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Autore: Hypnotic Poison    06/03/2015    7 recensioni
Il Dipartimento Speciale di Investigazione era un reparto riservato dell'Agenzia di Intelligence per la Pubblica Sicurezza. Dislocato lontano dal palazzo del quartier generale, era uno di quei reparti di cui tutti sapevano, ma che nessuno conosceva davvero.
Genere: Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish, Ryo Shirogane/Ryan, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo undici: This is my kingdom come
 
 
 
La stanza puzzava di fumo e sudore. L’odore sarebbe rimasto sui loro vestiti presumibilmente per tutta la giornata, e probabilmente sarebbe solo peggiorato se avessero seguito il consiglio di Kisshu e fossero andati in chissà quale nuovo locale che lui aveva scovato nei suoi vagabondaggi notturni.
Pai osservò il socio in affari, che, come al solito durante quelle riunioni, aveva un’espressione terribilmente annoiata e scarabocchiava sul foglio davanti a sé. Se non avesse saputo che anche la propria espressione non era molto dissimile, l’avrebbe rimproverato per il poco tatto che mostrava nei confronti dei loro clienti.
Qualche parola borbottata in russo attirò la sua attenzione mentre gli altri continuava a discutere in giapponese. Sapeva che un forte malumore si stava diffondendo all’interno del gruppo. Era da troppo tempo ormai che si stavano intrattenendo a Tokyo per cercare di concludere affari con soggetti che si mostravano particolarmente tenaci nelle loro posizioni, e il fiato sul collo che avvertivano da quell’incontro con quelle due donne non dava loro tregua.
Non sapeva ancora per quanto sarebbe riuscito a mantenere il controllo sui propri uomini, prima che decidessero di levare le tende e spostarsi in un luogo più sicuro.
Avrebbero dovuto solamente mettere a segno quell’ultima richiesta, e tutto sarebbe andato a posto.
Sempre che i termini di scadenza non continuassero a cambiare.
Kisshu alzò lo sguardo in quel momento, intercettando il suo mentre si grattava pigramente il braccio sinistro, lì dove fino a pochi giorni prima c’era stata la garza a proteggere il colpo di proiettile.
Si era rimesso davvero in fretta, non c’era da dire. Forse anche lui avvertiva la stessa tensione e la voglia di andarsene il prima possibile. Anche se era sempre difficile riuscire a leggere le espressioni del proprio compagno, con tutta quella facciata di rilassatezza che sempre mostrava.
Anzi, molto spesso quell’attitudine lo infastidiva. Avrebbe voluto che certe cose fossero prese un po’ più sul serio, soprattutto e specialmente in una situazione come quella.
Ma anche Fukazawa era nervoso, quello lo percepiva. Lo attribuiva probabilmente al fatto che si era fatto scappare in modo così stupido quelle due, e ne era anche rimasto ferito. Ma era strano vedere Kisshu agitato.
Quest’ultimo alzò un sopracciglio nel notare il costante sguardo di Pai, come a chiedergli quale fosse il problema.
Lui accennò appena ad un movimento della testa, per dissuaderlo dall’insistere. Non era il caso di distrarsi ulteriormente, in questo momento. Finché i problemi di Kisshu non avessero danneggiato il loro lavoro, sarebbero stati solo una sua faccenda.
E per un breve istante, Pai sperò davvero che non avrebbero interferito.
 
§§
 
“Ti prego, dimmi che abbiamo finito con quella roba.”
Purin schiantò la testa contro il tavolo, mugolando sommessamente. Poteva sentire gli occhi bruciarle da quanto era stata ferma a guardare lo schermo del computer.
“Voglio andare a casa. A cercare nuovi appartamenti da dipingere di azzurro.”
Ryo le lanciò un’occhiata distratta, sfogliando velocemente il plico di fogli tiepidi appena stampati da Retasu: “Pensavo che lo volessi giallo.”
“Il salotto lo voglio giallo. Il bagno lo voglio azzurro.”
“E la camera da letto rossa?”
“Non lo so, com’è quella di Ichigo, capo?”
Mentre sia la ragazza in questione che l’americano colpivano Purin con delle palle di carta, Retasu scosse la testa stancamente, trattenendo la voglia di alzare gli occhi al cielo. Ogni tanto non capiva come la biondina potesse prendersi certe liberà con Shirogane-kun. Lei sicuramente non si sarebbe mai permessa di rispondergli con quel tono canzonatorio, come a volte faceva anche Minto.
E il loro capo rispondeva alle provocazioni della più giovane del gruppo con un tale calma, quasi come se ne fosse divertito, da spiazzarla. A lei sembrava che stessero tutti giocando così tanto con il fuoco, non poteva capire come potessero affrontarla con così tanta noncuranza.
Forse quei due pensavano di essere intoccabili, ponderò, così avvolti dai loro sentimenti da pensare che potessero comunque prevalerne.
Retasu, in cuor suo, pregava che fosse così, sia per il bene della sua amica, che di Shirogane. Non poteva capire molto bene come lui avesse potuto perdonarla così facilmente, anche perché non erano girati molti dettagli tra di loro – Ichigo era stata incredibilmente riservata riguardo la questione, per una volta nella sua vita, e lei lo riteneva quasi un buon segno.
Come d’altronde non poteva capire l’evidente fissa che Minto si era presa per Kisshu. Non le importava molto del fatto che infine si fosse rivelato dalla loro parte; lei continuava a non fidarsi, non le piaceva. Non le piaceva il suo comportamento, l’attitudine che comunque aveva tenuto nei loro confronti quando erano state prigioniere, che fosse servito a mantenere la propria copertura o meno; non era nemmeno certa che dopo tutti quegli anni passati in mezzo alla Deep Blue, lui fosse del tutto sicuro di a chi appartenere. Poteva essere pericoloso, e molto, e forse Minto avrebbe fatto meglio a farsi passare la voglia del brivido per il rischio.  
“Retasu, hai finito con quelle fotocopie?”
La voce dell’americano la distrasse dai suoi pensieri, facendola sussultare. Notò Ryo osservarla con cautela, un accenno di preoccupazione sul volto. La guardava spesso a quel modo quando la vedeva perdersi nei pensieri, o reagire di scatto, da quando lei e Minto era tornate al lavoro. Da un lato le faceva piacere pensare di avere un superiore che tenesse genuinamente a loro; dall’altro, la infastidiva il fatto che lui non rivolgesse mai occhiate di quel genere alla sua amica dai capelli neri. Come se solo lei avesse bisogno di essere controllata, perché non era forte come Minto.
E dire che se aveva deciso di offrirsi volontaria per quella maledetta missione, era stato solo per dimostrare che non era lei l’anello debole del gruppo.
Si schiarì la gola e sorrise al biondo, giusto per fare in modo che scostasse lo sguardo che l’aveva sempre messo a disagio, e gli porse il nuovo plico di fogli caldi. “Ecco, Shirogane-kun.”
“Grazie,” le rivolse un sorriso “Prometto che tra dieci minuti ce ne andiamo, prima che Minto si rimetta a lamentarsi.”
“Non trasformare me nella causa della tua fretta,” lo rimbeccò la mora, senza alzare gli occhi dai documenti che stava riempendo, con tono canzonatorio.
Zakuro intercettò lesta la pallina di carta che Ichigo, questa volta, aveva lanciato contro Minto – erano rimaste solo loro dentro l’ufficio, e si stava avvicinando l’ora di cena, scatenando tutto il loro malumore e la loro stanchezza.
Le loro giornate lavorative si stavano allungando sempre più, specialmente ora che gli incontri con Kisshu stavano diventando sempre più difficili da organizzare. Avevano molte cose ancora da discutere, ma lui non poteva rischiare di sparire troppo a lungo e troppo spesso, ed era già capitato un paio di volte, in quelle ultime due settimane, che gli incontri nella casa sicura fossero avvenuti dopo cena. Addirittura Purin si stava rivelando più nervosa del solito, e la mancanza della sua normale allegria si rifletteva in modo evidente sul gruppo.
Ryo sospirò nel vedere Ichigo e Minto scambiarsi occhiatine da battibecco e farsi le linguacce a vicenda, si passò una mano tra i capelli e si avviò a lunghe falcate verso il suo ufficio.
“Va bene, basta,” esclamò ad alta voce oltre la spalla, aprì uno dei cassetti della scrivania e vi infilò dentro quasi di scatto i plichi di fogli che teneva in mano, ormai dissoltasi la forza di volontà necessaria per consultare anche loro “Andiamo a casa. Domani sarà un’altra lunga giornata.”
“Ma domani è venerdì!” si lamentò Purin, alzandosi lentamente dalla sedia.
“Domani sera dobbiamo incontrare Ikisatashi.”
“Di venerdì?!”
“Purin. Non fare come Minto. A mezzanotte.”
 La biondina mugugnò qualcosa che somigliava molto a ma a Minto piacerebbe incontrare Kisshu a mezzanotte, ma prese la borsa e si allontanò in fretta, prendendo Retasu sottobraccio e praticamente trascinandosela via, permettendole di lanciare un saluto affrettato agli altri.
Zakuro le osservò andarsene, scambiandosi uno sguardo con Ryo non appena questo uscì dalla sua stanza con la giacca piegata sul braccio.
“Dici che dovremmo controllare come sta?”
L’americano scrollò le spalle: “Lo sai com’è fatta Retasu, non vuole che ci si preoccupi per lei.”
“Dobbiamo preoccuparci?”
Ichigo si era avvicinata a loro due, e si mordeva ansiosamente il labbro inferiore. “Ho provato a parlarle, ma lei sostiene che è tutto okay, che sta bene…”
“Non te lo puoi scordare,” Minto parlò all’improvviso, aggiustandosi la borsa sulla spalla “E per Retasu credo sia stato un po’ più difficile.”
“Tu, in ogni caso, devi smetterla di fare Wonder Woman.” la riprese Ryo.
“Non puoi dirmi nulla.”
“Sono comunque il tuo superiore.”
“Ancora peggio!”
“Minto, la vuoi piantare?”
“Coda di paglia, Ichigo-chan?”
“Guardati la tua!”
Zakuro rise sotto i baffi mentre il solito dibattito continuava anche nell’ascensore, con il povero Shirogane che cercava di mantenere il controllo.  
Gli sfiorò il braccio mentre le porte grigie si aprivano cigolando, sorridendogli. “Ci vediamo domani.”
“Ciao, Zakuro-chan,” Ichigo si sciolse la coda che le stava ormai facendo dolere l’attaccatura dei capelli “Vuoi un passaggio, Minto-chan?”
La mora scosse la testa, ma Ryo intercettò la sua risposta alzando gli occhi al cielo.
“Non ci torni a casa da sola, Aizawa, fila in auto.”
 
§§
 
Non appena Purin entrò in casa, lasciò penzolare cappotto e borsa sulla poltrona dell’ingresso e si trascinò fino al divano, dove si fece cadere con uno sbuffo a faccia in giù.
“Sono morta.”
Taruto sbucò dalla sua piccola cucina, utilizzata praticamente solo quando la biondina si palesava in casa sua. “La cena è quasi pronta. Sei abbastanza rumorosa per essere morta.”
“Non sei spiritoso,” lo rimproverò lei, legandosi i lunghi capelli in una crocchia scomposta che pendeva da un lato “Hai notato che ore sono? Pensavo che una volta risolta la situazione con Ichigo, Shirogane avrebbe smesso di fare lo schiavista.”
Il ragazzo spense il fuoco sotto alla pentola, raggiunse il salotto e si sedette accanto a lei, sollevandole le gambe e posandosele in grembo.
“Stare tutto questo tempo con Minto ti sta facendo diventare pettegola.”
Purin ghignò, voltandosi sulla schiena: “Spettegoliamo?”
L’occhiataccia che le fu rivolta da Taruto non riuscì a spegnere la sua ritrovata allegria.
“La verità è,” si arrampicò sulle ginocchia del ragazzo, piegando le gambe sotto di lei ed accoccolandosi contro il suo petto “Che siamo tutti preoccupati, tutti su di giri. Io lo sono specialmente per Retasu. Forse avrei dovuto invitarla a cena. Non mi piace che stia da sola.”
“Forse ogni tanto ne ha bisogno. State sempre e comunque insieme un sacco di tempo in questi ultimi giorni.”
“Sì, ma è diverso. Reta-chan avrebbe bisogno di svagarsi. Forse dovremmo trovarle un fidanzato.”
“Ti ricordi cos’è successo l’ultima volta che hai cercato di trovare un fidanzato a qualcuna?”
Purin ridacchiò: “Io e Ichigo siamo finite chiuse dentro lo stanzino in armeria per tre ore perché Minto non aveva apprezzato. Ma non si tratta di Minto-chan, ora, lo sai che lei ha dei gusti particolari. Decisamente particolari, basta guardare a che pensieri ha ora per la testa. Ogni volta che ci incontriamo con Ikisatashi-kun, puoi tagliare la tensione con un coltello, e fidati, quella casetta è davvero piccola. Se poi ci aggiungi pure il capo ed Ichigo…”
Taruto sbuffò, cercando di scostarsela gentilmente di dosso: “Ho troppa fame per queste cose.”
“Dai, Taru-Taru,” Purin gli strinse le braccia al collo e le gambe attorno alle sue, placcandolo sul divano “Fammi due coccole, siamo stati lontani due lunghissimi giorni!”
Lui arrossì: “Basta che la smetti di parlare di quello che fanno le tue amiche, o Shirogane-san.”
“Ma così è più facile non essere in sua soggezione, se sai che –”
“Io non sono in soggezione, e non voglio sapere! Già mi guarda malissimo da quando tu gli hai detto dei nostri… piani.”
“Avevamo deciso che sarebbe stata la cosa giusta.”
“Potevi avvertirmi!”
Purin sorrise, sfiorandogli il naso con la guancia: “Come sei carino quando sei imbarazzato, Taru-Taru.”
“Piantala,” Taruto se la scrollò definitivamente, facendola ridere mentre rimbalzava sul divano, “Io vado a mangiare, scimmia dispettosa.”
“Aspettamiiiii, non ti ho ancora finito di raccontare…!”
 
§§
 
Purin non era stata l’unica, ovviamente, a notare il cambiato atteggiamento, almeno questa volta in positivo, tra Ichigo e Ryo. Anche Kisshu, grazie alle varie ore passate in compagnia della squadra µ, sembrava aver percepito quale tipo di relazione intercorresse tra i due; e, visto che sembrava aver fatto un passatempo il cercare di dare sui nervi il più possibile a Shirogane, si prodigava sempre in battutine e doppi sensi che molto spesso riguardavano proprio loro due.
La biondina sbadigliò rumorosamente; era quasi l’una di notte del venerdì, e loro erano nuovamente seduti intorno a quel tavolone polveroso, sepolto dalle carte.
Retasu le allungò la tazza di caffè che stringeva in mano: “Ne vuoi un po’?”
Lei scosse la testa: “No, grazie. Se lo bevo, so che poi non dormirò tutta la notte. Preferisco tirare avanti e sperare che tra una mezz’oretta sarò al calduccio da Taru-Taru.”
Litri del liquido scuro, invece, stavano scorrendo tra Kisshu e Ryo, piegati sopra una grande planimetria del luogo dove, secondo l’agente sotto copertura, Pai avrebbe fatto accadere l’ultimo e il più importante atto di vendita, quello per cui l’intera banda era arrivata a Tokyo.
“L’impianto di aerazione è inutilizzabile,” spiegò Kisshu, arrotolandosi una manica della camicia bianca “E c’è solo un’altra uscita sul retro. Di solito, Pai mette a guardia delle uscite un minimo di tre uomini, ma essendocene solo una, non vorrei che ne mettesse di più.”
Ryo annuì, passandosi una mano tra i capelli: “E’ questa la planimetria più vecchia che possiamo trovare? È una zona vecchia della città, non vorrei che ci fosse scappato qualcosa.”
L’altro scosse la testa: “Ho trovato solo questo.”
“Che dite di costruzioni lì attorno?” Minto si avvicinò a loro, cercando su un tablet la mappa della zona “Per sistemare la copertura dall’alto?”
“E’ isolato,” Kisshu rilassò le spalle con fare scoraggiato “Non so se i cecchini dall’alto siano fattibili.”
Damn it.” Shirogane studiò qualche altro foglio “Sei sicuro che sia la nostra unica occasione?”
“Dopo questa vendita, Pai ha intenzione di andarsene. Nemmeno io so mai quale sia la nostra destinazione fino a quando non siamo ormai praticamente in viaggio. È troppo tempo che siamo qui, gli altri si stanno lamentando, e non troppo raramente.”
Il biondo lo guardò con un’occhiata decisa: “Il fatto che tu parli al plurale non è rassicurante.”
Kisshu si strinse nelle spalle: “Forza dell’abitudine. E anche il fatto che se non si smonta tutta questa operazione ora, io dovrò partire con loro e continuare la mia investigazione.”
What a shame.
Perfino Zakuro lanciò un’occhiataccia all’americano dopo la battutina sarcastica, e lui si ritrovò a sospirare e cercare di correggere il tiro.
“Non hai modo di convincere Hayashi a cambiare il luogo?”
“Purtroppo non sono io a decidere questi dettagli. Né sono abbastanza influente. Ho già avuto il mio da fare a convincerlo a spostare la data della vendita.”
Mentre i due uomini si rimettevano a confabulare tra di loro, Minto si andò a sedere accanto a Ichigo, sfregandosi il viso con il dorso della mano per tentare di scacciare la stanchezza.
“Io non ho capito perché dobbiamo venire anche noi se poi fanno tutto loro due,” bofonchiò la rossa.
L’altra li occhieggiò, cercando di non soffermarsi troppo sui muscoli bene in vista delle braccia di Kisshu. “Senso di inferiorità numerica?”
“Altra ragione per lasciarci a casa.”
La mora sorrise, osservando il profilo del ragazzo dagli occhi dorati. Sapeva che avrebbe dovuto tenere ben separati vita personale e lavoro, soprattutto in un momento come quello, ma non aveva un bel esempio nemmeno nel suo capo e in una delle sue migliori amiche, e Kisshu…
Non riusciva a capirlo fino in fondo, e quello era il fattore maggiore che la spingeva verso di lui.
La colpiva la leggerezza con cui sembrava affrontare qualcosa che era sicuramente più grande di tutti loro, e in qualche assurdo modo, ciò le ispirava fiducia. Sapeva che non tutti la pensavano come lei, decisamente. Eppure, sembrava che in fondo a lui non importasse.
Lo vedeva nel modo in cui trattava Retasu; lei era sempre molto sulle spine e rigida attorno a lui, cauta ed attenta. Lui, d’altro canto, le dimostrava la massima attenzione, quasi come per scusarsi ancora di tutto quello che era successo, rivolgendole sempre saluti e parole gentili.
“Terra chiama Minto,” la voce divertita di Ichigo la distrasse “Ti hanno chiesto il tablet.”
“Ah, sì,” lei si alzò e allungò l’oggetto a Shirogane, ignorando l’occhiata scocciata che lui le stava rivolgendo.
Da che pulpito, si ritrovò a pensare.
“Pai arriverà lì mezz’ora prima del cliente, ed io dovrò essere con lui,” stava spiegando Kisshu in quel momento, muovendo le dita sullo schermo del tablet per aprire una mappa delle strade “Un furgoncino con da tre a cinque uomini ci seguirà poco dopo. Per ultimo, arriverà il cliente, scortato da una delle macchine della Deep.”
“Arrivare prima di Pai sarebbe uno sbaglio, immagino.” commentò Zakuro.
“Sarebbe pericoloso. Lui arriva sempre prima per accertarsi che tutto sia a posto, e se desse l’allarme prima dell’arrivo della squadra, potrebbe saltare tutto comunque.”
Ryo incrociò le braccia al petto: “Dovremo trovare comunque il modo di avere almeno un po’ di vantaggio.”
“Posti di blocco sulla strada che porta al luogo di incontro, tipo lavori in corso?” domandò Retasu.
Kisshu scosse la testa: “Sarebbe troppo sospetto.”
“Se ci sostituissimo al cliente? Sappiamo il nome, potremmo incriminarlo, e…”
Ryo interruppe Purin: “Contenere la fuga di notizie sarebbe difficile. È un’operazione troppo delicata per imbastirla in poche settimane, e sarebbe anche rischioso trovare capi d’accusa che possano reggere abbastanza a lungo per potere giocare d’anticipo. Non basta avere il suo nome su una lista.”
Zakuro sbuffò così forte che le punte della frangetta le sventolarono. “E’ assurdo pensare di non poterlo incastrare.”
“Se fosse così semplice, ci sarebbero già riusciti.”
La modella lanciò l’ennesima occhiata glaciale al biondo: Quit it with coffee, you’re getting irksome. 
“No, vi prego,” si lamentò Ichigo “Sono quasi le due del mattino, l’inglese no.”
“Non ti diverti abbastanza, Rossa, se alle due del venerdì sei già stanca,” la prese in giro Kisshu.
“Preferisco fare altre cose che stare rinchiusa in una casetta ammuffita.” rispose piccata lei.
Purin si mise a sghignazzare, esclamando un Oooooh irrisorio che fece tingere di rosa acceso le guance dell’amica.
“Anche io, ed infatti quella era la mia scusa,” il ragazzo le fece un occhiolino prima di stirarsi la schiena, facendo scrocchiare piacevolmente le vertebre. “Mh, a proposito, avrei bisogno di qualche segno del mio divertimento notturno,” si voltò ancora con un ghignetto sarcastico verso Ichigo “Vorresti favorire, micetta?”
Una vena pulsante comparve sulla fronte di Shirogane, mentre la rossa alzava gli occhi al cielo e si allontanava sbuffando e scuotendo la testa. “Stai tirando troppo la corda, Ikisatashi.”
Kisshu rise: “Non avete davvero senso dell’umorismo.”
It wasn’t funny.”
Lui lanciò uno sguardo di sbieco a Minto, che era rimasta zitta per tutto il tempo e stava riponendo le sue cose nella borsa, la schiena un po’ più rigida del solito.
“Possiamo andarcene, ora?” domandò infatti lei.
Ryo annuì: “Sì, basta, non ne posso più.” Si voltò verso Ikisatashi, le mani sui fianchi: “Il prossimo venerdì?”
L’altro fece segno di no con la testa: “Il tempo stringe. Proviamo mercoledì, sempre a quest’ora.”
“Che scusa dovrai trovarti questa volta?”
Kisshu ghignò: “Qualcosa mi inventerò. Ve lo confermo entro il pomeriggio alle cinque.”
Il biondo annuì e prese Ichigo per mano, stringendola forte, ormai noncurante del fatto che fossero davanti agli occhi di tutti. Un’occhiata intuitiva con Zakuro gli fece intendere che avrebbe pensato lei a controllare tutto; lui si preoccupò solo di accertarsi che Purin e Retasu salissero in macchina illese ed al sicuro, raccomandando loro di fargli sapere non appena fossero arrivate in casa.
Quasi spinse Ichigo in auto senza una parola, ringraziando almeno che l’ora così tarda permettesse di arrivare al proprio appartamento in pochi minuti, senza traffico.
La rossa, dal canto suo, non protestò affatto, contenta soltanto di aver riempito le ciotole di acqua e cibo di Masha prima di essere uscita.
Lo seguì in silenzio dal garage all’entrata del moderno appartamento, che come sempre aveva il vago odore di dolci aleggiante per l’aria.
“Hai fatto una torta prima?” gli domandò, appoggiando borsa e cappotto sul bancone della cucina.
“Ieri sera,” rispose quasi bruscamente Ryo mentre si sedeva con uno sbuffo sul divano e si toglieva le scarpe.
Ichigo gli si avvicinò e passò le mani tra le ciocche bionde: “Sei nervoso?”
Lui annuì, tirandola a sé così da poggiare la fronte contro il suo ventre. “Sono esaurito, è diverso. Incontri notturni, microspie, doppi giochi… A volte mi chiedo se sia tutto un incubo, e cosa sia davvero reale.”
La ragazza si inginocchiò per guardarlo negli occhi. “Tra poco finirà, vedrai. Non manca molto, ora.”
“Sempre che riusciamo a far funzionare l’operazione. The more we study it, the more it looks like Mission Impossible.” ribatté lui con uno sbuffo, incurante del fatto che lei si era persa ormai metà della frase. “E in tutto ciò, sono preoccupato per Retasu, e… e Minto mette l’asso di briscola!”
“Lasciala stare. Certe cose non si possono scegliere, giusto?”
Alcune sì.”
Ichigo rise e premette la fronte contro la sua. “Io e te siamo reali.”
Ryo annuì, affondando i polpastrelli nei suoi fianchi: “Promise?
“Promesso.”
Il modo in cui si strinsero quella notte non poté che suggellare quella promessa.
 
§§
 
Minto guardò distrattamente l’orologio in basso a destra nello schermo del computer. Sapere che non mancava molto tempo alla scadenza posta da Ikisatashi il venerdì precedente la stava rendendo leggermente nervosa. Ogni giorno che passava, cresceva in loro la voglia di terminare quella faccenda il più presto possibile, per ricominciare a vivere una vita che fosse quantomeno un poco più normale e meno caotica.
Il brusio dell’ufficio, a quell’ora sempre pieno di tutti gli altri agenti, la stava intontendo, così come le poche ore di sonno che ormai riusciva a concedersi ogni notte. Continuava a svegliarsi spesso, in preda a brutti ricordi e accenni di attacchi d’ansia che non voleva fossero troppo divulgati, e diventava poi difficile concentrarsi sul luogo di lavoro.
Soprattutto quando il suo cervello si sintonizzava autonomamente su quello che era accaduto il venerdì precedente.
 
 
Ichigo e Ryo uscirono per primi, di fretta, sbiascicando saluti controvoglia e sparendo nel buio del corridoio. Il fresco della notte raggiunse quel salotto invecchiato nella manciata di secondi in cui loro aprirono la porta, ricordando a tutti quale fosse il vero orario a cui si erano incontrati.
Zakuro accompagnò Purin e Retasu alla porta, lanciandole solo un’occhiata che sembrava più di avvertimento che di rimprovero, questa volta. Solo quando non la vide tornare per un po’, Minto si concesse di lasciare andare il respiro che aveva trattenuto.
“Capisci perché non te l’ho chiesto, no?” le domandò Kisshu, che era rimasto ad osservare la scena in silenzio.
Lei continuò a dargli le spalle mentre sistemava le sue cose in borsa: “Perché ti piace irritare Shirogane fino a dove puoi spingerti, e la tua natura da maniaco prende il sopravvento su di te?”
Kisshu sorrise sarcastico, e lei lo avvertì compiere un passo verso di lei ma mantenere comunque una distanza di sicurezza. “Fuochino.”
Lei sbuffò e scosse la testa, voltandosi solo in quel momento. Pensava che almeno ci sarebbe stato il tavolo tra di loro, invece lui l’aveva già aggirato, portandosi a poco meno di un metro da lei. La stava guardando con gli stessi occhi di quella prima sera in discoteca, ma la sua fronte era corrugata in un’espressione di frustrazione.
“Sappiamo tutti e due che è complicato.” mormorò il ragazzo.
Minto annuì. “E che non dovremmo. Soprattutto non adesso.”
“Magari… dopo.”
La mora si strinse le braccia quando lui si avvicinò ulteriormente. “Non ti accontenti mai, noto.”
“Difficilmente,” rise lui, e allungò una mano per arrotolarsi una ciocca corvina attorno ad un dito.
“Ikisatashi,” la voce le tremò per la piacevole fitta dietro l’ombelico che la colse non appena il profumo di lui le sfiorò le narici “Sei un Agente di grado superiore al mio.”
“E’ una diversa agenzia.”

Ormai aveva appoggiato la mano alla sua guancia, i loro nasi si stavano per sfiorare, lei non aveva intenzione di chiudere gli occhi.
 “E’ una stronzata.”
Kisshu sorrise: “Ooh, occhio al linguaggio, mademoiselle. Hai intenzione di lamentarti per abuso di potere?”
“Shirogane ci ucciderà.”
“Ancora più elettrizzante.”
Era così vicino che le sarebbe bastato inclinare la testa di pochi millimetri per avere le sue labbra sulle proprie. Bastava chiudere gli occhi e non pensarci più.
“Me ne vado solo se ti sento dire di no, passerottino.”
Minto chiuse gli occhi.
 
 
“Io ti mando dalla psicologa per un caso di sindrome di Stoccolma, sappilo.” la voce sarcastica di Shirogane, unita al rintocco delle sue nocche sulla scrivania di Minto, la fece riconcentrare sulla situazione presente.
Raddrizzò la schiena e squadrò le spalle, non rivolgendogli lo sguardo. “Non sono incline a parlare della mia vita privata con te, Shirogane-kun.”
“Privata un accidente, signorinella.” borbottò lui “Ti stai cacciando in un bel guaio.”
Minto alzò un sopracciglio: “Vuoi davvero iniziare questo discorso?”
“Maledizione, voi donne.”
“Ryo,” il monito, mezzo divertito, di Zakuro lo fece alzare dalla scrivania di Minto con un sospiro.
“Ci sono novità?”
“Ancora nessuna conferma, capo,” rispose Purin. “Ma non sono neanche le cinque.”
L’americano alzò le sopracciglia, poco perturbato dal fatto che, come al solito, Ikisatashi si premurasse di fare sempre tutto all’ultimo momento.
Del lavoro da sbrigare prima di ricevere la sua conferma ne avevano a bizzeffe, quindi non c’era pericolo che rimanessero con le mani in mano ad attendere in vano.
Ma non gli sfuggì l’occhiata inquieta che Minto scoccò all’orologio quando le lancette oltrepassarono i trenta minuti dopo le sei. Nessuna accennò ad alzarsi, nonostante l’orario lavorativo fosse finito da un pezzo.
Il vecchio cellulare di servizio che Shirogane teneva nella tasca, sul quale Ikisatashi era solito inviare un corto SMS di conferma, non squillò nemmeno per le tre ore successive.
 
§§
 
La nuvola di fumo che aleggiava per la stanza gli stava facendo venire mal di testa. Non sapeva quante volte aveva detto a tutti gli altri di non fumare nell’armeria, ma ora meno che mai sarebbe stato probabile che l’ascoltassero.
La risata rumorosa di Kisshu coprì il chiacchiericcio degli altri; Pai si voltò verso di loro mentre camminava lungo il corridoio illuminato quasi a giorno per controllare l’ultimo carico arrivato dalla Russia.
Il suo compare stava pulendo uno dei vecchi fucili, quelli così ricercati dall’ultimo collezionista che si era rivolto a loro nelle ultime settimane; ci stava mettendo più tempo del solito, forse perché la spalla ancora non era guarita del tutto nonostante avesse già dismesso la fasciatura.
La pistola che Kisshu portava sempre con sé era invece appoggiata sul tavolo, ancora nella fondina, pronta per essere pulita anch’essa.
Avrebbe dovuto darci una controllata, pensò Pai, non era un buon segno che continuasse ad incepparsi, e non voleva correre il rischio anche con le altre armi destinate alla vendita.
Non era decisamente più il momento di lasciare anche il minimo dettaglio al caso.
Sfiorò con due dita le canne lucenti dei fucili di precisione ancora nelle casse, e si avvicinò agli altri.

 

 

 

 

 

 

 

 

Uelàààààààà aggiornamento lampo per i miei standard :D  Anche se lo so che probabilmente mi odiate, perché è un capitolo pieno di cazz*AHEM*te e poi... ohohohoh :3 A mia discolpa, è stato scritto quasi tutto in università (e la ultima scena e mezza proprio mo, dopo due spritz.  "Se, come se due spritz ti facessero qualcosa, a te, ormai!* NdKIsshu "Buono te, che sei in mano mia!")

Credo di non avere niente da dire per non rovinarvi la sorpresa ;) Il titolo viene, di nuovo, da Demons degli Imagine Dragons. Non so perché, in realtà, l'avevo scelto da un pezzo xD 

Non siate troppo cattive, plis :3 Un bacione, buon weekend e buona notte :)

   
 
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