Loki, la bestia del male.

Geri Ulykke non ha mai avuto così paura in tutta la sua vita.
Combatte al massimo delle proprie energie senza badare alla profonda ferita al fianco, proteggendo quello che per lui è il tesoro più grande: Kakashi.
Stava sgozzando un licantropo quando ha sentito il suo urlo e poi lo ha visto a terra, le mani che maldestramente provavano a legare uno straccio a metà coscia per bloccare l'emorragia, il resto della gamba mancante.
Si è sentito sprofondare in un abisso oscuro, il cuore bloccarsi.
Il suo corpo si è mosso in automatico, lanciandosi contro gli stolti che pensavano di poterlo finire, e adesso lotta incessantemente per tenerli lontani in attesa che qualcuno trascini via il corpo dell'amato.
Il suo dolore però non è niente se paragonato a quello di Ed, incapace di muoversi di fronte al corpo della madre, con il collo piegato in un angolo innaturale, attaccato per un lembo al resto del corpo, l’osso che spunta dalla carne squarciata.
Quando aveva visto cadere il padre, trafitto da una picca dritto al cuore, aveva continuato a muoversi spronato dalla madre, ma quando si è rigirato per cercarla tra la folla l'ha trovata così e il mondo gli è crollato sotto ai piedi. A poco servono le urla dei compagni che provano a coprirgli le spalle. Solo l'intervento di Freki, che lo afferra per la collottola e lo lancia lontano, riesce a farlo rinsavire.
Il maggiore gli ringhia che non è capace di affrontare lo scontro e che deve occuparsi dei feriti e subito obbedisce, trascinandosi per quel campo di morte con passo malfermo. Vuole aiutare, lo vuole con tutto sé stesso, ma l'idea che i suoi fratelli, così piccoli e indifesi, siano appena divenuti orfani lo fa impazzire. È però proprio questa consapevolezza che riesce a fargli evitare attacchi mortali: non può lasciarli pure lui.
Raggiunge a fatica Mimì, menomata all'altezza del gomito sinistro, che ha appena trascinato alcuni feriti dietro la linea difensiva formata dagli zombie e da coloro che, pur menomati, riescono ancora a brandire un'arma.
I Comandanti di Barbabianca non se la passano meglio: Vista è stato trascinato di peso tra i feriti con cinque proiettili nell'addome, e i medici di campo stanno facendo tutto ciò che è in loro potere per salvargli la vita, tragicamente appesa ad un filo; Atmos e Speed Jill, fortunatamente non in pericolo di vita, sono stati obbligati da un più che furioso Týr a ritirarsi con gli altri; Halta giace a terra dopo una violenta botta alla testa; Curiel è stato morso e quasi dissanguato da un vampiro, che è stato prontamente trafitto al cuore da Ace.
Il Secondo Comandante, reso cieco da tutta quella violenza e dalla sofferenza dei fratelli, combatte quasi senza rendersi conto di cosa sta facendo.
Non è però il solo che è stato reso cieco dalla battaglia: un vampiro, furioso e desideroso di vendetta contro il ragazzo, si gioca il tutto per tutto e lo attacca nonostante sia ricoperto di fuoco, dilaniandogli l'addome con un'artigliata.
Malgrado ci abbia rimesso una mano, è fiero del suo operato, perché il veleno nei suoi artigli entra subito in circolo nell'organismo del pirata, le cui fiamme si spengono in pochi secondi.
Respira male, Ace. Si tiene un braccio attorno alla pancia per fermare il sangue, e la vista gli si annebbia lentamente. Marco, tempo addietro, gli aveva raccontato delle sensazioni che gli aveva provocato il veleno di Akemi, ma era convinto che esagerasse e basta. Ora sa che si sbagliava.
Il vampiro lo colpisce in volto, facendolo cadere agonizzante.
Lo afferra per i capelli, sollevandogli la testa ed esponendo il collo muscoloso.
Un secondo e i denti affondando nella carne calda e sudata, ed Ace non riesce neanche ad urlare. Si sente soffocare, immobilizzato dalla consapevolezza che sta per morire.
Ma la sua ora non è ancora giunta e a deciderlo è Silly, che si scaglia con quanta più violenza può contro l'aguzzino del ragazzo.
Non è uno scontro semplice, il non-morto si rigira come un anguilla e la prova a colpirla senza sosta pur di tenerla lontana, senza però riuscire a farla demordere. Grazie a questa sua determinazione, in fine, riesce ad avvolgere le possenti fauci attorno alla sua testa e a stritolarla, riducendola in poltiglia come un pomodoro.
Lo sputa immediatamente, scuotendo il capo disgustata, per poi voltarsi verso Ace, ormai privo di sensi.
Lo afferra come meglio può con la zampa per un polso e se lo issa in spalla, correndo goffamente a tre zampe tra quella ressa urlante e ringhiante finché non riesce a lasciarlo tra le braccia di Atmos, che lo prende in custodia frettolosamente, bianco in volto come un lenzuolo.
Silly guarda il volto disteso del ragazzo mentre viene portato via, giusto per assicurarsi che se ne prendano cura, poi corre a dar man forte a chi ne ha bisogno, continuando silenziosamente a pregare di non aver veramente sentito l'urlo straziante di Akemi.
L'esercito nemico pare non esaurirsi mai: a ogni soldato che cade sul campo si ricompatta, come un corpo che d'un tratto rimargina la ferita, richiudono il muro di scudi così che gli arcieri dietro di loro possano scagliare nugoli di dardi micidiali mentre rispondono, colpo su colpo, con un'energia inesauribile, con un immenso, caparbio valore.
Neanche i maggiori esponenti dell'armata immortale riescono a scalfirli, dovendosi troppo spesso allontanare per evitare le mortali bombe che lanciano.
Týr non riesce più ad escogitare metodi per avanzare, il massimo che può fare è colpire e tornare indietro. Il suo cuore morto si è rianimato nel momento esatto in cui ha sentito urlare disperatamente la figlia, ma non sa come raggiungerla.
Wulfric, perennemente al suo fianco, pare averlo capito e continua a tentare di aprire un valico, senza successo. Per la prima volta nella sua lunghissima vita si sente sconfitto, annientato.
Gli unici che non si sono persi d'animo sono Freki e Killian, intenti a trucidare qualsiasi creatura capiti loro sotto tiro. L'influsso dell'imminente Luna Piena li invade totalmente, facendogli quasi perdere il lume della ragione a cui si aggrappano disperatamente.
Tutti colpiscono duramente, i corpi si ammassano l'uno sull'altro, e lo sgomento li assale completamente quando vedono in lontananza altre truppe formarsi, come un'orda infinita.
Quando però l'ululato agonizzante di Fenrir giunge alle loro orecchie, qualcosa dentro di loro si accende: una nuova rabbia, una nuova forza.
Týr, ormai oltre il limite, afferra per la collottola Killian e gli monta in groppa come se fosse un cavallo, dal momento che una scheggia d'argento gli ha ferito la gamba e gli impedisce di correre. Impugna la spada e grida «Cinque ondate, uomini!» e poi, più forte «Combattete per la vostra casa e la vostra libertà!»
A quelle parole gli uomini rispondono urlando con furore e gli vanno dietro mantenendo l'allineamento frontale. Perdere la loro isola sarebbe come perdere l'anima – sempre ammesso che ne abbiano una –,come essere morti prima di scendere nella tomba, come diventare ciechi dopo aver a lungo goduto della luce del Sole e dei colori della terra. Sarebbe ancor peggio che essere schiavi, perché molte volte gli schiavi non ricordano il loro passato.
Il mannaro si lancia al galoppo in quel campo pieno di grida e di morti, nero come una furia infernale, seguito dai compagni furiosi, e con tutte le energie che hanno in corpo sbattono contro il muro nemico, incuranti del dolore che l'argento gli provoca e delle ferite precedentemente riportate.
Si tolgono subito, lasciando spazio all'ondata successiva che si abbatte con la stessa violenza e determinazione. A poco valgono i contrattacchi dei Dragoni: niente impedirà loro di raggiungere il loro Imperatore!

Il battaglione combatte con valore per respingerli, ma i ranghi sono ormai scardinati dagli immortali che penetrano sempre più in profondità e dalla manovra convergente dei pirati che colpiscono a ondate nei fianchi. Non gli resta così altra scelta che indietreggiare per cercare riparo nelle altre truppe e nel castello, mentre la possente falange riprende ad avanzare irta di lance come un istrice spaventoso, a passo svelto.
Freya, resa cieca dal richiamo disperato del suo Signore, si lancia in un varco appena aperto e corre con quanta più forza ha nelle zampe, riuscendo miracolosamente ad evitare gli avversari.
Genma l'affianca velocemente, coprendole il fianco, riuscendo però per poco a tenere il passo. La donna infatti è più veloce di lui e ben più esperta, e per lui non c'è altra scelta che puntare le zampe a terra e uccidere quanti più nemici può, pregando tutti gli déi in cui ha imparato a credere affinché l'amata compagna si salvi.
Altri gli corrono in aiuto, uccidendo e trucidando con una ferocia che non credevano di possedere.
Dopo l'ululato di Fenrir tutti si sentono diversi, spinti da un istinto primitivo che li obbliga a correre in suo soccorso malgrado sappiano essere un'idea sciocca. Perché il branco proteggerà sempre il proprio Signore, a qualsiasi costo, anche contro nemici sin troppo superiori come Peter.
Pure gli altri immortali sentono questo irrefrenabile impulso, pur non essendo stati creati da lui. È una sorta di dipendenza, un attaccamento morboso alla sua persona che li ha resi schiavi, e la sola idea di vederlo morire per difenderli li manda fuori di testa.
I pirati corrono dietro a quelle belve inferocite provando a tenere il passo, calpestando e inciampando in cadaveri sanguinolenti.
Rakuyou scorge in quella ressa un generale nemico che combatte furiosamente con la spada già rossa di sangue, poco spostato sulla sua destra. Ad un primo impatto gli è sembrato un avversario come un altro, ma aguzzando un poco la vista si è accorto di un dettaglio che avrebbe preferito non vedere: legato al suo braccio destro svetta il foulard di Satch.
«Combatti, bastardo!» urla mentre si lancia di corsa contro di lui, fino ad arrivare a pochi metri di distanza.
Il generale, a cavallo del suo imponente mannaro, sprona la bestia verso di lui e gli scaglia addosso il giavellotto. La punta straccia la corazza del Comandante e gli scalfisce la pelle fra il collo e la clavicola, ma sguaina comunque la spada e gli va contro a tutta velocità, urlando a pieni polmoni.
Il generale, sbilanciato dall'impatto violentissimo dell'uomo e del vampiro che lo ha affiancato improvvisamente, deve aggrapparsi alla bestia e scopre involontariamente il fianco: in quell'istante Rakuyou gli conficca la spada sotto l'ascella.
La gioia per averlo ucciso però gli costa cara: una freccia lo colpisce nel ginocchio e gli impedisce di schivare l'ascia di un altro generale.
Il suo scudo devia solo in parte il colpo, che arriva comunque sull'elmo. La lama spacca il metallo, taglia il feltro e incide il cuoio capelluto da cui sprizza un fiotto di sangue sul volto del pirata, ormai a terra.
Il generale, fiero di sé, alza ancora l'ascia, ma Fossa irrompe in quell'attimo, gridando come un ossesso e brandendo la pesante spada infuocata gli trancia di netto il braccio.
Il nemico cade urlando, e il sangue sgorga copioso dall'arto mozzato spegnendogli la vita prima che la spada di Rakuyou, di nuovo in piedi, gli dia il colpo di grazia.
I due Comandanti si guardano per un breve istante negli occhi e subito ripartono,
seguendo velocemente Týr e Wulfric.
I due vampiri, infatti, hanno escogitato velocemente un sistema per sbarazzarsi, quanto meno, dei mercenari assoldati da Peter. Riescono ad infilarsi alle loro spalle, a isolarli dal resto dello schieramento e a spezzarne la compattezza.
Esausti per la lunga fatica, oppressi dal peso della massiccia armatura, presi fra due linee di nemici, i mercenari cominciano a cedere e a disperdersi e vengono finiti dai mannari di Helheimr.
I due colossi si fermano ansanti, sfigurati dalla fatica, sanguinando da numerose ferite. Sanno però che non è quello il momento per riposarsi e riprendere fiato, così ricominciano a correre, separandosi.
Wulfric, sprezzante del pericolo, si getta nella massa urlante e ringhiante, brandendo l'ascia bipenne che ha trovato lungo il tragitto per aiutare Geri, messo alle strette.
Týr invece è riuscito a scovare l'unico avversario che gli interessava oltre a Peter, l'unico di cui bramasse veramente il sangue: il generale dei vampiri traditori.
Stava cercando di fuggire, il temerario guerriero, ma Týr non gliel'ha permesso, lanciando un giavellotto in sua direzione per sbarrargli la strada.
Non si erano mai sfidati prima, non si erano mai visti tranne che in foto. Adesso che finalmente lo può vedere in volto, Týr si accorge di essersi sempre illuso, che non è altro che un vampiro qualsiasi, privo di particolare onore o coraggio.
Il suo interesse si spegne velocemente, tanto che per un istante pensa di lasciarlo fuggire, ma quando l'altro ordina ai suoi uomini, sfiniti e doloranti, di ucciderlo cambia di nuovo idea, lanciandosi verso di lui con tutta la velocità di cui dispone.
Arista e Sakura lo affiancano, sbaragliando gli altri vampiri così da lasciargli campo libero e poi mischiarsi di nuovo in quel caotico groviglio di corpi e pellicce, ormai fuori di sé dalla collera: la prima ha visto il volto sfigurato della propria amata compagna, mentre la seconda ha visto l'arto mutilato dell'adorato fratello. Nessuna forza, né il cielo né in terra, riuscirà a fermarle.
I due avversari, nel frattempo, si battono come furie e il clangore assordante dei loro colpi si spande nella pianura, eco di uno scontro titanico.
Forte della sua esperienza di lottatore, Týr guizza in una finta sbilanciando il generale che tocca terra con il ginocchio. Nello stesso istante, il vampiro si erge in pieno equilibrio affondando, di rovescio, un gran colpo di scure nella schiena del nemico che crolla al suolo di schianto.
Caduto il loro comandante, i vampiri nemici, stremati e decimati, sospinti dalla forza inarrestabile degli avversari, cominciano a ritirarsi e infine si danno ad una fuga disordinata, cercando rifugio in mare, dove però vengono accolti e annientati dalle forze schierate di Namiur.
Freya, nel frattempo, è riuscita a superare tutti gli ostacoli che le si erano piazzati davanti e si è arrampicata su un bastione semi-crollato per raggiungere Fenrir.
Ha visto con la coda dell'occhio la Fenice cadere in picchiata per difendere, anche a costo della vita, i due compagni stesi a terra, le cui vite sono ormai tragicamente appese ad un filo. Per un attimo ha pure pensato di andare ad aiutare la parente, ma ci ha ripensato immediatamente: il suo Signore viene prima di qualsiasi altra cosa al mondo.
Così ha ricominciato a correre, imbattendosi in un Dragone della guardia di Peter. Le si è parato davanti con la sciabola sguainata, ma la mannara non si è lasciata intimidire e gli si è lanciata contro, disarmandolo e lasciandolo per un attimo inebetito e disarmato. Ha poi vibrato una zampata e gli ha reciso la gola, macchiandosi il muso con un fiotto del suo sangue caldo.
Un giovane grifone, attirato dalla scena, scende in picchiata verso di lei e l'afferra con quanta più delicatezza può per la collottola e la solleva in volo, così da facilitarle un minimo l'impresa. Perché lui ha visto cosa è successo tra i due licantropi, ha visto con quanta ferocia di battono, con quanta cattiveria si sbranino tra loro, quanto sangue stanno versando. Ma, soprattutto, ha visto Peter lanciarsi come una furia sulla groppa di Fenrir, l'ha visto mentre gli piantava gli artigli in profondità per non essere sbalzato a terra e ha assistito con orrore al momento in cui gli ha staccato e divorato l'orecchio destro.
Sarebbe intervenuto lui stesso se non glielo avessero impedito, se lo stesso Imperatore, dopo aver lanciato involontariamente un urlo carico di dolore e angoscia, non si fosse lanciato di nuovo alla carica, accecato dall'ira.
Freya, trattenendosi dal gemere per il dolore che gli artigli del volatile le provocano, aguzza lo sguardo e finalmente lo vede, steso a terra in una pozza di sangue, e questo moltiplica a dismisura le sue energie.
Non appena viene messa a terra si frappone tra i due per difenderlo, quasi allucinata per lo sforzo, e per un brevissimo istante si ritrova a fissare negli occhi Peter. Prima che possa scattare per provare ad attaccarlo, avverte un dolore lancinante a una coscia e vede che una freccia le si è conficcata di lato poco sopra il ginocchio. Stringe i denti e la strappa reprimendo il dolore straziante, ma quando alza lo sguardo Peter le è già addosso e le stringe le fauci attorno al collo.
La strattona violentemente, gustandosi la dolce sensazione del suo sangue che gli bagna la lingua.
La lancia a terra con forza, facendole battere la testa contro un pezzo di muro crollato sotto ai loro precedenti colpi, e subito dopo le monta addosso, premendo con una zampa sulla gola e con l'altra su una sua zampa per tenerla ferma.
«Ehi, padre...» latra inferocito, godendo nel vedere il terrore negli occhi di Fenrir «Guarda un po' che faccio!»
Il corpo martoriato della licantropa viene sollevato brutalmente da terra, con le zanne del nemico piantate in profondità nella gola.
Guaisce forte Freya, implora il proprio Signore di essere aiutata, ma Fenrir non riesce ad intervenire per tempo, ritrovandosi a guardarla precipitare giù dalla torre, con le lacrime che gli solcano il muso di fronte all'espressione terrorizzata della ragazza, che infine di impala sulle picche d'argento usate come palizzata.
Aveva rischiato tutto per difendere lui, per dargli una mano. Si era mostrata coraggiosa ad intervenire, folle nel pensare di poter tenere testa a Peter... dolce a fargli da scudo col proprio corpo.
Fenrir la guarda, così immobile con la testa ciondoloni all'indietro, tre pali d'argento a consumarle la carne e gli organi interni, il veleno con cui erano stati unti entrarle nell'organismo per distruggerla.
«Sai, in quella posizione mi ricorda qualcuno.»
Fenrir neanche lo sente. Alzando lo sguardo vede tutti i suoi compagni in difficoltà, feriti e sanguinanti. Sente le loro urla, il loro dolore. Vede Freki combattere come un dannato affiancato dalla Fenice pur di riuscire a proteggere Akemi da quel branco di bastardi traditori. La vede a terra, priva di sensi, e accanto a lei quel pirata stremato, ormai troppo vicino al trapasso, che le tiene una mano e con l'altra prova ad estrarle il frammento dal costato.
E lui non riesce a sopportarlo.
È solo colpa sua se Peter è arrivato a fare una cosa simile, se è stato in grado di muoversi così e portare tanto male nelle loro vite.
Bàthory, stufo di essere ancora ignorato, gli salta brutalmente addosso, stringendo violentemente le fauci attorno alla carne viva dove un tempo c'era l'orecchio destro, infierendo così sul suo dolore, provando a strappargli altra carne.
«Sai chi altro è morto impalato in quel modo? EH?! Lo sai?!» gli molla una zampata dritta nel muso sanguinante, facendolo vacillare «È proprio simile al momento in cui trapassai la cassa toracica di tuo fratello!»
Fenrir alza di scatto il muso. Il dolore che lo sta piegando si immobilizza con lui, si congela. Un nuovo tepore gli permette di rimettersi sulle zampe, di alzare il muso per guardare il figlio traditore che ghigna malignamente mentre si vanta delle proprie imprese.
«Esatto, padre: IO HO UCCISO TÝR!»
Tutti hanno sentito quell'urlo carico di odio. Tutti, dal primo all'ultimo e la rabbia li infiamma.
Fenrir, dall'alto della sua posizione, li guarda per un breve istante mentre si lanciano di nuovo all'assalto, ancor più furiosi di prima. Nella folla, ha scorto brevemente il fratello grazie allo scudo col drago rosso, e l'ha visto correre, animato da un profondo e autodistruttivo desiderio di vendetta, verso l'interno del castello. Per questo sa che gli rimane poco tempo a disposizione per ucciderlo: non rischierà di nuovo la vita di Týr.
Si volta furente verso il ragazzo, ghignante e fiero del proprio operato, e adesso si rende definitivamente conto che quello non è suo figlio, ma un estraneo pericoloso che mina alla vita della sua famiglia.
Cancella dalla mente il dolore che prova, lo annienta e lo rinchiude in un angolino e si prepara allo scontro finale.
Le zanne vengono messe in bella mostra, le fauci scattano, le zampe danzano, i corpi si tuffano e poi rotolano via.
Peter, eccitato come mai in vita sua da tutta quella morte, dalla disperazione che lui stesso ha causato, combatte come posseduto da una cieca entità maligna, che lo fa muovere con grazia e precisione. Fa una finta verso di lui, poi vira e affonda le zanne nella spalla dell'altro. Fenrir, i cui sensi si sono riaccesi ancora di più assieme all'ira, porta a terra l'avversario stringendolo con entrambe le deformi e lunghe zampe. Rotolano in una massa ringhiante di pelo, bava, polvere e sangue, ma Fenrir mantiene la presa, riuscendo a conficcare i denti oltre la spessa pelliccia del collo. E gode nel sentirlo guaire con tanta sofferenza.
Con un colpo ben assestato di reni, Peter riesce a liberarsi dalla presa e a rimettersi in piedi, sorpreso da quest'improvviso cambiamento.
Ha visto tante volte Fenrir in combattimento, ha studiato le sue mosse in entrambe le forme, ma mai lo aveva visto così.
Riprendono a muoversi in cerchio su zampe rigide. Le labbra sono arricciate in una maschera d'odio, mettendo in mostra le scintillanti zanne macchiate di sangue; i tendini tremano per lo sforzo. Fenrir mena un colpo che però va a vuoto, rotola via e torna a quattro zampe prima che i denti di Peter schiocchino nell'aria.
Volevi staccarmi anche l'altro orecchio, pezzo di merda?! Pensa furibondo il lupo, che emana dal corpo una densa nube di vapore, come una fiera fantastica, una creatura da incubo.
Si confrontano, le fauci spalancate e le zanne in mostra.
Fenrir balza alla gola di Peter con quanta più velocità può. Peter, che non riesce a tollerare l'idea di essere battuto, lo afferra e lo getta via come fosse uno straccio.
Fenrir sente la zampa precedentemente ferita con una freccia d'argento diventare sempre più greve, come un peso morto, e quasi non riesce a rimettersi in piedi.
È il pensiero di Astrid e dei suoi ragazzi a sostenerlo, a dargli la forza di continuare fino all'ultima scintilla d'energia.
I due mannari si separano, poi si voltano e prendono velocità; balzano e si scontrano a mezz'aria.
Il muso di Fenrir è striato di sangue. Eppure Peter non molla: vuole spaccargli il setto nasale, strappargli la lingua e conficcargliela in gola così che possa soffocare, ma i suoi morsi continuano ad andare a vuoto contro la struttura ossea del suo muso.
Messo alle strette, Fenrir raccoglie da terra la punta di una freccia d'argento e, dopo essergli a fatica montato in groppa, la conficca con forza nella nerboruta spalla dell'avversario.
Peter strilla con quanto fiato ha nei polmoni, tanto forte da risvegliare i morti, provando a scrollarsi l'avversario di dosso. Riesce, per pura fortuna, a rotolare via, cercando ancora di tenere lo sguardo sull'avversario, che non ha mai smesso di mostrargli le zanne. Poi di nuovo Peter, reso cieco dalla follia e dalla sete di potere, lo carica con furia e l'antico Lothbrook non può far altro che provare a reagire con zanne e artigli. Ma tutta la sua ira non vale nulla: non ha più abbastanza energie.
Il veleno contenuto nei canini dei mannari ha effetti quasi narcotici sull'avversario. Bastano pochi colpi e il mal capitato si ritroverà steso a terra con difficoltà respiratorie e motorie. In questo caso i due combattenti hanno resistito oltre ogni limite immaginabile, incassando e annientandosi piano, piano.
Era per questo che Fenrir avrebbe preferito uno scontro corpo a corpo in forma umana, per evitare questo fastidioso inconveniente.
Peter apre una ferita nel suo fianco, lo spintona a destra e a sinistra, lo costringe a danzare un ballo frenetico e stordente.
Lo afferra per l'ultima volta con le lunghe e forti zanne per la collottola e lo getta di nuovo giù, mostrandogli i lunghi canini macchiati di rosso, fiero di sé stesso.
«Non eri venuto fin qui per uccidermi?» lo sfotte prontamente, girandogli attorno, escogitando qual è il modo migliore per farlo fuori immediatamente.
Fenrir è esausto, non riesce più a muoversi. Non sente più la zampa ferita, indice che l'argento ha compito il suo compito.
«Dammi il tuo regno, Fenrir, e in cambio potrai riavere tua moglie.»
Quelle parole, pronunciate con tanta sufficienza, sono la goccia che fa traboccare il vaso.
Si rialza a fatica, gemendo per il dolore, e punta l'occhio appannato sulla figura ancora troppo in salute che gli sta di fronte.
«Non puoi più niente. Hai giocato tutte le tue carte.» continua a sfotterlo Peter mentre raccoglie la spada dell'uomo, rigirandosela tra le dita e studiandola con attenzione «Ti decapiterò con questa.»
Detto questo gli molla una potentissima zampata dritta nel muso, costringendolo a rimettersi a terra a respirare polvere.
Non è certo un medico, Fenrir, ma è ben consapevole di avere gravi emorragie interne. Le sente, così come sente che è sempre più vicino al momento fatale.
Stringe gli occhi quando le enormi zampe di Peter gli sfilano davanti agli occhi, la spada per lui tanto preziosa trascinata come se non valesse niente.
Ma che altro può fare? La zampa posteriore non risponde più, gli arti superiori resistono a malapena e la respirazione diviene ad ogni secondo più difficoltosa.
Ma se proprio deve morire, porterà Peter con sé: mentre il ragazzo si è messo al suo fianco e alzato l'arma, pronto a tagliargli la testa, Fenrir richiama a sé tutta l'energia che ancora fluisce nel suo corpo e la incanala nella gamba sinistra e si gioca il tutto per tutto, scattando in avanti e conficcando nel suo petto un sottile bastoncino, mancando per forse un centimetro il cuore. Subito dopo si abbandona al suolo, annaspando in cerca di ossigeno che proprio non riesce a trovare.
«Che mossa stupida.» ghigna malignamente Peter, alzando di nuovo l'arma al cielo. D'un tratto, prima che possa infliggergli il colpo di grazia, un insopportabile dolore al centro del petto lo piega in due, proprio dove sta il bastoncino.
Le energie gli vengono improvvisamente meno e mantenere la muta attiva è troppo in quel momento, così lascia che le sue spoglie umane prendano il possesso del suo corpo, cosa che ha fatto pure l'Imperatore pochi secondi prima.
Si tiene una mano sul petto, Peter, annaspando e gemendo di dolore, cercando risposte nello sguardo del genitore.
«Era un pezzo di freccia, Peter... una freccia d'argento...»
«Co... cosa?»
«Volevo vendicare Freya, così ho usato quella che si era conficcata nella sua gamba.»
Peter non riesce quasi più a muoversi e dei densi rivoli di sangue nero gli colano ai lati della bocca, seguiti poi da un colpo di tosse insanguinato con la quale si potrebbe riempire una ciotola.
Prova ad estrarre la freccia, inutilmente: l'ha piantata troppo in profondità per essere recuperata da solo, e le forze diventano sempre più sbiadite, come un ricordo lontano.
Non vorrebbe stendersi di fianco all'uomo che, per un verso, gli ha rovinato la vita, ma proprio non riesce a farne a meno: si butta a terra, la mano petto pieno di vene violacee che si diramano in ogni direzione, gli occhi vitrei piantati in quello di Fenrir.
«Non hai ancora vinto...» mormora a fatica prima di spirare, lasciandosi andare al freddo abbraccio delle Valchirie.
Fenrir rimane immobile a contemplare il suo volto coperto di sangue, sudore e polvere. Una parte di lui vorrebbe rendergli tutti gli omaggi funebri poiché è stato un grande guerriero, uno dei pochi di cui si racconteranno leggende nei secoli a venire, ma sa che andrebbe contro la sua gente, e per questo si limiterà a bruciare il suo corpo.
Si abbandona completamente, fissando il cielo plumbeo, e mille domande confuse gli affollano la mente. Si domanda se verrà condotto nel Valhalla a banchettare e brindare con gli déi, o se finirà nella landa oscura e gelata del Regno di Hel. Si domanda pure dove sia stato condotto Peter e se lo dovrà rivedere a breve.
Sente all'improvviso una voce che lo richiama, ma è così lontana da sembrargli un miraggio.
«FENRIR! RESISTI!»
Suo fratello, il suo adorato fratello minore, sta correndo a rotta di collo per raggiungerlo.
Odino, ti supplico, non portarmelo via!
Týr si ripete queste parole nella mente da quando lo ha visto in cima alla torre senza un orecchio e coperto di sangue, e adesso non può far altro che correre con quanta velocità può, affiancato da Wulfric, e pregare che vada tutto bene.
Quando lo raggiungono, tirano entrambi un sospiro di sollievo nel trovarlo ancora vivo, seppur in uno stato davvero critico: ha negli occhi una stanchezza mortale, sul volto un colorito terreo, trema e batte i denti.
«Riposa ora» gli mormora Týr coprendolo con il proprio mantello «Fra non molto saremo a casa.»
Il cielo su di lui esplode in una miriade di punti luminosi e poi si ottenebra d'un tratto. In quel momento si rivede ritto al centro di una camera immersa nella penombra, mentre stringeva al petto un bambino. Sentiva la pelle morbida del piccolo contro la sua guancia ispida, le sue labbra sulla spalla solcata dalle cicatrici e un profumo intenso di rose nell'aria.
Chiude gli occhi e, vinto dallo sfinimento, si lascia andare ad un sonno turbolento, sconvolto dal dolore e da visioni d'incubo.

La terra trema sotto il galoppo martellante dei focosi mannari, resi folli dalla visione del loro Signore steso a terra. C'è chi dice che sia già morto, e questo non fa altro che infervorarli maggiormente.
I vari guerrieri nemici, urtati dalle cariche continue degli avversari, si battono con disperato coraggio, ma cadono uno dopo l'altro fino all'ultimo uomo. Nessuno si arrende, nessuno implora in ginocchio per la propria vita, ma questo coraggio non vale a ispirare alcuna pietà, né la giornata è abbastanza lunga per arrestare la crudeltà della vendetta: nulla può fermare i nemici a quel punto, ormai ciechi di furore e ubriachi di sangue e di violenza.
Mentre Akemi, Fenrir e Satch vengono trasportati d'urgenza alle navi in groppa ai grifoni, seguiti a ruota da Týr, Freki e Wulfrik, la battaglia infuria ancora più violenta.
Non ci vogliono ormai che un paio d'ore di ultimi, terribili sforzi, e ovunque scende un silenzio greve, rotto solo qua e là da qualche grido attutito dallo sbuffare dei mannari che avanzano come spettri tra la polvere.

 

Prima che il Sole tramonti completamente, la battaglia è vinta.



Angolo dell'autrice:
Onestamente? No, non sono soddisfatta. Dovrò leggere molti più libri con questa tematica, perché da sola è evidente che non ho le capacità per rendere bene una scena di guerra!
Dopo quasi tre settimane di lavori, però, o così o niente, quindi ho deciso di proporvela lo stesso. Spero che almeno a qualcuno di voi piaccia... mi farebbe sentire molto meglio!
Oddio... 11 pagine e basta?! Ok. Da questo capitolo è venuto fuori il male. Meglio se la chiudo subito qui!

Un ringraziamento speciale a Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, Yellow Canadair, Aliaaara, Chie_Haruka, ankoku e KING KURAMA per le bellissime recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo! Siete davvero troppo gentili!!!

Un bacione
Kiki≈



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Ecco a voi i nostri cari Akemi e Týr
 
  
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