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Autore: Lizzie1624    08/03/2015    7 recensioni
Su, diciamocelo.
Chi di voi, passando davanti ad una bambola di porcellana, non ha percepito una strana sensazione, come se questa lo stesse fissando costantemente?
Chi di voi non ha odiato questi esseri inquietanti?
Chi di voi non ha mai immaginato che la bambola, scrutandovi dalla mensola ove era riposta, aspettasse solamente che il buio calasse per avvicinarsi a voi?
E chi di voi non si è mai giudicato stupido e facilmente impressionabile, solo per aver pensato che la bambola fosse viva?
Beh, ragazzi miei..
Non avevate pienamente torto..
Anzi..
Non ne avevate per niente.
« ...il visino bianco latte appena inclinato verso sinistra, gli occhi liquidi infossati nelle orbite rientranti, le labbra allungate in un sorriso laccato di rosa tenue, sbiadito. »
Genere: Horror, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi volto con una lentezza straziante, esitando appena.




E' ancora lì, il visino bianco latte appena inclinato verso sinistra, gli occhi liquidi infossati nelle orbite rientranti, le labbra allungate in un sorriso laccato di rosa tenue, sbiadito.




In cuor mio ho la certezza che, se io non la stessi fissando per paura di un movimento da parte sua, non esiterebbe un istante a trasformarlo in un ghigno.




Ma non può e perciò mi fissa.




Non smetto di fissarla a mia volta, consapevole che lei si muove solo quando non è guardata da qualcheduno.




Non voglio che lo faccia e allo stesso tempo lo desidero ardentemente.




Potrei distogliere lo sguardo un momento solo e lei non perderebbe l'occasione di terrorizzarmi, sgusciando via prima che io possa posare di nuovo gli occhi sul suo corpicino di bambola.




Riuscirei a percepire la sua presenza, nascosta nell'armadio o magari sotto il letto, riuscirei a scorgerla, di sfuggita, al limite del mio campo visivo, senza mai vederla per davvero.




Uscirei dalla stanza in preda al panico, chiamando a gran voce mia madre e mia sorella.




Le trascinerei nella stanza sbraitando, solo per ritrovarla lì, al suo posto, con le manine in grembo e il viso angelico, appena inclinato verso sinistra, mentre ci dona un amabile sorrisetto dalla sua seggiola rosa pallido.




Rimango al mio posto, come lei rimane al suo, scruto con attenzione le sfere di vetro colorato che le fanno da occhi, alla ricerca di un benchè minimo movimento.


Ripenso a come è iniziato tutto.

 

 

 

 

Finito il trasloco, il suggerimento di andare in esplorazione della nuova casa, gentilmente offerto da Max, il compagno di mamma, era stato accolto con urletti di gioia da parte di Carol che, abbandonata la sua bambola preferita e la spazzola di plastica beige, prese a sgambettare sul pavimento scricchiolante, le braccia spalancate, imitando il rombo di un aereoplano.

Da parte mia aveva ricevuto solo un leggero sbuffo, constatando che la bimba di sei anni, che ora si arrampicava su per i gradini, era l'unica a non essere consapevole del suo patetico tentativo di averci fuori dai piedi mentre stappava la prima birra della serata.

Non mossi un muscolo dalla poltrona, gli occhi che scorrevano imperterriti sulle righe del libro nuovo, un regalo di Papà.

Potevo sentire ancora il suo profumo aleggiare fra le pagine, misto a quello dell'inchiostro e della carta regalo color pesca.

"Mamma! Mamma!" , le urla eccitate della peste, al piano di sopra, allarmarono Mamma, intenta ad aprire uno scatolone particolarmente grande, senza che Max alzasse un dito per aiutarla.

Rilessi di nuovo la frase appena letta.

Carol scese di corsa le scale prima che Mamma potesse salirle, con in mano un oggetto che, essendo la mia attenzione forzatamente rivolta verso le pagine, non riuscii a distinguere.

Lessi per la quinta volta la stessa frase.

"Guarda qua!" , la vocina squillante della ragazzina si faceva sempre più insistente e fastidiosa.

Per la settima volta, vidi la medesima frase scorrere sotto ai miei occhi.

"Era nella soffitta!" , gridò infine, porgendo l'oggetto a mia madre.

Rassegnandomi, alzai gli occhi, rivolgendoli verso le due.

Vidi proprio la cosa che mi auguravo che Carol non stringesse tra le manine sudate.

Un' ennesima bambola, il colore della pelle quasi invisibile sotto la patina di polvere che la ricopriva, i capelli aggrovigliati in voluminosi nodi e uno squallido vestitino color crema, bordato di pizzo e ricoperto di sporcizia.

Anche nello stato in cui era ridotta, la bambola era, a suo modo, sinistra ed inquietante, ma Carol, patita nonchè collezionista di bambole, ne era a dir poco entusiasta.

"E' orribile.", dissi con convinzione, tornando al mio libro e riuscendo, finalmente, a proseguire con la lettura.

In seguito, avrei rimpianto di aver detto quella breve, catastrofica affermazione.

Carol aveva protestato, quasi in lacrime, subito assecondata dalla Mamma, come suo solito.

Quest'ultima la aiutò a rimetterla a nuovo e un'oretta dopo era tornata pulita, il vestito lavato e profumato, gli occhi di vetro azzurro ghiaccio lucidati per bene e i capelli biondi raccolti in due codini che le ricadevano sulle spalle.

La testa, un po' difettosa, dondolava e tendeva ad inclinarsi verso sinistra, donando un' orripilante sensazione di essere perennemente osservata, come se in questo modo riuscisse a guardarti meglio.

La bimba la battezzò Heidi e le trovò un posto perfetto, esattamente dove sarebbe stata posizionata in un film dell'orrore: su una sedia vicino alla porta della sua stanza, posizionata appena fuori a sinistra della mia, come se non bastasse.

Di giorno era inquietante, ma di notte il suo sguardo fisso, che era sempre rivolto verso di me, era decisamente insopportabile.

Cominciò a manifestare un profondo astio verso di me, all'inizio, con piccole cose.

In qualche modo, anche se io ricordavo alla perfezione di aver chiuso la porta prima di andare a letto, appena mi trovavo sotto le coperte ed avevo spento la luce mi accorgevo che era spalancata, come quella di mia sorella, e che Heidi mi fissava.

Personalmente, non ho mai avuto il coraggio di alzarmi per chiuderla.

Mi limitavo a chiudere gli occhi ed immaginare di essere in un altro luogo, ignorando gli scricchiolii che sentivo ogni tanto.

La mattina, quando aprivo gli occhi, Heidi non si trovava più sulla sedia, che mia sorella fosse sveglia o che dormissero ancora tutti.

La ritrovavamo nel corridoio o sul tavolo della cucina e, una volta, perfino seduta sul divano, con in mano un telecomando e la Tv accesa su un canale statico.

Nonostante fossi innocente, le accuse di aver posizionato la bambola per spaventare mia sorella erano sempre rivolte verso di me e ricevetti parecchie punizioni a causa di quell'essere odioso.

Mi prendeva in giro, arrivando anche a strizzarmi l'occhio quando mia sorella era voltata.

Che cosa potevo dire, io?

"Mamma, la bambola mi fa l'occhiolino.", forse?

No, se non volevo andare da uno psicanalista tre volte a settimana, contribuendo ad aumentare il divertimento di Heidi.

 






Ed ora è lì, a meno di quattro metri, Heidi.

Che mi fissa.

Non è un caso, io lo so.

Tu lo sai.

Heidi non ha la testa difettosa, che tende a piegarsi verso sinistra.

Quella maledetta testolina improfumata tende a piegarsi verso di me.

Riesco ad udire il lieve respiro di Carol, addormentata, e mi sembra di sentirne un altro, nella sua stanza, sulla porta, sulla sedia.

Un respiro appena accennato, ma udibile nel silenzio e nel buio viscoso che avvolge ogni cosa.

Mi sforzo di non dormire, di tenere gli occhi aperti e puntati sulla bambola.

Il sonno, però, comincia ad avere la meglio su di me e mi sembra di vedere il sorriso dell'essere che si allarga sul viso pallido, sempre più, fino alle orecchie, mentre, tremante, sostengo a fatica il suo sguardo.

Nelle guance della bambola si fanno strada piccole crepe.

Cerco di urlare, ma la mia bocca è sigillata.

Una risatina di bimba, sembra provenire proprio da lei.

Non è possibile.

Tutto tace.

Ci siamo solo io, la bambola e la lotta per non distogliere lo sguardo.

Non so nemmeno da quanto tempo ci stiamo fissando.

Distogliere lo sguardo, anche se solo per un attimo, per guardare l'orologio equivarrebbe a dargliela vinta.

Ormai ho lanciato la sfida e lei l'ha accettata.

Cosa c'è in ballo ancora non lo so, ma dentro di me sento che non voglio scoprirlo.








Le palpebre sono pesanti, si abbassano sempre più.








E' più forte di me.



 

 



La testa mi cade all'indietro e subito riapro gli occhi, in allerta, ritrovandomi a fissare, stavolta, il soffitto bianco.

Ho paura di guardare nella sua direzione.

 

 

 

Ormai so che lei non è più seduta sulla sua seggiola.

 

 

 

 

L'ho invitata ad entrare e lei non se l'è fatto ripetere due volte.

 

 

 

Chiudo gli occhi, inspirando lentamente, e alzo la testa.

 

 

 

Un fruscìo, più vicino di quanto mi aspettassi.

 

 

 

E' nella mia camera.

 

 

 

Mi sento prudere tutta la faccia e so che mi sta fissando.

 

 

 

Le mie palpebre si schiudono, di colpo.

 

 

 

Il mio volto diventa una maschera di terrore.

 

 

 

E' ancora seduta.










Non sulla sua seggiola.

 

 

 

E' sulla mia sedia, ai piedi del mio letto.

 

 

 

Mi fissa ancora.

 

 

 

 

 

Ora che posso vederla per intero, illuminata solo dai deboli raggi di luna che filtrano tra le tende scure, inorridisco ancora di più.

La porcellana del volto è solcata da crepe profonde, che si inspessiscono nei pressi delle labbra, allungate in modo innaturale fino alla pelle appena sotto i lobi.

Gli occhi di vetro azzurro sembrano veri e pare che stiano per cadere, tanto è deformato il volto.

Le manine pallide e lisce giacciono ancora in grembo alla bambola, incrociate sulla gonnella linda e profumata.

E la testa, contornata da biondi capelli aggrovigliati, è appena inclinata verso sinistra.

Mi accorgo solo ora che la porta è chiusa e la chiave è sul pavimento.

Provo di nuovo a lanciare un urlo, ma quello che esce dalle mie labbra è un rantolo terrorizzato, che nessuno in casa riesce a sentire.

Allora chiudo di nuovo gli occhi, stringo le palpebre più forte che posso e tiro le coperte fin sopra la testa.

Spero che sia solo un sogno.

Per un attimo immagino di risvegliarmi, come ogni mattina, e vedere la seggiola vuota da sotto le lenzuola, consapevole che Heidi non si trova nella mia stanza e non mi sta fissando.

Immagino di ritrovarla in corridoio.

Immagino di prenderla e darle fuoco.

Guardo la porcellana sciogliersi, mentre Heidi non si muove minimamente per cercare di sfuggire alle fiamme.

Butto quel che ne rimane nel fiume e guardo la massa nera sciogliersi nell'acqua limpida e scorrere via.

La visione viene interrotta da un risolino divertito.

Passi sul pavimento, sta correndo in giro per la stanza.

Sento un cassetto aprirsi e il legno del comodino scricchiolare.

Poi più nulla.

So che è ancora qui, nella stanza.

Mi fissa ancora, lo percepisco.

Eppure spero che, invece, sia uscita.

Magari dentro il cassetto troverò un regalino, come un occhio di vetro che, puntualmente, sparirà domattina.

Lo ritroverò al suo posto, incastonato nell'orbita di Heidi, il viso perfettamente liscio e candido, appena inclinato verso sinistra.

Mi giro lentamente verso il comodino.

La mia mano, nel sfiorare la parte di materasso vicina ad esso, tocca due oggetti sferici, lisci.

Li prendo esitante.

Spalanco le palpebre e li guardo, sul palmo della mia mano.

 

 

 

 

 

 

 

Sono occhi.

 

 

 

 

 

 

Due occhi di vetro, dalle iridi azzurro ghiaccio.

 

 

 

 

 

 

La mia bocca si spalanca in un urlo muto.

 

 

 

 

 

 

Guardo il comodino e quello che vedo mi paralizza.

 

 

 

 

 

 

Heidi è seduta su di esso e la prima cosa che scorgo quando mi volto sono le orbite vuote, nere e profonde.

 

 

 

 

 

 

Tento di alzarmi per correre via.

 

 

 

 

 

 

Non riesco a muovermi, non riesco nemmeno a distogliere lo sguardo dai due buchi che campeggiano sul suo viso insepressivo, privo a tratti di pezzi di porcellana.

 

 

 

 

 

 

E' come se quei fori non fossero solo buchi, ma contenessero un' infinita, sinistra e misteriosa oscurità.

 

 

 

 

 

 

Mi sembra di sprofondare in quella oscurità, che mi risucchia e mi trascina nel buio più totale.

 

 

 

 

 

 

Perdo i sensi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Apro le palpebre poco a poco, per abituarmi alla luce del giorno che mi ferisce gli occhi.

Pensavo davvero di non rivederla più.

Stranamente, non percepisco il calore del sole sulla pelle, ma attribuisco questo fenomeno agli avvenimenti della notte prima.

Mi ritornano in mente all'improvviso e, senza accorgermene, il mio sguardo è già saettato alla seggiola rosa pallido nella stanza affianco.

Con mio enorme sollievo, è vuota.

Non si ode alcun rumore e riesco, finalmente, a bearmi della quiete nella mia stanza, mentre giaccio sotto le coperte.

Sembrano più pesanti, ma non vi do peso.

Mi basta sapere che il mattino è giunto, che il sole è sorto.

Che niente mi è accaduto.

Faccio per alzarmi e chiudere le ante della finestra, comincia a fare fresco.

Nessun muscolo risponde ai comandi.

Rimango immobile, sul materasso.

Fisso il soffitto bianco.

Nemmeno gli occhi si spostano più.

Che mi sta succedendo?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pochi minuti dopo, passati ad angosciarmi e ad arrovellarmi sul motivo della mia immobilità momentanea, sento il cigolìo della porta che si apre.

Per un momento mi irrigidisco, ma poi mi rilasso al suono della voce di Carol, che si dirige verso di me.

"Eccoti qui! Non riuscivo a capire dove potessi essere finita.", dice la bimba, apparendo nel mio campo visivo limitato all'intonaco scrostato del soffitto.

Mi sento sollevare e capisco che mia sorella mi ha preso in braccio solo nel momento in cui mi adagia dolcemente sulla seggiola di Heidi.

Che diavolo sta accadendo qui?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un istante dopo, quando mia sorella corre a fare colazione, capisco, piena di orrore e meraviglia, che cosa è accaduto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un capello biondo, ribelle, mi scivola davanti agli occhi e lo sconforto mi ricopre come un velo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rimango seduta, immobile, il visino bianco latte appena inclinato verso sinistra, gli occhi liquidi infossati nelle orbite rientranti, le labbra allungate in un sorriso laccato di rosa tenue, sbiadito.




































 

I'm Back.
 

Ringrazio tutte le persone che stanno leggendo questo testo, perchè questo vuol dire che avete visionato tutta la mia storia, e di questo vi sono grata.
Fin da quando ero piccola avevo una paura matta delle bambole di porcellana, che sembrava ti fissassero constantemente, anche se ti spostavi da un punto all'altro della stanza. La casa di mia nonna ne era piena e, di notte, avevo il terrore di aprire gli occhi e ritrovarle tutte insieme nella mia stanza, sul pavimento, sul divanetto, sulle mensole, sul letto stesso. Tutt'ora mi inquietano parecchio e credo che anche molti di voi provino lo stesso.
Poco tempo fa ho visitato di nuovo la casa di mia nonna e, in pomeriggio inoltrato, mentre lei dormiva, mi parve di cogliere un movimento su una mensola, con la coda dell'occhio, e quando mi girai vidi una bambola di porcellana, per l'appunto. Ho pensato che sulle bambole hanno fatto film, libri, storie.
E quindi, perchè non scriverci una One-shot su Efp?
Ho deciso di chiamare la bambola Heidi perchè a casa di un parente ne ho vista una identica, soprannominata Heidi, ed era così bella ed al contempo inquietante che non mi è passata più di mente.

A lei dedico questa breve storia, che spero vi sia piacuta.
Se così fosse, vi invito a non essere timidi e a recensire, esprimendo tutti i giudizi e le osservazioni che vi sentite di fare, positivi o negativi che siano.
Grazie ancora per aver letto 'Heidi'.
Bacioni,

 

~Liz.






 

 






 

 

 
 
   
 
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