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Autore: SivvHerondale    06/03/2015    3 recensioni
Dal testo: Sono piccola. Ho 7 anni. I miei biondi e ondulati capelli sono raccolti in due ordinate trecce, fermate da un nastrino rosso a forma di fiocco. Sono strana. O almeno, così dicono tutti. I miei occhi fanno paura alla gente. Sono neri, neri come il carbone, neri come la notte, neri come gli occhi di un demone. Neri. Così neri che non si capisce dove comincia la pupilla e finisce l’iride.
Inoltre, sono pallidissima. La mia pelle è così bianca che posso vedere tutto il reticolo complicato che formano le mie vene.
Guardo quella meravigliosa stanza. C’è tutto ciò che desidero. A destra, in basso rispetto al mio letto, un armadio aperto a due ante dove tengo tutte le mie bambole preferite in bella mostra. Per il momento sono solo due: Missy e Julie. Ma presto saranno di più.
Genere: Horror, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Die, die my darling.

 

Sono piccola. Ho quasi 7 anni. I miei biondi e ondulati capelli sono raccolti in due ordinate trecce, fermate da un nastrino rosso a forma di fiocco.

Sono esile. Il mio piccolo corpo è fasciato da un vestito azzurro ciano a maniche lunghe che mi arriva sotto le ginocchia. Sopra, un grembiule bianco a figura intera, che stona decisamente con il mio bell'abitìno. Le mie gambe sono coperte da dei collant bianchi, e ai piedi calzo un paio di ballerine nere di vernice.

Sono strana. O almeno, così dicono tutti. I miei occhi fanno paura alla gente. Sono neri, neri come il carbone, neri come la notte, neri come gli occhi di un demone. Neri. Così neri che non si capisce dove comincia la pupilla e finisce l’iride. Inoltre, sono pallidissima. La mia pelle è così bianca che posso vedere tutto il reticolo complicato che formano le mie vene.

 

 

Mi arrampico sulle strette e squallide scale che separano l’atrio del motel dalle stanze. Infatti, io vivo qui con i miei zii, che si riflettono perfettamente in questo edificio: anche loro sono squallidi. Mia zia è una signora vecchia e grassa, con i capelli grigi sempre sporchi e unti, mentre mio zio è un signore magro come uno stecchino e molto alto, con un paio di baffi che lo fanno sembrare un tricheco e rendono impossibile capire ciò che dice. I miei genitori sono morti in un incidente stradale, e io ero seduta sul sedile posteriore. Ho visto tutto. Un momento prima stavo giocando a immaginare come sarebbe stata la strada se non ci fosse stata la forza di gravità, e un momento dopo un camion ha perso il controllo e ci è venuto addosso. Odio quel camion. I miei genitori, solo loro sono morti. Il camionista era ubriaco, e se l'è cavata con qualche graffio. Ma gli hanno dato quel che si meritava. Due giorni dopo aver ucciso i miei genitori, è stato trovato morto con gli occhi cavati. 

 

Finalmente arrivo al corridoio del primo piano. Qui ci sono nove camere, dal numero 301 al numero 310. Per arrivare alla mia stanza preferita devo salire ancora due piani. Arrivo vicino alla stanza 303. Qui un anno fa è stato trovato il primo uomo morto: scivolato nella doccia, era caduto e si era rotto il collo. Tlack, a metà. Ci penso un po’ su. Tlack, tlack. Mi piace questo suono.

Lo abbiamo ritrovato io e mio zio a notte fonda, perché lui non riusciva a dormire per colpa dei rubinetti aperti. Quando siamo entrati nella 303, il bagno era completamente allagato e l’uomo era disteso per terra con la testa girata di 180°. Gli mancavano le braccia, e si vedevano le ossa, la carne e il sangue che colava ancora.

Accanto al rubinetto del bagno, ho trovato un fazzoletto con una sola parola: “omicidio”.

Non sono tanto dispiaciuta che sia morto. Il giorno prima di morire aveva camminato su al terzo piano e aveva sbirciato dentro alla mia stanza preferita. Non si fa. Il terzo piano non è per gli ospiti.

 

Attraverso tutto il corridoio di questo piano per raggiungere le scale successive. Prima di salire al piano superiore, mi accosto alla camera 308. So che è arrivato un nuovo cliente, cosa strana da queste parti. Dentro non si sente granché, solo lo scrosciare dell’acqua. Il cliente si starà facendo una doccia.

 

Salgo le scale e arrivo al secondo piano. Qui le camere sono numerate da 311 a 320. Alla 315 c’è stato qualche mese fa un altro signore che è morto: aveva piantato un coltello nel petto. Gli mancavano le gambe, si vedevano le ossa, la carne e il sangue che colava ancora. L’ho trovato mentre giravo per il cambio delle lenzuola con mia zia. Lei, come al solito, al posto di chiamare la polizia, ha semplicemente preso il corpo e l’ha buttato nel recinto dei maiali, quello dietro al nostro motel. È normale che la gente muoia, qui. Mentre lei spostava il cadavere, io ho dato un’occhiata nella stanza. Sulla parete a destra, l’unico letto, disfatto, era impregno di sangue, mentre sulla parete di sinistra un foglietto di carta faceva capolino sulla solitaria cassettiera. Dopo averlo preso, l’ho letto. Diceva solo “omicidio”. Sempre la solita parola. Noioso.

Neanche per lui sono dispiaciuta che sia morto. Il pomeriggio prima di morire, aveva camminato al terzo piano e aveva sbirciato dentro alla mia stanza preferita. Dopo aver visto quello che c’era, si era messo ad urlare ed era scappato. Non si fa. Il terzo piano non è per gli ospiti, e non si corre nei corridoi.

 

 

Qualche camera più in là, nella 318, soltanto due settimane fa c’è stato un altro morto. La donna che è stata ritrovata era di mezza età, sui 55 anni. L’abbiamo trovata io e lo zio, perché era una settimana che la signora non usciva dalla stanza. Non aveva la testa, era stata tranciata di netto. Si vedevano tutto il reticolato delle vene e delle arterie, la spina dorsale e la gola. In più, era sicuramente morta da un po’, infatti puzzava e aveva le labbra violacee. Il corpo era blu, e in alcuni punti cominciava a perdere la pelle. Sul letto, un grande foglio con sopra scritto più di una parola. Finalmente! Cominciava a diventare davvero noioso. Il pezzo di carta diceva “Bambina. Omicidio.”

La signora mi stava abbastanza simpatica. Poco dopo essere arrivata mi aveva regalato una caramella. Dopo però mi aveva subito seguita fino alla mia stanza preferita. Aveva sbirciato dentro e si era impietrita sull’uscio. Io l’avevo scoperta e con voce calma le avevo detto di andarsene, che gli ospiti non erano ammessi al terzo piano. Lei aveva fatto un vago cenno di assenso e, con gli occhi sbarrati, era andata nella sua stanza. Voleva fare i bagagli e andarsene senza pagare. Che imbrogliona! Non mi piacciono gli imbroglioni. Se soggiorni qui devi pagare. E il terzo piano non è per gli ospiti.

 

 

Mi risveglio dai miei pensieri e salgo al terzo ed ultimo piano, dove c’è la mia stanza preferita: la 333. Entro, e finalmente posso starmene in pace. Guardo quella meravigliosa stanza. C’è tutto ciò che desidero. A destra, in basso rispetto al mio letto, un armadio aperto a due ante dove tengo tutte le mie bambole preferite in bella mostra. Per il momento sono solo due: Missy e Julie. Ma presto saranno di più.

Sulla parete in fondo si nota una solitaria ma enorme finestra, che dà sul parcheggio antistante il motel.

A sinistra, una scrivania semplice di legno scuro, che occupa quasi interamente la parete, dove la zia costruisce le mie bambole e tiene gli attrezzi per farlo. Infatti eccola lì, seduta alla sedia nera davanti al tavolo da lavoro, intenta a cucire l’ultima mia bambola. Sto per parlarle, quando sento un cigolio. A quanto pare anche il signore della 308 è venuto a ficcare il naso. Prendo il grosso coltello da cucina posato sul tavolo, ancora incrostato da residui della volta precedente. Bene, penso, un altro che non rispetta le regole! Buon per me, avevo proprio bisogno di un torace fresco per finire la mia nuova bambola.

  
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