Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: AbaddonDemon    06/03/2015    0 recensioni
La notte.
La luna piena che distrugge le stelle.
Lo specchio oscuro di acqua gelida che apre le porte al Male.
Dalla nebbia sorge.
Lui sorge.
E' giunto per seguirla ancora.
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La notte.
La luna piena che distrugge le stelle.
Lo specchio oscuro di acqua gelida che apre le porte al Male.
Dalla nebbia sorge.
Lui sorge.
E' giunto per seguirla ancora.
 
Era calata la notte precoce dell'inverno scandinavo. Il giardino era ridotto ad una vera e propria ghiacciaia. Non si vedeva null'altro che il bianco offuscato di quella coltre inestinguibile. Il vento trascinava i fiocchi di neve che stavano ancora cadendo dalle ultime nubi. Lei sedeva di fronte la vetrata gelata dall'aria . Il respiro si condensava sul vetro lasciando un pallido alone che andava sempre a restringersi. La fronte era poggiata alla superficie gelida e gli occhi semichiusi. Era apatica come nella maggioranza di quelle sere. Aveva scritto a lungo sul suo diario il racconto di una giornata sprecata a vivere una vita come quella di tutti. Lavoro, un inutile lavoro ad un dannatissimo fast food. Poco remunerato e tutelato; tutto il contrario di quello che dettavano i suoi sogni di bambina. A quest'ora avrebbe dovuto trovarsi nell'Est Europa per analizzare le vie percorse dai crociati e dai templari al tempo delle crociate e magari chissà, a cercare tracce del sacro Graal. Ma così non era stato . Non aveva potuto intraprendere una benchè minima carriera universitaria e aveva dovuto mollare gli studi a metà corsa. Dopotutto era così che doveva essere . Aveva lasciato casa sua da ragazzina,casa sua per modo di dire. Non aveva mai conosciuto i suoi genitori ed era cresciuta alle spese di due zii che per lei non nutrivano un profondo affetto, anzi. Non nutrivano nemmeno un minimo di stima.
Allontanò la testa dal vetro e si alzò in piedi. Si avviò verso il televisore e lo accese. Lo sintonizzò su un canale di musica metal e iniziò a sbirciare la classifica, ciancicando il contenuto unto di una bustina di patatine. Intanto camminava e dava un'occhiata alla roba da risistemare. Accese il pc e aspettò che si avviasse.
Tutto ad un tratto voleva riempirsi la mente per evitare di pensare alle persone che con il loro contributo avevano aiutando a rendere la sua vita un vero e proprio inferno, una parentesi da dimenticare.
Le note di una canzone la immobilizzarono. Richiamarono la sua attenzione e la costrinsero a voltarsi verso lo schermo. I capelli scuri frustarono l'aria velocemente e gli occhi azzurri si puntarono sullo sguardo pieno d'ira di un giovane cantante chitarrista. La sua voce carica d'ira era disarmonica ma allo stesso tempo magnetica. Osservò ogni minimo movimento delle labbra rosse di lui. La pelle bianca meravigliosam,ente perfetta era in contrasto antitetico con i suoi capelli biondo scuro . Tanta rabbia, oppure rassegnazione e dolore. Si fermò ad ascoltare le parole confuse dalle grida .
 
"I'll paint roses black and show you heaven
just to see your skin for one more second
It's all I want that's what I do
Love me one more time and I'll let you kill me too."
 
Parole bellissime a suo avviso, che provocarono in lei una stranissima reazione, come se le avesse già sentite. Un flash, un velocissimo guizzo di un'immagine. Un uomo dai lunghi capelli biondi, lunghissimi capelli biondi e gli occhi azzurri, chiari come il ghiaccio e trasparenti come il vetro. Le sue vesti, vesti fuori dal tempo come quelle dei principi delle favole ma nere.Un lungo mantello nero e un sorriso, un sorriso sognante sulle labbra scarlatte. Durò poco quell'immagine ma si impresse facilmente nella sua mente.
Chiuse gli occhi.
 
-Astrid, dovresti dormire un pò.-
 
Se lo disse da sola e mantenendo gli occhi chiusi attraversò la piccola e disordinata stanza per poi lasciarsi cadere sul divano.
Una voce interruppe il video del fascinoso cantante e annunciò la maratona speciale di Black Metal a stampo satanico dedicata alla Notte di Valpurga.
 
-Walpurgis Nacht!! Walpurgis Nacht!!-
 
Gridò Astrid, tingendo le labbra di un sorriso ironico.Era una citazione de "l'Invitato di Dracula" , antefatto al suo romanzo preferito : Dracula. Nonostante le piacessero molto le storie gotiche, lei non credeva in quelle stronzate. Non sopportava proprio l'idiozia delle vecchie credenze religiose. Da bambina, nonna Hilde le aveva raccontato che cosa accadeva nella famigerata notte di Valpurga.
Gli spiriti maligni : streghe, vampiri e demoni erano liberi dai vincoli della segretezza solo per una notte. La notte del Diavolo, proprio come quella di Halloween. Dicono che il Diavolo abbia moltissime facce e spesso si mostra per la sua vera natura, bellissimo tentatore avvelenato a chi desidera i suoi favori.Favori a pagamento dicono.
Riaprì gli occhi e per un attimo vide una strana immagine riflessa sulla vetrata : il volto di un uomo dai lunghi capelli in piedi alle sue spalle. Chiuse ancora gli occhi e li spalancò di nuovo. L'immagine era sparita.
La stanchezza cominciava davvero a giocarle dei brutti scherzi. Si adagiò sul divano e decise di abbandonarsi al sonno dopo un leggero massaggio alle palpebre.
Tuttavia il sonno non durò molto. No,ancora quella canzone che passava alla tv. Ancora quella voce, ancora quella frase. Si voltò verso l'orologio mentre gli occhi venivano leggermente feriti dalla luce del televisore. Sentì un rumore sordo nella stanza da letto vicino al suo pseudo salotto. Si alzò in piedi e si diresse a vedere che cosa fosse successo. Sbuffò annoiata come se quell'interruzione del sonno non fosse colpa soltanto della sua insonnia.Accese la luce mentre una gelida folata di vento si introdusse all'interno della stanza.Alcuni fiocchi di neve si posarono sulle coperte, sulla scrivania. Astrid chiuse velocemente la finestra e fece attenzione a serrarla per bene. Continuò a guardarla, convinta di averla chiusa bene anche in precedenza. Si strinse forte all'interno della felpa che indossava. Era freddo lì dentro. Un freddo gelido.
 
 
-Child Of Decadence. E' questo il nome che si sono dati?-
-Sì. E' proprio questo.-
-Sono diventati una vera e propria rivelazione. In un solo anno sono arrivati alla vetta di tutte le più importanti classifiche di musica metal di tutta la penisola scandinava. Sembra che il loro successo non sia nemmeno reale. Chissà, dicono che Latvila abbia fatto un patto col Diavolo per raggiungere tutta quella fama.-
-Sta zitto, Mika. Per favore. Non sparare questa merda mentre io ti sto ascoltando. Sinceramente non mi frega come abbia fatto quel coglione ad avere tutta questa fortuna, so solo che Angela sta passando più tempo a fare la zoccoletta ansiosa sotto il palco  a spasimare per quello là che con me. Per esempio ora sta al suo concerto.-
-E ti ha lasciato a casa? Che sfigato,Anssi!-
 
Mika scoppiò in una sonora risata.
 
-Fanculo, stronzo.-
 
Anssi si aggiustò il berretto di lana sulla testa in modo da coprirsi le orecchie che stavano gelando.La primavera finlandese non era poi così mite. Era soltanto un prolungamento dell'inverno.
 
-Hai sbagliato a pelarti, piccolo NaziSkin. -
-E tu che mi dici, Red Head del cazzo? mh? Credi che sia gradevole quella chioma riccioluta e inguardabile?-
-Fregati della tua ragazza che si farebbe scopare da Aleksandr Latvila.-
-Guarda che è al Tavastia. Non ci metto niente a raggiungerli.-
-Ma lo show è già finito.-
-Tsk..-
 
La porta del locale dove i due erano andati per passare il tempo e prendersi una birra, si spalancò. Entrò il vento gelido accompagnato da un uomo dai lunghi capelli biondo scuro. Le sue scarpe pesanti e borchiate colpirono il pavimento, producendo un rumore metallico, il tintinnio delle catene legate alla sua cinta richiamò l'attenzione degli avventori del pub.
 
-Un bicchiere di Whiskey, grazie. -
 
Disse pacato, con una calda voce di bassa tonalità, mentre si spostava i capelli dal volto con un rapido gesto del capo.
 
-Signor Latvila, buonasera. Pensavo fosse al Tavastia.-
-Lo ero, ma dato che sono le due della notte, è un po' improbabile che io passi ulteriore tempo ad attardarmi in un aftershow  all'interno di un locale così ampio e confusionario. Jarvi, per favore. Il mio Jack Daniel's.-
-Subito, signor Latvila.-
 
Aleksandr si sedette composto sullo sgabello. Si sistemò i capelli dei quali sembrava avere una cura maniacale. Lisci, perfettamente simmetrici, innaturalmente al loro posto. Qualcosa di lui fece rabbrividire sia Mika che Anssi. Qualcosa in quell'uomo era terribilmente sbagliato, innaturale. Lentamente si voltò verso di loro che non poterono fare a meno di incrociare il suo sguardo. Gli occhi azzurri come il ghiaccio si posarono prima sullo sguardo di Mika e poi su quello di Anssi. Anssi notò uno strano bagliore nello sguardo di Latvila. Un bagliore che sfidava la penombra, il buio della notte in quel locale poco illuminato. Un guizzo di luce azzurra, quasi bianca. Non riuscì a spiccicare una parola. Prima di incrociare quello sguardo aveva in mente di dirgli "Chi cazzo ti credi di essere?" o "Giù le mani dalla mia donna!" ma dopo averlo visto, qualcosa lo ammutolì,quasi lo incantò.
Mika sussurrò qualcosa alle orecchie dell'amico.
 
-Non è normale, hai visto i suoi occhi? Non è normale!-
 
Anssi lo fulminò con lo sguardo, per poi spostare di nuovo gli occhi su Aleksandr. Quello si era già voltato e girava fra le dita il bicchierino di Whiskey. Lo vide avvicinarlo alle labbra, ma quando lo poggiò esso continuava ad avere sempre lo stesso contenuto. Sembrava non avesse proprio bevuto nulla. Ma per Jarvi fu quasi normale, infatti il biondo barista versò il contenuto del bicchiere nel lavabo e aprì il rubinetto per lavare il piccolo vetro.
 
-Grazie mille, Jarvi. E' sempre un piacere passare al tuo locale. Riesco sempre a bere qualcosa di ottima qualità.-
 
Aleksandr sorrise all'uomo, lasciò sul banco sei euro e cinquanta e si diresse verso l'uscita.
 
-Ehi,Mika, io vado a pisciare. Preparati , che appena ho fatto torniamo a casa. E' davvero troppo tardi.-
-O-Ok. -
 
Anssi si diresse verso il bagno. Jarvi nel frattempo iniziò a chiudere le luci, noncurante dei due ragazzi ancora presenti e della giovane seduta ad un tavolo. Le prime luci che si spensero furono proprio quelle del corridoio del bagno. All'interno della toilette però i neon erano ancora accesi, ma si spensero non appena Anssi entrò. Andarono in funzione le luci d'emergenza che sarebbero rimaste accese per tutta la notte con il loro tenue bagliore rossastro.
 
-Quel vecchio lappone di merda potrebbe tenerle accese almeno per il tempo necessario che mi serve per pisciare!-
 
Si slacciò la patta dei pantaloni e iniziò a liberare la vescica. Un sussurrò però attirò la sua attenzione. Sollevò le spalle e dopo aver finito di espletare il suo bisogno si risistemò e si diresse all'uscita. La porta non si aprì nonostante la sua insistente veemenza nel premere la maniglia.
 
-Cazzo!! Perché non si apre! Ehi!!!-
 
Iniziò a colpire la porta, ma essa non si aprì. Le sue urla sembravano non essere sentite da nessuno. La paura, il terrore di quella prigionia lo possedettero, scuotendolo fin nel profondo dell'anima. Freddo...e nebbia.
 
 
"I'll paint roses black and show you heaven!"
 
Scrisse quella frase di getto sul block notes mentre una cliente si decideva ancora sul cibo da ordinare per pranzo. Stranamente era distratta. Ripensava alla mattina, al suo risveglio. Ad una fredda carezza, un piccolo alito di vento mentre le finestre erano ancora saldamente serrate.
 
-Signorina, vorrei un Double Burger, contornato da patatine e una Cola Maxi. Signorina?-
-Oh, scusi, mi può ripetere?-
-Certo! Un Double Burger, patatine e Cola Maxi.-
-Arrivano subito.-
-Grazie!-
 
Astrid portò le ordinazioni al banco dove le sue colleghe armeggiavano per accontentare gli altri avventori. Nonostante fosse il primo maggio era ancora abbastanza freddo, troppo freddo. I riscaldamenti altissimi non riuscivano a riscaldarle le ossa. Il cammino fu lento e distratto , tanto che non notò nemmeno lontanamente la presenza del responsabile tra le due ragazze addette al riscaldare hamburger e a friggere panini.
 
-Hekkinen, Astrid Hekkinen, vedi di badare a dove cammini, o finirai per spaccarti la testa.-
-Lo stavo già facendo, Tuomas.-
-Spaccarti la testa?-
-No, guardavo dove stavo camminando senza che tu mi dessi quel necessario input. Problemi?-
 
Era abituata a parlare chiaramente, andando diritta al sodo seppur fosse ben consapevole della sua posizione precaria. Lei non badava mai alle conseguenze , pensava solo ed unicamente ad essere se stessa, senza lasciarsi sopraffare dai compromessi di chi stava in una posizione più alta della sua. Controbilanciava con una condotta lavorativa irreprensibile : nessun permesso, nessun giorno di ferie se non quelle comandate e nessuna malattia. Sempre puntuale e seria.
 
-Non mi sembra visto che quella donna ti ha chiesto ben due volte di servirle il pranzo. Ti sembra normale che la gente aspetti così tanto prima che tu riesca a recepire quello che devi fare? -
-E' umano distrarsi per qualche secondo. Non si ripeterà. Mi attrezzerò per l'impossibile.-
-Dovresti fare meno la sostenuta, Hekkinen.-
-Ci proverò.-
 
Ogni rimprovero le entrava da un orecchio e le usciva dall'altro con tanta facilità da impressionare anche le colleghe che reagivano con una risatina. Anche loro avrebbero fatto la stessa cosa se si fossero trovate in quella situazione, se solo avessero avuto un briciolo di coraggio in più. Erano più grandi di Astrid e avevano anche una famiglia sulle spalle.Le resposabilità ti cambiano la vita e la concezione di pericolo. Le persone crescono e aggiungono al novero delle cose da fare anche lo scendere a compromessi, per lo meno nella maggior parte di casi. Poi ci sono le eccezioni: le persone che non vogliono assolutamente crescere e che vivono la loro vita al massimo anche con il rischio di sbagliare più e più volte. Alcuni li chiamano scavezzacollo, altri immaturi, irresponsabili, ma la definizione che si può dare tranquillamente senza pregiudicare nulla o nessuno è il termine : pure. Sono persone pure, non contaminate nè dal tempo nè dalla paura.Sono quelli che mantengono l'immacolata condizione dei bambini. Non sempre è un male rifiutarsi di crescere, poichè in quel caso si riescono a vivere molte cose non concesse dalla razionalità che il Tempo costringe gli uomini ad acquistare.
 
La piccola lista delle ordinazioni passò in mano a Joanna, la più anziana delle colleghe di Astrid, la quale era addetta alla frittura delle patatine. Tuomas era sconcertato dalle risposte a tono di Astrid  e non seppe controbattere. La ragazza tornò ad camminare fra i tavoli, raccogliendo stavolta le ordinazione di un signore accompagnato da due bambini.Alzò lo sguardo per una frazione di secondo e incrociò due occhi azzurri familiari, puntati su di lei. Lunghi capelli biondo scuro , le labbra scarlatte. Per un momento si raggelò e rispose a quello sguardo con un tenue sorriso. Un sorriso? Non era proprio da lei. Tuttavia fu un attimo che quella figura così gradevole scomparve oltre il marciapiede e lei fu richiamata al suo lavoro.
 
Le ore più calde erano quelle del pranzo, dopodichè la situazione si faceva molto più calma, tuttavia l'orario lavorativo era abbastanza lungo da coprire le ore di luce. La neve lentamente si scioglieva e l'asfalto del marciapiede tornava evidente grazie ai caldi raggi di sole. Il ghiaccio però continuava ad essere il solito flagello per i pedoni. Non appena superò l'uscio del locale e si diresse alla macchina, perse per un attimo l'equilibrio. Il tacco consumato degli stivali neri non era più efficace come un tempo, purtroppo. Riuscì comunque a raccapezzarsi e a compiere quella manciata di passi fino alla sua Volkswagen blu. Salì velocemente e girata la chiave accese i riscaldamenti, si fregò le mani e mise in moto. L'illuminazione ai lati della strada era come coperta da una fitta coltre di nebbia. Era raro che dopo giornate di nevicate ci fosse tutta quella nebbia, un vero e proprio muro lattiginoso sul quale si infrangeva la luce dei fari. Accese lo stereo tanto per smorzare quella tediosa atmosfera di silenzio ovattato. Una canzone abbastanza orecchiabile ma sconosciuta passava alla radio. Lei si lasciò trasportare dal ritmo, solo per qualche secondo socchiuse gli occhi e abbassò la testa. Quando li riaprì però, si ritrovò a pochi metri la figura di una persona che le attraversava la strada. Inchiodò di botto, ma non fece in tempo. Lo aveva travolto. La paura di aver causato la morte di un essere umano la assalì e febbrilmente scese dall'auto. Arrivò di fronte ad essa e guardò a terra in quel poco che i suoi occhi potevano vedere, ma non c'era nessuno. Niente. Eppure il botto lo aveva sentito.Intorno a lei la non c'era nulla, se non neve e terra umida. Le abitazioni erano lontane dalla strada e i lampioni svolgevano male il loro compito essendo molto distanti l'uno dall'altro. Risalì in macchina, ancora non convinta di quello che era accaduto. Riaccese il motore e dopo aver chiuso la portiera ripartì. Con la coda dell'occhio però, notò sul lato sinistro della strada, l'allontanarsi di una figura dai lunghi capelli.Un uomo? Una donna? Non poteva saperlo perché riuscì a vederla solo per qualche frazione di secondo.Che fosse un folle che si aggirava con la speranza di trovare qualche vittima? La paura la assalì ancora e la costrinse a premere a fondo l'acceleratore, staccando presto la frizione in modo da dare così una spinta in velocità non proprio prudente.
Una volta giunta a destinazione, corse in casa e si chiuse dentro a chiave. L'evento l'aveva scossa tanto da costringerla a chiamare la sua migliore amica del liceo, che non sentiva da anni per sostituire i ricordi di quella sera.
 
-Non ho mai visto una cosa del genere Signore.Sembra che sia stato sbranato da un animale di dimensioni abbastanza grandi. Un grosso lupo.-
-Un lupo? Al centro della città? Non diciamo idiozie Laitinen. -
-E allora?-
-Beh? Che ti devo dire? Non ne ho idea. Ci penserà l'anatomo patologo a capire che diavolo hanno fatto a questo ragazzo. -
-Se solo l'altro ragazzo riuscisse a dire cose diverse da quelle farneticazioni senza senso saremmo già più avanti.-
-Quello continua a sparare cavolate su vampiri e demoni. Secondo me era totalmente ubriaco quando questo disgraziato è stato ammazzato.-
 
La polizia non sapeva spiegarsi come qualcuno avrebbe potuto uccidere in maniera così feroce. L'unico che poteva veramente parlare non riusciva ad esprimersi se non usando semplici parole sconnesse come : "Lui verrà." o "Vampiro." "Demone." Era come se qualcosa gli impedisse di parlare, di rivelare altro. Gli occhi fissi puntavano in una direzione non definita. Tentarono di farlo parlare ma nemmeno a distanza di giorni riuscirono a cavargli fuori le parole necessarie per svelare chi fosse l'artefice di quell'efferato assassinio. Fu affidato al reparto psichiatrico dell'ospedale centrale che lo tenne in costante osservazione. Passava giorni interi ad osservare la finestra ripetendo di continuo : "Sta arrivando, sta arrivando!" non appena il crepuscolo si faceva evidente. C'era qualcosa di particolare nella sua pazzia che sempre più spesso allentava il tiro, lasciando un minimo spazio ad una lucidità che permetteva a Mika di riconoscere parenti e amici e ricordare perfettamente il suo passato.
Era curioso come il suo carattere mutasse con l'avvento delle ombre. Durante il giorno le sue condizioni erano stabili, normali, tuttavia serbava sempre uno strano comportamento quando si tentava di far riferimento alla fine del suo caro amico Anssi. Si chiudeva in se stesso e non parlava per ore intere. Era impossibile che follia e lucidità coesistessero nello stesso soggetto e si alternassero così spesso con decisi tagli netti. Un giovane laureando che si trovò a seguire il caso facendo da assistente al primario di psichiatria prese molto a cuore il caso del giovane Mika, ma non per un eccesso di zelo. Eirik Niemi era un giovane curioso fin troppo propenso a strane considerazioni che poco avevano a che spartire con l'ortodossia della scienza medica. Da sempre seguiva i casi più strani, dove secondo lui la malattia mentale era una scusa per spiegare qualcosa che la scienza non riusciva a dimostrare in nessun modo. In pratica secondo il pensiero di Eirik, alcuni casi archiviati come schizofrenia o disturbi della personalità, erano da attribuire ad una sfera decisamente diversa rispetto a quella scientifica : l'esoterismo. Aveva provato ad esporre pubblicamente le sue idee ma non aveva mai riscosso successo, poichè nel DuemilaTredici non era poi così facile avvalorare una tesi che contemplasse l'esistenza di spettri, possessioni demoniche o stregoneria. Nessuno credeva ormai negli ectoplasmi, nella vera esistenza dei poltergeist e soprattutto nessuno pensava che potesse esistere qualcosa che rendesse possibile all'uomo di superare il limite dei limiti alla condizione umana : la morte. Aveva però ricevuto un unico consenso che lo aveva spinto a continuare la sua ricerca in un campo spinoso come quello: Un professore americano di nome Mattew Nashbridges aveva letto la sua relazione relativamente un vecchio caso di cronaca locale. Eirik aveva analizzato la mente dell'assassino di tre ragazzini, uccisi durante una notte passata in tenda sulle rive del lago. L'uomo aveva sempre affermato di non aver agito secondo la sua volontà, ma condizionato da una forza superiore ad essa che inspiegabilmente aveva preso possesso delle sue membra. Ovviamente nessuno credeva a quell'assurdo tentativo di discolparsi, tutti pensarono che l'uomo lo avesse agito seguendo un istinto accomunabile con una libido pedofila, ma Eirik era convinto che le parole di lui non fossero farneticazioni. Non mentiva quando si difendeva e molte cose lo attestavano. C'è una mimica sia facciale che gestuale che evidenzia la differenza tra verità e menzogna. Le opzioni erano due in quel caso : o l'assassino era un bravissimo attore e aveva un enorme autocontrollo su di se -fatto che escludeva quindi i lapsus della follia- ,oppure quello che diceva era completamente vero. Tutti i professori che presero in esame quella tesi furono scettici sulle sue affermazioni, tranne Nashbridges. Per quest'ultimo, le osservazioni di Eirik erano un elemento probatorio di teorie che aveva sostenuto per decenni.
"Il confine tra umano e disumano, è labile. L'occhio di noi semplici mortali non riesce ad andare oltre certi confini, ragazzo."
Furono queste le parole che Nashbridges rivolse al giovane e bizzarro ricercatore. Fu nella memoria di quel ricordo che Eirik decise di inviare i dettagli e le supposizioni sul caso del giovane Mika fino a Los Angeles. Era sicuro che avrebbe ricevuto una risposta utile in breve tempo.
 
 
Il disgelo era quasi completo. La neve aveva lasciato finalmente spazio all'erba e all'asfalto umido.Iniziava ad essere gradevole passeggiare sotto il sole decisamente più caldo della tardiva primavera. Sole che in quel momento volgeva al crepuscolo. Astrid osservava distrattamente l'orizzonte come se cercasse di vedere qualcosa che sapeva di non trovare. Era distratta dal un ricordo che non sentiva nemmeno suo. Si trascinava seguendo una volontà indefinita , lungo il sentiero che costeggiava il freddo lago. Il debole vento le spostava i lunghissimi capelli scuri.  
Osservò il pelo dell'acqua leggermente increspato dal vento e si strinse fra le sue stesse braccia come se un brivido insensato la percorresse dalla testa ai piedi, una folata di vento decisamente più rigida.
Un lontano rumore di passi la risvegliò da quello strano torpore. Passi che volgevano in direzione di lei. Si voltò lentamente e i suoi occhi incontrarono il ghiaccio di uno sguardo oramai diventato familiare. In quelle settimane non vi era giorno che non incontrasse accidentalmente la vista di quegli occhi, nei momenti più svariati. Era davvero qualcosa di casuale, o quello sguardo la cercava costantemente, in silenzio?
 
-Non dovrebbe rimanere fino a quest'ora nei pressi di questo sentiero, signorina. L'aria diventa fredda quando la notte incombe.-
-So come proteggermene...Signor...-
-Latvila. Aleksandr Latvila.-
-Una celebrità come lei che passa del tempo in una cittadina umile come questa?-
-Io sono nato qui, vivo qui e qui traggo ispirazione per ogni cosa. Le acque di questo lago mi hanno dettato spesso strofe  meravigliose. La poesia racchiusa nel testo di una canzone non nasce solo dalla mente dell'autore, ma anzi, viene a lui dettata dalla realtà che vive. Le immagini sono fotografie create dall'esperienza che trovano espressione solo nei versi.-
-Lei esprime ogni cosa in poesia. Ha un linguaggio a dir poco obsoleto per questa generazione. Non se ne abbia a male, ma a vederla sul palco, tutto si direbbe tranne che fosse capace di esprimersi in questo modo. -
-Il palco inganna. Per piacere alle masse, le persone sono costrette a modificare il proprio atteggiamento in modo da costruirsi una maschera giusta. Parolacce, imprecazioni e frasi fatte , idiomatiche per un genere di musica e uno stile di vita caratteristico sono doverose per chi deve farsi ascoltare. Crede che se io salissi sul palco con la calma e la pacatezza con cui mi rivolgo a lei in questo momento, mi ascolterebbero?..Signorina...-
-Astrid, Astrid Hekkinen.-
-Bellissimo nome. Astrid significa "Divinità meravigliosa" viene dall'antica lingua norrena parlata dai vichinghi che abitavano queste terre. E' strano e sorprendente allo stesso tempo come un popolo così barbaro e indelicato potesse creare qualcosa di così gradevole.-
-E quindi lei sa fare anche l'etimologia dei nomi?-
-E' un campo che mi ha sempre divertito. Trovare la radice delle parole e analizzarne la nascita.-
-Interessante davvero. Anche a me interessa molto. -
 
Latvila accennò un lieve sorriso e Astrid non fece che rispondergli rimandandone uno decisamente più convinto.
 
-Io la apprezzerei anche se fosse se stesso sul palco.-
-Non avevo dubbi.Si comprende facilmente che non riesce a soffermarsi alla superficialità dell'aspetto esteriore. Da come guarda il pelo dell'acqua si direbbe che passa molto tempo a pensare.-
-Anche troppo. Le giornate scorrono nella melanconia prima ancora che me ne accorga.-
-Anche lei, come me ama la solitudine, non è così?-
-Non che la ami, ma a lei sono costretta. Non mi ritrovo con tutta quella marmaglia di gente che mi sta intorno. Quelli con la mentalità come la mia non hanno molto spazio nella società di oggi. Sono troppo all'antica, dicono.-
-Non è un male. In passato le cose erano molto diverse e non di certo peggiori, almeno per certi versi.-
-Lei parla come un vecchio, ma a guardarla si direbbe che abbia una trentina di anni al massimo.-
-Il tempo influisce sull'anima attraverso l'esperienza.E' per questo motivo che si vedono ragazzi già vecchi e anziani ancora bambini.-
-I disillusi cosa sono?Vecchi o ragazzini?-
-Dipende da quanto vogliono rischiare per provare ad essere felici.-
-Ogni cosa.-
-Allora lei è fuori dal tempo. Sarà giovane per sempre.Anche quando le rughe le solcheranno il viso. -
 
Gli occhi di Aleksandr si posarono sullo specchio d'acqua increspato dal vento. Il silenzio cadde assieme alla luce. Le mura del vecchio maniero, sull'altra riva del lago, schermavano ormai i raggi di quel sole morente. Assottigliò lo sguardo, socchiudendo leggermente le palpebre come se dovesse focalizzare l'attenzione su qualcosa all'orizzonte.
 
-Mi dispiace dover interrompere la nostra conversazione, ma devo raggiungere un mio amico dall'altra parte della città.Spero di poterla incontrare ancora sulle rive di questo meraviglioso lago.-
-E' una mia meta fissa. Adoro i laghi.-
-Allora sarà piacevole incontrarla ancora. Arrivederci e buona serata, Astrid.-
-Anche a lei, Signor Lativla.-
-Aleksandr.-
-Anche a lei Aleksandr.-
 
Corresse la frase con un sorriso sulle labbra e lo osservò allontanarsi a passo abbastanza sostenuto. Gli ultimi raggi del sole colpivano i suoi lunghi capelli biondo scuro. Qualcosa in lui l'aveva colpita. Forse la voce, forse lo sguardo : non sapeva identificare bene che cosa la spingesse a continuare a seguirlo con gli occhi finchè non superò il suo campo visivo.Con lui scomparve definitivamente l'ultima luce di quel pomeriggio che lentamente lasciava spazio alla sera. Il buio dilagava con estrema velocità e le acque del lago divennero presto uno specchio incapace di riflettere. Una strana sensazione la assalì, simile alla paura.Un flash, un ricordo, le tornò alla mente.
Accelerò il passo e si allontanò dalle rive del lago in modo da raggiungere presto la strada illuminata dai lampioni.
 
"Caro Eirik. Ho appena analizzato la tua relazione sul caso al quale hai preso parte. I disturbi del soggetto in questione non sono attribuibili a nessuna forma di malattia mentale, anzi, le reazioni esagerate sono collegate ad un evento in particolare. Un evento che forse il nostro giovane paziente non vuole ricordare. Un evento che ha lasciato in lui una macchia indelebile che ama proteggere e custodire gelosamente. Continua a osservarlo, non lo perdere mai di vista e soprattutto non perdere mai di vista coloro che gli stanno attorno. Se la mia teoria è vera , teoria che non mi sento ancora di svelarti, saranno  proprio queste persone ad essere in pericolo. Tieni gli occhi aperti e mi raccomando, utilizza ogni strumento per non perderlo mai di vista."
 
Assieme al plico contenente la lettera di Mattew Nashbridges, vi era anche un'altra piccola bustina. Eirik la aprì ansioso e in essa trovò lo strumento di cui il bizzarro professore parlava. Una microcamera.
La rigirò fra le dita non sapendo se usarla o meno. Ovviamente era un metodo non proprio legale di reperire prove. Se fosse stato scoperto sarebbe finito davvero male: allontanato per sempre dall'esercizio delle attività mediche. Dall'altro lato però vi era il fatto che avere una prova tangibile di qualcosa inspiegabile per la scienza medica poteva significare il raggiungimento di una fama e di una posizione nettamente superiore a qualsiasi medico avrebbe potuto farlo radiare. Nascose il congegno in tasca ed iniziò a calcolare i tempi giusti per ritrovarsi solo con il ragazzo. Durante il tardo pomeriggio avrebbe fatto irruzione nella stanza con qualche scusa assurda e avrebbe sistemato quella piccola cimice in un nascondiglio insospettabile.
 
 
Una strana nebbia scura si era addensata all'interno della stanza dove Mika sedeva tranquillo. Non faceva nulla da giorni e iniziava ad annoiarsi seriamente. Avrebbe voluto riprendere a vivere come un tempo ma purtroppo sembrava che gli strizzacervelli non fossero pronti a lasciarlo tornare a casa. Non si accorse subito di quella nebula. Realizzò di esserne circondato solo dopo aver visto la luce artificiale diventare decisamente più fioca.
 
-Ma che diavolo....-
-Hai detto bene...-
 
Un sussurro, una voce della quale non riusciva ad identificarne la provenienza.Credette che fosse un'allucinazione, un'impressione, ma il buio prendeva sempre più campo ad ogni secondo che passava.
 
-Dannazione, questi farmaci del cazzo!-
 
Disse quella frase piagnucolando, spaventato a morte. Lui non voleva crederci, voleva attribuire a quell'evento una natura differente da quella sembrava essere. Non era la prima volta che accadeva, anzi avveniva sempre più spesso, quasi ogni giorno. Era l'ombra, l'oscurità che veniva a cercarlo con tanta veemenza e puntualità. La sera al calare delle ombre era come se quelle scheletriche dita scure si spingessero fino al suo cuore.
 
-Non sei vero! Non sei vero!!-
-Sono vero come la tua anima.-
 
La voce sussurrò in quella bassa tonalità disumana. Il pianto di Mika divenne ancora più sonoro,mentre si raggomitolò su se stesso. Strinse le ginocchia fra le braccia e serrò gli occhi ermeticamente.
 
-Vattene! Vattene! Lasciami in pace!-
-No, sai bene che ho una cosa da chiederti. Qualcosa che non puoi rifiutare in nessun modo.-
-No. Non posso fare niente.Non posso fare niente! Non posso farlo! Io sono chiuso qui!-
 
Come una poderosa mano, le ombre si infittirono attorno al collo del giovane stringendolo in una morsa impalpabile. Il respiro già affannoso divenne oltremodo difficoltoso. Il ragazzo tentò di divincolarsi ma fu tutto inutile. La presa non allentava in nessun modo. Fu l'ombra ad allontanarsi e a diradarsi, diffondendosi di nuovo nella stanza chiusa.
 
-Posso ucciderti e anche molto facilmente.Posso utilizzare qualsiasi mezzo, qualsiasi elemento e qualsiasi oggetto per ammazzarti, anche te stesso. Quindi farai quello che ti dico, no, ti ordino.-
 
L'ombra si infittì formando una figura di uomo. Una figura indefinita, nebulosa, oscura dalla quale capeggiavano solo due punti azzurri, incredibilmente luminosi.Dall'ombra fuoriuscì una mano dalle lunghe dita ossute che terminavano con veri e propri lunghi artigli.Il dito indice si tese verso di lui. Mika lanciò un grido di terrore che finalmente fu udito dagli infermieri. Uno di loro corse verso la stanza del ragazzo.
 
-Non urlare. E' stato il primo ordine che ti diedi. E' semplice eppure lo hai disatteso!-
 
Il braccio si allungò su di lui e le  unghie acuminate iniziarono a premere contro la tenera carne del collo del giovane. Nel frattempo la porta della stanza di Mika si spalancò ed entrò di corsa l'infermiere. Notò il particolare spettacolo e rimase basito di fronte a qualcosa che mai avrebbe aspettato di veder accadere di fronte ai suoi occhi.
 
-Odio essere disturbato.-
 
La voce agghiacciante che l'infermiere fu costretto a sentire, lo paralizzò all'istante con il potere del terrore. Rapido come la falce della Morte fu un fendente non precisato a colpire la gola del nuovo arrivato che crollò a terra mentre sotto di lui si diffondeva una macchia di sangue. Sangue che lambì anche i piedi del giovane Mika.Sangue che risalì lungo le sue gambe sfidando la forza di gravità e giungendo sulle sue mani , sporcandole. Mika tentò disperatamente di pulirsi le mani sul lenzuolo del letto, sulla maglietta bianca, ma nulla. Il sangue rimaneva lì sulle sue mani.
 
-Non puoi lavarlo via. Non puoi privarti della colpa. Hai disobbedito e ora devi pagare. Non ho molto da chiederti tranne il silenzio. Conviene più a te che a me stare zitto. Nessuno potrà mai credere in qualcosa di impalpabile e inspiegabile come la mia presenza. Che cosa racconterai? Che un'ombra nella notte si è abbattuta su un infermiere? -
 
Una risata spettrale si diffuse nella stanza mentre le scheletriche mani fuoriuscite dall'ombra si avviavano verso il viso del ragazzo.Lo strinsero in una raggelante carezza. Dall'ombra si delineò anche un volto ossuto ma nel contempo fascinoso. Le labbra violacee e gli occhi azzurri quasi bianchi. Il naso leggermente aquilino e i lunghi capelli che coprivano in parte quegli zigomi spigolosi rendevano quella figura spettrale ancora più agghiacciante. Il sorriso, quel sorriso sadico che si diffondeva su quella bocca orribile lo terrorizzò così tanto che lo fece ammutolire, questa volta per sempre.
 
-Ti ordino di tacere una volta per tutte. No, stavolta non ti opporrai. Non importa quanto tu voglia farlo, la tua mente cede alla mia lusinga. La mente cede alla mia lusinga. Sei stato toccato dalla morte e non durerà molto la tua esistenza.-
 
Il rumore dei passi degli altri infermieri e del medico d'emergenza si avvicinarono. L'innaturale creatura divenne di nuovo nebbia e si diradò ed uscì velocemente dall'alta finestra socchiusa la quale si serrò al suo passaggio.Il vetro si infranse e alcuni frammenti caddero a terra.
Quando il personale medico ebbe accesso alla stanza si trovarono di fronte al macabro spettacolo dell'infermiere quasi decapitato,immerso nel suo stesso sangue.Videro le mani del giovane completamente intrise di sangue e i vetri caduti dall'alto cosparse del liquido scarlatto. Non fu difficile per loro e per la polizia, nei giorni successivi, tirare le conclusioni di entrambi i delitti. Mika Laine era l'assassino materiale di entrambe le vittime. Aveva ammazzato suo amico Anssi e anche l'infermiere che lo aveva in cura.Tutto portava a fare di lui l'unico sospettato e l'unico esecutore plausibile, tuttavia le modalità degli assassini presumevano una forza che Mika non aveva di certo, dato il suo esile corpo.
Quando però non c'è spiegazione plausibile, bisogna in qualche modo trovarla e creare una giustificazione a tutto. Ci si arrampica sugli specchi, si ingigantiscono i dettagli ma non si dice mai : non ne ho idea. Mai. Nemmeno quando si brancola nel buio e quando tutto risulta decisamente incongruente. E' la caratteristica propria del presuntuoso essere umano : anche quando non ha più frecce al suo arco, non si arrende all'evidenza. Preferisce giustificare cose che non conosce con tesi realistiche , concrete che sa essere false già in partenza. E' per questo motivo che i grandi interrogativi non vengono mai risolti.
 
I lunghi capelli rossi le davano fastidio. L'aria si era scaldata parecchio e Taina non sopportava più quelle lunghe ciocche che le coprivano le spalle.Le legò impietosamente in una coda raccolta alla rinfusa. Fissò la sveglia digitale posta fra le mille cianfrusaglie del comodino. Era davvero tardissimo! Le tre del pomeriggio! Una mezz'ora prima si sarebbe dovuta incontrare con Jaska, il suo ragazzo, al parco giochi vicino al lago. Si fiondò giù dalle scale in modo da raggiungere in fretta l'uscita della casa ma la voce di suo padre la fermò.
 
-Dove stai andando, Taina?-
-Da Helina ovviamente! Ho un appuntamento con lei e sono già in ritardo, papà!-
-Dove la devi incontrare?-
-A casa sua ovviamente. Se non ti fidi puoi chiamarla!-
 
Jarvi non era uno sciocco. Sapeva benissimo che le amiche a diciassette anni si coprono a vicenda. Era più che convinto che sua figlia non andasse ad incontrare la sua amica ma avesse tutto un altro programma. Lo sapeva, non era la prima volta che gli giungevano voci sul fatto che lei frequentasse un ragazzo della capitale. Ovviamente Jarvi, come tutti i padri, non era contento che già a quell'età, la propria figlia conoscesse l'amore in tutti i suoi aspetti, tuttavia era obbligato a fare i conti con quella realtà. Aveva conosciuto la sua defunta moglie quando lei aveva solo sedici anni durante un campeggio e di certo in quel periodo non stava a guardarla. Ma quando si è genitori è diverso. Entra in gioco quell'istinto di protezione in base al quale si teme che ogni cosa possa danneggiare la felicità del proprio figlio che si continua a considerare un bambino nonostante il tempo scorra. Era proprio quell'istinto a spingerlo a frenare Taina. Ma non solo perché temesse che quel ragazzotto di città potesse spezzarle il cuore dopo averla usata, ma anche per...
Interruppe il pensiero persino, quando un brivido gelido gli percorse la schiena. Era lì. Da qualche parte , in casa sua. Doveva far allontanare sua figlia al più presto. Non voleva che anche lei fosse coinvolta di nuovo in questa storia.

-E va bene. Esci pure. Ma tieni acceso il telefono.  Se non risponderai alle mie chiamate verrò a cercarti di persona e te la farò vedere io, Taina. Siamo intesi?-
-Ma certo, papà!-

Lo abbracciò soddisfatta. I ragazzi fanno così quando ottengono qualcosa in cui non hanno sperato pienamente.
Uscì trotterellando di casa e si incamminò verso il marciapiede. Avrebbe sicuramente preso l’autobus per dirigersi in città. Jarvi lo sapeva. Sorrise un po’ scuotendo la testa.  La figlia era sicuramente più al sicuro la fuori che in quella casa dove il gelido brivido del tocco della morte si stava diffondendo come aria putrida.
Jarvi osservò con la coda dell’occhio il tavolino di legno di pino grezzo sistemato quasi al centro della cucina. Su di esso sedeva un bambino bellissimo dai lunghi capelli biondo scuro. Gli abiti non erano usuali. Vestiva una lunga tunica di velluto blu scuro con decorazioni dorate . Ai piedi calzava piccole scarpine anch’esse  di velluto dello stesso colore delle vesti. Le piccole gambe erano fasciate da una calzamaglia bianca. Il piccolo sorrideva fissando gli occhi di Jarvi con i suoi , azzurri come il vetro e luminescenti di un riflesso quasi bianco.

-Jarvi! Tua figlia sta diventando una donna.-

La piccola voce aveva  la sicurezza delle parole di un adulto.

-Sì, lo so. Oramai è cresciuta e mi è difficile controllare tutti i suoi movimenti. -
-Sei un bravo padre. Vedrai un giorno ti ringrazierà. -

Il bambino scese dalla sua posizione con un sicuro balzo ed iniziò ad aggirarsi per la casa del barista osservando ogni cosa con molta attenzione. Senza sentirlo parlare sembrava che fosse davvero un bambino innocente come sottolineava il suo aspetto.

-L’hai mandata via, non è vero? Temevi che le facessi del male? Sei davvero un uomo di poca fede,Jarvi. Eppure io mi sono fidato tanto di te.-
-No, l’ho solo lasciata uscire. Proibirle ogni cosa non avrebbe senso alla sua età.-
-Sai bene che quella ragazza sta andando a concedersi ad un burbero ragazzetto di città eppure non la fermi. Un comportamento strano per un padre.I padri sono gelosi delle proprie figlie. Sai,parlo per esperienza. Solo che io ho vissuto la cosa dal punto di vista del burbero ragazzetto.Non mi imbrogli. So che cosa pensi, leggo ogni tua ipotesi e pensiero.E’ per questo che hai tentato di interromperne il corso poco fa. Mi dispiace. Pensavo che avessi una minima stima nelle mie parole. -

Jarvi rimase in silenzio, distogliendo lo sguardo dagli occhi azzurri del bambino che intanto, in punta di piedi, fissava gli oggetti sulla superficie di un mobiletto.

-Lo hai nascosto bene eh?-
-Cosa?-
-Come cosa? Il Grimorio di mia Madre. Il Libro delle evocazioni! Ti piaceva molto quel libro eppure…lo hai seppellito sotto metri di terra. -
-Avevo paura che Taina lo trovasse.-
-Non si fa trovare dalle persone sbagliate. Lo hai seppellito perché io non lo trovassi. Potevi stare tranquillo. Non sono mica una strega io. Sono solo un Bambino della Decadenza.-

Il piccolo rise dopo aver detto quella frase, chiara allusione al famoso gruppo death Metal.

-Non puoi immaginare quanto mi piaccia esserlo. Tutte quelle anime unite all’unisono della mia musica. Che urlano quello che dico, che perdono la testa al suono vorticoso di una chitarra torturata dalle mie dita. Non immagini  quanto piaccia loro seguirmi, desiderarmi, amarmi da lontano.Tutti, senza distinzione, vengono affascinati da quello che io ho da offrire. Un corpo perfetto e incorrotto, una voce che non si esaurisce , e soprattutto il fatto che io conosca ogni cosa loro vogliano. Non immagini che folla di pensieri si conglomera quando tutta quella gente si riunisce per ascoltarmi. Peccato io non riesca a leggerli tutti con precisione. Posso avere ogni cosa, Jarvi. Ogni cosa e ora ho trovato anche lei.-

Jarvi rimase sconcertato dalla sua ultima rivelazione. Un’altra anima sarebbe stata coinvolta in tutta quella vicenda. Vicenda innescata da lui stesso. 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: AbaddonDemon