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Autore: hilittlelou    06/03/2015    7 recensioni
Ci si aggrappa a quelle piccole cose, quelle piccole persone che ti trattengono in vita, perché si muore di tristezza, di rabbia, piuttosto che di stenti.
Larry Stylinson AU||Volunteer doctor!Louis||Nigerian!Harry
Genere: Erotico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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testo

Qualsiasi riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale.
Alcuni luoghi citati nel romanzo sono frutto di pura fantasia.
Essendo su più fronti ispirata alla guerra in Nigeria, mi sento in dovere di dire
che il seguente racconto non vuole in alcun modo urtare la sensibilità, prendere parte o meno
a uno specifico pensiero. 
E' probabile che nella storia siano presenti più punti errati per quanto riguarda la storia, la politica e la società. Non me ne vogliate.




 

«Lo vedi? E' lì, come nelle fiabe.

Quando si varca l'arco

d'ingresso al tempio dei sogni, lì,

proprio lì, c'è il mare.»

-Luis Sepùlveda

 

 

 

 

 

 

 

جماعة اهل السنة للدعوة والجهاد,

L'istruzione occidentale è proibita.

 

 

 

Il Maiduguru Airport è grande, un'enorme distesa di desolazione.

L'angoscia mi attanaglia lo stomaco, mista al senso di eccitazione che anche volendo non riuscirei a reprimere.

Il mio primo incarico.

Mi guardo in una pozza di pioggia e fango, il mio volto è arrossato e la barba è incolta, chiunque scorgerebbe stanchezza nel blu dei miei occhi.

Scuoto appena il capo raddrizzando la targhetta cucita sul mio petto, le do un'occhiata vi è stampato sul fronte “Louis Tomlinson, 32.”, il retro è pieno di dati personali: gruppo sanguigno, segni particolari, tutto per far in modo che in caso di pericolo riesca a salvarmi ed essere riconosciuto.

Le divise che un tempo furono bianche, adesso sono luride e la mia, in particolare, ha il segno di un proiettile all'altezza della spalla, macchie di sangue secco. Quando chiedo a chi appartenesse mi rispondono di non saperlo, dicono che sono vecchie divise, di una vecchia guerra. Non gli credo. Riesco ancora a sentire l'odore della persona che l'ha indossata prima di me.

Trasportiamo a fatica gli attrezzi medici, sento le dita pulsare a causa del peso dei contenitori pieni, mentre un militare ci scorta verso il “Borno State Specialist Hospital”, la struttura ospedaliera è più buia della notte in cui siamo immersi, ho paura.

Quando mi sono unito all'associazione pensavo di sapere a cosa stessi andando incontro, ma adesso, mentre in piena notte corriamo in massa verso l'ospedale per fare in modo che nessuno ci veda e mentre l'odore di guerra, l'odore di morte mi invadono le narici, non mi vergogno a dirlo, ho paura.

Le strade sono tappezzate da manifesti, la Boko Haram si diffonde a macchia d'olio, i morti non si contano più, io sono qui per tenere in vita. “L'istruzione occidentale è proibita.” recitano tutti, ed io da medico occidentale, dovrei essere ovunque fuorchè qui.

 

«Menene sunanka?Yi bayanin da kanka.

Qual è il vostro nome? Identificatevi.»

 

«Ka bar su su tafi, su ne mala'iku.

Lasciali passare, sono gli angeli.»

 

Gli angeli. E' così che definiscono i medici qui, che sia per le divise bianche o per il modo in cui cerchiamo di tenere in vita, nessuno lo sa ancora.

Il cigolante cancello dell'ospedale si apre, delle grosse mani ed un sorriso niveo spuntano da dietro di esso. Una tenue luce si accende e grazie ad essa scorgo una cascata di morbidi ricci disordinati, il mio cuore perde un battito, poi due, e quando il giovane apre gli occhi, ne perde altri mille, troppo confuso dal verde intenso. Solo i suoi occhi sono scoperti, porta avvolto intorno al corpo e al viso una grossa stola scura, totalmente informe e un bavaglino a coprirmi il viso. Senza più proferir parola, il ragazzo ci guida verso l'interno dell'ospedale, accendendo e spegnendo le luci prima e dopo il nostro passaggio.

Abbiamo bisogno di spendere il meno possibile, si giustifica.

La struttura all'interno sembra anche più decadente.

I muri, ricoperti da muffa e umidità, emanano un forte odore di chiuso e qualsiasi oggetto mi trovi intorno è ricoperto da almeno uno spesso strato di terra e polvere.

 

«Qui ci sono da rauni, i feriti.»

Mentre si allontana per aprire un'ennesima porta, passando sotto una forte luce intermittente, mi rendo conto di quanto cerulea sia la sua pelle, ne scorgo un lembo, un pezzo di polso, dal grosso manto di stoffa.

Un nigeriano dalla pelle chiara tanto da farmi scorgere le vene blu sul polso magro?

Vitiligine, penso incerto.

 

Spinge il grosso portellone, spostando il peso del proprio corpo su di esso e dando vita ad uno scenario devastante, ingoio il grosso peso che mi si è incastrato in gola e scivolo, piano, tra i corpi stesi in terra. Corpi mutilati, volti tumefatti, sguardi persi, animi distrutti.

Se un Dio esiste, non è qui.

L'orologio che tengo al polso segna le 03:16 del mattino, un bambino piange, la madre gli accarezza il viso, ma piange con lui.

Sono le 03:16 ed ho una sola certezza, non sono già più io.

Cure, urla, pianti, piccoli -piccolissimi- sorrisi.

Quante persone hai salvato con queste tue mani?

Potevi fare di meglio?

Ogni giorno arrivano sempre più persone e le uniche ad andare via, sono quelle che abbandonano la vita; muoversi, dormire, mangiare, vivere, diventa sempre più difficile, lo leggo negli occhi di tutti.

Non si vive, si sopravvive.

 

Ci si aggrappa a quelle piccole cose, quelle piccole persone che ti trattengono in vita, perché si muore di tristezza, di rabbia, piuttosto che di stenti.

Harry. Così si chiama la mia persona; ho scoperto che non è malato, è un mulatto: mamma nigeriana e padre europeo, mi racconta di come sua madre si sia arresa alla vita dopo l'abbandono del suo uomo, mi racconta delle armi che gli furono date tra le mani appena fu in grado di reggersi in piedi e di come, quando poco più che bambino scappò via da una guerra che non sentiva sua. Ha gli occhi del padre e le labbra della madre, mi dice. Lo guardo forte, voglio tatuarmi ogni suo dettaglio sul cuore. La sfumatura preziosa delle sue iridi, la pelle liscia e profumata, le spalle larghe, il collo lungo. Figlio di un'eleganza d'altri tempi.

 

Ka nĩsanta ni da rai. Mi tieni in vita, mi dice spesso affondando il viso tra i miei capelli. Mi dice che profumo di buono.

Racconta le storie ai bambini, racconta storie d'amore, storie in cui si è liberi e poi, di notte, dice che sono io il suo amore, sono io la sua libertà.

Con me non devi essere niente. E mi stringe, vorrei non mi lasciasse mai.
Un giorno facciamo l'amore; tutti dormono, nell'aria si sentono solo i battiti continui dei nostri cuori. Harry è bello, il suo corpo è sodo, i suoi muscoli tesi. Mi passa le labbra gonfie sul collo e Ti prego, afferrami. Faccio come mi dice, pelli sudate che si strofinano l'una contro l'altra, la sua erezione è ormai gonfia, la sento sulla coscia e sorrido, mi sento vivo. Le nostre labbra non si staccano mai, abbiamo il respiro pesante e il cuore leggero. Il suo profumo è la quinta essenza della mia vita. Mi infilo in lui piano, e riesco a leggere nei suoi grossi occhi il piacere diventare sempre più presente. Sorrido sulle sue labbra, afferro lembi di pelle tra i denti, lascio il segno su un corpo che ormai mi appartiene. Spinte lente, mani ovunque. Vengo in un gemito soffocato e lui mi segue a ruota. Lui dipende da me, io dipendo da lui.

 

E poi, d'un tratto, tutto sembra voler finire.

Un boato, non sento nient'altro, le orecchie mi fischiano e percepisco sangue caldo colarmi lungo il viso, intorno a me il fuoco, mi alzo.

Le gambe sostengono con difficoltà il mio peso, non cerco Harry, so già dov'è.

Corro verso il camerone adibito a reparto e metà sala è distrutta, l'altra metà prende velocemente fuoco; incrocio degli occhi verdi, si sta caricando sulle spalle due bambini, trascina a forza una donna in lacrime. I miei colleghi arrivano poco dopo di me, sappiamo cosa fare, prima i bambini. Il fuoco continua ad avanzare così tanto velocemente che perdere anche solo un secondo darebbe fatale, prendo per mano una ragazzina che regge tra le braccia gracili il fratello, afferro due piccoli che mi si aggrappano addosso, cerco di trascinare verso l'uscita quanta più gente riesco e tra le fiamme, metà ospedale riesce a rimanere in vita.

Bambini senza madri, madri senza figli. Cuori slacciati che nessun punto di sutura sarà mai più capace di ricucire.

 

Corro verso Harry e mi stringo contro il suo corpo, un abbraccio che dà sollievo, come acqua fresca su una ferita infetta.

 

«Sarakunan mummuna!Sarakunan mummuna!» i miei timpani sono ancora danneggiati, ma la gente scappa via, nel giro di pochi minuti, non c'è più nessuno nei pressi di quel che rimane del Borno, corriamo via anche noi. Silenziosamente prego che tutte queste persone riescano ad avere una vita migliore, qualsiasi sia il posto in cui andranno a finire.

Harry mi stringe una mano, ha il viso ferito, ma sforna un sorriso sfinito e poi prende a correre anche lui, tirandomi con se.

 

«Tẽku!» mi urla fermandosi un attimo a prendere fiato e capisco, dai suoi occhi pieni di luce, che l'acqua del mare non si beve, ma disseta chi ha bisogno di libertà.

Il fischio continuo si affievolisce a poco a poco, ma a causa di quello che sento, vorrei fermarmi in un angolo e tapparmi le orecchio, morire in silenzio.

Gli spari alle nostre spalle continuano e sono sempre più vicini, le urla di gente che muore perdendo la vita o perdendo la ragione per cui vivi.

 

Guardo Harry, i suoi occhi mi supplicano, continuo a correre dietro di lui, per lui. In lontananza lo vedo adesso, riesco a scorgere la distesa blu che ci separa dalla libertà, corriamo, i miei muscoli cedono ad ogni passo e poi, finalmente affondiamo con i piedi nella sabbia, siamo vicini, vicini alla vita vera, mi stringe la mano.

Qualche passo, gli ultimi passi.

 

La sua mano non mi stringe più.

Sento le sue dita scivolare dalle mie, cede. E' a terra adesso.

Seguo il suo corpo involontariamente, il mio cuore si avvicina al suo a raccogliere l'ultimo battito, non so se sul viso ho lacrime o sangue, e allora succede il mio blu e il suo verde, miscela perfetta, un'unica lacrima gli scivola sulla guancia ed ha il nostro colore.

Sento la vita scivolargli via dalle membra.

«Sei stato la cosa migliore in una vita di dolore.Ina son ka.»

La nostra tendenza è quella di cercare un immediato rimedio alle nostre ferite, quasi con la paura del cambiamento che esse provocano in noi, come quando mettiamo un cerotto su una ferita cercando di nascondere il dolore, per illuderci che non esista. Sappiamo, però, che nonostante la nostra ferita sia nascosta, ha cambiato noi stessi e il percorso della nostra vita. Perciò non potrà mai guarire del tutto e noi non torneremo mai come prima, ci proveremo ma le nostre nuove consapevolezze e fragilità ce lo impediranno.

 

Mi volto, poco più che bambino, stringe in mano un arma più grande di lui, combatte una guerra che non è sua, non ha espressione, mi guarda in viso. E' di ghiaccio.

 

Mi stringo a Harry, in cerca di un calore che non troverò, più; quella che ho di fronte è un'arma e non avrà pietà di chi ama, chiudo gli occhi. Scivolo via.

 

AMOR VERUS MORITUR NUMQUAM.

 

 

 

 

 

Io sono qui per provare qualcosa in cui credo: che la guerra è inutile e sciocca, la più bestiale prova di idiozia della razza terrestre.

-Oriana Fallaci












Ho cancellato tutte le mie precedenti storie, ma non importa a molti.
Inizio col dire che questa NON è la versione integrale della storia, poichè prima l'ho scritta e poi -da brava idiota- mi sono affezionata così tanto da decidere di volerla nascondere e custodire gelosamente per sempre.
Non è una lemon, me ne rendo conto. Il fatto è che in una situazione così, boh, delicata, sincera, non me la sono sentita di inserire atti sessuali descritti con minuzia. Spero vi piaccia almeno un po'.
Spero non ci siano molti errori, ma vi prometto che presto ricontrollerò e correggerò.
Un ringraziamento speciale a Mena per il favoloso banner.
Un bacio, Lu!

   
 
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