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Autore: IMmatura    07/03/2015    1 recensioni
Dal testo:
"Luca si chinò abbastanza perché i loro respiri si mescolassero, prima di far salire le proprie labbra all’altezza del suo occhio destro. Carlo lo strizzò, inarcando il folto sopracciglio castano, mentre Luca posava un bacio sulla sua tempia, dimostrandogli per l’ennesima volta che non c’era affatto bisogno di parlare. Quel gesto era stato la loro promessa fin dalla prima volta, la promessa di Luca di stargli accanto, fare quel che poteva per lenire il suo dolore, in qualunque momento... baciare ogni sua ferita, come si fa come i bambini. Come nessuno aveva mai fatto con Carlo, prima della sera in cui si erano conosciuti."
[Partecipante al “Kissing Booth Contest” indetto da Chappy_ sul Forum di EFP.]
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Bacerò ogni tua ferita

Luca aveva l’impressione che la sua mano stesse per essere stritolata in quella presa convulsa, ma non si sognava minimamente di ritrarla. Sentiva in ogni fremito delle dita tozze dell’altro il bisogno che aveva di quel contatto. Lo osservava. La luce fredda del corridoio accentuava il pallore del volto di Carlo, segnato da un paio di occhiaie. Gli occhi, socchiusi nello sforzo di trattenere le lacrime, avevano perso quelle sfumature che, in genere, Luca non si stancava mai di riscoprire, sostituendole con un grigio spento e vacuo. Aveva la mascella contratta e, di tanto in tanto, a Luca pareva di sentire un digrignare di denti. Anche i muscoli del collo erano contratti. Tutto il suo corpo sembrava pronto a uno scatto rabbioso, che comunque non avrebbe cambiato la situazione.

Per un attimo la testa di Carlo sembrò rialzarsi, gli occhi cercare quelli grandi e penetranti dell’altro, la bocca schiudersi... ma, come sempre, alla fine gli mandarono le parole. Luca si chinò abbastanza perché i loro respiri si mescolassero, prima di far salire le proprie labbra all’altezza del suo occhio destro. Carlo lo strizzò, inarcando il folto sopracciglio castano, mentre Luca posava un bacio sulla sua tempia, dimostrandogli per l’ennesima volta che non c’era affatto bisogno di parlare. Quel gesto era stato la loro promessa fin dalla prima volta, la promessa di Luca di stargli accanto, fare quel che poteva per lenire il suo dolore, in qualunque momento... baciare ogni sua ferita, come si fa come i bambini. Come nessuno aveva mai fatto con Carlo, prima della sera in cui si erano conosciuti.

 

 

Luca aveva notato subito un viso nuovo nel locale. Seguì con lo sguardo quelle spalle larghe, fasciate dalla pelle nera e lucida del giubbotto, cercando inutilmente di indovinare il colore degli occhi, nascosti da uno spettinato ciuffo castano.

Lo vedeva muoversi con passo pesante, gesticolando, e provava un misto di curiosità e tenerezza. Si vedeva chiaramente che, dietro quella facciata, c’era tutto il buffo atteggiamento di un ragazzino in mezzo ad un gruppo di ragazzi più grandi, un alternarsi d’imbarazzo e finta strafottenza. Ad occhio gli diede circa sedici anni, scoprì poi che ne aveva appena quindici.

Il gruppo con cui era entrato, composto di sei o sette figli di papà in giubbotti imbottiti di colori improbabili, con fare amichevole, l’aveva trascinato al bancone del bar, chiudendosi in semicerchio attorno allo stesso, tanto da rendere invisibile il barman. A quel punto erano state abbassate le luci, e l’immagine fugace di quel ragazzo indubbiamente carino era stata ingoiata dalla penombra.

Si era fatto molto tardi quando, finalmente, le luci erano state in parte riaccese. Nel vorticare di bagliori cangianti, aveva distinto un branco di schiene e profili animata da sogghigni e gomitate. Grida d’incitamento rivolte a qualcuno. Il rumore di un bicchierino, o di una bottiglia, che finiva sul pavimento. Decisamente non il suo genere di compagnia.

Si sedette un po’ in disparte a chiacchierare con un suo conoscente, appassionato di musica, ma non ricambiato. Suonava la chitarra ma, a voler essere sinceri, era piuttosto scarso... ogni volta che, però, Luca si apprestava ad affrontare l’argomento, cercando di convincerlo che no, la musica non era proprio la sua vocazione, accadeva qualcosa che faceva rimanere la questione in sospeso.

E qualcosa accadde.

Un litigio, forse per futili motivi. Luca non lo seppe mai. Quel che ricordava bene era il modo in cui il semicerchio si gonfiò ancora di più di folla, attirata dalla promessa di adrenalina e sangue. Invece la cosa si concluse in fretta, con il rumore di uno sgabello che cadeva, seguito da un tonfo più morbido.

-Che cazzo hai fatto, questo non si rialza!- si udì distintamente, mentre il barman cercava di allontanare la folla. Nella confusione Luca distinse chiaramente alcuni di quei ragazzi di prima sgusciare via tra le altre teste. Tra una sagoma e l’altra vide il ragazzo con il giubbotto, a terra, che tentava di rialzarsi. Dei suoi amici (o presunti tali) nemmeno l’ombra.

Il barman voleva chiamare la polizia, ma Luca lo dissuase, mentre si chinava verso quel tipo per appurare che stesse bene. Biascicò qualcosa a proposito di un cretino che l’aveva insultato, leccando a tratti il sangue dal labbro inferiore, spaccato.

Carlo, sentendo un pizzicore sulle sue guance, scostò alcune ciocche dei capelli troppo lunghi di Luca, cercando di capire chi fosse, o cosa stesse chiedendogli. Sentiva la testa esplodere e alla rabbia per la discussione (l’aveva vinta lui la gara di bicchierini, ne era sicuro) era subentrata una tensione impotente che gli gorgogliava nella gola, facendogli pizzicare anche gli occhi, lucidi.

Un ragazzo con una capigliatura improponibile disse che se n’erano andati tutti.

-Sono della mia scuola: se ne fosse rimasto qualcuno, l’avrei riconosciuto.-

A quel punto si era divincolato dalla presa dell’altro ragazzo. Era stato facile, dato che le sue braccia erano deboli e mingherline. Si era alzato facendo leva sul bancone del bar e sbraitando imprecazioni contro quegli stronzi che l’avevano pure lasciato li. Non aveva idea di come tornare a casa, e nessuno disposto a venirlo a prendere a quell’ora. L’unico sarebbe stato suo fratello, ma... per Carlo era fuori discussione.

-Ehi, ascoltami. Cerca di calmarti. Non so se i tuoi amici... -

-Non sono miei amici.- rispose, a fatica, tentando di nuovo di muovere qualche passo barcollante. In qualche modo, la mano di Luca, che tentava di riafferrarlo, finì per sostenerlo, mentre lo accompagnava verso un divanetto.

Finalmente Luca riuscì a scoprire il colore dei suoi occhi, arrossati e lucidi per la sbronza: grigio, con delle sfumature tendenti all’azzurro. Lasciò che quelle iridi lo esplorassero. Carlo vedeva una figura magra, con una maglietta di colori sgargianti e una fantasia che aumentava il suo capogiro. Il ragazzo che si era seduto vicino a lui aveva un accenno di pizzetto e lunghi capelli castani chiari. Se ne ravviò una ciocca, mentre cercava di parlargli, lentamente.

Non ci capiva niente, e le sue difese erano abbassate a causa dell’alcool. La sua lingua si era sciolta, come raramente gli era accaduto finora. Blaterò, con la bocca impastata dal sapore aspro di alcool e lime, un po’ di tutto. Luca capì, pressappoco, che si era trasferito da quelle parti di recente, e stava cercando di entrare in quel giro, per qualche motivo. Facile intuire che i ragazzi più grandi se ne fossero approfittati per avere un piccolo spettacolino gratuito. Cercò di sapere se lui avesse un mezzo, ma Carlo scosse energicamente la testa, iniziando a dire, incoerentemente, che non poteva chiamare un certo Tommaso.

Le mani di Luca erano esili e delicate, scostarono dolcemente dalla sua fronte sudata il ciuffo, mentre Carlo, con voce piagnucolosa e quasi infantile, si lamentava di averne abbastanza di quel posto che faceva schifo. Fortunatamente, di quella scena pietosa, il diretto interessato conservava solo vaghi ricordi, sufficienti comunque a farlo vergognare per il resto dei propri giorni.

Quel che ricordava bene, però, era aver sentito di nuovo una ciocca di capelli di Luca, stavolta pizzicargli il collo, mentre il ragazzo avvicinava la testa alla sua per posare sulla tempia un leggerissimo bacio. Era stato l’unico modo che gli era venuto in mente per lenire il mal di testa che Carlo aveva iniziato a lamentare, tra una frase sconnessa e l’altra. Un bacio per scacciare il dolore, innocente, come quelli che si danno ai bambini. Un bacio che fu percepito come tale anche da Carlo, ubriaco, che non reagì male, ma sorprendentemente poggiò la testa sulla spigolosa spalla dell’altro. Luca provò un senso di profonda tenerezza e si ripromise, nonostante avesse sì e no un paio d’anni più di quel ragazzino, di tenerlo d’occhio. Come e quando erano ancora idee confuse nella sua testa. Per il momento si sarebbe limitato a riaccompagnarlo a casa... più tardi, dopo averlo lasciato un po’ dormire...

 

 

Erano diventati amici così. Il giorno dopo Carlo si era presentato al locale chiedendo di lui. Sembrava un altro, da sobrio. Sguardo torvo, testa bassa, mani nascoste nelle tasche del giubbotto. Faceva di nuovo pesare i suoi passi spavaldi sul parquet del locale. Disse di non volere debiti con nessuno e Luca gli propose di sdebitarsi offrendogli la sua amicizia. Non lo vide per qualche giorno, ma alla fine funzionò.

Carlo veniva di tanto in tanto, ora sempre solo, sorseggiando controvoglia una birra e parlando davvero poco. Era Luca a chiacchierare di più e ben volentieri. Si sforzò per mesi di rompere il ghiaccio, per poi capire di esserci riuscito molto prima. Semplicemente Carlo era un tipo di poche parole. Solo un paio di volte, quando davvero qualcosa lo preoccupava, lasciava intendere a modo suo di volersi confidare. Luca mollava tutto e, parola per parola, gli estorceva le confessioni con le pinze. Accoglieva i suoi sfoghi sul fratello, sempre al lavoro, sul padre che non riusciva quasi più a sentire. Della morte della madre avrebbe appreso molto più tardi. Nel frattempo, finì con l’innamorarsi perdutamente di ogni piccolo dettaglio di quel ragazzo: dalle mani un po’ tozze, di cui stupidamente lui sembrava vergognarsi, alla voce sempre esageratamente alta, un’esplosione improvvisa di tutto ciò che Carlo cercava di tenersi dentro. Di là delle parole, contate, era tutto il resto a parlare. I suoi gesti erano veloci, nervosi, a tratti sprezzanti nei confronti di ciò che toccavano o cui si riferivano, ma anche precisi ed energici. I suoi occhi erano guizzanti e, dopo un po’, si accorse che raccoglievano le diverse inclinazioni della luce per colorarsi di sfumature sempre un po’ diverse e nuove... alla faccia di chiunque dicesse che gli occhi grigi erano inespressivi.

Sempre più spesso, approfittando della penombra del locale, Luca gli dava quel bacio leggero sulla tempia, pian piano riempiendolo di emozioni e desideri nuovi, senza mai forzare la mano, cercando di capire se fosse possibile, per Carlo, provare il medesimo subbuglio interiore.

Carlo a volte s’innervosiva, arrabbiato in realtà solo con se stesso, nel disperato tentativo di trovare il coraggio, o le parole, per esprimere quella che, se ne rendeva conto, era diventata un’infatuazione, una cotta bella e buona. Non era stupido, aveva capito le intenzioni dell’altro, ma si muoveva a tentoni in un territorio che, per insicurezza o vergogna, non aveva mai avuto il coraggio di esplorare. Finché un giorno, impaziente com’era, non girò di scatto la testa per risolvere la faccenda in maniera dura, pensando “O la va o la spacca”.

Sul volto asciutto ed affilato di Luca si dipinse un sorriso, mentre si avvicinava per dargli un nuovo bacio sulle labbra, più intenso e appassionato, seguito poi di nuovo dal loro gesto. Il bacio sulla fronte era la tacita promessa di provarci, di fare di tutto per farlo sentire amato, stargli accanto. Con una mano poggiata sul lato sinistro del suo petto Luca non gli aveva promesso miracoli, o la felicità, ma di esserci sempre, anche se la storia fosse finita male, e di essere sempre e comunque pronto a offrirgli il suo aiuto, tutto se stesso, per lenire il dolore lungo il suo cammino. Luca aveva promesso di baciare ogni sua ferita, come si fa per i bambini, per farli sorridere e scacciare, almeno in parte, il dolore. Un rimedio poco pratico, ma sempre efficace, perché offerto attraverso un gesto d’amore.

 

 

Ogni volta che Luca gli dava quel bacio, manteneva la sua promessa, e Carlo gliene era silenziosamente grato. Lo guardava sapendo che non era necessario, con lui, arrovellarsi e forzarsi di esternare ogni cosa. Lui capiva comunque, e anche se improvvisamente avesse smesso di farlo, sarebbe rimasto, come adesso, mentre gli offriva la sua spalla (a dirla tutta, davvero scomoda) per appoggiarsi e sciogliere un po’ la tensione che percorreva ogni fibra del suo corpo. Alla fine l’odore di quei capelli troppo lunghi, di quella pelle così diversa dalla sua, intrisa di sole e sale marino, e la stanchezza vinsero, facendo si che si abbandonasse al sonno, fidandosi del corpo mingherlino di Luca come appoggio. Una scena apparentemente tutta sbagliata, ma perfetta, proprio come la prima volta.

 

 

 

Note dell’autrice

Questa one-shot rappresenta il banco di prova per i personaggi di Carlo e Luca, su cui vorrei incentrare una long in un prossimo (ma anche no) futuro. Non sono ancora certa di muoverli come si deve, ma spero di essere riuscita in ogni caso a tratteggiarli in maniera abbastanza esaustiva. Il bacio sulla tempia, che ho scelto come immagine rappresentativa del loro rapporto, secondo me simboleggia particolarmente bene le loro dinamiche di coppia, ragion per cui ho voluto trasformarlo in qualcosa che avesse un significato “speciale” anche per loro. Credo che tutte le coppie abbiano un gesto speciale, un modo particolare di intendersi che appartiene solo a loro... quello di Luca e Carlo è questo. Spero di avergli reso giustizia ^^”

  
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