«Accetto
il caso»
Non era facile per Mycroft avere una donna in giro per casa, per quanto
silenziosa e riservata fosse.
Tre
settimane prima, Sherlock non aveva preso bene la rivelazione. Non che
prima dell'incontro con sua sorella gemella lui e Mycroft si sentissero
spesso comunque, ma quest'ultimo lo conosceva abbastanza da aver
capito che non si sarebbe fatto vivo presto.
Lui,
Mycroft, aveva deciso di ospitarla a prescindere, sentendo che in
qualche modo glielo doveva. E questa sensazione lo stava facendo
impazzire. L'unico
punto di incontro tra i sentimenti e Mycroft era sempre stato Sherlock,
sebbene il loro fosse un modo davvero strano di volersi bene.
John
Watson aveva impiegato un po' per capire davvero i fratelli Holmes.
La
sorella gemella di Sherlock, invece, comprendeva ogni cosa con grande
facilità. Non perché fosse estremamente
intelligente...
Sì, anche per questo, ma soprattutto perché era
una
Holmes lei stessa. Evidentemente era una questione genetica. Come
Sherlock, anche lei viveva al di sopra di molte righe.
Mycroft
aveva la metà inferiore del corpo fasciata in un'aderente
tuta che ne risaltava i muscoli e il lato b.
Lei lo
stava osservando, in assoluto silenzio, dalla soglia della porta.
In
quelle quattro settimane di soggiorno a casa di suo fratello maggiore,
lei
non aveva parlato granché, anche se aveva raccontato a
Mycroft
un mucchio di cose ogni volta che i due si erano guardati negli occhi
per più di cinque minuti. Era certa che qualcosa lui
l'avesse
afferrata. In caso contrario, non le importava poi molto.
In fin dei conti erano estranei.
Mycroft
correva veloce calpestando ad ogni passo il nastro scuro che gli
scorreva sotto i piedi. Non si muoveva di un millimetro, naturalmente.
Non era
più giovanissimo, ma conservava un fascino tutto suo.
Con la
coda dell'occhio la vide e la distrazione fu immediata.
Non era
facile per Mycroft avere una donna in giro per casa, per quanto fosse
sua sorella.
«Noto
con piacere che sei solita indossare l'intimo», commentò saltando
giù dall'attrezzo.
Lei non fece una piega e non gli rispose.
«Sherlock
ha avuto l'ardire di presentarsi nudo, avvolto solo da un lenzuolo, a
Buckingham Palace», aggiunse.
Mycroft non avrebbe mai pensato di dover provare a fare conversazione,
eppure era ciò che faceva da circa un mese.
Quando si voltò verso la porta, lei non c'era già
più. Sospirò e raggiunse il bagno per farsi una
doccia
prima di andare al Diogenes Club.
Quello stesso giorno, a Baker Street, Sherlock Holmes aveva appena
inviato un sms a John Watson con l'unico intento di farlo piombare
quanto più velocemente possibile nell'appartamento.
John conosceva Sherlock da anni, ma ci cascava sempre.
Aveva il fiatone e la paura dipinta sul volto a causa di quel messaggio
terrificante. Aveva cominciato a capirci qualcosa nel momento in cui
aveva sentito Mrs. Hudson canticchiare in cucina.
Sherlock Holmes era comodamente seduto in poltrona e con l'archetto del
violino indicava all'amico di raggiungerlo e accomodarsi.
John sentì la rabbia montargli, ma prima ancora che potesse
dire qualcosa, Sherlock parlò.
«Ho
bisogno di te».
La rabbia svanì per lasciare spazio alla sorpresa. John era
completamente immerso nel tentativo di elaborare. Sapeva bene che nulla
è come sembra quando si ha a che fare con Sherlock Holmes,
ma
non sapeva come interpretare ciò che aveva appena sentito.
Decise che il modo migliore per essere utile ad un uomo come Sherlock
era sedersi di fronte a lui e ascoltarlo.
Ci prese in pieno.
In fondo lo conosceva più di quanto egli stesso credesse.
Il consulente investigativo pizzicò le corde del violino per
un quarto d'ora prima di iniziare a raccontare.
I coniugi Holmes, rincasati da poco, avevano ascoltato
già tre volte il messaggio-fiume registrato in
più parti dalla segreteria.
L'inconfondibile velocità con cui dall'altro capo di un
telefono l'uomo parlava
bastava di per sé a sconvolgerli: lui non telefonava mai,
figurarsi lasciare messaggi vocali.
La voce registrata di Sherlock continuava a parlare dicendo cose che i
due faticavano a mandar giù.
Non l'avevano mai dimenticata, ne avevano seguito di nascosto gli
spostamenti finché era stata una bambina. Poi qualcosa era
cambiato, sembrava essere sparita nel nulla e loro non erano
più
riusciti a rintracciarla. Ora il loro figlio minore stava dicendo che
Mycroft l'aveva trovata quattro settimane prima e che lui stesso
l'aveva incontrata tre settimane addietro. E voleva spiegazioni
dettagliate e convincenti.
Mycroft non andò al Diogenes Club.
Il suo cellulare squillò prima che potesse mettere piede
fuori casa.
La giovane Holmes stava stappando una bottiglia di vino rosso quando
Mycroft la raggiunse. I due si guardarono e lei prese un secondo
bicchiere: l'espressione di Mycroft la diceva lunga su quanto fosse
stata problematica la telefonata.
Erano al terzo bicchiere quando lei ruppe il silenzio.
«Ci
vado a nozze con le situazioni complicate».
Era il suo modo di dire che l'avrebbe ascoltato, qualunque cosa avesse
da dirle.
Mycroft non si era ancora abituato a lei. La somiglianza fisica con
Sherlock era impressionante. Anche nel carattere avevano dei punti in
comune, ma c'era una sostanziale differenza tra i due. Lei appariva
delicata anche quando era scontrosa e gentile anche mentre ti confidava
che di lì a poco ti avrebbe ucciso. Mycroft non aveva mai
assistito alla seconda situazione, ma era così che vedeva
sua
sorella.
Il modo in cui lei sollevò soltanto un angolo della bocca lo
fece infine cedere mentre si chiedeva se quello che aveva appena visto
fosse davvero un accenno di sorriso oppure un movimento muscolare
involontario.
«I nostri genitori...»,
cominciò.
«Tuoi», lo corresse lei,
interrompendolo. «E di Sherlock», aggiunse.
Quattro settimane prima, al posto della solita avvenente donna che
diverse volte aveva trascinato in auto il dottor Watson, era apparsa, a
sorpresa,
dinanzi a Mycroft la versione femminile di suo fratello Sherlock.
Era stato lui a mettersi sulle tracce di lei e dove non erano riusciti
ad arrivare i coniugi Holmes, era invece arrivato Mycroft.
Non sembrava avere intenzioni amichevoli quando era entrata dichiarando
di aver addormentato la donna che lavorava per lui prendendone
momentaneamente il posto, ma poi qualcosa nello
sguardo sconvolto di Mycroft l'aveva indotta a sedersi e parlare con
lui.
Era stata la conversazione più lunga che avessero avuto e
alla
fine lei aveva accettato di incontrare anche Sherlock, il suo gemello.
A Baker Street John Watson era in piedi e stava dando i numeri.
Sherlock non aveva preso in considerazione l'ipotesi che i suoi
genitori fossero all'oscuro di tutto. Era stato Mycroft ad illuminarlo,
con un sms ad alto contenuto acido, dopo aver ricevuto la telefonata
dei coniugi.
«L'hai combinata grossa, Sherlock!», lo
accusò Watson, puntandolo con l'indice.
Silenzio.
Mycroft si
prese un paio di minuti dopo quella puntualizzazione.
Lei
sorseggiò lentamente il vino.
«Vogliono
un incontro», disse. Un leggero tremolio nella voce diede
modo a
lei di capire che qualcosa in Mycroft non andava.
«No».
Mycroft
allungò il bicchiere per farselo riempire.
Lei gli sorrise, apertamente stavolta ma in un modo che Mycroft
giudicò strano e forse un po' inquietante. Poi disse che se
voleva bere, avrebbe dovuto prima fornirle tutti i dettagli.
Mycroft non voleva cedere, ma sapeva che lei sarebbe arrivata comunque
all'ovvia conclusione perciò decise di darle ciò
che voleva. Poi allungò di nuovo il bicchiere.
Per tutta risposta lei gli porse il proprio e si alzò.
Lui rimase immobile a fissare il bicchiere mezzo pieno, a pensare. Il
solo fatto di avere decine di punti interrogativi che gli galleggiavano
nella mente lo rendeva insicuro e quindi nervoso. Era diventato un
bersaglio facile.
In quella stessa abitazione, sua sorella si stava vestendo. Il suo
essere molto pratica riduceva moltissimo i tempi da questo punto di
vista, perciò impiegò poco a raggiungere
l'appendiabiti dove giaceva inanimato il cappotto di Mycroft. Lo prese
e tornò in cucina.
Sebbene la
domanda fosse rimasta incastrata da qualche parte nella gola di
Mycroft, lei l'afferrò ugualmente.
«221B, Baker Street. Accetterà il
caso».
Mycroft raddrizzò il batacchio.
Mrs. Hudson li accolse con i suoi consueti modi gentili e li
invitò a salire informandoli della presenza del dottor
Watson.
Lei non aveva mai assistito all'arrivo di un cliente nell'appartamento
di Sherlock Holmes, ma sapeva esattamente cosa doveva fare:
ciò che i fratelli Holmes non avevano messo in conto,
neanche Mycroft, è che lei non si era rigirata i pollici
negli anni. Li aveva cercati, trovati e osservati silenziosamente e mai
direttamente.
Fratello maggiore e sorella entrarono senza dire una parola. Lei prese
la sedia dei clienti, la posizionò tra le due poltrone e si
accomodò sotto lo sguardo confuso di John Watson.
Sherlock iniziò a muovere piuttosto velocemente le lunghe
dita affusolate, toccandosi il palmo e sfregando l'indice contro il
pollice. Ma sul viso nessun muscolo tradiva quello stesso nervosismo.
Lei accavallò le gambe, si cinse la vita incrociando le
braccia e fissò gli occhi in quelli di lui dando il via a un
dialogo muto.
«Accetto il caso. Lasciateci», disse
senza smettere di guardarla, parecchi minuti più tardi.
Non si
può dire che Watson sprizzasse gioia da tutti i pori.
Al piano inferiore, Mycroft e John presero la tipica bevanda inglese
insieme a Mrs. Hudson parlando del più e del meno. In
verità era più che altro Mrs. Hudson a parlare e
Watson a interagire.
Erano entrambi abituati a leggere la gente anche se per motivi diversi
e in virtù di questo trascorsero i primi nove minuti a
raccogliere ed elaborare informazioni. Lo facevano ormai quasi per una
sorta di incontrollabile abitudine.
Lei non ne aveva mai fatto un lavoro vero e proprio come invece era
stato per Sherlock. Se anche le fosse venuto in mente, comunque, i
continui spostamenti avrebbero trasformato l'idea in un nulla di fatto.
Lui aveva voluto restare solo con lei senza conoscere con esattezza i
motivi che l'avevano spinto a mandar via Mycroft e John. Lei comunque
non si era scomposta a quell'eventualità. Aveva sentito da
Mycroft, tre settimane prima, il racconto di come erano andate, a
grandi linee, le cose poco tempo dopo la loro nascita. Nulla
però conosceva di lei e per qualche motivo ancora
sconosciuto, l'argomento suscitava il suo interesse.
Lei cambiò posizione sulla sedia. Aveva raccolto per anni
informazioni su Sherlock Holmes e questo l'aveva resa consapevole del
tipo di persona che si sarebbe trovata davanti quando, quattro
settimane prima, aveva deciso di incontrarlo di persona. La
consapevolezza non era bastata, tre settimane prima, a esonerarla
dall'effetto che Sherlock aveva sugli altri. Ci stava facendo i conti
anche in quel momento con quello sguardo penetrante che sembrava poter
raggiungere ogni angolo della sua mente.
Allo scattare del decimo minuto, il silenzio fu rotto.
«Non ti ho mai incontrata prima, me ne sarei
ricordato, eppure tu sai che chi viene qui a propormi un caso siede
esattamente lì». Non era una domanda, era
un'affermazione. «Questo apre due strade la più banale
delle quali, e per questo improbabile e quindi trascurabile, prevede
che tu abbia chiesto a Mycroft. Resta, di fatto, un'unica soluzione
ovvero una vasta rete di conoscenze. Un'ipotesi approssimativa mi porta
a credere che almeno una decina tra i miei clienti siano o siano stati
in qualche modo collegati con te. Il che mi fa credere che tu, a
differenza mia, fossi a conoscenza di ciò che a me
è stato rivelato soltanto tre settimane fa. Indubbiamente
questo crea qualche problema al mio ego, ma ci sono cose più
interessanti adesso. Posso passarci sopra». Sherlock era un
fiume in piena. «La domanda a questo punto è
"perché?". Perché agganciare qualcuno solo in
quanto mio cliente? Se non avessi risolto la maggioranza dei casi
inizierei a pensare che ci sia tu dietro. Un altra domanda è
"come?". Come facevi a sapere chi si rivolgeva a me?». Si
fermò per guardarla attentamente negli occhi, poi
proseguì con la serie di deduzioni. «Il tuo aspetto, fisico asciutto e capelli corti,
mi suggerisce che non hai la stessa predilezione di Mycroft per le
scrivanie eppure non hai avuto l'ardire di mettere piede in questo
appartamento prima di tre settimane fa. Hai preferito studiarci da
lontano e devi averci messo un bel po' di astuzia dato che
né io né Mycroft ci siamo accorti di nulla, il
che significa che non hai lasciato tracce evidenti e che non hai mai
interferito. Volevi restare nell'ombra. Sono troppo spesso
così scontate, le conclusioni, dopo che le hai tirate. In
effetti è abbastanza ovvio che per trovare i miei clienti
utilizzassi i miei stessi mezzi: annunci sui giornali. Da un certo
momento in poi, però, mi sono appellato prevalentemente alla
mia casella di posta, il che significa che i clienti in questione
risalgono a un bel po' di tempo fa. Ed ecco un altro bivio: dopo hai
smesso oppure ti sei ingegnata in altra maniera? No, non ci siamo.
Occorre spostare il problema... Ritengo che tu abbia appreso una buona
parte delle tue informazioni dal blog di John, alcuni dettagli dai miei
clienti arrivando ai loro racconti attraverso amici di amici, e
un'ultima parte dai giornali locali, dai comunicati di Scotland Yard
e...».
«E dalla donna che tu chiami La Donna»,
concluse lei prima che lui potesse aggiungere altro.
Al piano inferiore Mycroft e John erano riusciti a porre termine alle
chiacchiere di Mrs. Hudson che si era infine dedicata alle faccende di
casa.
Mycroft fingeva disinteresse nel suo fare posato: gambe accavallate, un
braccio attorno alla vita e l'altro sollevato quel tanto che bastava a
sfiorarsi il volto con i polpastrelli.
John lo osservava impaziente, invidiando la calma che Holmes ostentava
e continuando a cambiare posizione sulla sedia. Quando ne ebbe
abbastanza si alzò e prese a camminare nevroticamente.
Mycroft decise di ignorarlo.
«Adesso basta, io salgo», disse infine
il dottor Watson.
Ma non ci fu bisogno di un'irruzione. Con un tempismo perfetto Sherlock
chiamò, senza scomodarsi, l'amico e il fratello invitandoli
a raggiungerli.
La sedia era tornata al suo posto.
La giovane Holmes aveva invece raggiunto la finestra e guardava fuori,
con aria distratta.
«Oh, eccoti qui John. Sono felice che tu non abbia
impegni», esordì Sherlock alzandosi dalla poltrona.
Fu inutile anche soltanto provare a muovere una protesta.
«Abbiamo un caso su cui indagare»,
concluse trascinando l'amico fuori dall'appartamento, tra le strade
pulsanti di una Londra nuvolosa.
N.d.A.
Si sa come va con queste cose: inizi a scrivere una scena e poi succede
che nei momenti più impensabili spuntano fuori nuovi
dettagli che pretendono di essere messi nero su bianco. L'idea della
gemella di Sherlock mi ha intrigata fin dall'inizio, perciò
eccomi di nuovo qui con un'altra one shot in tema che ho deciso di
inserire in una raccolta.
Ringrazio anticipatamente gli eventuali lettori per il silenzioso
passaggio e ancor più per le sempre gradite recensioni.