Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Abigail_Shadow_William    05/03/2015    1 recensioni
Nessuno aspettava lui.
Nessuno aspettava a casa quel ragazzo, magari per baciarlo, per coccolarlo e amarlo. O magari per mangiare qualcosa insieme a lui, o guardare un film insieme.
Io invece, sarei stato pronto ad aspettarlo tutta la sera, tutta la notte. Magari tutta la vita.
E poi ci fu un attimo, in cui i nostri occhi si incastrarono. In cui quelle pozze verdi si mescolarono alle mie pozze azzurre. I nostri sguardi combaciarono perfettamente, si unirono come pezzi di puzzle. Era come se fosse stato scritto da tempo, quell’attimo. Quell’istante infinito in qui gli occhi di un ragazzo di nome Harry, lucidi e stanchi si unirono a quelli del ragazzo di nome Louis, che cercavano di capire.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il freddo londinese filtrava attraverso la sottile stoffa del mio cappotto. Il bus delle 20:03 sarebbe arrivato a momenti. La notte si faceva sempre più vicina e la gente aumentava sempre più col passare dei minuti. Odiavo stare stretto in mezzo ad altre persone, come se fossi talmente piccolo da quasi scomparire in mezzo agli altri.
 
Due mesi prima, quando ero arrivato a Londra, nella mia scuola, andavo sempre alla fermata lì vicina. Già dalla prima volta osservai le persone che ci andavano sempre.
 
C’era il vecchio accanto a me che continuava a borbottare qualcosa del tipo “ma quando arriva questo bus?” oppure “città di merda”.
 
O la signora (sulla sessantina d’anni) che ogni sera si presentava alla fermata almeno con 2 ore di anticipo, 20 borse e sacchetti con se, si sedeva e restava ad osservare la gente passare. Io la vedevo dalla finestra dell’aula di fisica, ed era tanto buffa. Aveva i capelli blu nonostante la sua età, indossava ogni giorno gli stessi vestiti (gonnellina, canottiera, calze a righe lunghe fino alle ginocchia e scarpe da folletto) solo di un colore diverso. Ad esempio un giorno era tutta verde, o un altro gialla, oppure rossa. Qualche volta, quando si vestiva di azzurro i suoi abiti erano perfino abbinati al colore dei capelli tanto da farla sembrare una fata uscita direttamente da un manga. Poi, quando arrivava il mio bus, si alzava e se ne andava via, a piedi.
 
Dietro di me sedeva una bimba con la sua mamma. La bambina sembrava essere piuttosto antipatica, continuava a chiedere alla signora a fianco il motivo del livido che aveva sul braccio. E lei rispondeva che “le era spuntato mentre dormiva”. La bambina allora insisteva chiedendo “e come mai?”
 
Tanto non le era spuntato mentre dormiva.
 
Un po’ più distanti da me c’erano due ragazzi di qualche anno più piccoli che ridacchiavano guardando la ragazza davanti a loro, dandosi qualche gomitata ogni tanto.
Idioti.
 
La ragazza invece non sembrava interessata agli altri, aveva le cuffiette e stava ascoltando la musica di non so quale artista.
 
Invece dall’altra parte stava un gruppetto di cinque o sei anziani che ridevano e cantavano canzoni rap. Dovevo trattenermi per non scoppiare a ridere.
 
Davanti a me, una coppietta di ragazzi che si sbaciucchiava appassionatamente. Disgustoso.
 
Alla mia sinistra c’era una ragazza più o meno alta, capelli biondi e occhi azzurri, aveva un piercing al naso ed era anche piuttosto bella. Mi guardava. Io le sorrisi gentilmente e poi distolsi lo sguardo.
 
Un po’ più lontano da lei, in fondo alla panchina, invece, c’era un ragazzo. Aveva i capelli ricci un po’ scompigliati e di un color marrone scuro e dolci occhi verdi. Il suo sguardo era perso nel vuoto, sembrava stanco.
 
Lo osservai meglio, aveva un cappotto nero lungo fino alle ginocchia, jeans attillati e strappati e teneva le mani in tasca. Ogni tanto guardava sul suo cellulare l’ora, oppure leggeva i nuovi messaggi.
 
Ad un certo punto accennò un lieve sorriso e sulle sue guance comparvero due adorabili fossette, del tipo che se solo le vedessi vorresti giocarci tutto il giorno.
 
Il suo viso sembrava essere così perfetto ma allo stesso tempo complicato. Chissà cosa nascondeva dentro la sua mente incasinata.
 
La signora dai capelli azzurri si rivolse a lui, chiedendogli gentilmente che ora fosse. Il ragazzo dai capelli ricci le rispose. 19:54. La sua voce era roca e suonava così sensuale, ma anche dolce, di quelle voci che, se le ascolti la mattina, appena svegliato ti illuminano la giornata, di quelle voci che vorresti sentire in ogni istante della tua vita, di quelle che desidereresti sentirle leggermente, piene di parole sussurrate in un orecchio, che ti fanno venire i brividi.
Lo avevo notato sin dal primo giorno. E da quella volta non avevo mai smesso di osservarlo. Era davvero bello.
 
Arrivò il bus, e lui si sedette due file più avanti. Potevo quindi riservarmi il piacere di ammirarlo senza essere scoperto, rivelarlo poco a poco.
 
Lo vedevo praticamente tutti i giorni, alla stessa ora, alla stessa fermata e poi sullo stesso bus. Una sera non si era presentato al nostro appuntamento, per modo di dire (ormai era diventato un appuntamento fisso, anche se lui ancora non lo sapeva), quasi credevo che non sarebbe venuto, ed invece lo vedo correre verso la fermata mentre io sono già sul bus, pronto a partire. Sale e si siede due posti indietro, questa volta.
 
Quella sera tirava un’aria diversa. Ormai erano due mesi che mi riservavo quei pochi minuti di piacere, la sera, ad osservare il ragazzo. Ogni giorno scoprivo qualcosa su di lui. Una sera ha fatto una telefonata, ad una ragazza, si chiamava Gemma, se non sbaglio. Sarà stata sicuramente un parente, probabilmente sua sorella, considerando il fatto che era abbastanza gentile ma a volte la scherzava. Era così buffo. Hanno parlato di un cane, da quel che ho capito. Un cane di nome Whisky. Adorabile. Suppongo sia stato il loro cagnolino.
 
Bene.
Ragazzo dai capelli ricci.
Cane di nome Whisky.
Sorella di nome Gemma.
 
Quella sera però era diverso. Ero schiacciato in mezzo a tutta la gente. Il che era normale.
C’era la donna dai capelli blu e il vecchio continuava a brontolare. Il che era normale. C’era il ragazzo. Il che era normale.
 
Ma i suoi occhi non sembravano i suoi occhi. Sembrava quasi che non avesse più un corpo. Come se fosse solo un’anima vagante nello spazio.
 
Come se fosse stato investito da un treno. Morto.
 
Sedeva sulla panchina con gli occhi fissi al cielo. La testa sembrava essere un pesante macigno, sembrava che se si fosse alzato sarebbe caduto a terra rovinosamente.
Lo osservai meglio, e dai suoi occhi cadde una lacrima, poi due, poi tre. Chissà cosa era successo…
 
Decisi di fare la mia mossa. Dopo due lunghi mesi, 61 sere. 61 occhiate rubate. E lui prima non mi aveva mai notato.
Mi avvicinai a lui, sedendomi proprio al suo fianco.
 
“Ehi, come ti senti?”
Il ragazzo dai capelli ricci mi rivolse lo sguardo, per la prima volta. Sembrava molto, molto spaventato. Nei suoi occhi leggevo anche un leggero moto di malinconia, come se aspettasse qualcos’altro, oltre che al bus. E scommetto che quel qualcos’altro non sarebbe arrivato mai, nemmeno alle 20:03.
“Già, scusa, domanda stupida.”
Lui sorrise, e si asciugò le lacrime.
Ed io pensai al motivo del suo gesto. Ormai il dolore aveva percorso le guance, ed io avevo potuto vederlo sotto forma di una piccola goccia simile ad una perla. Insomma, perché coprire quel dolore?
Ormai si era incastrato nei miei pensieri, nei miei ricordi.
 
“Come ti chiami?” gli domandai, cercando di non essere troppo invasivo, cercando di non cadere anche io nel suo abisso. Tanto lo sapevo che prima o poi sarebbe successo.
“Harry.”
Harry. Era quello il nome di quegli sguardi. Di quei silenzi. Era quello il nome che avrei dovuto usare per esprimere quella sensazione che mi attanagliava lo stomaco ogni volta che mi giravo nella sua direzione. Era quello il nome del ragazzo che osservavo segretamente da ormai due mesi.
“E tu?” non mi aspettavo questa domanda, ad essere sincero. Non volevo che lui conoscesse me, volevo essere io a scoprire lui. Ma risposi ugualmente.
“Louis.”
Ci fu un attimo, in qui i nostri occhi si incastrarono. In cui quelle pozze verdi si mescolarono alle mie pozze azzurre. I nostri sguardi combaciarono perfettamente, si unirono come pezzi di puzzle. Era come se fosse stato scritto da tempo, quell’attimo. Quell’istante infinito in qui gli occhi di un ragazzo di nome Harry, lucidi e stanchi si unirono a quelli del ragazzo di nome Louis, che cercavano di capire.
“Harry, cosa stai aspettando?”
Harry sciolse il nostro nodo infinito di sguardi. Guardò a terra, come se si vergognasse della risposta.
 
“Io, io non aspetto nessuno. E nessuno aspetta me.”
Eccolo, il punto debole, il tallone d’Achille.
Nessuno aspettava lui.
Nessuno che aspettasse a casa quel ragazzo, che lo aspettasse magari per baciarlo, per coccolarlo e amarlo. O magari per mangiare qualcosa insieme a lui, o guardare un film insieme.
“Ehi, ti va di guardare un film?”
Forse osai troppo, ma era la cosa giusta da fare.
Harry esitò un attimo. Come se aspettasse che piovesse la risposta dal cielo, come se aspettasse che l’angelo Custode gli sussurrasse in un orecchio un sì, oppure il Diavoletto nell’altro orecchio un no. O viceversa, qual era la risposta giusta?
 
Boh.
 
“Va bene.”
Ascoltò l’angioletto.

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Abigail_Shadow_William