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Autore: AliceDarling    08/03/2015    2 recensioni
‘Quando te ne sei andata… la tua assenza mi fa impazzire ancora di più dell’averti accanto. Credevo che saperti al sicuro sarebbe bastato ma ho capito che averti con me era la cosa più importante, quella che mi faceva andare avanti’
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa fanfic si sviluppa immaginando che dopo il litigio con Oliver sul non voler essere la donna da lui amata, Felicity decida di abbandonare per sempre il team, cercando di vivere la sua vita. La storia, ambientata quindi dopo la 3x12, racconta di come Oliver vada a scusarsi con lei dopo che un qualche evento non meglio precisato gli abbia finalmente fatto capire di non poter rinunciare a lei.


Quando suonarono alla porta Felicity si stava lavando i denti. Fermandosi un momento con lo spazzolino a mezz’aria, considerò l’idea di andare ad aprire: erano le 11 passate e lei era già in pigiama, pronta per gettarsi tra le calde braccia di morfeo. Un solo istante e decise di ignorare quel suono: chi diavolo poteva essere a quell’ora? Probabilmente un vicino bisognoso che avrebbe sicuramente potuto cercare l’aiuto che gli serviva in uno degli altri appartamenti del palazzo.
Suonarono ancora. Pausa. Un altro suono. Pausa. Ad ogni trillo la ragazza sperava che fosse l’ultimo e che l’indesiderato visitatore se ne andasse. Ma invece di fermarsi, il suono si fece sempre più insistente. Alzando gli occhi al cielo, si sciacquò la bocca e andò ad aprire. Sull’uscio se ne stava Oliver Queen, in attesa. Le si spalancò la bocca per la sorpresa, ma riprese immediatamente il controllo di se, mentalmente ricordando a se stessa di essere arrabbiata, no furiosa con lui, cosa di cui non era più tanto sicura trovandoselo lì davanti che accennava un mezzo sorriso e con gli occhi che sembravano i più sinceri del mondo, e contemporaneamente maledicendosi per aver addosso uno stupido pigiama arancione.
 ‘Che ci fai qui?’ e si compiacque del tono brusco della sua stessa voce.
 ‘Dobbiamo parlare’
 ‘Questa l’ho già sentita. Io non voglio più parlare con te, Oliver. Pensavo fosse chiaro.’
 ‘Tu non devi parlare, devi solo ascoltare cosa ho da dirti.’
Lo fissò per un lungo istante, combattuta, la parte migliore di lei avrebbe voluto chiudergli la porta in faccia, ma era tardi ed era stanca e lui era così tremendamente… Oliver. Il suo Oliver…cioè non il suo…non in quel senso…non proprio… Fece un respiro profondo per cercare di calmarsi e riordinare i pensieri. Lui continuava a sorriderle debolmente, speranzoso, e alla fine fu il suo corpo a decidere per lei e prima che il suo cervello realizzasse cos’era appena successo, si era scostata dalla porta per farlo entrare, chiudendola poi dietro di lui.
 ‘Allora?’ lo fronteggiava, cercando di ricordarsi tutti i motivi per cui era arrabbiata con lui e cercando anche di dimenticare che lo amava, cosa che aveva tentato di fare nelle ultime settimane, lontana dal covo, lontana da lui. Non stava funzionando.
 ‘Devo chiederti scusa, Felicity’
 ‘E per cosa esattamente? Sai la lista è lunga’
 ‘Per tutte le volte che ti ho ferita dalla notte in cui mi sono nascosto nella tua macchina                spaventandoti a morte’
Certo queste parole colpirono la ragazza, ma entrambi sapevano che delle semplici scuse come queste non sarebbero bastate. Ne avevano passate troppe. C’era stato troppo fra loro. O forse non abbastanza.
 ‘Quando te ne sei andata quella sera, dicendo di non voler essere la donna che amavo… io mi sono sentito quasi… sollevato. Se non avessi più collaborato con me, con Arrow, saresti stata al sicuro. Veramente al sicuro. Il desiderio di tenerti al sicuro è sempre stato più forte di tutto il resto’ e dicendo quest’ultima frase il tono sicuro, da grande discorso, vacillò per un momento, diventando quasi un sussurro. Fece poi un respiro profondo e riprese, di nuovo risoluto.
 ‘Credevo di farcela, Felicity. Credevo che saperti al sicuro sarebbe stato abbastanza. Mi sbagliavo’ un debole sorriso, un sorriso amaro gli distese le labbra.
 ‘Da quando abbiamo sconfitto Slade, da quanto mi sono reso conto di amarti – la ragazza tratteneva il respiro ora come se quelle parole avessero risucchiato tutto l’ossigeno dalla stanza – la tua presenza al covo mi ha sempre distratto. Era così difficile concentrarmi sulle missioni con te intorno… ho fatto il possibile per controllarmi. Finché non ti parlavo o non ti toccavo… così era più facile’
 ‘Ma poi c’è stata quella cena e la sera in ospedale…’ parlava a testa bassa ora, incapace di continuare. Tornando poi a guardarla negli occhi, sembrò trovare nelle iridi azzurre di lei la forza di continuare.
 ‘Quando te ne sei andata… la tua assenza mi fa impazzire ancora di più dell’averti accanto. Credevo che saperti al sicuro sarebbe bastato ma ho capito che averti con me era la cosa più importante, quella che mi faceva andare avanti’
 ‘Sei stata tu a rendermi l’uomo che sono ora, Felicity. Il vigilante, invece che l’assassino, Arrow. Credevo che tu fossi indispensabile solo per Oliver Queen e che soffocando quella parte di me sarei stato l’uomo di cui questa città aveva bisogno. Ma mi sbagliavo. Tu mi rendi quell’uomo, è grazie a te che esiste Arrow’
E poi tacque. Il silenzio si propagò tra di loro mentre Felicity elaborava cosa lui stesse cercando di dirle. Ma era paralizzata, la sua mente non funzionava mai bene quando Oliver la guardava in quel modo e poi le sue parole… Aveva detto di nuovo di amarla, ma c’era anche dell’altro…
 ‘Cosa stai dicendo?’ la sua voce era così flebile, così incerta.
 ‘Sto dicendo questo’ e poiché nessuna parola era in grado di spiegare tutto quello che lui provava per lei, prendendole il viso tra le mani la baciò. Intensamente, libero finalmente e per la prima volta da ogni scrupolo, ogni ripensamento. Sapeva cosa voleva, sapeva di cosa aveva bisogno e questa volta non si sarebbe tirato indietro.
La ragazza inizialmente cedette di fronte a quel contatto, mentre ogni protesta veniva spazzata via dalla bocca di lui sulla sua. Solo quando le sue labbra cominciarono a lasciarle umide impronte sul collo, un lampo di consapevolezza colpì Felicity che solo ora, tornando a respirare, si accorse di trovarsi intrappolata tra il muro dell’ingresso del suo appartamento e il corpo statuario di Oliver, chino su di lei.
 ‘No Oliver…aspetta’ aveva il respiro affannoso e il suo corpo sembrava volersi ribellare alle parole che cercava di pronunciare con una fatica esasperante.
 ‘Oliver, Oliver…fermati’ voleva sembrare convincente, ma non ci riuscì. Alla fine gli prese il viso tra le mani e lo costrinse a guardarla negli occhi. Era ancora affannata quando parlò.
 ‘Oliver…questo è un errore. Domani te ne pentirai…’
 ‘Non potrei mai pentirmi di amarti, Felicity Smoak’ anche lui era ansante e nel dirlo le fissava insistentemente le labbra.
Lei rimase immobile, incapace di decidere se accettare l’amore dell’uomo che amava ma che l’aveva ferita così tante volte da averne perso il conto, o invece respingerlo e cercare di vivere senza di lui, di dimenticarlo.
Accorgendosi della sua immobilità, Oliver fissò gli occhi in quelli di lei, consapevole della sua lotta interiore, cercando di leggervi la decisione finale.
Fu infine quello sguardo a convincerla, quegli occhi che conosceva meglio dei sui stessi occhi, quello sguardo che sembrava non abbandonarla mai, nonostante le distanze, le discussioni, la volontà di andare avanti.
Fu lei questa volta a gettarsi sulle labbra di lui e in quell’istante entrambi capirono che niente avrebbe potuto fermarli quella notte, non c’era spazio per nessun ripensamento tardivo, nessuna scusa, nessun alibi. C’erano solo corpi e labbra e mani. E mentre quelle di Felicity sbottonavano rapide la camicia dell’uomo, Oliver la sollevò da terra. E mentre le gambe di lei si allacciavano ai suoi fianchi, lui si faceva strada a passo sicuro verso la camera da letto.
I vestiti scivolarono via con facilità mentre loro scoprivano centimetro per centimetro la pelle dell’altro. E quando lui entrò dentro di lei e i loro corpi divennero uno solo si chiesero perché avessero atteso così tanto per raggiungere quel momento, quell’unione, quell’essere finalmente completi. E se lo chiesero con domande silenziose, fatte di labbra che si toccavano e di corpi che si congiungevano l’uno nell’altro. E l’ultima cosa che Felicity vide, prima di chiudere gli occhi invasa da un piacere così intenso da pensare quasi di morirne, l’ultima cosa che vide prima di abbandonarsi completamente ad esso, furono gli occhi di Oliver, l’espressione contratta, fissi nei suoi.

NOTA: mi scuso in anticipo per essere così monotematica in quello che pubblico, ma la pausa della stagione mi sta uccidendo e questo è tutto ciò che riesco a scrivere.
   
 
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