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Autore: Barry Q    08/03/2015    0 recensioni
L'Italia s'è appena formata e tanti sono gli uomini che per quest'unione sono morti, sacrificandosi per l'ideale di patria dei loro padri, dei loro nonni.
A farne le spese, tuttavia, sono anche loro, le madri.
Questa, in particolare, sa di non poter più andare avanti, che quel figlio rubatole s'è portato con sé la gioia, la felicità, la speranza. Non resta altro che un sorriso amaro da mostrare a chi, invano, si illude di capirla o, peggio ancora, di poterla consolare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MADRE


Sono una donna.

Non è facile poiché questo mondo non è pronto, ma sono una donna.

Il nostro dolore un uomo non potrebbe mai comprenderlo. La nostra vita un uomo non potrebbe mai amarla.

Mi chiamo Maria e sono italiana, figlia di una nazione appena creata, trainata fuori dalle cosce di un'idea.

Uomini proveniente da ogni angolo di questa nostra penisola hanno versato il loro sangue, ma non mi importa, non adesso.

Non mi importa delle imprese, delle rivolte, dei capovolgimenti di regime, degli oppositori aristocratici, dei poveri più poveri di prima. Non mi importa di nulla se non di ciò che ho perso, di ciò che quegli stessi uomini mi hanno portato via.

Ladri, assassini. Si sono presi il mio bambino con la promessa di trasformarlo in un uomo e mi hanno riportato indietro un cadavere.

È freddo, il mio Giuseppe. Freddo come il velo che è caduto a soffocare il mio cuore, come questo inverno che ha trasformato le terre di mio padre in pallide sagome di neve. È freddo come la mia mano che tiene stretta la sua, così chiara, così spenta, così bianca contro la manica del mio vestito, contro il mio lutto.

Ho un velo a coprirmi il viso perché non voglio che vedano.

Cosa ne sanno loro di una vita che ti danza dentro? Cosa ne sanno di un pacifico dolore che è stata l'unica gioia di questa mia vita?

Che ne sanno di Giuseppe?

Per loro è solo un eroe. Per me è un brandello di cuore che una fiera famelica ha strappato a ciò che restava della mia felicità.

Le donne del paese sono venute a porgermi le loro condoglianze, gli uomini a sfilarsi i loro capelli e ad inchinarsi in segno di rispetto.

Continuo a tenere la mano di mio figlio, addormentato su un rivestimento di raso e pizzo.

Che ne sanno di Giuseppe?

Me lo hanno portato via e questa mano fredda è tutto ciò che mi resta.

"Maria".

Non mi volto, poiché non ho bisogno di vederlo in viso. Lo conosco da anni, lo amo da sempre, da prima che nascessimo, da prima che sapessi cosa volesse dire amare e lasciare che questo male ci consumi.

Lui mi ha rubato Giuseppe, è colpevole tanto quanto loro. Ma lo amo, è quello che ci si aspetta da me, da una donna. Lo amo e non posso mentire.

Senza sorridere, senza sollevare il velo, quasi senza respirare, rispondo con un lieve cenno del capo.

"Maria, tua madre vuole parlarti".

Ha la voce spezzata da un pianto che non vuole saperne di sgorgare. La mia, invece, è la voce che avrebbero gli alberi se Dio avesse donato loro la parola.

È dura come il vestito di corteccia che li avvolge. È legno, è freddo metallo.

"Falla venire".

"Ma...Maria, c'è tanta gente qui".

Forse ha ragione, forse no. Io non vedo nessuno, non sento nessuno. Solo la morte nella mano di mio figlio e quel ghiaccio al centro del mio petto che si fa sempre più spesso.

"Falla venire qui".

Mio marito, il mio imperdonabile marito, si allontana.

Per lui combattere contro gli oppressori e liberare questa nostra Italia era soltanto qualcosa a cui aspirare, senza "se" e senza "ma". Giuseppe, aizzato dalle sue idee rivoluzionarie, lo ha seguito senza voler sentir ragione.

Il padre è tornato, ma non il figlio.

Non vedete quanto sbagliata sia questa realtà? Non scorgete la falla?

Il padre è tornato, ma non il figlio.

Dov'è il figlio? Perché la tanto amata Italia se l'è dovuto mangiare per forza?

Tengo la sua mano e mi sembra che il resto del mondo sia una bolla di sapone, pronta a scoppiare senza far rumore. La sua mano, le sue dita affusolate e bianche come la neve che sporca le finestre, sono il mio porto sicuro, la mia ancora dorata.

Posso toccarlo, posso tenerlo stretto a me come le prime albe, quando il suo pianto mi faceva sentire invincibile.

Sento la morte, ma è la mia unica amica.

Una mano mi sfiora una spalla.

"Maria, tesoro".

Persino mia madre ha la voce umida di dolore. E mi infastidisce, mi fa arrabbiare, quasi mi disgusta.

Non voglio piangere e non piangerò. Non sarò la povera madre da consolare e da compatire.

È la mano di mio figlio che mi rende forte e lo farà finché non dovrò lasciarla andare.

"Maria, come ti senti?".

Si siede accanto a me, ma non riesco a vederla.

"Sto bene" rispondo.

Mi prende per mano, ma io mi scanso, rapida.

Non deve toccarmi. Io non sono Giuseppe e lei non è me.

"Con me puoi essere sincera. Per favore, devi sfogarti".

"Cosa volete sentirvi dire?".

Tengo lo sguardo fisso sui bellissimi occhi del mio bambino. Sta dormendo, l'anima mia. È stanco, distrutto dalla guerra.

"La verità".

Le trema la voce e sono sicura che stia anche piangendo.

C'è gente intorno a me? Ci sono persone che mi guardano? Livietta, che mi ha aiutato a scegliere l'abito più adatto, mi sta tenendo d'occhio come ha promesso di fare?

Giuseppe non ha mai visto tutta queste gente in casa nostra. Non era ancora nato ai tempi dei grandi balli in questo nostro luminoso salotto. Non era ancora giunto a rendermi felice quando la marchesa ha deciso di venirci a trovare, attirata dalle ottime voci che correvano sulla nostra tenuta e le nostre terre, suggestive e soprattutto produttive.

Lui è venuto in un tempo di rivolte, un'epoca in cui gli uomini hanno deciso di alzare lo sguardo e le rivoltelle.

Perché? Perché non ha aspettato? Perché non è sbocciato nel mio ventre adesso che l'Italia è fatta?

"La verità non vi piacerebbe, madre".

"Voglio sentirla ugualmente. Ti farà bene".

Prova di nuovo a prendermi la mano e di nuovo la allontano da lei.

Giuseppe ha entrambe le mani incrociate sul petto, sopra la mia.

"Non perdonerò mai quegli uomini" confesso "E non perdonerò mai Luciano".

"È tuo marito, Maria, è tuo marito".

"Me lo ha rubato. Lo ha costretto a fare la guerra".

"Nessuno lo ha costretto, tesoro. Giuseppe era un uomo, oramai, ed ha scelto di sacrificarsi per il suo Paese".

"Nessuno sceglie di sacrificarsi per il proprio Paese, madre. È inconcepibile. La vita ha davvero così poco valore per gli uomini?".

Come se un grammofono abbia improvvisamente deciso di cominciare a suonare, il vociare intorno a noi prende forma e finalmente giunge alle mie orecchie.

Uomini e donne parlottano sottovoce.

Mi volto a guardarli e loro distolgono i loro sguardi colpevoli. Guardo mia madre.

Il volto solcato dal tempo che se ne va è pallido quasi come quello del mio Giuseppe. I suoi occhi grigiastri sono colmi di una pena che non riesco a capire.

Come osa soffrire? Come osa? Vuole forse lasciar intendere che la morte di Giuseppe l'ha devastata?

Sono io la madre! Sono io ed io soltanto!

"Non devi provare quest'odio, figliola".

Le sue labbra tremano.

"Non devo provare quest'odio?" le domando, spaventata dalla mia voce adesso più incerta, meno solida.

L'incantesimo sta svanendo, il ghiaccio si sta sciogliendo.

Non voglio bruciare, non voglio sentire.

"E cosa dovrei provare? Gioia per questa nostra nuova Nazione? Mio figlio è morto e nulla è cambiato. Me lo hanno rubato, quegli incoscienti, mi hanno rubato il mio bambino, eppure i poveri sono ancora poveri. Cosa è cambiato? A cosa è servito?".

Non ha risposte, mia madre, lo leggo nei suoi occhi stanchi.

Per la terza volta prova a prendermi per mano e per la terza volta mi allontano da lei.

"Non toccherò più nessuno" le rivelo, mentre sento gli sguardi di tutti soffermarsi su di me e su questa mia mano che si aggrappa a ciò che resta della mia gioia "Non amerò più nessuno. Con Giuseppe il mio amore è terminato. Non amerò, madre. Nè voi, né luciano, né i figli che verranno, se ne verranno. Con Giuseppe, è finita".

Inaspettata, la mano di mia madre mi sfiora il velo, premendo dolcemente sulla mia guancia.

Vorrei muovermi, scostarmi, ma adesso che la sento vicina, viva, vera, uguale a com'era quando mi svegliavo di notte e lei veniva a consolarmi, non riesco a fare nulla se non respirare e guardarla dritto negli occhi.

É come se ogni cosa abbia deciso di tornare al suo posto. Quel suo lieve tocco mi ha riportato ai giorni in cui io ero la figlia e lei la madre.

Giuseppe non potrà mai ricordare quei giorni. Non ricorderà più niente di me.

"Io ti amerò, Maria" sussurra mia madre "E ti aiuterò ad amare di nuovo. Giuseppe ci ha solo anticipate. Saremo con lui, un giorno".

"Io andrò all'inferno perché ho chiesto a Dio di prendere con sé i figli delle altre donne, ma non il mio. Non sarò mai con Giuseppe".

Mia madre sorride e per qualche istante, proprio l'istante di un sorriso, il ghiaccio che si scioglie attorno al mio cuore non mi spaventa più.

"Sei una madre" mi dice, la mano ancora premuta contro la mia guancia "Ed hai amato. Non potrai che stare con lui, un giorno. Ti aspetterà".

"Non voglio aspettare, madre. Non voglio aspettare".

Non risponde, mia madre. Si limita a lasciarmi andare, a lasciarmi da sola.

Ancora stretta alla marmorea mano del mio angelo mi guardo intorno.

Ci sono tutti. Mia sorella, suo marito, i suoi figli, mio fratello, le mie amiche, alcuni degli uomini che hanno combattuto accanto a mio marito e che hanno cercato di proteggere mio figlio.

Poi, in fondo al salotto, con il viso perso al di là della finestra, tra gli alberi innevati che tanto lo rattristano, vedo mio marito.

Lo odio, perché mi ha rubato Giuseppe.

Ma lo amo, perché se c'è qualcuno che posso ancora amare è proprio lui, proprio l'uomo senza il quale non ci sarebbe stato alcun Giuseppe.

Si può odiare tanto una persona e amarla con la stessa intensità?

Desidero che tutti vadano via. Desidero prendere la sua mano e piangere sul corpo inerme di nostro figlio.

Amare di nuovo mi fa paura, ma sono una donna, sono una madre, e amare è ciò che so fare meglio.

Lascio andare Giuseppe, mi alzo, raccolgo la coda della voluminosa gonna nera che indosso e senza dire una parola mi incammino verso la mia camera da letto.

Ho gli occhi di tutti puntati addosso, ma i loro sguardi sono come il ghiaccio che ancora mi stringe il cuore.

Non li sento. Non sento nulla.

Rimango da sola e mi sdraio sul letto che da anni condivido insieme al mio Luciano.

Cosa rimane quando un figlio ti viene portato via? Cosa potrà mai esserci di altrettanto bello e altrettanto grande?

Non amerò mai nessuno come ho amato lui. E non odierò mai nessuno come ho odiato mio marito.

Forse la vita è questo e basta. È amare e odiare e nulla più. Forse si riduce tutto a questo, ad un figlio rubato, ad un dolore infinito e a cocci da raccogliere e conservare in un forziere di menzogne.

La nostra colpa è quella di essere nati uomini e donne, madri e padri.

Sono una donna, sì. Sono una madre.

È la cosa più bella che mi sia mai capitata.

È la cosa peggiore che mi sia mai capitata.

 

  
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